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Messaggi - Phil

#1321
Tematiche Filosofiche / Re:Al di là dell'aldilà
09 Febbraio 2020, 20:58:37 PM
Sulla convergenza fra virtualità e post-mortem segnalo Mushtaq Ahmad Mirza Project, Project Elysium e il "transreligioso" Terasem Movement Foundation's; pare inoltre sia in rapido sviluppo la ricerca tecnologica per lo sviluppo e il miglioramento dei "griefbot" (intelligenze artificiali che simulano la personalità di un defunto basandosi su suoi dati e peculiarità reali tratti da documenti, testimonianze, social, etc.).
#1322
Tematiche Filosofiche / Re:Al di là dell'aldilà
09 Febbraio 2020, 12:47:37 PM
Questa realtà virtuale potrebbe essere una risorsa per rielaborare un lutto in modo meno traumatico: piuttosto che salutare un figlio morente su un letto d'ospedale, fra respiratori artificiali, sedativi e medici, forse la mente accetta più volentieri un addio simulato, quasi da film, con effetti speciali, dissolvenza, scenari ben studiati (per colore, forme, etc.) e magari musiche di sottofondo ad hoc (a rinforzare quel carico emotivo necessario a potenziare l'esperienza; anche se l'assenza di musica renderebbe il vissuto di certo più verosimile).
Ho scritto «forse» perché alcuni (almeno uno lo conosco) non accetterebbero di buon grado, di fronte ad un lutto, di indossare occhiali e sensori per interagire con un programma che incrocia la grafica da film hollywoodiano ed il dialogo con un'intelligenza artificiale (o con un personaggio comandato in tempo reale da uno psicologo, come se stesse giocando ad un videogame e il defunto fosse l'avatar da lui scelto).
Credo l'efficacia di tale esperienza dipenda anche dal grado di competenza tecnologica: chi non ha mai usato la realtà virtuale o neppure un videogame con la visuale in prima persona, suppongo risulti spontaneamente più incantato e colpito da tale esperienza; la nuove generazioni che invece usano sempre più quelle tecnologie e quella prospettiva in prima persona, suppongo abbiano una mente più resistente a cedere alla "magia psicologica" (e quindi all'effetto terapeutico) del commiato in esperienza postuma(na) con il simulacro del defunto.

Un effetto collaterale di un'esperienza così "psicologicamente invasiva" potrebbe essere la dipendenza: se a tale mamma fosse prospettata la possibilità di poter andare ogni tanto a trovare "sua figlia" nella realtà virtuale, cosa risponderebbe la donna? E una persona in condizioni psicologiche differenti?
Ci sono persone che, senza traumi luttuosi, hanno sviluppato dipendenza patologica da videogame (in Giappone sono gli otaku, nei casi più seri diventano hikikomori), ben oltre la ludopatia da videopoker o slot machine; non so dunque cosa potrebbe capitare, magari solo in rari casi, di fronte alla possibilità di frequentare un defunto e/o occuparsi di lui, sempre all'interno della realtà virtuale, come già alcuni fanno con i pokemon o facevano con i tamagotchi. In fondo, in questo video la mamma ha "di fatto" festeggiato un compleanno; inoltre, quando la figlia ha detto «stiamo sempre insieme, vero? La prossima volta che ci incontriamo, giochiamo molto(, va) bene?» era un invito a ritrovarsi in paradiso oppure ad una prossima sessione di realtà virtuale (a pagamento)?
Il pharmakon può essere, come sempre, rimedio o veleno...
#1323
Citazione di: Sariputra il 08 Febbraio 2020, 15:03:39 PM
@Phil
La domanda da me espressa @Vito Ceravolo era piuttosto chiara e si riferiva al "nichilismo occidentale" nell'accezione comune e non riferita ad un autore in particolare. Nichilismo nel senso come da me usato nel Topic "Civiltà Occidentale"
[...]
Ritengo sia un uso in linea con l'accezione comune contenuta in Wikipedia e in treccani.
Mi sembra che ciò confermi ulteriormente l'ambiguità a cui mi riferivo: tu chiedi del «nichilismo occidentale» all'autore del saggio il cui primo capitolo è «Quando Kant anticipava la rovina del suo paradigma, e di tutto il nichilismo occidentale», saggio che citi poco prima di porre la tua domanda e che commenti con:
Citazione di: Sariputra il 04 Febbraio 2020, 19:07:29 PM
L'ho trovato molto interessante. Mi sembra di capire che tu teorizzi il nichilismo occidentale  come una forma di 'odio' (faccio un'estrema sintesi ovviamente, veramente esagerata..).
intendendo però, a quanto scopro ora, con «nichilismo occidentale» quello che invece focalizzi nel topic «civiltà occidentale» (quindi non il nichilismo di Vito), che ti sembra1 simile al nichilismo comunemente inteso (cioè non solo all'occidentale, almeno a giudicare dalle definizioni).
Chiaramente, la filologia di questo domandare mi serve come esempio esplicativo per la considerazione che proponevo sopra (riguardo la necessità di esplicitare le coordinate di un tema), non certo perché mi interessi "fare le pulci" al tuo domandare (anche perché il mio stesso ragionare è poco più che un "mercato delle pulci").

