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Messaggi - Aumkaara

#136
Citazione di: Phil il 15 Ottobre 2020, 13:49:38 PM
@Aumkaara

Sulla constatazione dell'insostanzialità come "sede" di un promemoria implicito dell'esistenza/credenza/attaccamento riguardante la sostanzialità, ovvero sul potersi pensare privi di io solo ricordando la presenza/identità dell'io precedente, non sono sicuro sia un vincolo inscindibile: mentre scrivo queste righe non mi sto pensando come non-elefante, non-topo, non-bambino, non-adolescente, etc. scrivo e basta. Se mi mettessi a concettualizzare cosa (non) sono, oltre a non poter scrivere queste righe, significherebbe che mi sto "attaccando" ad un pensiero sulla mia (non) identità, affermativa o negativa che sia.

P.s.
Attribuendo alla pillola della scienza la trasparenza intendevo che non ha una tonalità emotiva (come quelle blu, rossa, nera), alludendo al suo voler descrivere la realtà così com'è, come fosse osservata da dietro un vetro trasparente, non da una vetrata colorata (come quelle delle chiese, per intenderci... la pillola filosofica sarebbe forse a specchio, nel senso che l'uomo ci si riflette). La mano vuota, senza un pillola (senza contenuto identificato convenzionalmente), mi sembra(va) un buon riferimento al varada mudra.


P.p.s
@viator
Aumkaara sta citando dal link che gli ho segnalato nel mio messaggio precedente questo.
Durante la constatazione vera e propria, anche se nel mio caso è stata spontanea solo per alcuni giorni (non so dire quanti) e che ora deve essere "voluta", non c'è una concettualizzazione, non a caso ho detto che è sufficiente che resti a margine, ed in tale posizione credo possa essere solo un'ombra, un residuo, poco più del ricordo di una sensazione.
PS: era una pignoleria, quella della pillola, nata dalle tante conversazioni, qui sul forum, che mi hanno portato ad insistere spesso sul fatto che la scienza secondo me non vede le cose così come sono, anzi, proprio astraendosi da emozioni e sensazioni, è una visione ancora più parziale di quella ordinaria: è "solo" più rigorosa, con tutte le conseguenze, anche vantaggiose, che comporta.
#137
Citazione di: viator il 15 Ottobre 2020, 13:32:37 PM
Salve Aumkaara. Non penso proprio la cosa ti interessi (poco anche a me, visto che sarò costretto a non leggerti più),  ma noto che insisti in improbabili dialoghi con (per me almeno) degli sconosciuti, dato che rispondi citando testi precedenti di interlocutori da te non citati e che magari si trovano (gli interventi cui replichi) spersi all'indietro - non si sa precisamente in quale pagina o posizione - nella discussione in corso.

Provo ad indovinare : sei per caso un estroverso spinto da compulsione comunicativa e che scrive da tablet ?.

Auguri di trovare miglior udienza della mia. Saluti.
Mi interessa invece, anche perché è sufficiente rendere più precise le citazioni per risolvere il problema. Mi interessano invece meno le analisi psicologiche, non tanto perché non possano essere utili, almeno in parte, ma perché, nel mio caso, qualunque introversione o complusione io abbia non si sta rilevando problematica, né fuori né in internet (nel mio caso usato non tramite tablet, ma in questo caso fa lo stesso), a parte con chi per abitudine premette la polemica alla comprensione (non è il tuo caso, non solo perché non so fare analisi psicologiche approfondite, soprattutto in internet, ma specialmente perché presumo che le tue ultime osservazioni nascano semplicemente da una difficoltà che ti ho effettivamente dato). Di base non trovavo neanche possibile che per qualcuno fosse davvero un problema rintracciare a chi appartengono le proprie citazioni, visto che di solito il nome manca quando è tratta dal messaggio precedente al mio, e che in ogni caso io trovo facile riconoscere a colpo d'occhio se una citazione in un forum è tratta da un mio scritto: se però è possibile che altri non abbiano la stessa facilità, da ora in avanti, con chi dovesse continuare a rispondermi non credo che dimenticherò di riportare il nome (magari senza farla diventare una compulsione, nel caso io ne soffrissi davvero).
#138

