Non credo basti un crocifisso in classe a rendere cattolica una scuola e tantomeno a renderla una scuola "legittimata"(?) dal cattolicesimo o addirittura una scuola di cattolicesimo (fra le nostre scuole e le scuole coraniche ci sono anni luce di distanza, non scherziamo please). Secondo me oggi il dibattito sul crocifisso è in ritardo di almeno mezzo secolo, nel senso che avrebbe avuto le sue ragioni fino a due generazioni fa. Probabilmente se un ragazzo "medio" leggesse i nostri discorsi, si chiederebbe come mai diamo tanta importanza a un oggetto appeso ad una parete, magari ipotizzerebbe che stiamo usando un linguaggio in codice per riferirci ad altro... e questa ipotesi si è rivelata molto plausibile: il crocifisso come pretesto per addentrarsi nel tema della laicità (che è come parlare dello spray anti-zanzare per riferirsi alla catena alimentare, ma da qualche parte bisogna pur iniziare, no?).
Considererei due presupposti (metodo)logici: un simbolo assume un valore anche in base al contesto in cui viene posto e il destinatario di una comunicazione non è mai passivo ma interpreta attivamente il messaggio.
Per quanto riguarda il secondo punto, come già accennato, credo che gli attuali destinatari del messaggio di un crocifisso in classe, siano piuttosto ciechi al suo imporsi come simbolo di una storia e una visione del mondo bimillenaria: sono altri i canali da cui ricevono i messaggi e gli input che strutturano la loro prospettiva sul mondo (famiglia, amici, media, etc.) e credo questo valga ancor più per gli adulti (giusto?). L'attuale "sensibilità semantica", in generale, ci rende (noi italiani e gli occidentali in genere) piuttosto indifferenti, ragazzi inclusi, a pacchetti di sigarette su cui sono scritte verità scientifiche con tanto di illustrazioni esplicative, siamo ormai desensibilizzati ad immagini forti ed ammonimenti che pur sappiamo essere veri e riguardare la nostra salute (non la nostra visione del mondo). Se questi messaggi non funzionano, vengono ignorati (fallendo la propria "missione" di esser segno, comunicazione, etc.), mi stupirebbe che un crocifisso, decisamente più criptico e "pedante" nel comunicare, avesse miglior fortuna (soprattutto nei casi in cui «non c'è peggior sordo...», proprio come per le sigarette).
Probabilmente, oggi, il crocefisso sta vivendo nelle aule il passaggio semiotico dall'esser simbolo all'esser decorazione o elemento strutturale di default come fosse un cartello «vietato fumare» (non lo dico per blasfemia, ma perché mi sembra una constatazione piuttosto fattuale). Vederlo in un'aula e percepire un suo qualche "potere" sociologico o propagandistico o dottrinale, significa tornare ai tempi di guelfi e ghibellini; rievocazione storica di sicuro interesse ma da non confondere con l'attualità. Per tutelare il valore simbolico del crocifisso bisognerebbe ridurne l'esposizione in spazi che ne svalutano il senso, una volta preso atto dell'indifferenza che suscita: se metto un marchio/logo/simbolo ovunque ed esso non sortisce effetto (o l'effetto contrario), lo sto solo depotenziando.
Qui si innesta il primo presupposto di cui sopra: il contesto. Nelle aule, i docenti parlano indisturbati anche di/da prospettive laiche, di evoluzionismo e di preservativi, alcuni di loro sono atei e non vengono certo licenziati, alcuni ragazzi (a ricreazione e non) bestemmiano "serenamente" e tutto scorre come se quel crocifisso non ci fosse... in quanti, ad esempio, lo guardano e si fanno un segno della croce? Viene mai detta una preghiera di fronte a quel crocifisso? Qualcuno dirà «ci mancherebbe, non siamo mica in chiesa!» e forse è proprio questo il punto (che dimostra di come il crocifisso sia un falso problema e non sia paragonabile alla leggera al ruolo di altri simboli in altre culture): fuori dalle chiese, i crocifissi (non quelli indossati) sono arte, commemorazione, etc. ma oggi non marcano più alcun territorio ideologico, né nelle scuole né altrove (se non negli animi di chi, per amor di antagonismo, cerca un pretesto per appellarsi alle nefandezze del clero, seguendo la già citata adolescenziale psicologia inversa). Persino nei tribunali, la presenza di un crocifisso è ininfluente perché la legge applicata è poi di fatto e di diritto quella scritta dall'uomo; si giura di dire la verità (seppur, se non sbaglio, da quasi un quarto di secolo non si scomoda più la divinità), tuttavia se poi viene scoperta una menzogna, non si risolve tutto con una sincera confessione in chiesa, ma se ne valutano le conseguenze nell'al di qua del tribunale terreno.
