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Messaggi - Kobayashi

#136
Citazione di: viator il 25 Dicembre 2021, 16:45:53 PM
Salve koba. Prendo nota ma........la tua è la posizione/previsione intellettualistica della prospettiva storica da me ipotizzata. Io sto parlando del genere umano, della società, delle sue classi, della "media statistica cerebralsociale"..............so benissimo che èlites intellettuali (e soprattutto gli idealisti!!) esisteranno sempre.

Purtroppo la storia non l'hanno fatta tali categorie marginali, e neppure sarà così in futuro, per la semplice ragione che intellettuali ed idealisti, per poter esistere (non dico per prendere il potere).............hanno bisogno di speculatori e materialisti che li mantengano, a spese ovviamente ai altri ancora che  vengono sfruttati per la produzione di certi beni.

La "fantasia al potere" va benissimo e verrà certo celebrata a parole anche in futuro..........del resto anche in passato i potenti erano contenti di mantenere - per ragioni di lustro e divertimento - i propri giullari ed i propri poeti di Corte. Saluti e meravigliosi Auguri a tutti da Viator.

Certo i cambiamenti politici non li realizzano le élite, lo so anch'io, ma tu chiedevi se il futuro potrebbe essere descritto come una specie di medioevo in cui una casta tiene il sapere per se e relega la massa nell'ignoranza, nel consumo ottuso e nei lavori umili.
E io ti ho risposto che non vedo nessuna restrizione nell'accesso al sapere, la massa già adesso ha a disposizione, volendo, tutti gli strumenti necessari per capire e per rifiutare, ma sembra preferire politicizzare cose come l'aumento del costo della benzina (i gilet gialli francesi) o pratiche sanitarie di evidente e ovvia ragionevolezza.
#137
Citazione di: viator il 25 Dicembre 2021, 12:46:03 PM
Tu che dici ? Vedremo riproporsi il Medio Evo in versione immaterialmente informatica ? I Signori del Feudo (scientificamente e non più religiosamente investiti) i quali terranno per sè il sapere e gli strumenti lasciando al volgo la bovina sopravvivenza fatta di umili adempimenti e farmacologiche somministrazioni ?.

No, non credo che si porrà mai un limite all'accesso del sapere.
Penso che il vero problema sarà (ed è già presente oggi) quello di mantenere (o ritrovare) la capacità di costruire interpretazioni sovversive.
Per esempio negli anni 30 a Parigi grazie a personaggi come Kojève la Fenomenologia dello spirito di Hegel veniva letta come fosse dinamite.
Oggi nella migliore delle ipotesi ci si accontenta di capirla.
Fra qualche decennio la sua lettura sarà puro esercizio di erudizione per appassionati di antiquariato.
#138
Citazione di: green demetr il 24 Dicembre 2021, 18:47:22 PM
La filosofia nasce dalla democrazia, se si è in prigione, e lo stiamo per entrare, non esiste filosofia o spiritualità pratica.
Il discorso che fa Focault è certamente di una filosofia che deve teleologicamente rimontare (dopo averla decostruita) la sua reale politica.
Nel momento che rimonta diventa la vecchia metafisica che pretende di avere il monopolio delle verità (e oggi si chiama analitica, neuroscienza, neuro-linguistica).
[...]
Il desiderio di dominare l'altro e di non rispettarlo, santo cielo, ripartiamo dalle considerazioni finali di Althusser e andiamo avanti, amare l'altro, lasciandolo fare quello che lui vuole, è quella la base!

Il discorso di Foucault sulla verità, secondo me, ruota attorno a due fuochi:
- il concetto di verità come qualcosa connesso al potere, quindi la verità cui le persone sono assoggettate tramite dispositivi di potere; e da questo punto di vista la filosofia ha il ruolo di critica, di genealogia, di smascheramento di queste pratiche di dominio;
- il concetto di verità da leggere in relazione alla parresia cinica, ovvero alla possibilità di estraniarsi dall'assoggettamento esercitato dal potere tramite varie pratiche più o meno radicali o paradossali; in sostanza come un'ipotesi di resistenza e di costruzione di un'altra possibile soggettività.
Che ciò sia realmente possibile è naturalmente un dubbio che non si può non avere. Ma già tentare è per me provare a declinare quell'elemento etico-politico di cui parlavo e a cui la filosofia, a mio giudizio, non può rinunciare, pena la sua irrilevanza per chi la pratica.

