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Messaggi - Phil

#1336
Tematiche Filosofiche / Re:Dei diritti e dei doveri
26 Gennaio 2020, 21:04:10 PM
Citazione di: viator il 26 Gennaio 2020, 16:46:44 PM
la definizione di diritto sulla quale io intendo basarmi all'interno dei miei interventi : "Ciò che nulla e nessuno può lecitamente negare a nessun altro".
All'interno di tale definizione il "lecitamente" è riferito a una qualsiasi legge naturale od umana che venga riconosciuta come tale dall'uomo stesso. (vorrete concedermi che l'uomo in generale tenda a riconoscere l'esistenza di "leggi naturali", la mancanza delle quali non permetterebbe neppure di concepire una qualsiasi condizione definibile come "diritto").

Se secondo voi ne possiedono, quali sarebbero ? Si tratta di una serie di diritti o di un singolo diritto fondamentale ? C'è qualcuno o qualcosa che garantisca loro tale o tali loro diritti ?.
Questa definizione parte dal legame fra legge e diritto, essendo il diritto (parafrasando la sua definizione) "ciò la cui negazione è illecita (contro legge)". Rispettando dunque la doppia richiesta di escludere gli umani fra le forme di vita in oggetto senza tuttavia prescindere da ciò che gli umani stessi individuano come legge, il diritto degli animali dovrebbe essere "ciò che non gli può essere negato all'interno delle leggi di natura"; in tal senso, è quindi fondamentale focalizzare tale verbo "potere": davvero in questo scenario è possibile un fuori-legge, un'illegalità?
La questione diventa allora: è possibile negare (nel senso di opporsi a) le leggi di natura in campo animale? Le leggi di natura, a differenza di quelle umane, non si inventano, semmai si scoprono, non sono arbitrarie né emanate da un'assemblea legislatrice e infine non possono essere violate (si potrebbe discutere sull'impatto della tecnologia dell'uomo, che tuttavia abbiamo scelto di lasciar fuori, per ora). Se tali leggi non possono essere violate dagli animali, incapacitati dalla loro natura di andare contro le leggi di natura (della "loro" natura), allora non ci possono essere eventuali diritti, se questi vanno intesi come ciò che non va negato per restare nella legalità, essendo impossibile opporsi e contravvenire alle leggi di natura (per gli animali in questione).

Sarebbe apparentemente possibile per gli umani intervenire contro tali leggi di natura seguite dagli animali, violando così i loro diritti, ad esempio tenendoli in cattività, incrociando le razze, modificando i geni, etc. tuttavia gli animali coinvolti continuano di fatto a seguire le leggi di natura, nel loro caso consistenti perlopiù nelle pulsioni dell'istinto, la predisposizione all'adattamento (che non esclude il reagire istintivamente ad un contesto nuovo e/o l'essere manipolabili dall'uomo), etc. Anche pensando al circo, non c'è una legge naturale che vieti/impedisca agli animali di entrare in un tendone e pedalare su un monopattino vestiti da clown (quale legge di natura viene violata? attenzione a non confondere l'ethos animale con le leggi di natura, l'etologico con il bio-chimico, etc.); non lo fanno istintivamente nel loro habitat naturale (privo di tendoni e monopattini), ma il loro adattarsi, ribellarsi, addomesticarsi, etc. è comunque reso possibile entro leggi naturali (congenito potenziale "cognitivo", psiche animale, dna e quant'altro). Persino alterare geneticamente un organismo non viola alcuna legge di natura: si tratta certamente di una manomissione umana, di un'alterazione "essenziale", ma se una legge di natura prevede che una combinazione genetica dia una certo risultato, difficilmente l'uomo potrà riscriverla, potrà semmai far capitare quel risultato in un contesto in cui non era previsto spontaneamente (banalizzando: se magari non è spontaneo che una gallina faccia le uova di notte ed è una legge di natura che lei, supponiamo, tenda a fare le uova quando c'è luce; tale legge di natura potrebbe essere strumentalizzata ma non alterata; se anziché di gallina e luce parliamo di cromosomi e loro interazione, la situazione è "legalmente" la stessa).

Gli uomini possono certo decidere e legiferare, da "dominatori", sui cosiddetti diritti degli animali, ma tali leggi non sono quelle di natura, quanto piuttosto una proiezione adamitica di quelle umane, nel senso che, metaforicamente, come Adamo diede il nome agli animali, i suoi posteri stanno dando loro anche diritti e, nell'addomesticamento, talvolta "doveri" (se non produci o non mi sei utile, non mangi o ti mangio); resta comunque chiaro, anche nella storia di Adamo, che non è l'uomo ad aver fatto le leggi di natura.
Chiaramente la figura del garante, imprescindibile nelle leggi umane, è totalmente assente in natura (né sarebbe necessaria, come non avrebbe senso un garante del principio di Archimede o un garante della forza di gravità).


