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Messaggi - Visechi

#136
Non puoi creare un'artificiosa diretta correlazione, se non addirittura una forzata coincidenza, fra capitale e società capitalista. Il primo è causa della seconda, il che significa che il capitale precedette la formazione di comunità asservite alla sua protervia, ovverosia nazioni capitaliste quali l'Inghilterra.
Ad ogni buon conto, accolgo il tuo rilievo e t'invito a leggere il periodo da te stralciato in maniera più sfumata, forse magari mutando pure la causa: da capitale (che indiscutibilmente giocò il suo ruolo) a potere.
#137
Caspita! Faccio ammenda, ora è davvero tutto chiaro.
#138
Citazione di: anthonyi il 25 Novembre 2024, 06:48:52 AME infatti le regole le fanno gli uomini, 
A che serve questa inutile pedanteria? Perché insistere nel farmi notare una cosa lapalissiana? 
Saresti altrettanto pedante se un sociologo sostenesse che "Internet ha imposto un modello di relazione...". Salteresti sulla sedia per redarguire il conferenziere contestandogli il fatto che internet non impone nulla, caso mai sono gli uomini...
Così via se si discutesse del Male, della Chiesa... insomma un confronto impossibile quando ci si limita a focalizzare cose inutili.
#139
Citazione di: baylham il 24 Novembre 2024, 19:01:40 PMLe economie capitalistiche hanno inizio alla fine del 1700 in Europa, il primo paese capitalista è l'Inghilterra, non confondiamo la storia.
Perché mi fai notare questo aspetto della storia del capitale, peraltro più che noto?
In quale punto del mio intervento rilevi confusioni storiche?
#140
Citazione di: anthonyi il 24 Novembre 2024, 22:26:47 PMNon c'é nulla da capire in questi discorsi assurdi e metafisici. Nella "tua" concezione il "capitale" sarebbe un'entità volontaristica che ha dei fini  e non ha morale. Ma il "capitale" non é un'entità personale, queste cose, aver dei fini, rispettare o no una morale le fanno gli uomini.
Certo, certo concordo pienamente. Davvero un commento dirimente.
#141
Tematiche Filosofiche / Re: Psicoanalisi
24 Novembre 2024, 22:36:16 PM
Vero e corretto farmi notare, un pochino piccato (ciò la dice lunga sul narcisismo esposto e da me sì tanto ignominiosamente frustrato), che il suo sconnesso (ribadisco) periodare sia da ricondurre ad un contesto di confronto con altri avventori di questo luogo virtuale, ove ad un intervento segue una replica, la più coerente possibile con l'intervento che l'ha causata e pretesa. Ma è proprio questa coerenza che in diverse sezioni del suo intervento da me commentato proprio viene a mancare. Perciò ho scritto che sono sovente (non sempre) irrelati. Mentre, invece, ben difficile risulta orientarsi fra le crepe prodottesi in quel bradisismo lessicale che spesso caratterizza i suoi spesso inconsulti contributi alla discussione. Sarà la fretta che li ispira? Non so!   

Per quanto riguarda "il passaggio psicotico del 'salvatore'" (mia semplificazione), mancando in lei del tutto l'arguzia per reperire nel suo intervento la sezione da me dileggiata, provvedo a riportarne uno stralcio, spero di farle cosa gradita. Potrà così anche lei reperire nel significato del suo pensiero, almeno su questo argomento, quel tanto di risibile che mi ha spinto a testimoniarne: "Si sa, per esempio, che durante la sopravvivenza nelle catastrofi la mente umana trova nel funzionamento psicotico il sostegno più valido. Quando c'è il terremoto e si deve pensare a salvare altre persone mentre si cerca di capire se un pavimento o un soffitto crolla o come aprire una porta nonostante le deformazioni del cemento armato durante i sussulti, la mente si deve scindere: i pensieri devono stare divisi per riuscire. Mentre si pensa con una mano ad aprire una porta e con estremo impegno a capire come fare, si deve mettere attenzione a come comunicare qualcosa, che parole gridare per aiutare un altro, se ci si ritiene in condizione di apprestare un aiuto, senza aver tempo ed energie per una vera e propria connessione mentale. Questo è uno stato schizofrenico e non c'è proprio nulla di male."
Da dove ha reperito simile sciocchezza renderà edotta l'assemblea di spettatori, spero.
Per il resto... transeat. Mi riservo di commentare nel dettaglio quanto da lei scritto, sperando che l'intera ecclesiae di spettatori saprà pazientare.
#142
Citazione di: baylham il 24 Novembre 2024, 19:01:40 PMLe economie capitalistiche hanno inizio alla fine del 1700 in Europa, il primo paese capitalista è l'Inghilterra, non confondiamo la storia.