Non sto parlando di pratiche spirituali etc., ma qualcosa terra terra: interrogare Nietzsche, per esempio, cercando di arrivare a scovare dentro noi stessi ciò che acconsente all'attuale realtà, ciò che realmente adoriamo.

E sì, sicuramente si parte dalla constatazione del "desiderio di dominare l'altro e di non rispettarlo", e delle altre forme di assoggettamento e di distruzione.
Ma di fronte a queste verità nere la reazione apocalittica così come la messa in scena di un discorso su Dio non mi sembrano adeguate, a meno che tali approcci teorici sappiano produrre nuove soggettività capaci di quella comunità di amici di cui parli, o comunque capaci di nuovi cammini (ma veri cammini! cammini fisici, chilometri veri, pellegrinaggi, esperimenti etc.).

Continuo a credere, a distanza di anni, che la religione abbia senso solo come vita religiosa, vita consacrata. Certo, ciò significa assoggettamento ad una regola, ma libertà da altre forme di dominio sicuramente più depersonalizzanti, come il lavoro nella società liberista, nelle sue due forme, il lavoratore-macchina vittima dell'ossessione produttiva e il lavoratore imprenditore di se stesso. E poi tutta l'oscenità del culto del lusso che ci viene quotidianamente sbattuta in faccia. E il terrore della noia, e questa falsità che ci potrà essere un mondo senza più noia dove tutti saranno continuamente stimolati-narcotizzati tramite contenuti digitali...
#139
Tematiche Spirituali / Etica nel regno animale
24 Dicembre 2021, 10:34:46 AM
Citazione di: ricercatore il 24 Dicembre 2021, 10:04:02 AM
[...] da qualche parte, scritto nel DNA, c'è la propensione a ricercare un uomo forte, di valore.
questo meccanismo porta la nostra specie a migliorare sempre di più: il codice genetico dei "migliori" va avanti, quello dei "peggiori" si estingue.

E' tutto da dimostrare che la nostra specie stia migliorando, che l'evoluzione porti a mutamenti migliorativi.
E' la pura sopravvivenza il criterio con cui si decide questo progresso?
L'estinzione può essere preferibile dal punto di vista della specie stessa, se l'alternativa è una trasformazione che allontana troppo da ciò che istintivamente viene sentita come la propria natura.


#140

Quando nella terza dissertazione di Genealogia della morale, "Che significano gli ideali ascetici?", N. parla del prete asceta come di un malriuscito alla testa di una schiera di malriusciti, bisogna capire due cose:

- primo, dimentichiamoci le assurdità naziste: il malriuscito è colui che si sente estraneo al mondo in cui vive; nelle epoche arcaiche era un soggetto che o per mancanza di coraggio o per mancanza di forza fisica o per semplice disgusto, non sopportava il proprio mondo, fatto di guerre, aggressioni, crudeltà varie; e a questo punto il lettore anziché identificarsi un po' ingenuamente nell'opposto dell'asceta, ovvero nel guerriero aristocratico, sano e robusto, dovrebbe invece chiedersi se nei confronti del proprio mondo non sente la stessa estraneità provata dal malriuscito arcaico;

- secondo, la cosa più interessante è la potenza, la determinazione, la creatività di questi asceti che inventano un nuovo mondo, ribaltando completamente quello naturale; con la sola forza di volontà, assoggettando i propri istinti attraverso un'implacabile opera di violenza verso se stessi, creano qualcosa di nuovo, qualcosa che non c'era e impongono questo nuovo mondo come il vero e unico mondo, mentre del mondo naturale parlano come di un'illusione; e di fronte a questa opera di ribaltamento radicale e creazione si vede come N. sia ammirato; sbalordito e ammirato.

Insomma, tutto il ragionamento di N. sul risentimento, sugli schiavi, sui preti, può regalarci interessanti sorprese se interpretato in modo opposto rispetto alla lettura in linea con la parola dell'autore che valorizza, come sappiamo, l'aristocrazia, la vitalità, gli istinti etc., tutta roba di cui però, francamente, non sappiamo proprio che fare... e non per il fatto di avere ormai una moralità troppo sofisticata ma semplicemente per mancanza di spazio e di libertà.
Dunque vale la pena provare a studiare attentamente l'uomo del risentimento.
#141
Citazione di: green demetr il 22 Dicembre 2021, 18:42:46 PM
Forse ti stai riferendo alle pratiche spirituali.