CitazioneNoi crediamo di essere persone, ma in realtà siamo solo marionette, zombie mossi dal nostro apparato chimico, privi di un Io stabile, un'illusione generata dalle nostre sinapsi cerebrali. Il senso che attribuiamo alle cose è anch'esso prodotto di quegli stessi processi chimici (le emozioni), senza i quali vedremmo il niente al centro del nostro essere. Privati delle emozioni possiamo vedere come le marionette sembrino soltanto persone, le imitino senza veramente esserlo. E qui l'argomentazione di Ligotti entra in una nuova dimensione.
Perché se ciò che crediamo essere una persona è in realtà una marionetta, cos'è allora una persona? Cos'è questa cosiddetta "persona" che imitiamo senza riuscire mai a essere veramente? Perché, soprattutto, non essere "persone", quest'entità così poco definita da essere inafferrabile, dovrebbe essere un problema?
L'ultima domanda centra il problema narrato in tutto l'articolo (che avevo notato anche io, quando iniziai a leggere il citato libro di Ligotti pochi anni fa): perché dovrebbe essere un problema? Di per sé non può esserlo, al massimo il problema sorge a causa dell'impreparazione all'evidenza dell'insostanzialità del senso dell'io. C'è un libro, in inglese, "autobiografico" (le virgolette dono d'obbligo, vista l'assenza di un senso di sé), di una ragazza che negli anni '90 subì improvvisamente ed inspiegabilmente (stava semplicemente salendo su di un autobus) la repentina perdita di autoriferimento personale, senza aver mai saputo niente dell'argomento e senza aver avuto precedenti percorsi psicologici o spirituali, a parte un breve periodo di frequentazione di un corso di meditazione tempo addietro. Venne fuori in seguito che forse aveva subito abusi da bambina, il che potrebbe essere la causa della sua esperienza, che in psichiatra potrebbe essere definita come una depersonalizzazione (anche se pare che gli specialisti che consultò non sapessero ben diagnosticare la forma che aveva colpito lei), però visto che anni dopo morì con un tumore cerebrale, potrebbe essere stata la sua presenza in certe aree del cervello a causargli l'esperienza descritta (non so se una malattia del genere può crescere lentamente per più di dieci anni, come nel suo caso, facendo danni così particolari fin dall'inizio). Ma le cause poco importano, perché in ogni caso trovò il modo di conviverci perfettamente, dopo everlo studiato e compreso, anche tramite insegnanti come quelli di alcune correnti buddiste, o di acuni vedantin. Prima di conviverci, però, passò anni in un costante senso di terrore, anche durante il sonno (se ne rendeva conto perché, scrisse, il sonno era diventato lucido e consapevole): pur non essendoci "nessuno" in lei a provare sconcerto per l'inspiegabile e improvvisa esperienza, il suo "sistema psichico" formato da istinti ed emozioni reagiva automaticamente con la paura, di fronte all'inspiegabilità dell'evento. Il problema sparì quando, studiandolo, potè introiettare ed elaborare proprio il concetto che "non essendoci nessuno a provare paura, la paura non serve a nessuno". A quel punto, il "sistema psicofisico" si rilassò spontaneamente.
Proprio come dice l'articolo che hai proposto, quindi, non c'è nessuna identificazione tra ciò di cui parlo io e un eventuale disagio conseguente più o meno passeggero. Quest'ultimo è solo una sovrapposizione, non una "realtà ultima" del nostro essere oltre tutte le illusioni psicoemotive.
In fondo non è una realtà ultima neanche la tranquilla constatazione dell'insostanzialità del senso dell'io, perché anch'essa è un fenomeno dipendente (interdipendente, direbbe il Buddismo) da condizioni relative (infatti ci deve essere per lo meno il ricordo del senso di sé, anche solo ai margini della coscienza, altrimenti non se ne potrebbe constatare l'insostanzialità.
Il fatto che però non si debba assolutizzare neanche l'interdipendenza, l'insostanzialità e l'impermanenza (come secondo me potrebbero invece far correre il rischio alcune chiavi di lettura del Buddismo), lo si può capire approfondendo ulteriormente l'attenzione sulla constatazione di insostanzialità qui in esame: tale constatazione ha infatti bisogno, come dicevamo, che gli elementi presi in esame (in questo caso il senso di autoreferenza) siano presenti perlomeno marginalmente, il che porta ad una ulteriore forma di autoreferenzialità, ad un circolo formato da oggetti insostanziali che, in quanto tali, non possono sostenersi da soli (da qui, tutta la filosofia Vedica sull'assoluto indefinibile che fa da sfondo a tali apparenze, filosofia che fa da supporto tanto quanto quella Buddista, pur essendo opposte nelle premesse e nelle conclusioni dottrinarie più tradizionali - ma, appunto, non nei risultati pratici che stiamo esaminando, nè nelle conclusioni dottrinarie più aperte al dialogo): questo non deve portare ad una ulteriore ricerca di qualche dato assoluto e stabile (ricreando l'errore fatto da tutta la vita con il senso del sé, creduto appunto un dato granitico, evidente ed indipendente), non si deve ad esempio rischiare di "personalizzare" lo spazio coscienziale che osserva l'assenza del senso di sé (come invece quasi suggerisce l'articolo citato), ma si deve solo giungere ad una attenzione altrettanto continuativa e di "livello" più profondo: all'insostanzialità di TUTTI i dati, non solo del senso dell'io (e già, come dicevo nel primo messaggio, questo avviene quasi spontaneamente prima o poi, una volta fatta la constatazione dell'assenza di una autentica autoreferenzialità).