Il sistema capitalista ha molti aspetti positivi dal punto di vista economico e sociale, alcuni degli aspetti negativi sono tipici di qualunque economia.
Qualunque attività economica, indipendentemente dal sistema, è basata su processi entropici, il cui risultato finale è la produzione di scarti, rifiuti, inquinamento. Il sistema capitalistico accentua questi processi perchè è dinamico in modo esponenziale grazie al progresso tecnico.
Le guerre, le colonie, la schiavitù, lo sfruttamento non sono un'invenzione del capitalismo, ma dei sistemi economici e sociali in generale. Che il capitalismo abbia bisogno per sussistere delle colonie o della guerra sono sciocchezze marxiste.

Un aspetto profondamente negativo tipico del sistema capitalistico è la sua strutturale incapacità di assistenza  economica e sociale verso la popolazione che lo adotta, perciò favorisce le disuguaglianze economiche e sociali.
Il compito dello Stato è di porvi rimedio.

Per me il problema principale attuale non è il capitalismo ma la sovrappopolazione umana, all'origine di molti altri problemi economici e sociali che hai elencato.


Scrivevo che il capitale, se non governato (anche per questo esistono i governi), pur di conseguire il suo unico fine, cioè accrescere sé stesso per soddisfare i suoi possessori posseduti, non si perita di saccheggiare il territorio. Non avverte i morsi degli scrupoli. È amorale e autoreferenziale. Che lo Stato abbia il compito di incanalarne le 'mortifere' potenzialità (mortifere sé lasciato a sé stesso) è un qualcosa che sottoscrivo pienamente; che non si possa comunque prescindere dal capitale per far crescere un territorio, è un'altra di quelle tautologie che non mi sogno di negare.
#143
Citazione di: anthonyi il 24 Novembre 2024, 17:22:01 PMComplimenti, Visechi, per l'ennesima dissertazione di stampo vetero marxista.
Il mondo di oggi ha tanti problemi, ma per nessuno di questi il pensiero Marxiano offre una minima accettabile spiegazione o soluzione. Continua a vivere nel tuo mondo, e a non vedere la realtà.
Tranquillo, vedrai che se rileggi riuscirai a capire qualcosa anche tu.
#144
Parte 2/2

Nel passato i mutamenti erano scanditi da tempi lunghi, non improvvisi e mai eccessivamente invasivi. Compatibili con i tempi di rigenerazione. Gli ecosistemi trovavano il tempo indispensabile per adattarsi e fagocitare, assimilare e metabolizzare i cambiamenti. L'uomo e le sue attività prosperavano (quando prosperavano) e la Natura proseguiva il suo corso. 
Mai come oggi abbiamo gli strumenti tecnologici per modificare in maniera repentina ed irrimediabile lo status della Natura. Mai come oggi abbiamo in mano i dispositivi ed i congegni sufficienti per distruggere l'intero pianeta, con noi dentro. Poco rileva che le aspettative di vita siano cresciute fin oltre gli 80 anni, se poi la vera prospettiva rischia di essere solo quella di sopravvivere in un deserto. Questa è la vera unica novità rispetto al passato. Noi siamo in condizione di distruggere il pianeta, abbiamo a disposizione gli strumenti per farlo. E la grande preoccupazione è legata al fatto che questi strumenti siano in massima parte in mano a personaggi come Trump, Putin, Netanyahu o al pazzo nordcoreano di turno.
In Lombardia, nel triangolo industriale Brescia-Bergamo-Milano, il consumo del suolo ha raggiunto e forse superato il punto di non ritorno. Quella è la zona geografica più antropizzata d'Europa. La Natura soffre, non ha il tempo di assimilare e di rigenerarsi e s'impregna della putredine che le cattedrali del progresso riversano indisturbate in foggia di materiali di scarto delle lavorazioni, vuoi di derivazione chimica, oppure organica. Non si tratta di qualche industrialotto che inquina e non rispetta le leggi, si tratta di eccesso antropico.
Il modello di sviluppo che il capitale (soprattutto finanziario) ha imposto al potere (perché nel binomio potere/capitale il soccombente e l'asservito è il primo dei due poli), e di riflesso alle comunità, è sbagliato. Eccessivamente aggressivo, eccessivamente mortifero. Per perpetuare se stesso e sostentarsi sottrae spazi alle attività più naturali e congeneri al territorio. Basti un esempio preclaro ed eclatante (ma ce ne sono migliaia, non quindi casi sporadici): il termodinamico di Gonnosfanadiga è ipotizzato in un'area ad elevata vocazione agricola. La sua realizzazione sottrarrebbe suolo alle attività produttive di specie che quei territori sono in grado di esprimere. Nondimeno, nonostante le resistenze mostrate dalle popolazioni del luogo, non vi è una chiusura preconcetta contro il termodinamico, ma solo limitata alla sua localizzazione.
Il buon senso, non la filosofia radical chic, non l'ideologismo che fa rima con psicologismo, vorrebbe ed imporrebbe che per la sua realizzazione sia individuata un'altra ben diversa area geografica. Diversamente, qualora la spoliazione divenisse un dato di fatto, quelle colture sarebbero destinate a sparire o migrare in altre aree, magari meno fertili. 
Buon senso, cribbio! Non altro. Non comunismo, non ecologismo, non terrorismo. Purtroppo la volontà acefala del Capitale e del potere ad esso asservito impone altre scelte. Il territorio e le sue comunità insorgono. Mi si spieghi, chi in questo malaugurato esemplificativo caso ha più ragioni? Il Capitale che se ne fotte delle reali esigenze umane o il territorio che chiede gli spazi che più gli si confanno?
Altra caratteristica, forse la più inquietante: il Capitale tende naturalmente e caratterialmente ad soggiogare l'uomo alle sue brame, e per far ciò piega la Natura al suo imperio. Utilizza per i suoi fini il potere, spesso in armi. La Natura, invece, chiede all'uomo il rispetto dei suoi ritmi di vita ed in cambio offre i suoi prodotti, utilizzando per questo fine anche il capitale e l'imprenditoria. Ora, sarà pure un pensiero da soviet, ma credo ed immagino che il bene delle comunità, quindi dell'uomo, risieda proprio in questo rapporto simbiotico, di interscambio: rispetto contro frutti.
Se non adeguatamente governati, i modelli di sviluppo portati ed offerti dal Capitale e dal mercato sono tesi ad ottenere la massimizzazione dei profitti: in pratica sortiscono l'effetto di uccidere la mucca che da' loro il latte, la carne e le pelli, senza attendere che questa si riproduca per perpetuare il ciclo produttivo. Credo che si abbia necessità di nuovi modelli che utilizzino il capitale, la tecnica, la tecnologia, l'imprenditoria e il mercato e che evitino che siano questi a direzionare ed istituire l'organizzazione sociale e i bisogni delle genti. Che siano quindi l'uomo e la comunità umana a dettare le regole e non il Capitale ed il potere.
Il pensiero espresso dal capitale è acefalo e retrogrado. Non porta ad un progresso sociale, se per progresso s'intende crescita armonica della qualità della vita. Porta ad una necrotizzazione dell'ambiente, e il percorso che traccia è contrappuntato da un pullulare di morbilità, che se ben osservata (la morbilità) rappresenta il marchio e la cifra del progressivo divenire della morte. 
Bisogna imparare a leggerli questi segnali.
#145