Ma questo "voler comprendere la tradizione" è la rinascenza! non che la visione politica "della futura comunità degli amici" sia la rinascenza, come anche tu intuisci, che senso avrebbe senza una pratica del quotidiano?

Tutto bene, ma il mio allontanamento dagli amici, anche quelli di Milano, è per via del fatto che non vedo come queste pratiche siano possibili.

Non basta vedere come hanno tradito tutti? A partire dai rabbini.
Direi che la pratica spirituale che coincide proprio con la separazione degli amici, sia sinceramente marcia alla sua base.

No! ci vuole una comprensione infinitamente maggiore per poter parlare di stili di vita in ordine al discorso filosofico o spirituale che si voglia.

Ma questa comprensione da dove nasce se non dalla lettura?

Senza lettura, e con lettura si intenda lettura critica, anche con gli amici, e forse sopratutto con quelli, come ci possono essere i prodromi per qualsiasi futura politica?

Sinceramente la lettura solitaria potevo farla in  giovinezza, da adulto ho smesso.
Questo che vedi scritto è solo una traccia.

Una traccia, un tentativo di ripresa di lettura, che si inabissa nelle incomprensioni, a partire da questo forum, in forma ovviamente, in quanto virtuale, leggera, e in maniera dura, con la fuga degli amici, nei loro problemi, nella realtà vissuta.
Questa è una spirale che non ha via di fuga, saremo tutti inabissati o morti.
E' proprio di fronte a questo orrore che sto tornando a leggere.
Addirittura ne sto facendo una cosa etica, perchè la sento all'improvviso come una cosa etica, senza più nè ma, nè però.
La trovi una cosa comoda? certamente lo è.
Ma in condizioni di stress non si riesce a lavorare.
E dunque il muro etico consiste proprio nell'erigere una barriera fra se e i problemi degli altri.
Anche perchè i problemi degli altri sono sempre di origine etica, sono stufo di dire alla gente cosa dovrebbero fare per se stessi, e successivamente cosa dovremmo fare insieme.
Non si riesce MAi ad andare oltre l'anticamera del pensiero.
Anzi vi si soggiorna nei casi migliori, e nei peggiori si va al bar a far baldoria.
Tutto ciò potevo farlo al prezzo di un lacerante dolore interiore, perchè comunque amo gli esseri umani, anche nelle loro debolezze.
Ma oggi amico, sinceramente qualcosa è cambiato dentro di me.
E' esattamente quello che vuole il sistema?
Certo che è così, e funziona.
La tecnica non ammette repliche.
Ma la tecnica non conosce, non sa niente.
E dunque non mi scompongo alle solite critiche sulla inutilità della filosofia.
La filosofia segue la sua strada da sola o con gli amici.(da socrate in poi).

Mi sono espresso male (o forse non mi sono affatto  espresso...).
Volevo dire che non sono d'accordo sui seguenti modi di intendere la filosofia:
- la filosofia come uno dei modi possibili di descrivere la realtà;
- la filosofia come circoscritta al lavoro critico sulla cultura;
- e tantomeno la filosofia che vorrebbe ancora, come ai vecchi tempi, disporre del monopolio della verità.
Per me la pratica filosofica (che certo è fatta imprescindibilmente di lettura e scrittura) deve mostrare reali conseguenze etico-politiche.
Per questo motivo tra gli interpreti di N. io sono dalla parte di Foucault.

La genealogia non deve solo servire a capire aspetti della tradizione, ma a smantellare concretamente i valori che ci inchiodano a questa condizione storica che tutti (o almeno tanti) vivono come soffocante, come prigione.
E questi valori non sono quelli della religione (come ripetono invece certi discepoli nicciani), ma quelli che legittimano questa realtà. Il pericolo della trascendenza non è più la fuga dal mondo verso Dio, ma la fuga da quelle zone di se stessi che rendono possibile questo mondo, e che invece andrebbero perlustrate senza pietà, così come N. ha analizzato e attraversato, per esempio, l'ideale ascetico. Smontandolo di fatto, liberandolo dalle proprie presunte origini nobili, mostrandolo per quello che è (e può anche essere desiderio elevato di liberazione in senso di pace, di tregua, ma senza poter più far finta che non abbia a che fare con il nulla, con la preferenza del nulla alla vita).