P.s.
Ciò non vuole essere una valutazione sull'operato della stirpe di Adamo né sull'opportunità di dare diritti agli animali, piuttosto solo una riflessione sul concetto di «diritto» come proposto da Viator.
#1337
Citazione di: enrico 200 il 23 Gennaio 2020, 17:46:35 PM
non so come ma non riesco ad inserire immagini
In generale, per l'inserimento delle immagini c'è l'apposito tasto, l'undicesimo da sinistra nella prima riga di funzioni nella spazio sopra alla casella in cui si digita il messaggio da postare

quel tasto apre una finestra in cui ti viene chiesto l'indirizzo web dell'immagine che intendi inserire, per cui se vuoi caricare immagini che hai sul tuo computer, credo sia inevitabile caricale prima su un sito di condivisione immagini (che ti fornirà l'indirizzo specifico della tua immagine, assicurati di usare quello che termina con l'estensione dell'immagine, tipo .jpg o simili). Può capitare che l'immagine venga caricata dal sito come anteprima, in formato ridotto rispetto all'originale; tuttavia, una volta inviato il messaggio, solitamente basta che gli altri utenti ci clicchino sopra con il tasto sinistro per ingradirla (come spero capiti per l'immagine che ho postato).
Di solito uso siti come https://postimages.org/ (che oggi sembra non essere disponibile) e https://it.imgbb.com/ (che ho usato per l'immagine sopra); sono siti gratuiti, ma non è da escludere che possano registrare alcuni tuoi dati che vanno ben oltre la specifica immagine (puoi leggere le privacy policy dei rispettivi siti per maggiori informazioni).

P.s.
Probabilmente ti ho dato molte informazioni che già conoscevi, ma non sapevo quale era il problema esatto che riscontravi nell'inserimento immagini, quindi sono partito dalle basi.
#1338
Tematiche Filosofiche / Re:Lo spazio dell'assoluto
26 Gennaio 2020, 00:35:07 AM
Citazione di: davintro il 25 Gennaio 2020, 22:52:08 PM
Che ci siano molto orientamenti filosofici contemporanei, tra cui quelli citati, che apparentemente si presentano come non più interessati a tematizzazione di "assoluti" vari, questo non toglie loro la qualifica di "filosofie", nella misura in cui l'impossibilità di un sapere razionale dell'assoluto è fatto discendere da una considerazione dello scarto che rende l'assoluto irriducibile alle possibilità della conoscenza umana. Ma, come è evidente, questa considerazione implica una nozione di assoluto, cioè un suo livello di conoscibilità. Quindi, definendo "filosofia" ogni discorso sull'assoluto, anche questi orientamenti manterrebbero il diritto a fregiarsi dell'appartenenza ad essa.
Quelle filosofie e quegli autori, correggimi se sbaglio, non ritengono l'assoluto un implicito oltre i limiti della conoscibilità umana, non vogliono fregiarsi come "filosofie dell'assoluto inattingibile", ma semplicemente non lo considerano elemento del loro discorso filosofico propositivo (per motivi che cambiano a seconda dell'autore), semmai eventualmente solo tema delle loro riflessioni storiche su autori passati.
Sostenere che tali autori contemporanei presuppongano comunque un assoluto e/o se ne occupino implicitamente, andrebbe argomentato e dimostrato caso per caso (per gli autori che ho citato, per quel che li conosco, direi che non mi sembra affatto un'ipotesi pertinente, metafore a parte). Che sia possibile filosofare senza coinvolgere l'assoluto (soprattutto come sostantivo, in senso ontologico), nemmeno implicitamente, credo lo dimostri l'ermeneutica in quanto tale.

Citazione di: davintro il 25 Gennaio 2020, 22:52:08 PM
Il punto del mio intervento non era affatto quello di escludere (operazione sempre antipatica, anche quando viene svolta,  dall'altra parte, quando, definendo filosofia solo ciò che sarebbe vincolato ai risultati delle altre scienze, si esclude dal novero delle autentiche filosofie la metafisica classica, relegata a mera "teologia" o residuo di storia della filosofia senza attualità)
Definire una filosofia poco o per niente attuale, non significa considerarla una non-filosofia, né, come dicevo, ritenerla falsificata da altre impostazioni filosofiche più attuali (dove per «attuale» non intendo solo l'esser recente ma, come già spiegato altrove, l'essere ancora viva come ricerca, produzione di testi non solo storiografici, etc.), così come non significa non rispettare la contestualizzazione storica di ogni filosofia, oppure non distinguere i differenti settori del filosofare (ad esempio riconoscendo la differenza fra la riflessione gnoseologica e quella etica). A scanso di equivoci, lo stereotipo del pensatore (post)moderno che riduce tutto a scienza contro teologia, a sua volta erigendosi a cavaliere dell'unica verità, in nome della quale attaccare o rinnegare il valore storico delle correnti precedenti o dei pensieri contemporanei differenti, non è un identikit in cui credo di rispecchiarmi.