1Scrivo «sembra» perché nella tua riflessione, tutt'altro che scontata e decisamente legittima, il nichilista diventa edonista (proponi come suo motto «goditela più che puoi!», sebbene non so quanti e quali nichilisti lo sottoscriverebbero), inoltre l'assenza di fondamento delle ideologie politico-religiose diventa per te propulsore del «tecnocapitalismo» (facendo del nichilismo un movente socioeconomico); definisci il nichilismo una «una sorta di mentalità largamente condivisa, maggioritaria»(cit.) e non mi pare poco la presa d'atto di tale eventuale "maggioranza" (in occidente o altrove).
Sicuramente il nichilismo che tratteggi è dunque molto più ragionato di quello definito dal dizionario Treccani, il che secondo me è un bene (il tuo tratteggiare intendo), in piena conformità con le finalità del forum.
#1324
Citazione di: Sariputra il 08 Febbraio 2020, 00:47:15 AM
In generale, quando non si fa una citazione specifica di un autore o di una filosofia, s'intende un termine nell'accezione comune che viene data. Per esempio, visto che il termine 'nichilismo', che è diventato motivo di discussione in seguito ad una mia domanda specifica a @V.Ceravolo in relazione ad un suo scritto qui linkato,  può avere diverse interpretazioni, s'intende tacitamente il suo senso comune che è: "Ogni posizione filosofica che concepisca la realtà in genere o alcuni suoi aspetti essenziali, dai valori etici alle credenze religiose, dalla verità all'esistenza, nella loro nullità."  Oppure: "Dottrina che si caratterizza per la totale negazione dei valori e dei significati elaborati dai diversi sistemi filosofici. " (diz.Treccani).
Questo può essere un caso esemplificativo della ambiguità di cui parlavo: nel suo saggio, Vito parla del nichilismo di Nietzsche (da lui interpretato, non "in generale") e poi propone una sua ulteriore logicizzazione del nichilismo (con la formula della contraddizione logica); segue la tua domanda che riguarda il «nichilismo occidentale» (quindi, parrebbe, non solo Nietzsche) o forse il nichilismo in generale (e sai meglio di me come in oriente il nulla/vuoto non sia questione da poco...). Se consideriamo che il nichilismo è stato citato da Vito sin dal primo post d'apertura del topic, come macroarea di pensiero opposta al realismo, ecco che, secondo me, iniziare a chiarire di quale nichilismo stiamo parlando (à la Vito? à la Treccani? à la Nietzsche? à la "stretta la foglia, larga la via..."?), passando almeno dal dizionario Treccani (troppo generico per i termini settoriali) a Wikipedia (che non è prolissa come un manuale, ma meno vaga del dizionario), stringendo un po' il campo di riferimenti, gioverebbe a ridurre i fraintendimenti e agevolerebbe una conversazione coerente.
Fermo restando che non stiamo facendo ricerca universitaria, ma siamo su un forum aperto a tutti, quindi anche nella sezione "filosofia" l'opinionismo spensierato è comunque un diritto (sancito dal regolamento, se non erro).
#1325
Citazione di: davintro il 07 Febbraio 2020, 20:50:31 PM
la mia scelta di argomentare senza citare filosofi o forumisti (se non quando strettamente necessario, comunque in rare occasioni) è dovuta, da un lato, alla mia preferenza per stare nell'analisi concettuale, contribuendo a far sì che la discussione possa restare a un tavolo comune tematico in cui ciascuno sulla base di una comune logica e razionalità possa prender parte, evitando riferimenti citazionisti, che, ritengo, non aggiungerebbero nulla alla discussione se i concetti, che dovrebbero essere l'unico contenuto di una filosofia che vuole distinguersi dalla "storia della filosofia" come autonoma riflessione personale senza vincolarsi a princìpi di autorità, sono ben chiari, o evitando di citare forumisti, anche per evitare di "rinserrarsi" in un botta e risposta personale. In molti casi preferisco lanciare riflessioni restando sul generale, lasciando a ciascuno piena libertà di inserirsi, senza timore di risultare in qualche modo, fuori luogo, nell'intervenire in un botta e risposta ristretto a pochi utenti che si citano. In questo caso non ho ritenuto fosse il caso, ma è solo una scelta "stilistica", nulla che debba far sospettare riguardo la validità o meno del mio discorso.
Il mio parere sulla ridondanza del diverbio assolutismo/relativismo non era rivolta a te in particolare, infatti anche altri utenti l'hanno chiamata in causa e io stesso non riesco ad astenermi dall'usare «assoluto» e «relativo»; ovviamente ognuno è libero di dare il suo contributo e di cavalcare i suoi "cavalli di battaglia", non era certo mia intenzione dire quali fossero i binari che lo sviluppo del discorso doveva seguire o stigmatizzare gli eventuali off topic (non sono nemmeno un moderatore). Mi ero solo fatto allettare dalla possibilità di un contributo nuovo per questi schermi, quello di Vito (nonostante non mi trovi concorde con lui) e quando ho avuto il déjà vu di temi e obiezioni, magari in topic, ma già molto presenti in questo forum, ho espresso la mia personale preferenza per una tutela del nuovo a discapito del già (mal)trattato; si tratta appunto di una preferenza personale, non certo un rimprovero (che da parte mia non avrebbe senso).