Sono spesso gli atei (o meglio gli "antitei"), a vedere nel crocifisso un messaggio ingombrante e condizionante il suo contesto di esposizione quando, fino a prova contraria, la sua presenza è oggi quasi irrilevante perché viene sistematicamente ignorata (seconda premessa) e "marca il territorio" (prima premessa) come lo può marcare, mi si conceda l'esempio banale, un dizionario di inglese su una scrivania (senza che essa diventi per questo territorio del commonwealth): in entrambi i casi se il "marchio" non ci fosse, si vedrebbe sicuramente la differenza (il vuoto su parete e tavolo) e si perderebbe un'occasione per polemizzare (magari nonostante lo strato di polvere dimostri come quel dizionario non sia stato utilizzato e quindi non abbia contribuito attivamente alla "colonizzazione anglofona").
Secondo me, il pensiero laico, finché pensa che il crocefisso in classe sia un fattore rilevante o abbia un valore simbolico discriminatorio, non è davvero laico, almeno se per «laico» intendiamo quell'approccio che non dovrebbe chiudersi in una prospettiva dogmatica, ma tantomeno chiudere la possibilità di esprimere pubblicamente prospettive (non necessariamente tutte quelle possibili in egual misura, non siamo in "campagna elettorale teologica"), sempre secondo le leggi vigenti ovviamente (tutte inevitabilmente dogmatiche, ma non andiamo off topic). Che in Italia la prospettiva più in voga, per motivi storici e culturali, e quindi inevitabilmente anche la più simboleggiata, sia il cristianesimo, non dovrebbe (s)paventare la minaccia di un'ingerenza ideologica dello "stato pontificio" nei processi educativi, situazione che sarebbe certamente non laica ma che mi pare tuttavia piuttosto inattuale e fantasmatica (al contrario di quanto possa far pensare talvolta il dibattito sul crocifisso).
Considererei due presupposti (metodo)logici: un simbolo assume un valore anche in base al contesto in cui viene posto e il destinatario di una comunicazione non è mai passivo ma interpreta attivamente il messaggio.
Per quanto riguarda il secondo punto, come già accennato, credo che gli attuali destinatari del messaggio di un crocifisso in classe, siano piuttosto ciechi al suo imporsi come simbolo di una storia e una visione del mondo bimillenaria: sono altri i canali da cui ricevono i messaggi e gli input che strutturano la loro prospettiva sul mondo (famiglia, amici, media, etc.) e credo questo valga ancor più per gli adulti (giusto?). L'attuale "sensibilità semantica", in generale, ci rende (noi italiani e gli occidentali in genere) piuttosto indifferenti, ragazzi inclusi, a pacchetti di sigarette su cui sono scritte verità scientifiche con tanto di illustrazioni esplicative, siamo ormai desensibilizzati ad immagini forti ed ammonimenti che pur sappiamo essere veri e riguardare la nostra salute (non la nostra visione del mondo). Se questi messaggi non funzionano, vengono ignorati (fallendo la propria "missione" di esser segno, comunicazione, etc.), mi stupirebbe che un crocifisso, decisamente più criptico e "pedante" nel comunicare, avesse miglior fortuna (soprattutto nei casi in cui «non c'è peggior sordo...», proprio come per le sigarette).