Citazione di: davintro il 25 Gennaio 2020, 22:52:08 PM
orientamenti APPARENTEMENTE postmetafisici che sembrano essersi sbarazzati della categoria di assouto, anzi, al contrario proprio cercare di mostrare come, essendo il riferimento all'assoluto una necessità logica che resta tale anche quando inavvertita dal soggetto che la utilizza, un presupposto anche silenzioso, il campo della filosofia si apra e si allarghi anche a discorsi nei quali il riferimento all'assoluto resta solo implicito, o anche quando è esplicitamente rigettato.
Sull'"apparente" postmetafisicità di alcuni orientamenti, il discorso richiederebbe un'excursus filologico non riassumibile in poche righe (comunque reperibile nei manuali di storia della filosofia); tuttavia, che tale postmetafisicità non sia solo apparente credo lo abbia spiegato e argomentato ciascun autore, definito tale da altri o autodefinitosi tale (si può anche criticarlo, ovviamente, cercando di superare la sua autocomprensione o il modo in cui altri filosofi lo abbiano inteso, ma personalmente non mi sento adeguato a farlo...).
Sulla necessità logica di riferimento all'assoluto (che già dunque non è più l'assoluto dei filosofi speculativi, ma sconfina nell'epistemologia, seppur solo in senso funzionale-astratto), ho già ricordato la differenza fra l'aspetto formale (tautologico) della logica e quello sostanziale, compilativo, fruibile, (poli)semantico, etc. e come ogni "assoluto" logico sia tale per il sistema che, appunto, lo pone come tale (ad esempio, basta temporalizzare il principio di identità e anch'esso può risultare meno "assoluto" di come formalmente appaia, come già si discusse nel vecchio topic sulla nave di Teseo... fermo restando che «assoluto» come aggettivo non va confuso con l'assoluto come sostantivo).
#1339
Tematiche Spirituali / Re:Quale Chiesa Cattolica?
25 Gennaio 2020, 18:32:33 PM
Il momento è sicuramente delicato, così come è delicata la "convivenza teologica" fra due papi (non troppo affini per linea di pensiero) in un'epoca incentrata sui media e in cui la differenza fra "emerito" e "regnante" può essere facilmente strumentalizzata dalla schiera degli antagonisti. Non lavando i panni sporchi in casa, come consiglia saggiamente ogni tradizione (ecclesiastica e non), un'eccessiva trasparenza, per quanto coerente con la sincerità propugnata dalla dottrina, rischia, secondo me, di essere controproducente più di quanto possa essere lodata per la sua coerenza valoriale.
L'ingrato compito di mediare fra i principi fondatori e la istanze attuali dei credenti, consiglierebbe apparentemente un graduale "aggiornamento"(update) della Chiesa, una flessibilità verso il basso per non perdere la presa sui fedeli (o perdere fedeli) che tuttavia, quanto più mostra una chiesa malleabile e teologicamente "debole" (come si direbbe in filosofia), tanto più rischia di provocare comunque un calo di credibilità (e in ciò sta lo scacco da cui uscire). Una Chiesa con un'identità "fluida" che asseconda "populisticamente" i tempi culturali e l'esigenze (copulative o meno) del fedele contemporaneo, minaccia di assomigliare più ad un partito politico che alla incarnazione della voce di Dio (salvo dover concedere che la volontà e i valori di Dio mutino con le epoche... ma se ammettiamo che anche Dio possa cambiare idea, come farebbe un ragionevole padre umano, la Chiesa rischia di regredire alla figura dello stregone che interpreta la capricciosità degli dei, perdendo così totalmente l'"aggancio culturale" con le masse dei tempi moderni, già stanche di giostrarsi fra paradigmi instabili e mutevoli).

Una Chiesa che lascia "libertà di uscita" ai suoi fedeli è perfettamente coerente con la propria dottrina; una che lascia libertà di obiezione e dissidenza al suo stesso interno, oltre a svalutarsi drammaticamente sul piano dogmatico (di cui la religione ha costitutivo bisogno, e in questa sezione non deve suonare come una critica), si predispone suo malgrado a potenziali scissioni e secessioni come accaduto recentemente con i principali filoni politici e già nella sua stessa storia alcuni secoli fa. Sicuramente, la solidità e la cultura millenaria della Chiesa non sono per ora paragonabili alle basi ideologiche dei vecchi (estinti) partiti politici, perché il fondamento teoretico della Chiesa resta pur sempre uno, il suo corpus dogmatico, per giunta saldamente ancorato a dei testi sacri (nel bene e nel male... considerando che la loro interpretazione è adattabile solo entro certi limiti e al contempo costituisce ciò che differenzia radicalmente la Chiesa da ogni sapienza umana, ovvero il segno del verbo divino).
#1340
Citazione di: Eutidemo il 24 Gennaio 2020, 11:50:39 AM
Condivido in pieno, invece, la tua [di bobmax, n.d.r.] conclusione, e, cioè, che questa sia la volontà dell'Uno (o SE'); che si manifesta attraverso di "te" e pure attraverso di "me" (cioè, come tu stesso ametti, due distinti "io" individuali).
"Io" e "te", "uti singuli", invero, siamo manifestazione fenomenica del "molteplice"; manifestazione non "illusoria", bensì "transeunte", come le onde del mare...finchè non tornano mare.
Il passaggio euristico che sposta la problematica della volontà dal'io-individuale all'Uno-totalizzante, sbalzando più lontano, ma non risolvendo, l'annessa questione dell'analisi dei "meccanismi" di tale volontà (l'Uno ha libero arbitrio? L'Uno è la Natura quindi non ha volontà, umanamente intesa, ma solo funzionamenti intrinseci? Fra tali funzionamenti intrinseci c'è, rieccola, la volontà umana? Etc.), non è un passaggio alimentato anche dal bias secondo cui ciò che non è facilmente spiegabile nel singolo caso (l'eventualmente libera volontà di ognuno), diventa più chiaramente spiegabile se riportato alla totalità (l'Uno), intesa come unità di cui il singolo è parte?
Indubbiamente tale bias, come anche altri d'altronde, talvolta funziona positivamente: se voglio spiegare esaustivamente come mai un frutto stia nascendo su un ramo, non posso non considerare l'albero nel suo insieme (il che aiuterà a capire perché nasce proprio quel frutto e non un altro, da dove arriva il suo nutrimento, etc.). Tuttavia, nel caso della volontà, tale bias (la dipendenza che ricollega l'individuo all'Uno, da cui emanerebbe un'unica "volontà" ramificata negli individui) non ci spinge ad evitare, euristicamente, la preventiva questione del rapporto ontologico fra l'individuo e l'Uno, cioè del collegamento (spirituale? meccanicistico? altro?) tramite cui il singolo è "mosso volontariamente" dall'Uno (che quindi, stando al gioco, dovrebbe essere qualcosa di decisamente reale)?