Riguardo al citare o meno autori o forumisti, sempre restando nelle mie preferenze personali, credo invece sia un gesto necessario alla chiarezza, oltre che alla sostanza, del discorso, ma non perché citando il filosofo Tizio, con cui supponiamo concordo, la mia opinione diventi allora più autorevole o addirittura verità; la sfida a chi sa più citazioni mi è sempre parsa sterile gioco da nozionismo televisivo. L'utilità e l'apporto contenutistico del citare nomi è piuttosto quello di innescare un collegamento sintetico, un link, ad un insieme di contenuti reperibili (di solito basta wikipedia) o argomentazioni più o meno note (a proposito: qui ho scoperto molti autori e teorie che non conoscevo in precedenza, sono debitore verso chi li ha citati). Soprattutto, si evita il fatale (per me) errore dell'approssimazione, della confusione fra concetti simili ma non identici, dello scontro fra vocabolari fatti in casa (che talvolta rende difficile persino inquadrare il tema del discorso). Non sempre la filosofia e il "secondo me" sono perfettamente compatibili (e non solo se parliamo di logica formale), anche se comunemente, far filosofia significa cercare di dire seriamente la propria su una questione astratta.
Ad esempio, riaccostandoci al topic, se parliamo di «nichilismo», senza voler citare autori, di cosa parliamo esattamente? Quando Vito (lo prendo come esempio) ci dice che il nichilismo afferma «A=-A», di quale nichilismo parla? Ha senso un discorso vago sul "nichilismo in generale" quando magari si vuole poi condensare tutto in un'asserzione logica? Se invece Vito si riferisce ad un autore in particolare, allora può essere una sintesi ottimale, ma come saperlo se non ne esplicita il nome? Il rischio è dunque quello di una filosofia di "slogan senza autori", di "filosofie senza sostenitori" (come forse è il relativismo assolutista), di motti che banalizzano e si aprono a mille interpretazioni decontestualizzate: «tutto è relativo», «Dio è morto», «cogito ergo sum», «il cielo stellato fuori di me e la legge morale in me», etc. chi l'ha detto in quale contesto lo ha fatto e, soprattutto, in che senso? Il richiamo all'autore o alla corrente filosofica non è un vezzo intellettualistico, è la chiave di lettura da cui dovrebbe, secondo me, partire un'interpretazione pertinente (se poi l'autore non c'è, forse siamo di fronte a fazioso stereotipo). Ben vengano riflessioni personali e originali, tuttavia se do la mia opinione sul neoplatonismo, sarebbe opportuno, deontologicamente, farlo con minima cognizione di causa (il che implica il riferimento ad autori e correnti; anche in formato bignami o wikipedia, è sempre meglio di niente).
Passando agli utenti; se ora facessi un commento sul «mistico», mi riferirei al mistico di Vito, quello di bobmax, o quello "secondo me"? Parlare all'interno di un gruppo senza far capire se ti rivolgi a Tizio o a Caio può essere infruttuoso, se non controproducente; soprattutto se, ad esempio, rivolgi una domanda, attività squisitamente filosofica, è per me piuttosto utile esplicitarne il destinatario (il che non toglie che altri possano poi "rubare" la domanda e rispondere o inserirsi in un dialogo a due voci, contribuendo non poco ad "allargare il campo").
#1326
A mio modesto parere, ci sono già abbastanza topic in cui il relativismo viene forzosamente assolutizzato così da risultare docilmente contraddittorio, o in cui viene fatto assurgere a fallace teoria della totalità (tuttavia, sospettamente, senza citare mai i filosofi e/o almeno i forumisti rei di tale leggerezza), sempre giocando sull'ambiguità fra «assoluto» come sostantivo ed «assoluto» come aggettivo, «assoluto» nel suo significato etimologico ed «assoluto» nel suo significato storico-filosofico, etc.
Qui, rimuovendo (in tutti i sensi) la questione del fondamento, che pure si intravvede fra le righe, credo che (per fortuna) il tema sia un altro; tema che mi pare prendere le mosse dalla constatazione:
Citazione di: Ipazia il 07 Febbraio 2020, 10:49:39 AM
Non esiste il nulla e non esiste l'assoluto. Esiste il reale. Spiace sia difficile inventarne uno di nuovo, visto che ne facciamo parte da qualche miliardo di orbite terrestri intorno al sole, e che le nostre possibilità di modificarlo sono assai relative.
e acquistare maggior slancio ed apertura con
Citazione di: Sariputra il 07 Febbraio 2020, 11:21:33 AM
cit.@iano: Ci sarà sempre qualcosa che sfugge alla nostra coscienza/conoscenza.
Sfugge , ma non perché l'insondabilita' sia un suo attributo , così come la coscienza non è una necessità ineludibile e men che meno una meta.
Come vogliamo chiamarlo questo qualcosa?
Assoluto?



Lo chiamerei semplicemente "ciò che non si conosce". Relativo o assoluto , in questo caso, non c'entrano nulla.
D'altronde la proposta di Vito intende, se ho ben capito, conciliare proprio il realismo con un "ulteriorità noumenica" accessibile per via intuitiva e quindi senza soluzione di continuità rispetto al soggetto, senza cioè ritenere preclusa la ragionevole (in tutti i sensi) accessibilità all'agognato "oggetto in sé".
Tuttavia, finendo poi con il parlare di reti neurali e simili, ecco che la bilancia mi pare pendere verso il soggetto (animale o vegetale che sia), essendo lo "strumento cognitivo" soggettivo (il sistema nervoso, il sistema neurovegetativo, la mente, etc.) non un passivo specchio della realtà, ma un attivo elaboratore, che quindi (ri)costruisce una sua realtà (pur senza "giocare a dadi") fondata sull'input di quella esterna. La questione di "decifrare" in tale input le tracce di una realtà incontaminata dalla soggettività è probabilmente la sfida scientifica a cui collaborano le neuroscienze.
#1327
Provo a saltellare in telegrafico brainstorming fra differenti spunti (sperando di non sbandare troppo in off topic).

Citazione di: Ipazia il 04 Febbraio 2020, 14:52:41 PM
Non è detto che le scienze umane non possano percorrere le stesse vie, non solo teoretiche, della scienza, rinunciando ai fondamenti assoluti così come ha fatto la scienza.
La rinuncia ai fondamenti assoluti, o meglio al loro "monismo assolutistico", è stata vissuta troppo differentemente (ed era inevitabile): in un campo si è parlato di rivoluzione scientifica, scoperte di nuovi sistemi, apertura di nuovi campi di indagine, etc. nell'altro di crisi del pensiero, morte della filosofia e, appunto, nefasto nichilismo come «male estremo» (a cui estremi rimedi, come il ritorno all'imperituro noumeno e la riduzione della metafisica alla sua etimologia letterale). Suona piuttosto sintomatica ed eloquente la differenza dei rispettivi campi semantici a cui si fa ricorso quando una "frattura epistemologica" (direbbe Kuhn) bussa alla porta: c'è chi l'approccia come nuova possibilità da sperimentare, chi come ostile e/o ingenuo inciampo storico.
Citazione di: Ipazia il 04 Febbraio 2020, 14:52:41 PM
Nel caso del coronavirus vediamo come lo spazio teor-etico e pratico tra comunità scientifica e comunità umana tenda ad azzerarsi in una comune declinazione della ratio.
Nel caso del virus "made in China" (su cui non sono aggiornatissimo), non rinvengo alcuno "spazio" teor-etico, né filosofico; si tratta di rendere orgogliosa la buon'anima di Ippocrate, ma la teoresi non è soprattutto altro?
Se intendi invece la teor-etica delle mascherine preventive e degli sguardi obliqui rivolti a chi ha gli occhi un po' all'orientale, in tal caso il divario "spaziale" (in entrambi i sensi) fra comunità scientifica e comunità sociale mi pare piuttosto marcato.