CitazioneFinché vediamo pillole colorate, siamo nel semantico e nell'emozionale (attrazione/repulsione); se la pillola è trasparente, siamo in ambito scientifico-descrittivo; se nella mano di Morpheus non vediamo nessuna pillola (sunyata), non ci resta che accennare un vuoto sorriso come Kashyapa.
Piccola nota: diciamo che la pillola della scienza è grigia, di certo non trasparente: varie sfumature di grigio, ovvero con essa si focalizza lo studio della minurabilità dell'esistenza, tutte asetticamente uguali per la scienza (quindi appunto grigie) se non per differenze quantitative.
Trasparente è appunto solo l'ultima pippola: talmente trasparente da essere sinonimo di mano vuota.
#139
Stai chiedendo se mi trovo cambiato, o meglio se vedo il mondo diversamente, quando l'attenzione si distrae da questa evidenza dell'insostanzialità del senso dell'io: ho compreso bene?
Non direi... al massimo si rafforza il pensiero (ma a quel punto è appunto solo un pensiero) di quanto siano opinabili le realtà sul proprio senso di sé e sulle qualità e le definizioni del mondo. E a sua volta, questo pensiero rafforzato, aumenta la probabilità di porre di nuovo l'attenzione all'insostanzialità del senso dell'io in tempi brevi.
#140
DANTE: come dice spesso il Massimo che seguo e che avevo accennato in precedenza, poco importa se uno sterminio conta 7 milioni, 50 milioni, 800 mila o 20 persone: la quantità conta poco o niente, il problema è che c'è stato (poi sono comunque il primo che non ha problemi a mettere in dubbio TUTTI i così detti dati di fatto, soprattutto quelli storici, frutto di memorie inevitabilmente distorte dalle emozioni e dalle impressioni soggettive, è dalle convenienze di chi le redige).
Con Gesù potremmo vederla allo stesso modo: ispira? Ci si può vedere il logos o la divinità? (Anche se si potrebbe vedere in molti altri, e, con molto sforzo, in tutto quanto.) Allora poco importa se è morto ultracentenario a Roza Bal nel Pakistan, a cinquanta anni in qualche deserto, o a 33 anni in croce (33 come le vertebre umane, struttura biologica considerata in tante culture come effettiva sede biologica del progresso spirituale, non a caso alcuni riti massonici arrivano al 33° grado) per poi risorgere e volare in cielo alla Neo (cosa che adoro, soprattutto nel secondo film). Il problema è aver fondato la fede non su di (una versione) di lui, ma sulla resurrezione in particolare. Crea più problemi che altro, soprattutto alla luce di altre possibilità anche più spirituali ed interiori. Ma, ovviamente, questa è una considerazione troppo tiepida per sostituirsi ad un credo millenario.