P.s.
Una perplessità, fuori dal discorso su bias ed euristiche, riguardo il tema del libero arbitrio (già abbondantemente trattato in altri topic):
Citazione di: Eutidemo il 24 Gennaio 2020, 11:50:39 AM
"...chi decide di desiderare o non desiderare, volere o non volere, se non vi è libero arbitrio?" [scritto da bobmax, n.d.r.], è una delle argomentazioni che, appunto, mi inducono a credere che noi siamo dotati di libero arbitrio; anche se però, poi, ci sono altre considerazioni che me ne fanno dubitare.
Tuttavia non capisco come mai, proprio tu che neghi l'esistenza del libero arbitrio, mi prospetti un argomento a favore della sua esistenza.
Davvero decidiamo di desiderare e volere, oppure desideriamo e vogliamo spontaneamente, senza decidere di farlo?
Ad esempio, posso decidere di volere/desiderare della pasta per pranzo, oppure solo dopo che è nata/emersa la volontà/il desiderio di mangiare pasta, posso allora "decidere" di assecondarlo o meno (evito volutamente di coinvolgere la parola «libertà» e suoi derivati)?
Senza andare a ripassare buddismo o psicologia, passando anche solo per l'esperienza "in prima persona" (magari non ontologicamente, ma almeno grammaticalmente parlando), decido di "sento" di propendere per la seconda opzione.
#1341
Tematiche Filosofiche / Re:Lo spazio dell'assoluto
22 Gennaio 2020, 22:37:42 PM
Citazione di: Ipazia il 22 Gennaio 2020, 19:17:25 PM
Analiticamente questi attributi dell'autocoscienza si possono disaggregare in sezioni specialistiche di studio e azione. Ma quando pretendono di occupare uno spazio di assoluto è su quel terreno che si sposta la dialettica, e quindi l'approccio sintetico è il più cogente.

Possiamo anche lasciar perdere il confronto e isolarci nelle nostre cellette specialistiche, ma a quel punto non dobbiamo lamentarci se l'horror vacui si riempie di contenuti poco gradevoli, non accurati, ma che muovono il mondo nostro malgrado.
Rispettare le semantiche dei differenti approcci al medesimo problema non credo comporti isolarsi in cellette specialistiche; tale rispetto settoriale è piuttosto garanzia che la suddetta sintesi venga fatta in modo accurato, senza intorbidare le acque da cui ogni disciplina pesca i propri risultati (e ben venga se i differenti risultati vengono poi accuratamente accostati come i pezzi di un puzzle complessivo).

Per me il mondo, molto in sintesi, è mosso (oltre che dai bisogni primari dei singoli) dalle differenti culture (fedi religiose incluse); personalmente non ci trovo nulla di sgradevole, almeno tanto quanto non trovo sgradevole che i corpi tendano a precipitare verso il basso secondo leggi ben note.

Sull'"assoluto" inteso come metafora, come totem culturale, come dissimulato aggettivo riferito ad altro da sé, come denominatore comune dell'immaginario collettivo, etc. prendo nota che non è l'assoluto dei filosofi ma dei sociologi (e sicuramente è più utile come chiave di lettura dei nostri tempi, senza offesa per l'ontologia).


P.s.
Citazione di: viator il 22 Gennaio 2020, 17:47:19 PM
Salve Phil. "....... cosa intendiamo (parlando da ateo ad atea) davvero per «spirito» ?.
Così per ridere........proviamo con "lo spirito consiste in un'anima dotata della capacità di volere (o - se lo preferiamo, vista la quasi coincidenza concettuale - di coscienza)".
Poi circa l'"anima".....direi di continuare la risata con "l'anima è la forma intrinseca".......e, quasi infine, la "forma" sarebbe "l'insieme delle relazioni che permettono ad una struttura di svolgere una funzione"............certo, resta nel vago la coscienza (paradossalmente ma non troppo trovo difficoltoso per una coscienza il riuscire a definire sè stessa).
Per struttura e funzione vanno bene le definizioni da dizionario (al quale non è che io sia SISTEMATICAMENTE contrario..............) Saluti.
Accorpando le definizioni, se non ho sbagliato, lo «spirito» consisterebbe quindi nell'"insieme intrinseco, dotato della capacità di volere, delle relazioni che permettono alla struttura in questione di svolgere la sua funzione".
Partendo da questa definizione, definire conseguentemente lo «spiritualismo» non credo ci porterebbe né verso il "senso della vita", né verso la spiritualità religiosa, quanto apparentemente verso la biopsichiatria (che studia le relazioni fra le varie strutture neurologiche che svolgono funzioni connesse anche alla capacità di volere dell'individuo). Strada sicuramente percorribile e squisitamente neuro-scientifica eppure, (mi) rimane la domanda: qual'è il vantaggio (comunicativo o altro) di etichettare tale strada con una parola, «spirito» o «spiritualismo», già (ab)usata da tanti significati, tante tradizioni, tante discipline e che spesso diventa il pomo della discordia (o solo del fraintendimento) fra paradigmi che talvolta, qui lo dico e qui lo nego, potrebbero persino farne a meno e/o rimpiazzarlo?
#1342
Tematiche Spirituali / Re:Extra ecclesiam salus
22 Gennaio 2020, 22:12:56 PM
Citazione di: Ipazia il 22 Gennaio 2020, 19:53:26 PM
Non è solo il modello piramidale ad avere caratteristiche funzionali di tipo collettivo. Questo è un pregiudizio che corrisponde perfettamente allo spirito (ideologico) dei tempi, ma non alla verità.