Citazione di: Sariputra il 04 Febbraio 2020, 19:07:29 PM
Ritieni il nichilismo occidentale una forma di profonda avversione verso l'essere (odio- implicita equiparazione dell'essere all'essere/Dio teologico. Anche perché il nichilismo radicale, come quello occidentale, non compare in altre culture filosofiche) ?
"Trafugo" la domanda perché molto sintomatica; presuppone infatti una visione del percorso nichilista, molto battuta da differenti viandanti, che ha come tappe: rilevamento di un vuoto ("nulla determinato", ovvero assenza di un presunta presenza), quindi negazione (logica e poi semantica ad ampio spettro), da cui avversione (antagonismo verso la suddetta negazione che viene intesa come rinnegazione dell'"essere del bene"). Più che risultare una prospettiva filosofica, il nichilismo viene infatti comunemente inquadrato come un movimento di insurrezione "negazionista" e pessimista (un po' anche per "colpa" degli aforismi ormonali di Nietzsche, con cui spesso, più che iniziare, si fa finire la propria concezione di nichilismo).
Sul perché altrove non ci sia stato il fenomeno del nichilismo: la geometria non-euclidea è anzitutto post-euclidea, dove non c'è ancora l'euclidea o dove essa è appena agli albori, difficilmente spunterà la post-euclidea; senza togliere che non è necessario, nè logicamente né tantomeno storicamente, che da l'euclidea nasca sempre la non-euclidea (in un contesto ciò è accaduto, ma non è un passaggio che abbia le basi per essere assolutizzato). In fondo è un po' come chiedersi come mai in altre culture, non occidentali, non sia sbocciata l'eresia dei catari o il cubismo.

Citazione di: Vito J. Ceravolo il 05 Febbraio 2020, 13:07:40 PM
poi tutto si esaurisce nel fondamento (che non è il paradigma qui in esame), ma questa è un'altra storia. Andatelo a dire alle scienze: a loro mica interessa il perché (fondamento), a loro interessa il come (paradigma). A loro interessa che le cose funzioni... e questo paradigma funziona fin quando è in grado di giustificare le proprie asserzioni in coerenza formale a sé e materiale alle cose che descrive.
Il fondamento non è un paradigma, è ciò che rende possibile un paradigma; sia lo scienziato che l'idraulico più "esecutivi" e refrattari a domande fenomenologiche o fondamentali (sui fondamenti), loro malgrado, quando operano con le loro prassi e i loro strumenti, si stanno basando su un fondamento (uso impropriamente il singolare), non fondamento ontologico, ma fondamento che regge il paradigma all'interno del quale si muove il loro operare. Essere consapevoli di tale fondamento può essere il primo passo per instaurare un nuovo paradigma o soltanto ottimizzare quello già in uso.
Lo domanda filosofica sul fondamento in filosofia, è sempre meno la domanda sull'archè onto(teo)logico che fonda "ciò che è", e sempre più quella sull'(auto)fondamento logico-semantico del paradigma che ogni filosofia propone; senza tale riflessione sul fondamento, esso continuerà dissimulatamente, "inconsciamente", ad essere l'asse portante della rispettiva proposta filosofica: su cosa si fonda il parlare del noumeno? Su cosa si fonda il dualismo bene/male? Quali sono gli assiomi che non riesci a giustificare, o che sono indecidibili, all'interno del tuo sistema filosofico? Se non si risponde a queste domande e si passa direttamente all'usare come già dato, auto-evidente o auto-fondato, il concetto di noumeno o il dualismo bene/male o ogni assunto che sosteniamo con un inconsapevole circolo vizioso, allora ci si preclude la possibilità di capire i propri fondamenti e, eventualmente, modificarli per rimodellare il discorso che ne deriva. Ricollegandoci al caso noto del quinto postulato di Euclide: se non fosse stato prima individuato come postulato fondante, non sarebbe stato possibile metterlo, controintuitivamente e contro l'evidenza sensibile, in discussione e non ci sarebbe stato l'ulteriore fondamento, quello per una delle possibili geometrie non euclidee.


P.s.
@Vito
Sulla riconduzione del nichilismo ad «A=-A», resto perplesso sulla plausibilità che il nichilismo affermi davvero che l'«essere è il non-essere», o che «io sono il non-io» o che «una mela è una non-mela», perché il suo discorso, per come lo vedo (lasciando anche da parte i manuali), non è di assiomatizzazione logica, né di apologia della contraddizione del principio di identità: sostenere che un principio o un concetto non ha un fondamento assoluto, non significa affermare che non ha un fondamento, nè che tale principio o concetto non esiste. Si tratta quindi di non confondere la negazione logica (-) con l'insieme vuoto (Ø) o con la negazione dell'indicatore di necessità (-◻, se non ricordo male) debitamente usato (se proprio vogliamo giocare a tradurre in linguaggio logico qualcosa che mal vi si presta; l'utilità della logica non sta per me nella sua formalità astratta, ma nel saper compilare pertinentemente i suoi enunciati).
#1328
Come definizione, proprio sulla Treccani online, ho trovato: «Invenzione della mente, ciò che si crea con l'immaginazione» (cit.); direi che «invenzione della mente» è pertinente a ciò che intendevo (soprattutto il chiamare in causa la mente); se invece usiamo «ipotesi razionali», secondo me, oltre al fatto che le ipotesi non sono sempre vissute come tali (bensì come certezze), non rendiamo comunque giustizia agli aspetti irrazionali che pure accompagnano la filosofia e "il gioco di società": l'arte, l'inconscio, etc. e poi non vorrei escludere i nietzschiani (battuta!).
#1329
Citazione di: iano il 04 Febbraio 2020, 08:42:37 AM
@Phil
Forse l'uso che ho fatto del termine finzione non è stato felice.
La finzione richiama la pura arbitrarietà, ma i prodotti dell'interazione con la realtà non sono arbitrari , ma neanche univoci.
Ma perché la "finzione" possa essere scambiata per realtà occorre che sia condivisa , di modo che si rafforzi per reciproca conferma .
La condivisione infatti si presta come argomento contro la "finzione" , ma le cose non stanno così.
Semplicemente l'utilita' andrebbe a cadere senza condivisione.
[...]Naturalmente ciò che è condiviso non è perciò vero , ma questo non è un problema se non siamo alla ricerca della verità.
Ma la non ricerca della verità non significa aprire la strada all'arbitrio , perché siamo comunque condizionati dalla realtà, e lo siamo tutti insieme, essendo sostanzialmente simili.
[...]Ma rimane sempre nostra e non può essere spacciata per verità, perché noi stessi non siamo assoluti.
Non siamo centrali , anche se così ci percepiamo perché noi siamo il nostro punto di vista.
Il termine «finzione» mi sembra invece particolarmente calzante; ho spesso parlato al riguardo di "gioco di società": ci accordiamo su delle regole e stiamo al gioco; poi con l'arrivo generazionale di nuovi giocatori, ci si accorda (talvolta con le buone, talvolta con le cattive) su cambiamenti alle regole precedenti. La filosofia, anch'essa con un suo "dinamismo" storico, è generalmente la riflessione sui (o la proposta dei) fondamenti di tali regole o almeno delle chiavi di lettura del "gioco di società" in atto.
Trovo molto pertinente anche il richiamo alla funzionalità pragmatica e la sottolineatura che non si tratta di una finzione basata su "gaia anarchia" o sull'alienazione totale dal mondo circostante, da cui ereditiamo invece quel "senso di realtà" che rende credibile la finzione: che il fondamento sia convenzionale (cioè "un nulla" per chi ricerca gli ab-soluti) e che le regole possano essere cambiate (come di fatto accade), non significa banalmente che "allora una regola vale l'altra" né che "ognuno si fa le sue regole"; nasciamo e viviamo in una società già strutturata, siamo chiamati ad interagire fra simili in un contesto non vergine (non siamo catapultati a vivere da soli sulla luna). L'esempio che faccio sempre è quello delle lingue: le regole grammaticali sono arbitrarie, relative a ciascuna lingua, ma ciò non comporta che ognuno parli di fatto una sua lingua "autoprodotta" o che, in un dialogo reale, parlare inglese o parlare russo sia indifferente (quantomeno non lo sarà per il nostro interlocutore). Il fondamento di ciascuna lingua è dunque una verità assoluta e necessaria? Quella cosa, in realtà, in verità, si chiama «pen» o «penna»? Le regole linguistiche sono cogenti pur essendo autoreferenziali, eppure le lingue funzionano, si modificano, etc. lo stesso accade con le visioni del mondo filosofiche (tranne quelle che si prendono così sul serio da non riconoscersi come finzione, ma invece come verità assoluta, solo perché all'interno del loro sistema, i conti tornano).