INVERNO: chi soffre o è perseguitato suscita la mia empatia, ma questo non mi spinge a dargli particolarmente ragione. Visto che sono oramai portato a pensare che per ogni problema c'è almeno una soluzione che, anche se comprensibilmente non è sempre attuabile, è però altrettanto vero che spesso non vedo, da parte di coloro che sono nei guai, neanche la voglia di pensarla, una soluzione. E non sempre sembra che sia per una più o meno momentanea mancanza di risorse interiori (anche se possibile e non sempre evidente).
PS: capisco che era solo un esempio, quello dei perseguitati da Big Farma (e anche quel che dico io sull'argomento è solo un esempio su tanti, anche perché non mi sono mai molto interessato alla questione vaccini o farmaci in generale), ma mi viene da notare che io, a differenza dei tanti che sono diffidenti di qualunque ipotesi complottista, non trovo quasi mai coloro che si lamentano di essere perseguitati (così come non trovo facilmente terrapiattisti e rettilianofili, eppure di complottismo ne leggo e ne ascolto tanto, per lo meno quello che si presenta più seriamente, che lo sia o meno). Trovo invece coloro che, qualificati per parlare, affermano di aver notato questo e quest'altro problema (ad esempio, problemi sulla composizione di almeno alcuni vaccini, o dubbi sull'efficacia di uno o due altri vaccini), e, nel dire così, sembra che al massimo ci guadagnino qualche migliaio di seguaci su YouTube e la denigrazione di tutti i colleghi e giornalisti in televisione. Viceversa, i conflitti di interessi con cui guadagnano gli esperti assolutamente pro vaccini, sono osannati da notiziari e pubblico. Forse sono sfortunato io a trovare i complottari più convincenti e bravi a far sorgere dubbi, senza lamentarsi troppo. Peccato che, tornando alla religione, i religiosi che si lamentano di più (per il fatto che la società di oggi appare contraria ai loro precetti) sono attratti dal pensiero "complottista", perché anch'esso mette in dubbio molti aspetti della società, anche se, tendenzialmente, lo fanno dando maggiori ragioni (più o meno dimostrate).
#141
Ho fatto come sempre il filosofico, ma, facendo per un attimo lo storico: mai sentita la teoria dell'escamotage con cui potrebbe essersi salvato dalla croce? Mentre la resurrezione descritta era funzionale per diffondere una speranza più utile e comprensibile rispetto ad un eventuale insegnamento su di una risurrezione in senso spirituale?
Chiaramente è solo una delle tante teorie, faccio solo un sondaggio, non pretendo di proporre alternative a chi ama la versione tradizionale.
#142
Citazione di: IpaziaPerchè ? Sa tanto di noumeno kantiano ovvero di metafisica hard, abituata a mettere il carro davanti ai buoi. Che l'universo reale sia complesso, e la nostra ignoranza grande, è evidente

Perché... ci abbiamo già provato ad arrivare al perché, ma ci siamo fermati ad un "evidente dato di fatto" empirico, nonostante persino la scienza non postuli dati di fatto di questo genere. TUTTO il percepibile e il conoscibile indagabile con il metodo scientifico è confutabile, anche secondo la scienza, figuriamoci per la filosofia. Se vogliamo riprendere da dove ci siamo fermati, vedremo se quello che ho detto è filosoficamente sensato e scientificamente possibile (anche solo nel senso che la scienza non può arrivare a smentirlo perché non rientra nel suo ambito, e non perché sia meno vero o reale di ciò che può indagare la scienza).
#143
InVerno: chiarissimo. Anche per me non ha senso impelagarsi con la ragione, se si crede in qualcosa senza bisogno di prove empiriche o più logiche di altre. Se lo si fa comunque, si deve essere pronti a rivedere ciò in cui si crede, oppure a cambiare (fino a distruggere?) l'avversario, oppure a combattere a lungo perché entrambe le parti sono inamovibili ma continuano con l'opera di convincimento reciproco.
Il problema è che la distinzione tra logica e fede non è sempre chiara a tutti o in ogni momento della vita: quando ho detto "credere in assenza di logiche più ampie", ho dato per scontato che per il credente sia facile esplorare possibilità più logiche rispetto a ciò in cui crede. Ma raramente è così: più spesso, dire "è perfettamente logico che Gesù sia risorto, perché è scritto e perché tanti sono morti per questo" sembra già il massimo della logica o della prova empirica, per il devoto più fervente. A quel punto sta agli altri interrompere lo scambio di domande per stabilire una logica più ampia. Non per saccenza, ma per... un atto di fede: fede nel fatto che la logica, se è segno di verità, si farà strada in altri modi, magari proprio attraverso cose che appaiono meno logiche o meno provate (e che, magari, chissà, in alcuni casi possono essere empiricamente più probabili: la logica più estrema e le prove più sicure non garantiscono certezza assoluta, non se non si sa seguire fino in fondo almeno la logica, andando anche oltre di essa, che spesso non significa trovare davvero certezze ma semplicemente tornare a guardare le cose con occhi diversi dopo aver percorso il sentiero logico fino in fondo, ad ogni costo; ma in fondo, si può ottenere lo stesso risultato anche con altre strade, anche con la fede. Andando fino in fondo però, non perdendosi in strade diverse da quella intrapresa).
#144
Scienza e Tecnologia / Re:Inflazione cosmica
14 Ottobre 2020, 02:15:28 AM
Citazione
Dalla verifica, in questo caso sperimentale, di questa temperatura media omogenea, è stato possibile accertare come vera l'ipotesi del big bang.