Esistono "posture sociali" di tipo condivisivo in cui invece di comandare, si amministra su mandato tra pari, in assenza di dogmi, sulla base di decisioni democratiche. Quindi extra ecclesiam.
Alla luce della premessa «organizzazione sociale, soprattutto se molto numerosa»(autocit.) non conosco (ma ammetto di non essere esperto in materia) organizzazioni sociali prive di una gerarchia, in cui il mandato fra pari non discrimini comunque poteri e doveri (gerarchizzando di fatto il contesto, magari solo settorialmente, magari a turni, etc.) o in cui le decisioni democratiche e demoscopiche non siano poi gestite da una struttura verticale differenziata per comando, controllo, responsabilità, etc.
Sicuramente ci saranno piramidi a pochi piani (questo forum ne ha almeno tre), eppure persino nelle classi, ai miei tempi, c'era il capoclasse (in qualunque senso si intenda la "classe"...).

Citazione di: Ipazia il 22 Gennaio 2020, 19:53:26 PM
Non è necessario giungere alle "posture esistenziali" individuali per conquistare la salute a tempo determinato extra ecclesiam.
La "postura esistenziale" l'ho tratteggiata non tanto in riferimento alla "salute", ma piuttosto come eventuale eccezione all'organizzazione piramidale in virtù del suo individualismo: anche se condividiamo la stessa "postura esistenziale" in mille, non saremo necessariamente tenuti ad organizzarci in gruppo strutturato e, quindi, piramidale (esistono i gruppi di mutuo aiuto e anche lì, se non erro, c'è spesso qualche "specialista" in cima alla piramide, sebbene, se si è in pochi e ben disciplinati, magari se ne può fare anche a meno, tuttavia la piramide non è necessaria per ogni "postura", vedi appunto l'ateismo).
#1343
Tematiche Filosofiche / Re:Lo spazio dell'assoluto
22 Gennaio 2020, 17:05:42 PM
Citazione di: Ipazia il 21 Gennaio 2020, 22:54:39 PM
Per riprendersi l'anima che l'avversario ha sequestrato in un territorio di sua esclusiva pertinenza e che continua a fungere, come la pietra nera, da polo di attrazione in grado di garantire una rendita non meritata.
Per "riprenderci l'anima", intesa metaforicamente suppongo, rischiamo di ritrovarci a parlare, da atei, di ricerca dell'anima (ricordo che il divino è infalsificabile), in senso meno metaforico di quanto siamo consapevoli; ovvero (uso un'immagine di guerra in omaggio al tuo spirito pugnace), ritirando dentro le mura il "cavallo di Troia" dello spiritualismo, dobbiamo poi fare i conti con lo "spirito" che esso inevitabilmente "contiene", e non solo etimologicamente. Come chiedevo altrove: da cosa nasce questo bisogno(?) di non lasciarlo al suo posto (da chi glielo concede) e, ancor un passo indietro, cosa intendiamo (parlando da ateo ad atea) davvero per «spirito»?

Se
Citazione di: Ipazia il 21 Gennaio 2020, 22:54:39 PM
Ricompattare il tutto (spirito, mente, anima, psiche,...) ritengo sia opera dovuta indipendentemente dall'ortodossia semantica.
tale ricompattare (in che senso "dovuto"?) non tiene presente le peculiarità distintive delle discipline che coinvolge e le sacrifica, non rendendole sacre, ma ammutinandole (e mutilandole) drasticamente. Sebbene gli ambiti indubbiamente si intersechino, la ricerca spirituale non è la ricerca psicologistica che non è la ricerca esistenziale; il maestro spirituale non è il docente di psicologia (né lo psicologo) che non è il consulente filosofico; un problema spirituale non è un problema psicologico che non è un problema esistenziale, etc.
Qual'è dunque il "valore aggiunto" di chiamare «spirituale» qualcosa che non ha a che fare con lo spirito, se non allegoricamente (cioè, se non ho frainteso, chiamando «spirito» il famigerato «senso della vita»)? Si tratta di un'escamotage per adescare i delusi delle ecclesiae e gli agnostici, emulando la strategia di McDonalds quando dice «anche da noi si mangia vegano»? Qual'è l'etica del discorso dietro questa "rivincita" che mira a prendere in ostaggio lo spirito per negare alla concorrenza una «rendita non meritata»?

Mi pare che quanto più ci si addentri in una questione, in un campo di indagine, tanto più il linguaggio debba essere conseguentemente "decompattato", calibrato, analitico, preciso, etc. perché più restiamo nel generale e più diventa "povera" la mappa con cui ci orientiamo (non a caso ogni disciplina ha sviluppato nei secoli il proprio linguaggio settoriale: oggi la psiche non è lo pneuma che non è il chi orientale che non è lo spiritus, etc.).
Anche se (tanto più se) siamo «una piccola comunità in cui si pestano i tasti»(cit.), non credo questo sia un alibi per poter, seguendo un trend che mi pare in crescita anche fuori da questa comunità, sinonimizzare parole vagamente affini per licenzioso amor di babeliche allusioni e dissoluta "trasversalità": se (non mi riferisco a te) «filosofia» è sinonimo di «ragionamento senza empiria», «etico» è sinonimo di «sociale», «metafisico» è sinonimo di «astratto», «assoluto» è sinonimo di «oggettivo», «spirituale» è sinonimo di «esistenziale», etc. significa che siamo già in ritardo per il funerale della possibilità (buon'anima) di parlare di filosofia e spiritualità con un minimo di (a)cura(tezza). Capisco l'esigenza divulgativa della "filosofia per tutti" a prescindere dalla storia diacronica delle parole chiave, tuttavia se confondiamo viti, chiodi e bulloni perché in fondo tutti loro penetrano e reggono, non sono sicuro che riusciremmo a montare nemmeno un mobile Ikea.