Il nichilismo è per me proprio la consapevolezza di questa finzione, "consistente" (non ontologicamente) nel nulla sotteso al senso del gioco (che non è negazione della possibilità del senso del gioco, anzi proprio a causa di tale nulla sono molte le finzioni possibili...). La stessa interpretazione nichilista non ha un fondamento assoluto e veritativo (essendo molto più destruens che costruens), è piuttosto solo la (sconsolata?) constatazione che i fondamenti finora proposti come assoluti (dalle scienze umane, il nichilismo filosofico non parla di quanti e leggi fisiche), semplicemente non lo sono perché, al di là del loro successo storico, sono incapaci di uscire dalla propria autoreferenzialità (la scienza ci riesce infatti percorrendo altre vie, non solo teoretiche).
Tuttavia, senza tali sistemi filosofici non ci sarebbe potuto essere il "gioco parassitario" del nichilismo, che richiede precedenti proposte non nichiliste per autoidentificarsi come tale (e per questo non è veritativo, se intendiamo che contenga una proposta di verità assoluta) basandosi proprio sul fatto che i sistemi filosofici funzionano perché stanno ognuno al proprio gioco, come accade in tutte le finzioni (e come accade in tutti i sistemi logici: gli assiomi sono esclusi dalle dimostrazioni che essi stessi fondano; per questo la "soluzione" del "filosofo x", se ben strutturata, è coerente e consistente nel suo sistema, ma non è completa, non applicandosi ai propri assiomi; quindi non è definitiva, soprattutto per chi parte da assiomi differenti; per questo la filosofia può continuare ad interrogarsi ed è così che si fonda l'ermeneutica, ma questa è un'altra storia...).
#1330
Citazione di: Vito J. Ceravolo il 03 Febbraio 2020, 23:53:46 PM
Nietzsche stesso non vedeva l'incoerenza del suo sistema in maniera così esemplare: [/left]

  • Linguisticamnte,nientità dell'essere = l'essere è niente = essere è non essere = essere non è
Non per questo da Hegel in poi, la logica formale è stata un po' messa in disparte o addirittura derisa dalla filosofia occidentale... appunto perché, altro che perplessità, è il segno evidente dell'incoerenza formale del "sistema" nichilista. Infatti il sopra gioco linguistico (1) formalmente è inequivocabile: A=non-A.
Ma se tu su questo non sei d'accordo, saprai sicuramente trovare un meccanismo linguistico/formale che dimostri il contrario... oppure continuerai a parlare di "perplessità" in merito all'uso formale dei concetti. Magari come lo Hegel no?
La perplessità, come ho scritto, è nel voler/poter tradurre il nichilismo in una proposizione logica. Ad esempio, quel'è allora la proposizione logica che "traduce" l'idealismo? O quella del realismo?

Va bene cercare di essere sintetici e "logici", ma direi che bisogna rispettare comunque la complessità essenziale di un approccio filosofico, e se questo eccede un'uguaglianza logica, è necessario, almeno secondo me, spendere qualche parola in più. Il "gioco linguistico" che tu attribuisci al nichilismo, secondo me (forse anche secondo i manuali e alcuni autori nichilisti) non è affatto adeguato a sintetizzarlo: come già citato, il nichilismo di Gorgia non è quello di Nietzsche, che non è quello di Vattimo, etc. basta riconoscere questo per dover rinnegare la pertinenza di quella proposizione logica (ammesso e non concesso che un approccio filosofico possa essere ridotto ad una proposizione logica).

Citazione di: Vito J. Ceravolo il 03 Febbraio 2020, 23:53:46 PM
Anche il mio panettiere dice che non c'è alcuna novità nel dire che esiste il soggetto e l'oggetto, ma non è in grado di giustificarlo come non lo sono né Kant, Husserl e qualunque altro nome tu venga a citare. Tutti costoro, dal panettiere a Kant, sono lontani da me a pari modo.
Forse non ho capito: stai dicendo che Kant e Husserl non hanno "giustificato" l'esistenza e/o le relazioni di soggetto ed oggetto? Se mi consenti la battuta: chi dovrebbe andare a cercare tale risposta nei testi di chi?