Insomma, al di là di ogni altra considerazione, l'indagine sull'universo è davvero un campo pieno di sorprese meravigliose, rispetto alle quali, tra l'altro, non credo che il pensiero filosofico possa restare indifferente.

Riesumo questo argomento relativamente vecchio: non tanto per sottolineare la provvisorietà della "accertata verità dell'ipotesi del big bang", che già altri hanno ricordato: la provvisorietà e la parzialità delle conferme scientifiche sono il bello della scienza, anche se questo la limita. E oltre tale limite c'è appunto la filosofia, così come la scienza inizia là dove finisce l'opinione e la preferenza personale (che può essere più o meno condivisa ma non per questo confermata maggiormente rispetto alle questioni scientifiche), allo stesso modo la fosofia non può essere smentita dalle conferme della scienza. Non la filosofia vista come un mero commento di altro (come la filosofia della scienza ad esempio), ma la filosofia intesa come tensione rigorosa, ampia ed estrema verso il massimo sviluppo possibile, in ogni direzione (cioè con molteplici forme di concatenazione logica, anche opposte tra loro), partendo da presupposti che devono essere anch'essi sacrificabili in tali sviluppi logici. "Vince" la concatenazione più duratura, che comunque finirà nello stesso modo delle altre: si arresterà per assenza di spiegazioni definitive, o per ricorsioni che in fondo indicano una medesima assenza. Oltre la quale, dopo un momento quasi ineffabile non sempre avvertito, c'è solo la ridiscesa alle questioni sperimentali e alle opinioni, o anche più giù, alle emozioni e sensazioni e alle vicissitudini più corporali. Il tutto vissuto in modo diverso, dopo la salita e la ridiscesa. O meglio, vissuto per la prima volta per come si presenta, più che per come volevamo.
La scienza non può invece sacrificare i propri presupposti, per lo meno non quelli che la rendono quella che è (e che sono più filosofici che scientifici), e che sono stati posti a fondamento della scienza per scopi diversi dalla verità: la scienza la si vuole funzionale, non veritiera, anche se ideologicamente si può scambiare la funzionalità con la verità e con la realtà.


Per questo, a differenza di quanto detto alla fine del post di apertura citato, il pensiero filosofico può restare per lo più indifferente verso le conferme scientifiche, sempre provvisorie, come quelle sul big bang. Non certo perché non siano affascinanti e grandiose, ma perché si basano su presupposti già indagati e risolti dalla filosofia, se per "risolti" si intende l'averli portati alle estreme conseguenze, e averne constatato l'inconsistenza.
Ad esempio: la casualità con cui l'uniforme e ribollente vuoto ordinato si rompe in un certo momento, dando così sviluppo al relativo disequilibrio di forze chiamato universo.
Casualità... Ma in un crogiolo di forze opposte che si scontrano in molteplici modi, anche se la maggioranza di tali modi porta ad un equilibrio istantaneo che permette una uniformità generalizzata, ci sarà necessariamente un'infinità di eccezioni, tra cui quella che fa apparire il nostro universo. È una necessità, una conseguenza spontanea ed ovvia se le condizioni erano quelle descritte: un ribollire di scontri senza particolari limiti.