P.s.
Citazione di: davintro il 21 Gennaio 2020, 17:49:28 PM
Dunque l'assoluto non è solo una necessità logica di garanzia di verità del discorso, ma proprio in virtù di ciò, è anche principio reale ontologico.
La forma logica presuppone regole e principi formali; definirli assoluti (aggettivo) non aggiunge né toglie nulla alla loro funzionalità e al fatto che ognuno di essi è "assoluto" (aggettivo) solo relativamente al sistema logico (e al discorso) di riferimento.
Di assoluti (sostantivo) ontologici, che non siano le leggi della natura (di cui non credo si occupi la speculazione filosofica e che, in quanto leggi, non hanno bisogno del ridondante appellativo di «assolute»), se ne possono congetturare molti, come sono molti i discorsi che fanno duellare i rispettivi assoluti (sostantivo).
Se
Citazione di: davintro il 21 Gennaio 2020, 17:49:28 PM
Il compito di un'autentica filosofia sta nella speculare circa le corrette implicazioni logiche discendenti da quest'idea di assoluto, di per sé ancora generica e informale, in modo coerente e consequenziale.
conseguentemente non fanno «autentica filosofia» quei pensatori che non presuppongono assoluti (sostantivo); l'elenco dei nomi è già lungo, scandito da coloro che non pongono le proprie riflessioni nell'ambito del "veritativo trascendente" (monistico, metafisico, etc.), ma piuttosto nell'interpretativo, nel contingente, nel possibile, etc. senza nessuna pretesa di giungere a (la) verità, a valori o sistemi assoluti, né ad assoluti intesi in senso non metaforico.
Qual'è, ad esempio, l'assoluto (sostantivo) degli ermeneuti come Gadamer, dei decostruzionisti come Derrida, degli epistemologi come Putnam, etc.? Direi che oggi "non di soli assoluti vive la filosofia".
Da notare che il chiedersi se costoro pretendano di dire una verità assoluta (o addirittura dicano l'assoluto), è ironico sintomo di un domandargli circa un orizzonte ad essi estraneo, e quindi significa applicargli categorie non pertinenti in quanto da essi stessi inutilizzate (un po' come chiedersi come mai un un pittore surrealista non faccia una rappresentazione fotografica della realtà). Parimenti, la sensatezza di riflessioni che invece si occupano di assoluti, etc. non viene minimamente intaccata (né tantomeno falsificata) da coloro che non se ne occupano.
#1344
Tematiche Spirituali / Re:Extra ecclesiam salus
21 Gennaio 2020, 17:04:55 PM
Citazione di: InVerno il 21 Gennaio 2020, 15:57:13 PM
un cammino spirituale massimamente fruttuoso sia possibile solamente extra ecclesiam, perchè concepisco un percorso spirituale solamente come esperienza individuale.
Concordo che fuori dall'assemblea dell'ecclesia, ci sia l'individualità, la singolarità à la Quasimodo. Eppure (senza voler deviare sui tratti e le dinamiche della suddetta "fruttuosità") se fuori dall'ecclesia non c'è dottrina spiritual-collettiva, cosa resta dello "spiritualismo" esportato fuori dal suo habitat "naturale"?
O meglio: per «spiritualismo» intendiamo la riflessione esistenziale individuale (orizzonte di senso dell'esistenza, etc.) o ci riallacciamo all'esistenza ulteriore, non metaforica, di uno "spirito" (anima o altro) di cui l'intuizione o l'induzione (da una dottrina o cultura, magari poi rinnegata), è ciò che vogliamo approfondire con la "ricerca spirituale"?
«Spiritualismo» ed «esistenzialismo» sono sinonimi affidabili extra ecclesiam, pur avendo il primo un certo "residuo dottrinal-ecclesiastico"?
Per dirla fenomenologicamente: qual'è la condizione di possibilità di fondare un discorso sullo "spirito" trapiantato fuori dall'ecclesia che lo ha generato e contestualizzato in una visione del mondo religiosa?
#1345
Tematiche Filosofiche / Re:Lo spazio dell'assoluto
21 Gennaio 2020, 15:13:17 PM
Se il presunto "posto vuoto" dell'assoluto, ovvero la possibile assenza di uno "spazio" ulteriore rispetto alla (ri)strettezza della contingenza umana in cui non c'è traccia dell'assoluto come sostantivo (e tanto più come sostanza, semmai solo come aggettivo), è la disincantata e schietta "scoperta" perpetrata da alcune proposte filosofiche contemporanee, allora rifiutare l'elaborazione culturale di tale assenza, preservandosi dal pensare senza assoluti(smi), non mantiene aperto maldestramente il discorso onto(teo)logico dopo averne ormai compromesso le fondamenta (e la loro sedicente assolutezza)?
Chiesto in altro modo (fra psicoanalisi e maieutica): perché nel pensiero contemporaneo si avverte il bisogno (de)ontologico di trovare comunque un posto all'assoluto (sostantivo e "sostanziale") quando per sua stessa "auto-presentazione" esso non ha posto calzante se non nell'iperuranio dei concetti tautologicamente postulati come tali (meta-fisici cioè ultra-terreni), e quindi relativi al pensiero che così li postula?

La stessa domanda riguarda lo "spiritualismo" (di cui si parla in altro topic) e sia per «spirito» che «assoluto» è fondamentale intendersi sul loro fantomatico referente: la polisemia del termine «assoluto» (proprio come quella di «spirito»), aggravata dal suo prestarsi a metafore, non facilita il discorso (che rischia di disperdersi fra misticismo, scienza, storia, poesia, etc.).