Citazione di: Vito J. Ceravolo il 03 Febbraio 2020, 23:53:46 PM
Infatti quando dici che la finzione si basa sul nulla (nullità del fondamento) stai implicando un nulla creatore; il che non è solo formalmente impossibile, ma lo è anche dal punto di vista delle scienze fisiche
Per fondazione non intendo ovviamente una derivazione meccanicistico/causale; non a caso sin dal primo post ho parlato di nulla semantico (non ontologico, oppure vogliamo far dire allo strawman-nichilista che "tutto è nulla" nel senso che nulla esiste, nemmeno lui?).
Provo comunque a riassumere: Iano aveva parlato di «finzione» come (se non l'ho frainteso) dimensione rappresentativa della necessità pratica di "immedesimarsi" in una prospettiva; mi sono quindi agganciato a questa sua considerazione, rilevando che, se in generale ogni finzione è sempre finzione-rispetto-a-qualcosa, in questo caso (volendo esemplificare un approccio nichilista) non si trattava di essere finzione rispetto ad una verità assoluta, ma finzione rispetto ad un nulla, ovvero non essere finzione di qualcosa, cioè finzione senza un fondamento positivo, veritativo, etc. praticamente una finzione "reale" in sé perché non rimanda ad altro da sé.
Provo a spiegarmi con un altro esempio; il concetto di identità può fornire un caso di "finzione": è una finzione che il mio dito sia/abbia un'identità logica, ma non perché in verità esso sia altro (non sia un dito), quanto piuttosto perché è solo una "costruzione" arbitraria e concettuale, una struttura convenzionale (linguistica) in cui, per dirla con le parole di Iano, ci immedesimiamo e riteniamo reale (fermo restando che in questo caso parliamo comunque di materia e non di un orizzonte di senso in cui immedesimarci).

Citazione di: Vito J. Ceravolo il 03 Febbraio 2020, 23:53:46 PM
Il male e il bene? Il bello? Tu... tu non hai letto "linguaggio e noumeno". Ti sembra corretto scrivere più di quanto leggi anche quando ti si chiede di leggere prima di continuare? Forse invece di usare 20 minuti del tuo tempo per pormi un problema, avresti potuto usare quel tempo per andare a vedere dove ti ho detto di cercare la soluzione. Ora sono stanco... magari la prossima volta ti faccio un copia e incolla.
Non ti ho chiesto del «bello» (puoi controllare), ti ho domandato delucidazioni dell'esempio che ho citato (dal tuo post) in cui parlavi dell'intervallo fra -1 ed 1 riferendoti ai due estremi come, cito, «male estremo» e «bene estremo» (anche qui puoi controllare il relativo post).
Apprezzo la proposta del copia e incolla, ma so che estrapolare un paragrafo da un testo organico può essere compromettente per il suo senso; magari lo leggerò per interno in un altro momento.
Grazie comunque delle risposte e degli spunti.
#1331
Citazione di: Vito J. Ceravolo il 03 Febbraio 2020, 16:32:11 PM
coi manuali non cambi nulla, senza offesa agli studi approssimati. Non ti piace la classificazione? Chiamala come vuoi...
Con i manuali, oltre a prevenire proprio l'approssimazione (di cui sono talvolta reo), si apprende/comprende una basilare (in tutti i sensi) consapevolezza delle puntate precedenti (molte, prima di arrivare al "nichilismo attivo", se non erro, di Deleuze e Vattimo); quanto più si approfondisce, a partire dai manuali e poi andando oltre (ad esempio realizzando che il nichilismo non afferma "a=-a" e rappresentarlo con una forma logica innesca qualche dovuta perplessità; Severino r.i.p.), tanto più ci si rende conto che il «senza precedenti» e/o il «rivoluzionario» sono etichette da usare con estrema cautela in filosofia, anche se la premessa sorniona è «giochi di pensiero».
Ad esempio
Citazione di: Vito J. Ceravolo il 03 Febbraio 2020, 16:32:11 PM
chi perde l'oggetto, chi perde il soggetto, chi annulla tutto e poi ci sono io che affermo sia l'oggetto che il soggetto e che rinchiudo il nulla a nessun valore, quindi togliendoli anche la possibilità di negazione dei valori
ebbene, "affermare sia l'oggetto che il soggetto rinchiudendo il nulla a nessun valore", non mi pare una novità filosofica (chiedere ad esempio ai suddetti Kant ed Husserl, ma la lista nei manuali è lunga...).
Il rapporto fra «nulla» e «negazione dei valori» merita poi un'attenta circospezione:
Citazione di: Vito J. Ceravolo il 03 Febbraio 2020, 16:32:11 PM
come la negazione della finzione (di cui parli tu)
Non ho parlato di «negazione della finzione»(?) ma di finzione basata sul nulla, come esempio di nichilismo pensante (riconoscere la nullità del fondamento su cui nondimeno la finzione si attua realmente); notoriamente, non è prudente maneggiare "un nulla" come mero sinonimo di «negazione» (sofismi linguistici a parte).
Inoltre, non sono sicuro della correttezza "contenutistica" di:
Citazione di: Vito J. Ceravolo il 03 Febbraio 2020, 16:32:11 PM
Per chiarirci immaginiamo una linea siffatta, dove "-1"  è il male estremo, "1" è il bene estremo, "0" è il confine fra due mondi:

-1 ...... 0 ...... 1

Il mondo che va da 0 a -1 è quello proprio del nichilismo e di alcune declinazione della filosofia orientale e realista. Mentre il mondo che va da 0 a 1 è il mondo di cui vi sto parlando.
Ora, come detto, alcuni nichilisti potrebbero anche innalzare valori di bene, quindi spingersi da "-1"  verso quello "0", ma non sconfineranno mai dall'odio che li è insito nel dare del niente alle cose (nientità dell'essere).
dunque (al di là dalla rivisitazione in chiave emotiva del nichilismo ontologico à la Gorgia) il nichilismo, un certo pensiero orientale e un certo realismo, propendono al «male estremo»? «Male» di che tipo? Secondo quale scala di valori (magari veritativa e assoluta)? Soprattutto, tale scala di giudizio da -1 a 1, su quali assiomi/dogmi è fondata?
Il problema del fondamento è infatti centrale proprio per il nichilismo, per un certo pensiero orientale e per un certo realismo.