Chiediamoci per esempio: tutta questa sacrosanta filosofia contro il soggetto, contro la tirannia dell'Io e poi si ritorna sempre alle stesse cazzate, al consumismo, all'autostima, all'isolamento perché meno problematico rispetto al dialogo etc.
Al di là delle scelte esistenziali di ciascuno, al di là del cercare in qualche modo di tirare a campare con tutto il suo necessario gioco di equilibrio con forze avverse, la pratica filosofica (che può anche in parte rispondere appunto a strategie di sopravvivenza e quindi risultare sfigurata da queste necessarie manipolazioni), deve rigorosamente rispondere alle esigenze del presente, e il mondo attuale non è il deserto (magari!) ma qualcosa di simile alla prigione di ferro nero di Valis, un mondo parallelo che si mostra appena si abbandoni l'illusione di essere liberi, di avere il controllo della propria vita, di non essere organismi chiamati a simulare l'efficienza della macchina ma persone vere.
#142
Tematiche Spirituali / Etica nel regno animale
17 Dicembre 2021, 16:48:39 PM
Citazione di: ricercatore il 17 Dicembre 2021, 10:45:10 AM
Noi uomini abbiamo sviluppato l'auto-consapevolezza, i lupi e gli scimpanzé a quanto ne sappiamo no: possiamo allora dire che la scelta tra Bene e Male non riguarda la Coscienza?

Io direi piuttosto che l'esercizio sano di bene e male è addirittura ostacolato dalla coscienza perché la coscienza si convince subito di essere un Io (se non ha sottomano un dio da obbedire), capace di conoscere la verità, attraverso la quale stabilisce regole che vorrebbero essere universali ma con cui in realtà ottiene l'assoggettamento degli altri.
Il che appunto non è naturale e sano...
Dunque per tornare ad essere etici bisognerebbe inventarsi un'innocenza godereccia e creativa, come giovani lupi...
#143
Abbracciare un cavallo per le strade di Torino, sotto gli occhi della gente, può significare essere andati fuori di testa oppure voler indicare, con un gesto pubblico eclatante, che mi riconosco più nell'animalità che nei calcoli dell'utile umano, del profitto economico da estrarre da una bestia o da quello esistenziale dell'approvazione che si ottiene conformandosi ai costumi (che non prevedono lacrime versate in pubblico per un cavallo).

Ma appunto qui, di questo incredibile percorso umano e filosofico, siamo alla fine.
L'inizio è invece il tema del divenire ciò che si è: ovvero realizzare in opere e tracce se stessi.
Tema che si lega subito al problema di come un processo del genere possa svincolarsi dalla produzione automatica che viene dal corpo.
Infatti come dice Zarathustra: "Dietro i tuoi sentimenti e pensieri, fratello, sta un possente sovrano, un saggio ignoto – che si chiama Sé. Abita nel tuo corpo, è il tuo corpo".
Si può allora diventare ciò che si è evitando che questo divenire non sia altro che il risultato di un programma biologico?

La teoria viene dal corpo, ma una volta prodotta questa prima forma filosofica, questo primo sistema di pensiero involontario, si sviluppa come una forma organica, in modo indipendente, costringendo l'autore a inseguirla, nell'ossessione di chiarire se stesso nel rapporto con essa.
È l'oscillazione che si trova in tutta l'opera di N. tra l'esigenza di definirsi, di circoscrivere la propria identità in modo veritiero e il gioco della dissimulazione, delle maschere.
"Ascoltatemi! Perché sono questo e questo. E soprattutto non scambiatemi per altro!", si legge all'inizio di "Ecce homo".

Tuttavia questa tensione non è solo il sintomo della parziale consapevolezza di un certo automatismo nella produzione di se stessi nell'opera filosofica, ma anche il segno rivelatore dell'esigenza di sottoporre a critica questo automatismo.
Si può vedere in ciò lo sforzo per introdurre gradi di libertà in un automatismo che dobbiamo accettare, ma appunto anche criticare.