Il caso, nel senso che eccezioni all'uniformità ribollente potevano non esserci, non ha senso, non se tale condizione dinamica non ha particolari limitazioni o condizioni prestabilite. Se può avvenire un disequilibrio, e non tutte le condizioni equilibrate sono sufficienti ad impedirlo, esso accadrà. Tutt'al più può esserci casualità nel determinare quale specifico disequilibrio si svilupperà. Ma neanche, perché anch'esso sarà quello con le caratteristiche più appropriate a farsi spazio, almeno "momentaneamente", tra i suoi simili (un momento che può corrispondere alla durata di questo universo.

Questa non è la descrizione di un determinismo assoluto: il tutto infatti avviene in un sottofondo quantistico pieno di probabilità multiple comunque presenti, molte delle quali potranno svilupparsi prima o poi o in qualche altra maniera "parallela".

Ma, soprattutto, non si tratta di un determinismo assoluto perché non c'è una causa precedente all'apparire dell'universo. Neanche il ribollente sostrato uniforme è infatti la causa della rottura di equilibrio con cui appare l'universo, perché non c'è un tempo che possa determinare il passaggio dall'uniformità quantistica al disequilibrio inflazionistico. La schiuma del "vuoto" è infatti nella scala di Plank (seguo quel che ricordo dei testi di fisica non scolastica né universitaria), in cui anche lo spazio ed il tempo ribollono, ed in cui quindi non c'è linearità e continuità temporale. Da questo punto di vista, non c'è nessun passaggio temporale dalla schiuma quantistica all'universo inflazionato ordinario. È come cercare di determinare quando è sorta la casa dai mattoni. Non c'è stato un passaggio dai mattoni alla casa, i mattoni rimangono mattoni prima, durante e dopo l'evento chiamato casa, e la casa non ha un inizio identificabile, non c'è un momento durante la sua costruzione che può essere indicato dicendo "ecco, questa ora è una casa", al massimo può essere detto convenzionalmente quando la costruzione è considerabile come abitabile o quando si sono completati sufficientemente anche i dettagli desiderati, considerazioni non altrettanto ben applicabili all'universo, che non è visto dalla magiioanza della scienza come un luogo finalizzato ad una qualche finalità (come appunto l'abitabilità) e che si trova in continuo mutamento.

Parlando più in astratto ma ancor più in aderenza con la scienza a cui si adatta bene proprio il linguaggio matematico, è come voler cercare l'inizio della numerazione, o il passaggio da 0 a 1, cercando tra gli infinitesimi: quale è il numero infinitesimale da cui cominciano i numeri naturali? Non c'è: nonostante gli infinitesimali siano alla base dei numeri naturali, la caratteristica degli infinitesimali è proprio quella di essere indefinitamente decrescenti, sono riducibili a piacere, senza limite. Non importa quanti infinitesimali aggiungi allo zero, non raggiungerai mai pienamente l'uno. Per passare da 0 a 1 devi aggiungere 1, l'intero. Per passare da nessun universo ad un universo, devi considerare l'universo intero, non una sua frazione infinitesimale (nonostante tu possa guardare l'universo-intero dal punto di vista della totalità degli infinitesimali, ma a questo punto sei nei transfiniti, non più negli infinitesimali, e neanche più negli interi naturali).
Non c'è il tempo zero, o il punto primo, da cui si è passati dalla quantistica alla fisica ordinaria. L'universo ha un inizio ma non è rintracciabile, perché ha un sostrato infinitesimale non commensurabile al suo apparire esteso: il suo inizio è il suo limite nel tempo, non un suo apparire nel tempo.
#145
InVerno: per non rischiare di averti frainteso, puoi farmi un esempio pratico? Ho riletto i messaggi precedenti ma non sono sicuro di aver compreso neanche così.
Ad esempio, portando all'estremo il caso del martirio, si dovrebbe notare che esso non ha avuto senso nella Storia solo in vista della resurrezione?
#146
Citazione di: Dante il Pedante
Io sto sempre parlando di universali "dell'uomo" non so voi... :)