Collegandomi ad altro topic affine, riguardo l'approccio postecclesiastico alla "spiritualità"1 e alla dialettica individuo/società, osserverei che è stata la struttura organizzativa dell'immanenza secolare a forgiare, o almeno ispirare, quella ecclesiale; la chiesa in fondo non è altro che l'ennesima organizzazione piramidale, come lo è quella di un qualunque branco, qualunque società, qualunque azienda, qualunque stato, etc. ognuno fondato su norme (anche consuetudini, etc.) strutturanti le interazioni fra i suoi membri. Che tali regole abbiano fondamento nel cielo, nella terra, nel mercato, nell'istinto animale o nelle tradizioni, è rilevante solo a livello giustificativo-persuasivo o di analisi del fondamento, ma non a livello funzionale e archi-tettonico (arché incluso).
L'esigenza di un ordine verticale (con l'inevitabile conseguente discriminazione di ruoli, differenti ricompense e carichi di lavoro, etc.) per essere più efficienti e "in salute", è un'astuzia pragmatica da sempre chiara anche agli animali, nessuna chiesa o altra organizzazione sociale, soprattutto se molto numerosa, avrebbe ragionevole motivo di fare eccezione. Eccezione che semmai spetterebbe ad una posizione di pensiero che abbia intenzione di non proporsi come organizzazione, struttura, comunità, "piramide": ad esempio, il pensare ateo non è di per sé atto fondativo di una chiesa, quanto piuttosto una "postura esistenziale" (come credo intenda baylham), postura "gobba" se vogliamo (che guarda alla terra dove mette i piedi e dove può verificare le sue tesi, al netto di sofismi, fallacie e bias). Tuttavia se, nel fatale oblio di muoversi nel campo della infalsificabilità delle tesi antagoniste (e non in quello della verità), tale postura indulge nel catechizzarsi, ecumenizzarsi, sentendosi "in missione di conversione nel mondo" (cattolicesimo docet), la sua militanza non potrà che essere percepita comunemente in modo simile all'apparente autocontraddizione programmatica rilevata da myfriend (a cui Ipazia ha ragionevolmente ricordato la pluralità degli ateismi, anche se sarebbe bastata anche solo la pluralità degli atei).

Dunque quale salus extra ecclesiam? La più percorribile mi pare quella che intende salus non come salvezza spirituale (perché, venuta meno la dottrina dell'ecclesia, non c'è uno spirito da salvare e sia lo zeitgeist che lo Spirito hegeliano non hanno bisogno di salvezza, essendone semmai forieri), ma semplicemente come salute, quella banalmente trattata da medici, psicologi e simili (e se sembra troppo poco, le porte delle spiritualità restano fiduciosamente aperte, per quanto l'ossimorica "spiritualità sine ecclesiam", corteggiata del pensatore ateo, può essere rintracciata perlopiù nel dissimulato misoneismo o nel compiaciuto "riciclo customizzato" di altarini votivi... è davvero ancora spiritualità?).


Qual'è la fruibilità, estetica discorsiva a parte, del riappropriarsi metaforicamente di categorie non nate per essere solo una metafora («assoluto» come sostantivo, «spirito» e altri lemmi del dizionario metafisico), perché utilizzare termini già sovraccarichi di storia e di significati, ingolfandoli di altri sensi, nel tentativo di attualizzarli o nel rifiuto (psicologico prima che metodologico) di rinunciare alla loro "sacralità" speculativa?
Attualizzare la riflessione filosofica, aggiornando i significati ma senza voler aggiornare i significanti, rischia secondo me di essere un gesto "incauto" similmente all'usare un capitello corinzio come incudine: magari funziona, ma né rende giustizia al valore storico-estetico del capitello, né garantisce di essere efficace a lungo termine (essendo il capitello fatto per reggere il peso di un'architrave, non per essere preso a martellate).
#1347
Tematiche Filosofiche / Re:Ma che campo a fare?
13 Gennaio 2020, 16:02:15 PM
In Giappone hanno tematizzato la questione anche tramite il concetto di ikigai, ovvero "ragione di vita" (il fatto che abbiano una parola per esprimere tale concetto non è da sottovalutare), solitamente sintetizzato dallo schema a fiore:


Chiaramente è solo un possibile quadro di lettura, uno spunto "sistemico", non la risposta (ammesso e non concesso che la domanda sul senso abbia un senso...).
#1348
Tematiche Filosofiche / Re:La mano e la moneta
26 Dicembre 2019, 18:07:15 PM
@davintro
Preso atto della consolidata divergenza di prospettive, sollecito ancora l'esitazione con un paio di domande:
Citazione di: davintro il 26 Dicembre 2019, 16:14:34 PM
ogni atto di pensiero implica l'assunzione a livello intenzionale [...] del proprio contenuto come reale stato di cose, e dunque se gli assiomi della logica formale sono norme necessarie per ognuno di questi atti di pensiero, allora devono anche essere norme necessarie delle cose reali, che sono il contenuto che sempre tali atti intenzionano. Se in assenza di logica ogni pensiero sarebbe assurdo, e ogni pensiero è sempre pensiero riferito alla realtà, allora, perché la realtà non sia assurda, dovrebbe condividere le stesse regole logiche che strutturano il pensiero.
eppure, è la logica a forgiare la realtà o è la realtà (enti, eventi, "meccanicismi" naturali, etc.) a forgiare la (fruibilità pragmatica, non solo autoreferenziale della) logica?
Chi cerca di tradurre, con/per i suoi canoni, le leggi di chi?