L'indicazione allora è: allenarsi ad abitare il paradosso di automatismo e critica per affrontare il blocco capitalistico-metafisico del presente con strumenti adatti alla realizzazione di sovvertimenti (grandi o piccoli, anzi, forse solo piccoli) e la sicurezza in se stessi sufficiente ad evitare scappatoie nelle costruzioni consolatorie dell'interiorità o nella morte.
#144
Citazione di: green demetr il 30 Novembre 2021, 11:36:46 AM

Sinceramente a parte me, non vedo nessuno che abbia anche solo cominciato a capire di che cavolo parla il nostro.

Bene rileggiamolo insieme!!! forse lo capisco, forse lo capisco. >:(

C'è da chiedersi se sia il caso di continuare con questo atteggiamento per cui fare filosofia è capire i testi e la massima beatitudine è padroneggiarne la tradizione.

A conclusione del secondo volume di "Umano, troppo umano", nel "Viandante e la sua ombra", N. fa dire all'ombra, compagna del pensatore solitario in presenza della luce (=di una conoscenza che vuole fare chiarezza tra le oscurità romantiche, religiose, metafisiche):

"Di tutto ciò che hai detto, nulla mi è piaciuto più di quella promessa: diventerete di nuovo buoni vicini delle cose prossime".

Si riferisce al fatto che finora si è ignorato ciò che conta di più per i singoli (saper impostare la propria condotta di vita: il rapporto con gli amici, il lavoro, l'alimentazione, il sonno, le condizioni più propizie per il proprio pensiero etc.) a causa di una tradizione idealista che valorizza l'opposto: la salvezza dell'anima, il rispetto dello Stato, la fede nel progresso della scienza, in generale cose che una cultura che si pone come universale dichiara essere utili all'umanità.

Si può dare questa interpretazione: la traiettoria dello spirito libero tratteggiato in "Umano, troppo umano" si chiude al di là della tradizione filosofica (della metafisica), nell'abbozzo di un sapere (un nuovo Rinascimento?) che sembra voler andare al di là dell'alternativa tra cultura e vita concreta, nell'abbozzo della costruzione di una nuova spiritualità.
Invita a non farsi irretire da vecchie nostalgie, a dirigere la propria ragione verso ciò che conta di più per la vita di ciascuno, il che significa preparare e realizzare trasformazioni reali nell'ambiente in cui si vive.
#145
Citazione di: Alexander il 09 Dicembre 2021, 10:23:22 AM
Ma perché poi l'"Uomo saggio e innocente" dovrebbe essere preferibile all'attuale o all'uomo del passato? Non c'è alcuna motivazione. Infatti non è dimostrabile che saggezza e innocenza aumentino la piacevolezza della vita, che in sostanza è ciò che cercava N. L'uomo attuale comprende infinitamente più dell'uomo del passato, ma è più felice? Non troviamo in N. la stessa non-accettazione dell'esistenza "così com'è" quando si sogna una trasformazione che renda "più uomo" l'uomo? Il concetto di evoluzione come continuo miglioramento è tipicamente tardo ottocentesca, ma l'attualità sembra dirci altro al riguardo.

Per N. il processo della conoscenza non può essere interrotto. Anche se ci si rende conto che la filosofia è contro la vita, non si può fare un passo indietro.
Allora si può solo cercare di scovare, in questo avanzamento, qualcosa di meno desolante del presente.
In effetti ci si potrebbe chiedere se questa non sia un'ultima forma di ottimismo. Un'ultima illusione. Pensare cioè che dalla conoscenza possa saltare fuori un uomo saggio e innocente.
Perché, secondo me, che uomini saggi e innocenti siano meglio degli uomini-iene del nostro tempo, è sicuro.
Che dagli uomini-iene però possano nascere uomini saggi e innocenti, beh, in effetti questo è tutto un altro discorso...
Ed è un discorso che contraddice l'invito del brano [71] di vivere senza speranza...
#146
La contraddizione descritta sopra è forse solo apparente:
- abbiamo visto che per N. non c'è responsabilità morale perché la scelta di una certa azione non è presa liberamente, ma è il risultato di un conflitto interiore che si risolve con il prevalere di quella motivazione che, per cause organiche o ambientali, ha raggiunto, rispetto a tutte le altre, l'intensità maggiore;
- nello stesso modo va giudicato l'uomo della conoscenza: non ha meriti per la scelta di perseguire le sue ricerche, esattamente come il ladro non va condannato moralmente per i suoi furti;
- ma la conoscenza, essendo rivelazione di questi stessi meccanismi, rompe questo ciclo di necessità: la consapevolezza della realtà delle cose, svelando l'inganno, toglie forza alle motivazioni interne, scioglie dalla lotta (Schopenhauer?);
- la civiltà è destinata a crescere in conoscenza, anche in conoscenza di questi fattori su cui hanno prosperato morale e religione, e un giorno, nella sua parte più evoluta, potrà produrre l'uomo saggio e innocente;