Probabilmente, oggi, il crocefisso sta vivendo nelle aule il passaggio semiotico dall'esser simbolo all'esser decorazione o elemento strutturale di default come fosse un cartello «vietato fumare» (non lo dico per blasfemia, ma perché mi sembra una constatazione piuttosto fattuale). Vederlo in un'aula e percepire un suo qualche "potere" sociologico o propagandistico o dottrinale, significa tornare ai tempi di guelfi e ghibellini; rievocazione storica di sicuro interesse ma da non confondere con l'attualità. Per tutelare il valore simbolico del crocifisso bisognerebbe ridurne l'esposizione in spazi che ne svalutano il senso, una volta preso atto dell'indifferenza che suscita: se metto un marchio/logo/simbolo ovunque ed esso non sortisce effetto (o l'effetto contrario), lo sto solo depotenziando.
Qui si innesta il primo presupposto di cui sopra: il contesto. Nelle aule, i docenti parlano indisturbati anche di/da prospettive laiche, di evoluzionismo e di preservativi, alcuni di loro sono atei e non vengono certo licenziati, alcuni ragazzi (a ricreazione e non) bestemmiano "serenamente" e tutto scorre come se quel crocifisso non ci fosse... in quanti, ad esempio, lo guardano e si fanno un segno della croce? Viene mai detta una preghiera di fronte a quel crocifisso? Qualcuno dirà «ci mancherebbe, non siamo mica in chiesa!» e forse è proprio questo il punto (che dimostra di come il crocifisso sia un falso problema e non sia paragonabile alla leggera al ruolo di altri simboli in altre culture): fuori dalle chiese, i crocifissi (non quelli indossati) sono arte, commemorazione, etc. ma oggi non marcano più alcun territorio ideologico, né nelle scuole né altrove (se non negli animi di chi, per amor di antagonismo, cerca un pretesto per appellarsi alle nefandezze del clero, seguendo la già citata adolescenziale psicologia inversa). Persino nei tribunali, la presenza di un crocifisso è ininfluente perché la legge applicata è poi di fatto e di diritto quella scritta dall'uomo; si giura di dire la verità (seppur, se non sbaglio, da quasi un quarto di secolo non si scomoda più la divinità), tuttavia se poi viene scoperta una menzogna, non si risolve tutto con una sincera confessione in chiesa, ma se ne valutano le conseguenze nell'al di qua del tribunale terreno.
Sono spesso gli atei (o meglio gli "antitei"), a vedere nel crocifisso un messaggio ingombrante e condizionante il suo contesto di esposizione quando, fino a prova contraria, la sua presenza è oggi quasi irrilevante perché viene sistematicamente ignorata (seconda premessa) e "marca il territorio" (prima premessa) come lo può marcare, mi si conceda l'esempio banale, un dizionario di inglese su una scrivania (senza che essa diventi per questo territorio del commonwealth): in entrambi i casi se il "marchio" non ci fosse, si vedrebbe sicuramente la differenza (il vuoto su parete e tavolo) e si perderebbe un'occasione per polemizzare (magari nonostante lo strato di polvere dimostri come quel dizionario non sia stato utilizzato e quindi non abbia contribuito attivamente alla "colonizzazione anglofona").
Secondo me, il pensiero laico, finché pensa che il crocefisso in classe sia un fattore rilevante o abbia un valore simbolico discriminatorio, non è davvero laico, almeno se per «laico» intendiamo quell'approccio che non dovrebbe chiudersi in una prospettiva dogmatica, ma tantomeno chiudere la possibilità di esprimere pubblicamente prospettive (non necessariamente tutte quelle possibili in egual misura, non siamo in "campagna elettorale teologica"), sempre secondo le leggi vigenti ovviamente (tutte inevitabilmente dogmatiche, ma non andiamo off topic). Che in Italia la prospettiva più in voga, per motivi storici e culturali, e quindi inevitabilmente anche la più simboleggiata, sia il cristianesimo, non dovrebbe (s)paventare la minaccia di un'ingerenza ideologica dello "stato pontificio" nei processi educativi, situazione che sarebbe certamente non laica ma che mi pare tuttavia piuttosto inattuale e fantasmatica (al contrario di quanto possa far pensare talvolta il dibattito sul crocifisso).