Citazione di: davintro il 26 Dicembre 2019, 16:14:34 PM
L'accusa di narcisismo e autoreferenzialità ad una filosofia che non si faccia influenzare nel suo lavoro di individuazione delle condizioni di validità metodologica sulla base dei problemi contingenti di applicazione, penso abbia un senso solo nel momento in cui si intenda la filosofia come mero strumento in funzione del lavoro delle scienze naturali, mentre in realtà l'epistemologia non va vista primariamente come servizio che la filosofia sarebbe chiamata a svolgere (al di là del fatto che poi, effettivamente le riflessioni epistemologiche siano di giovamento agli scienziati) ma come conseguenza del fatto che la filosofia si occupa di questioni teoretiche distinte da quelle di ordine tecnico-applicativo, la cui risoluzione non può dunque influenzare la ricerca riguardo alle altre.
Pur confinandoci nella fenomenologia husserliana (perpetrando un'ingiustizia per i suoi sviluppi, francesi e non, oltre che al resto del '900, i pluricitati Godel, logiche polivalenti e paraconsistenti, etc.), senza voler valicare i limiti dell'approccio trascendentale (gesto amichevolmente ermeneutico, per garantire un minimo di aderenza alla tua prospettiva, di cui ti chiedo), non andrebbe almeno considerato seriamente, se non attualizzato, l'invito husserliano a «tornare alle cose stesse»?
Ecco, come regalo post-natalizio, il passo dalle Ricerche Logiche:
«Non  vogliamo  affatto  accontentarci  di  "pure  e  semplici  parole",  cioè  di  una comprensione  puramente  simbolica  delle  parole,  cosÏ  come  ci  è  data  anzitutto sul  senso  delle  leggi,  presentate  dalla  logica  pura,  concernenti  i  "concetti", "giudizi", "verità", ecc., in tutte le loro specificazioni. Non ci possono bastare significati  ravvivati  da  intuizioni  lontane  e  confuse,  da  intuizioni  indirette  - quando  sono  almeno  intuizioni.  Noi  vogliamo  tornare  alle  "cose  stesse".  Vogliamo  rendere  evidente,  sulla  base di  intuizioni  pienamente  sviluppate,  che  proprio  ciò  che  è  dato  nell'astrazione attualmente effettuata è veramente e realmente corrispondente al significato delle parole nell'espressione della legge; e, dal punto di vista della praxis della conoscenza, vogliamo suscitare in noi la capacità di mantenere i significati nella loro irremovibile identità, mediante una verifica, sufficientemente ripetuta, sulla base dell'intuizione  riproducibile  (oppure  dell'effettuazione  intuitiva  dell'astrazione). In  questo  modo,  portando  alla  luce  i  significati  variabili, che uno stesso termine logico  assume  in  contesti  enunciativi  diversi,  ci  convinciamo  appunto  dell'esistenza  dell'equivocazione; diventa per noi evidente che ciò che la parola significa in questo o quel luogo trova il suo riempimento in formazioni o momenti sostanzialmente diversi dall'intuizione, cioè in concetti generali essenzialmente differenti. Specificando  i  concetti  confusi  e  modificando  opportunamente  la  terminologia,  otteniamo allora anche la desiderata "chiarezza e distinzione" delle proposizioni logiche».
#1349
Tematiche Filosofiche / Re:La mano e la moneta
24 Dicembre 2019, 17:06:13 PM
Citazione di: davintro il 24 Dicembre 2019, 15:25:18 PM
il riconoscimento della razionalità del discorso ne garantirebbe l'oggettività.
Eppure, ha davvero senso fondare la presunta "oggettività" sulla razionalità del discorso e non piuttosto sulla realtà dei presunti oggetti?
Se vogliamo dimostrazioni, oneri della prova d'esistenza, verità, etc. possiamo davvero fare a meno di rivolgerci alla concretezza di dati, fatti ed eventi, in nome di una deduzione in cui gli assiomi chiudono sempre tautologicamente il loro cerchio teorico, a prescindere dalla loro pertinenza con la realtà (ovvero basta che il sistema non sia autocontraddittorio per essere razionale e, a quanto proponi, garante di "oggettività")?
Se parliamo di esistenza, non è forse fondamentale coinvolgere pragmaticamente gli esist-enti?
Un'epistemologia che non considera la prassi delle scienze a cui si riferisce, non resta sempre "monca" e nondimeno narcisista (per non dire inservibile)?
La differenza fra fisica teorica e fisica sperimentale è secondo me eloquente in merito a oneri della prova, oggettività, verificazione contro possibilità etc.
#1350
Tematiche Filosofiche / Re:La mano e la moneta
24 Dicembre 2019, 12:10:59 PM
Citazione di: Eutidemo il 24 Dicembre 2019, 09:54:42 AM
Citazione di: baylham il 24 Dicembre 2019, 09:24:11 AM
A me sembra che ci sia una differenza teorica e non solo pratica tra la tesi che afferma l'esistenza di qualcosa e la tesi contraria, che sostiene l'inesistenza di qualcosa: la prima è una proposizione infalsificabile, la seconda è falsificabile.
Questa differenza mi sembra avvantaggi la religione, la metafisica, il soprannaturale, la magia, il miracolo.

Giusto! :)
Però, secondo me, non c'è "equipollenza" tra una proposizione infalsificabile ed una  falsificabile; chi sostiene che ci sia, secondo me, cade nel sofisma della "falsa isostenia"
Non credo che l'affermazione di esistenza sia di per sé infalsificabile: se affermo che nella stanza c'è una sedia, tale proposizione può essere falsificata verificando che nella stanza non c'è nessuna sedia.
L'affermazione di esistenza diventa infalsificabile se lo spazio e/o il tempo e/o le modalità dell'adeguata verifica di esistenza eccedono l'efficacia del praticabile metodo di verifica (v. la famosa teiera di Russell); oppure se si afferma l'esistenza di qualcosa per sua stessa definizione infalsificabile (una sedia invisibile, intangibile, etc.).