In conclusione della seconda parte nel brano [107] si legge:

"L'abitudine ereditaria di valutare, amare e odiare erroneamente può ben continuare a regnare in noi; sotto l'influsso della crescente conoscenza diventerà tuttavia più debole: una nuova abitudine, quella di comprendere, di non amare, di non odiare, di guardare dall'alto, si radica a poco a poco in noi sullo stesso terreno, e tra migliaia di anni sarà forse abbastanza potente da dare all'umanità la forza di produrre l'uomo saggio e innocente".
#147
Tematiche Filosofiche / Metafisica del coronavirus
08 Dicembre 2021, 16:54:03 PM
Beh, il video (che io intitolerei "Il volto della demenza") dimostra quello che dico già da un anno, ovvero che siamo in presenza di un abbassamento generale dell'intelligenza che non risparmia nemmeno intellettuali del calibro di Agamben.

Proprio oggi ho saputo che un amico di 49 anni, in forma, atletico etc., è in ospedale per covid attaccato al respiratore. Sua moglie è a casa senza sintomi. Lei vaccinata, lui no. È un caso?

Ripetere ancora come dementi che la mortalità bassa non giustifica azioni di politica sanitaria, facendo finta di non capire che il problema riguarda certo la salute del singolo ma anche la possibilità che il sistema sanitario sia saturo con gli inevitabili disservizi per tutti gli altri ammalati, dopo quasi due anni non avere ancora capito i rudimenti del problema, non avere capito che un'epidemia si supera in due soli modi: o separando le persone o la vaccinazione di massa...
E di fronte a dati incontrovertibili ascoltare ancora questi demenziali commenti: che il vaccino non protegge dal contagio etc., il che significa non aver nemmeno capito che cos'è un vaccino...

Questi soggetti meriterebbero di vivere in Cina, altro che le nostre drammatiche restrizioni da green pass, oppure in un paese del terzo mondo dove i vaccini proprio non ci sono e le terapie intensive una rarità.
#148
Veniamo alla morale, quindi alla seconda parte di "Umano, troppo umano", "Per la storia dei sentimenti morali".

N. si pone nei confronti della morale non come chi progetta di distruggerla (in una delle sue forme, per esempio quella cristiana), o almeno non solo come chi progetta di distruggerla, ma anche come chi è certo che la morale non possa essere altro che un inganno che storia dell'uomo e psicologia dimostrano in modo incontrovertibile.
N. sembra cioè che si disponga semplicemente ad accogliere questa verità, i risultati di un lungo percorso critico. Sembra si assuma il ruolo di mostrarne l'ineludibilità.
La cosa interessante però è che qua e là, tra gli aforismi critici, spunta anche qualche frammento che si potrebbe intitolare "verso una nuova etica",  come il brano [49] sulla benevolenza, cui segue non a caso quello critico-negativo sulla compassione.
Se cioè da una parte accoglie e approfondisce e chiarisce la distruzione della morale tradizionale, dall'altra inizia a lasciare anche qualche riflessione sugli effetti positivi che la liberazione da essa porterà.
Per esempio il brano [56] in cui descrive un uomo liberato dai tormenti della religione e della morale, calmo, consapevole che non esiste il bene e il male assoluti, e che proprio per questo non finirà per essere soggiogato dalla forza dei desideri (si presume che le passioni vengano alimentate da verità assolute, che l'ossessione del peccato produca forme morbose sia sul versante del desiderio di purezza e che di quello della tentazione).
Ogni meta risulterà depotenziata dalla conoscenza. Lo potremmo definire l'abbozzo di un relativismo salutare.
Anche in conclusione della prima parte, "Delle prime e ultime cose", nel brano [34], fa delle riflessioni in linea con questo abbozzo di ethos.
Il tema in quel caso era: se la filosofia, tornando ad essere "scientifica" dopo la lunga fase della metafisica (fase iniziata, secondo N., con la scelta di Socrate di porre come criterio della conoscenza la felicità umana) non finisca così per essere contro la vita. Cioè la questione dell'effetto della conoscenza.
Ecco che accanto agli effetti di distruzione della conoscenza appare questo uomo nuovo che sente "come lo stato più desiderabile, quel libero, impavido librarsi al di sopra degli uomini, dei costumi, delle leggi e delle tradizionali valutazioni delle cose". Una creatura pacificata. Una versione amabile dell'oltre-uomo...