Io... sì e no. Nel senso che, come ha appena detto anche Ipazia, gli universali (più o meno umani od elevati che siano, aggiungo io) sono utili, finché li consideriamo comunque relativi (ma a differenza di Ipazia io opterei per non metterli in secondo piano rispetto ai dati di fatto sensibili, essendo questi ancora più relativi e provvisori, anche se quest'ultimi non vanno comunque dimenticati, altrimenti si faranno sentire prima o poi da sé).
Però persino gli universali più umani non sono poi... molto umani, o comunque fanno presto a cercare di andare oltre sé stessi: l'essere umano non riesce a lungo a restare dov'è, tende sempre ad "altro", e, se non ci riesce in verticale (uscendo dall'orbita, come suggerivo, per vedere se l'universale morte-tramonto vale per ogni coordinata), ci prova in orizzontale (sognando reviviscenti risvegli futuri dopo una morte criogenica, o download perpetui della memoria in supporti artificiali - e magari ci riuscirà, ma non credo che sarà quello che pensava di ottenere... ma questa è un'altra storia, per la sezione Scienza e Tecnologia forse).


Citazione di: IpaziaStavolta concordo con Aum
Comincio a preoccuparmi sul serio.
[Scherzo.]


Citazione di: IpaziaHa ragione il non duale Aum a puntare su questa mediazione che va a nozze con l'assoluto relativo dell'immanentista plurale Ipazia, anche se comprendo non soddisfi i postulantitori dell'Assoluto e del Relativo.
Non mi è chiara la differenza tra un assoluto relativo immanentista e un relativo postulato, ma la poca soddisfazione che dei postulanti opposti tra loro (uno dell'assoluto e l'altro del relativo) possono trovare nella mediazione non lineare, come l'ho chiamata io, é inevitabile ma anche abbastanza utile: mostra come non abbiano via d'uscita dallo scontrarsi o dal cedere posizione, se non tendendo verso l'alto (poco importa se visto come una costruzione o come una realtà superiore, anche perché sono vere entrambe le cose, a mio parere: tutta l'esistenza, alta o bassa, interiore o esteriore, condivisibile o privata, è una costruzione, un punto di vista, una conoscenza provvisoria e parziale, di una totalità reale mai percepibile e mai conoscibile, né con la sperimentazione più riproducibile, il dato più preciso o la tecnica più rigorosa, né con la più elevata delle altezze filosofiche, estatiche o metafisiche; non ce n'è bisogno, è quello che già siamo di base).
#147
Il sonno è più che altro una attenuazione o un incatenamento dell'io, e lo è, anche se in forma diversa, il concentrarsi su qualche attività specifica.
Quello di cui ho parlato è più che altro un riconoscimento del fatto che esso è solo una sensazione. Tale riconoscimento tiene conto dell'io, anche solo come possibilità o ricordo, ma lo rende anche trasparente più che attenuato o incatenato, o, meglio ancora, lo mostra simile a quelle figure in cui un oggetto esiste solo come contorno di altri oggetti ravvicinati (tipo la coppa vista nello spazio vuoto tra due volti contrapposti, se avete presente il disegno).
#148
InVerno: non c'è niente di male a restare terra terra, anzi, è doveroso prenderla in considerazione e ogni tanto posarcisi pure. Trovo ad esempio l'idea della rianimazione di un cadavere attuata grazie ad energie nascoste una cosa non impossibile in assoluto (se qualcuno volesse aggiungere che è stato il volere di Dio, gli chiederei cosa c'è che può non rientrare nel suo volere), ma molto poco interessante da prendere in considerazione basandomi su scritti diffusi inizialmente per il fervore immaginativo che suscitavano e poi accettati dalle autorità per motivi politici. Il problema del terra terra è che si rimane tra due punti estremi opposti, come dicevo a Phil in un altro argomento su di un'altra pagina. In questo caso, si vaga tra l'estremo "era un fraintendimento o una manipolazione utile per promuovere una nuova religione" e l'estremo opposto "credo che le cose siano andate come è stato scritto (in quattro modi diversi, ma li considero dettagli"). Ed è inutile trovare una mediazione definitiva tra questi opposti, se non combattendo il punto di vista opposto oppure ammorbidendo o reprimendo la propria posizione estrema (ad esempio, il non escludere che molte altre cose raccontate siano vere, che Gesù fosse superiore alla media e che una resurrezione di diverso tipo, non fisica, sia possibile, come la interpretano alcuni teologi).
Se non si vuole essere estremi o tiepidamente nel mezzo, c'è il disinteresse verso il basso (come per la maggior parte delle persone) o una visione più ampia, verso "l'alto", da cui poi ridiscendere affrontando qualunque posizione senza troppe paure e troppi desideri che potrebbero distorcere la valutazione.
A me ad esempio, che mi sono avventurato in cose un pochino più complesse (senza che questo significhi superiorità o meriti, e neanche indifferenza o sdegno verso i sentimenti religiosi), non fa differenza se Gesù è risorto fisicamente, o è risorto in una dimensione più sottile, o se non è mai esistito se non come somma di varie figure e leggende, o se era un filo-Esseno ribelle morto ultracentenario in Pakistan dopo essere stato iniziato a sapienze spirituali che cercavano ben altro che un paradiso in terra o in cielo: in ogni caso, non aderisco alle testimonianze di una manciata di persone o ai comportamenti di una miriade di martiri, e neanche prendo troppo alla lettera le sapienze antiche, anche se possono essermi più affini. Mi interessa di più, nel caso della religione, accostarmi a ciò che suscita i bisogni religiosi, e mi interessa usare come simboli di conoscenze più ampie e profonde ciò che è narrato nelle varie fedi. Se ci sono altre strade oltre questa, oppure oltre la lotta, oltre l'accomodamento o oltre l'indifferenza, per ora mi è sfiluggita.