P.s.
@Ipazia
Intendevo esattamente quello che hai esplicitato (e che il "novum" presentato non prende in considerazione), a parte che il nichilismo non «chiude illusoriamente» quel discorso filosofico, piuttosto lo "hackera" disinnescando (annullando) gli ingranaggi "inopportuni"; tecnica di "ingegneria inversa" compatibile con la decostruzione (reperibile nei migliori manuali di bricolage filosofico).
#1332
Citazione di: Vito J. Ceravolo il 02 Febbraio 2020, 18:09:52 PM
due opposte fazioni di pensiero, che generalmente riassumo nel realismo, filosofia che riconosce l'oggetto ma perde il soggetto, e nel nichilismo, filosofia che riconosce il soggetto ma perde l'oggetto.
Concordo con Ipazia che la dicotomia "da manuale" sia fra realismo e idealismo, essendo il nichilismo (che non ridurrei al "poetare paralogistico" di Nietzsche) una forma di "realismo cinico", che svela il nulla semantico del fondamento dei dogmatismi filosofici.
Uno spunto ce lo fornisce iano quando ci ricorda che
Citazione di: iano il 03 Febbraio 2020, 10:25:49 AM
Se può essere utile vivere in una finzione , non è utile ricordare sempre a noi stessi che si tratti di una finzione .
«finzione» rispetto a cosa? Rispetto ad una fondante Verità assoluta? No, rispetto a nulla (che non è «rispetto al Nulla»); questo è per me nichilismo "performativo", l'uomo come ente (pensante) fra gli enti, senza idealismo e senza solipsismo.

Citazione di: Vito J. Ceravolo il 02 Febbraio 2020, 18:09:52 PM
Definita la possibilità di accesso alla realtà in sé e la possibilità di comunicarla senza alterarne il valore in sé ma solo quello sensibile, ne segue il superamento del realismo e nichilismo. Ossia ripeto un terzo paradigma filosofico in grado di riconoscere la verità sia dell'in sé che del fenomeno, portando nuovo ordine intorno alla teoria della conoscenza e all'ontologia dell'essere.
Sul "terzo paradigma" che proponi, noto una certa affinità con il versante neokantiano della fenomenologia husserliana: intuizione, noumeno apodittico, etc.


P.s.
Secondo me, per cercare paradigmi più radicalmente differenti, un tertium per il suddetto dualismo, bisogna andare oltre la concettualizzazione forte dell'"oggetto in sè" come sacro Graal, magari partendo proprio dalla categoria di «utile finzione nichilistica»; aspettando che l'ontologia postuma(na), nel parlare di «oggetto», si lasci alle spalle Kant e si accorga finalmente dell'epistemologia contemporanea.


P.p.s.
Nella sesta nota mi sembra manchi il link.
#1333
Percorsi ed Esperienze / Re:La Grotta
02 Febbraio 2020, 22:41:17 PM
Citazione di: InVerno il 02 Febbraio 2020, 18:01:25 PM
se tiene in considerazione il continente africano (e ancora, bisogna vedere se è un raggruppamento che ha senso) i numeri dicono che rispetto al resto del mondo, è sottopopolata.
Ripartirei proprio dall'Africa: non solo ha una densità non da formicaio saturo, ma ha anche una impronta ecologica piuttosto sostenibile; due dimensioni che mi fanno sospettare che di "Gini" in Africa ce ne siano ancora tanti. Certamente non avranno l'aspettativa di vita del Gino nostrano, ma (sorvolando circa l'auspicabilità o meno di una lunga vecchiaia) almeno ciò potrebbe limitare i problemi di peso sociale ed economico delle pensioni (non scommetterei che abbiano un sistema pensionistico affine al nostro, ma in prospettiva della sua eventuale introduzione, risulterebbe, a suo modo, un punto a favore).
Suppongo inoltre che in Africa di Parigi non ce ne siano: la delocalizzazione della produzione energetica e dello smaltimento di scorie è abitudine tipicamente da primo mondo. Il problema è allora la sostenibilità a partire dalla consapevolezza di un'apparente irreversibilità di un'inerzia storica: chi si ispira a chi, chi cerca di raggiungere la condizione di chi? La risposta, oltre che dai flussi migratori, è data proprio dal numero di "Gini superstiti" (unità di misura poco accademica, ma credo comunque ben pertinente): il fatto che da noi i "Gini" siano quasi estinti e che da loro siano in calo (se l'urbanizzazione non è solo apparente), traccia la direzione della suddetta inerzia.
Così come l'Africa giovane, quella dei nipoti del Gino subsahariano vuole essere l'Europa (smartphone, vestiti all'occidentale, auto "belle", etc.) proprio come alcuni coetanei del Gino nostrano volevano "fare gli americani" (v. Carosone), parimenti l'uomo di oggi non vuole essere semplicemente sostenibile, "sostenibile alla Gino" (neanche Greta, scommetto), ma si appella diplomaticamente ad una "sostenibilità tecnologizzata", indotta, controllata, non "naturale". Questione quindi di volontà e desideri.
L'economia può "aderire" alla biologia tanto più facilmente quanto più la suddetta volontà aderisce alla biologia; l'uomo contemporaneo occidentale ha invece una volontà che eccede la semplice biologia, per radicarsi sempre più nella psicologia (delle masse, che orienta quella del singolo). Tutto l'attuale capitalismo "all'occidentale" si basa in fondo sulla deviazione dall'"aderenza biologica" sui bisogni/beni primari, deviata dalla forza attrattiva dei bisogni indotti-psicologici, etc. dettata dall'innata brama umana («thana», direbbe uno ieratico "Gino buddista") e dalla differenza fra chi costruisce le fogne e chi le abita: linguaggio, tecnologia, "senso della storia" (che ai topi di Calhoun mancavano).