C'è comunque anche un'esplicita confutazione della morale. Si trova nel brano [39]. Una confutazione storico-evolutiva, diciamo così. Il ragionamento è il seguente:
- inizialmente (si presume nei tempi remoti) si assegna "buono" o "cattivo" agli effetti di un'azione;
- poi si passa a definire buona o cattiva l'azioni in se', indipendentemente dagli effetti;
- quindi ci si interessa alle sole intenzioni: sono queste ad essere valutabili moralmente;
- poi si prosegue e si valuta l'uomo nel suo complesso, il suo essere, non il singolo motivo;
- infine si prende atto che, essendo ciascuno così com'è non per propria scelta, ma per effetto di natura e ambiente, non può esserci responsabilità.

E così, dice N., si è giunti a riconoscere che l'evoluzione dei sentimenti morali è la storia di un errore. Perché tutto il processo è basato sull'errore di credere alla libertà del volere.
E qui veniamo in effetti a quella contraddizione fatta notare da Paul: che senso avrebbe tutta la filosofia di N. in un sistema che non ammette il libero arbitrio?
#149
Citazione di: green demetr il 07 Dicembre 2021, 15:58:00 PM
Per esempio solo Cacciari si è accorto che l'eterno ritorno è il discorso della scimmia e non del suo autore ossia della sua filosofia.
In che senso? Perché dell'eterno ritorno N. ne parla sempre come del suo pensiero più grande.
Viene dalla scimmia nel senso di un inganno necessario?
#150
Se per esempio nella tradizione platonica si può parlare di distinzione di natura tra anima e corpo è perché, evidentemente, si riconosce nell'anima un'attività di qualità così superiore rispetto ai processi legati al corpo da considerare tale attività come divina.
Teorie come quella di origine pitagorica della trasmigrazione delle anime forniscono spiegazioni "miracolose" sull'origine e sulla natura dell'elemento nobile, immortale, del vivente.
A queste concezioni (metafisiche, nell'accezione di N.) che in generale deducono le attività superiori dell'uomo ponendo una dimensione trascendente, N. contrappone la sua spiegazione immanentistica e le sue genealogie inquietanti (perché rivelano l'origine rimossa, in quanto bassa, volgare, di ciò che si venera).

Sui riferimenti che fai ai poli opposti nella chimica, nell'elettromagnetismo etc. sei fuori strada: è chiaro che il senso del brano [1] anche nell'accenno alla scienza moderna non è fare considerazioni scientifiche di quel tipo, ma porre la questione della genesi delle idee considerate nobili, divine.

Ci sono spiegazioni psicologiche così come altre sbilanciate sul versante dell'evoluzionismo, certo, ma ridurre tutto a psicologismo e darwinismo mi sembra una grave semplificazione. 

Ma affinché tu possa rafforzare il tuo giudizio (di darwinismo, questa volta) leggiamo il brano [18], "Problemi fondamentali della metafisica".
La questione dell'identità, cioè il fatto di poter riconoscere degli oggetti identici, da cui i vari problemi legati alla permanenza e alla differenza, trattati per esempio nel Sofista di Platone, viene considerato da N. un errore (in quanto ogni cosa solo superficialmente può essere considerata uguale ad un'altra). Un errore che ha avuto un lungo percorso evolutivo.
Più si arretra a fasi remote dello sviluppo della conoscenza e maggiore è la propensione a vedere unità e identità.
Lo stesso si può dire della convinzione di vivere stati isolati, incondizionati, da cui si trae l'illusione della libertà, quando in realtà si è sempre condizionati da catene causali.
Concetti come Uno, identità, libero arbitrio, vengono da errori antichi, e la metafisica, occupandosi di preferenza di "sostanza e di libertà del volere" la si può vedere come la scienza che tratta degli errori fondamentali dell'uomo, però come se fossero verità fondamentali.