#149
Citazione di: Dante il PedanteLa morte,non importa se le cellule poi subiscono un altro processo perché stiamo parlando di un ben preciso evento  (vedere def.scient.di morte corporale)è un FATTO
Sostituisco un paio di parole:
"il tramonto, non importa se il cielo poi subisce un altro processo perché stiamo parlando di un ben preciso evento  (vedere def.scient. di sparizione della luce) è un FATTO".
Ora, esci dall'orbita terrestre (difficile, ma non impossibile come veniva pensato un tempo) e mettiti ad aspettare il tramonto, mi farai sapere se era davvero un fatto o solo un punto di vista parziale. 🙃
#150
Citazione di: InVerno il 13 Ottobre 2020, 12:53:04 PM
I kamikaze trovavano ispirazione per la loro immolazione nell'ideale della patria, e in alcune idee del buddismo zen riguardo l'annullamento di sé stessi.
La storia è zeppa di ideologie che tendono a sminuire la vita degli individui di fronte ad un idea, e il risultato per niente illogico è che quelli che praticano questi sentieri cominciano a morire come mosche, o addirittura a creare culti della morte, dove la morte individuale assume un valore salvifico e liberatorio.
Non per unire per forza questo argomento a quello che ho pubblicato poco fa io, ma il punto sta proprio nel prendere alla lettera la morte corporale o sociale (come l'eremitaggio, ecc.) invece di prenderla come un simbolo (nel caso di quella corporale), o come un eventuale strumento (nel caso dell'isolamento o dell'abbandono di certe idee ed abitudini), da usare con moderazione come tutti gli strumenti.
Simbolo o strumento che non vuole confondere la propria soggettività con il corpo, e neanche con le idee personali o con la vita sociale.
Il simbolo della morte, nei contesti religiosi, filosofici e simili (persino nei riti "funebri" delle iniziazioni massoniche), riguarda un aspetto più sottile, semplice, ma proprio per questo più sfuggente: il senso dell'io (che è appunto solo una delle tante sensazioni), l'assurda oggettivazione della soggettività (che però ci sembra normale, tanto da pensare di poter indicare qualcosa e poter dire "sono io"), la presenza di un "me" che è appunto solo una presenza.
"Annullare" tale sensazione-presenza, o per meglio dire riconoscere la sua apparenza, insostanzialità o comunque la sua non indipendenza da tutto il resto del percepibile o del pensabile, non ha niente a che vedere con l'impossibile morte della soggettività (anche attenuando un qualunque dato di percezione, quindi anche attenuando il senso dell'io, resterà comunque sempre quello "spazio mentale" in cui si affacciano tutte le altre percezioni, idee, rapporti, ecc., anche se saranno vissuti con un'altra prospettiva), e non ha niente a che fare neanche con la morte corporale, che di per sé non può risolvere o far scoprire niente di definitivo (se essa portasse ad una realizzazione assoluta o viceversa ad una fine assoluta, avremmo in entrambi i casi trovato un evento assoluto, il che è assurdo).