P.s.
Per gli interessati alla questione della "batteria di diamanti" ho trovato (ma non visto totalmente) questo.
#1334
Percorsi ed Esperienze / Re:La Grotta
30 Gennaio 2020, 17:42:22 PM
Citazione di: InVerno il 30 Gennaio 2020, 09:02:36 AM
Dallo spazio, sembra di vedere dei bubboni della crosta terrestre, dei tumori. Forse aveva ragione l'agente smith di matrix, siamo noi il vero virus, la vera malattia da curare.
Come Greta si lamenta delle eccessive emissioni di CO2 nell'atmosfera, così l'agente Smith si lamenta delle eccessive immissioni di uomini nella biosfera (fenomeno comunemente detto «nascita»); in entrambi i casi è una questione di misura ed in entrambi i casi è difficile dar torto alla Cassandra di turno.
Notoriamente gli animali (anche gli uomini, in qualche caso) seguono, nei loro spostamenti e nei loro stanziamenti, la reperibilità delle risorse primarie (oggi, volenti o nolenti, anche il denaro talvolta lo è); fenomeno che nella sua banale "naturalezza", è reso attualmente un po' più problematico, almeno burocraticamente, dalla questione della "frontiera" (pietra angolare della tutela della stanzialità umana) e soprattutto dal fatto che, avendo l'uomo colonizzato tutta la parte ospitale del globo, l'"altrove" verso cui spostarsi, per cercare fortuna e risorse, è rappresentato perlopiù da zone climatiche ostili o, per gli amanti della fantascienza, altri pianeti.
Parlando di formicai e sovraffollamento globale si rischia di parlare dell'uovo e della gallina: molti umani ammucchiati tenderanno a riprodursi molto (anche se l'attuale saturazione nei/dei paesi occidentali funge da deterrente), ed umani che si riproducono molto, con una medicina che tiene basso il tasso di mortalità, tenderanno a finire ammucchiati (salvo adattarsi a zone meno ospitali, senza wi-fi e in cui la natura è meno addomesticata). Un aiuto a ribilanciare la "dialettica" planetaria popolazione/risorse, non credo possa essere la sola contraccezione, almeno non se lasciata all'arbitrio dei singoli (come dimostrano i fatti), nondimeno capisco che se tutti i governi iniziassero a richiedere l'Isee e altri dati prima di autorizzare i cittadini ad una riproduzione forzatamente "calmierata", sicuramente la nostra eredità occidentale di ideali umanistici (sotto cui batte sempre il cuore dell'istinto irrazionale) riempirebbe le piazze del primo mondo, tacciando i governi di razionalizzare la gestione delle nascite (e il "senso", a breve come a lungo termine, della razionalità gestionale è da sempre poco compreso dalle masse). La tecnica potrebbe fornire aiuti confortanti: integratori (prodotti da cosa?) come gli astronauti, o attingendo ancora dalla fantascienza, mega serre in cui poter vivere (facendo della stanzialità una questione letteralmente di sopravvivenza); oppure la biologia umana si adatterà rapidamente al nuovo clima e a differenti diete ipocaloriche(?) o magari "ci penserà la natura" con una serie di "materne zampate" (cataclismi e virus vari) che faranno ritornare "provvidenzialmente" la quantità di abitanti umani più consona alle risorse del pianeta (eterno superstite).

Gli scenari possibili sono sicuramente molti, più o meno fantasiosi; nel frattempo, il buon Gino rappresenta un modello tanto armonioso e virtuoso quanto attualmente u-topico, proprio in senso topo-grafico: non ci sono abbastanza cucuzzoli (e grotte) per tutti i sette miliardi di abitanti, molti dei quali non sono comunque avvezzi all'autosostentamento tramite agricoltura ed allevamento. Inoltre, se tutti si dedicano principalmente alla terra, in modo perfettamente sostenibile, chi produce i macchinari, chi cura le infrastrutture, chi fa il medico, il poliziotto o il pompiere, chi tutela la cultura, chi si occupa dei server di internet, etc.? Insomma, se tornassimo indietro di tre caselle nel "gioco dell'Oca" della storia umana, sapremmo già che ritorneremmo, prima o poi (probabilmente), all'attuale situazione (o a qualcosa di simile). Gino è in fondo un esemplare fortunato dell'"insostenibile (globalmente parlando) leggerezza dell'essere", leggerezza come impronta ambientale e, suppongo, anche leggerezza come "carico esistenziale"; tuttavia, se i suoi eventuali figli hanno optato per il formicaio, non me la sento di biasimarli.
#1335
Tematiche Spirituali / Re:Quale Chiesa Cattolica?
28 Gennaio 2020, 17:07:47 PM
Indubbiamente la vitalità della riflessione teologica è fondamentale per la vita culturale e cultuale della Chiesa, per questo l'esegesi e l'ermeneutica dei testi sacri è una risorsa utile per ribadire l'autorevolezza sacrale senza smettere di parlare la lingua dei fedeli. Linguaggio che conviene sia contemporaneo, non solo accantonando il latino, quanto magari modificando qualche parola del «padre nostro», così che una sua frase non suoni troppo come un martirio medievale, una "messa alla prova" che non è ciò a cui il fedele anela (né ciò che, nel quotidiano, al fedele manca...).
Al di "sotto" di tutte le speculazioni teologiche, i fedeli richiedono un senso, sia teleologico(-escatologico) che calato nella socialità (importante il richiamo alla prospettiva storica). Un praticante si aspetta probabilmente una "dirigenza" forte dell'apparato ecclesiastico, se serpeggiano dubbi e pluralismi (per quanto filosoficamente fertili), il fedele rischia di "risolvere" con un improvvisato «secondo me» l'assenza della direttiva che non gli è arrivata dalla dottrina e questa personalizzazione è il primo passo dell'indebolimento, sia della pratica che della fede.
La Chiesa, fra dispute teologiche, scandali, celebrazioni, etc. non dovrebbe dimenticarsi di Dio, perché è ciò a cui i fedeli si inchinano (non alla Chiesa), necessario ancor prima della parola (guida e sostegno) dei suoi interpreti mondani. Quanto più la Chiesa tituba nell'appoggiarsi a Dio, tanto più l'istanza spirituale delle masse inizierà a farne a meno, vedendo nella Chiesa un'istituzione umana, di cui è possibile diffidare in nome di un sentire spirituale individuale («pagano», si diceva una volta; ironico contrappasso storico?).

Probabilmente è eloquente (ai limiti dello "spoiler") la storia dell'ebraismo: geograficamente frammentato, storicamente bistrattato, dal retrogusto testuale antico, anacronisticamente poco "social" e "multimediale", così non politico (almeno esplicitamente) da non richiedere una sua diplomazia internazionale, "parallelamente domestico" rispetto alle vite pubbliche dei suoi "mimetici" fedeli, etc. eppure ancora ben vivo e vegeto, a prescindere da ciò che accade nella sua "madre terra", perché la sua terra (grazie alla resilienza alla/della diaspora) ormai è il mondo, non importando affatto se sia globalizzato, laico, tecnologico, etc. perché ciò non cancella quell'atavica, intima e tradizionale richiesta di senso.
Come sempre, la saggia sobrietà del Padre può essere da esempio alla vivace ambizione del Figlio.