Ho sempre avuto in elevata considerazione la libertà individuale, anche quella imprenditoriale. La considero senza dubbio un valore da preservare. Soprattutto se e quando si sviluppa in maniera armonica, nel rispetto dell'ambiente entro cui va ad insediarsi. Diverso è il mio parere quando per raggiungere i suoi fini, questa libertà impone le sue regole e tende a deprimere i territori e comprimere le libertà e le convenienze delle comunità.
Non vi è libertà nell'aggressione dell'ambiente, se non quella sterile di chi ama circondarsi dei miasmi putrescenti della morte. Però nessuno può pretendere che la massa segua la libera scelta di chi amerebbe vivere in mezzo ai cadaveri. Chi ama i deserti può benissimo salire sul più elevato ed isolato pennone di roccia e vocarsi ad una vita da anacoreta. 
Ci sono casi, anche non sporadici, in cui l'imprenditoria e l'industrializzazione non hanno consumato suolo uccidendo il territorio, ma pretendere che l'industria chimica o quella di trasformazione non abbiano alcun impatto sull'ambiente naturale circostante è davvero pura follia.
Più frequentemente accade che le élite industriali e capitaliste, in massima parte, non abbiano alcun rispetto dell'ambiente che ospita le loro fabbriche ed imprese. È noto: il capitale non ha olfatto, e i miasmi della morte che le ciminiere eruttano nell'aria o sversano nei terreni mai potranno offendere il suo delicato nasino, troppo avvezzo a ben altri profumi. 
D'altronde, pecunia non olet! 
Novello Erisittone, il capitalismo è massimamente autoreferenziale, proprio perché si nutre di sé stesso e tende a nutrire esclusivamente sé stesso. Non per nulla un antico detto, per nulla popolare, recita: il denaro va dove c'è denaro e ricchezza. Ma la ricchezza non si genera per partenogenesi. Il suo accumulo è sempre, a livello planetario, una sottrazione di mezzi economici e finanziari ad altre parti del mondo. Ricchezze che in quelle zone magari fungono da mero sostentamento. Per questo motivo, sostanzialmente, l'aggressione capitalistica priva di freni e controllo tende a desertificare le aree ove poggia i propri voluttuosi sguardi.
Ciò che il liberismo sfrenato, alleato del capitale, non  può comprendere e non potrà mai accettare è che le regole del mercato non sono dettate semplicemente e solo dalla dinamica domanda/offerta. Il mercato, e con esso l'economia, è un ingrediente imprescindibile della comunità umana. Con essa entra necessariamente in contatto. La troppo spesso mortifera ed onnivora liason domanda-offerta tende sovente ad entrare in conflitto proprio con la comunità umana. Infatti, se e quando si viene a creare un vistoso disequilibrio fra questi due poli (e ciò accade assai spesso), si vengono a determinare conseguenze assai cruente. Ciò ha più volte messo in crisi questa dinamica autoreferenziale, rendendo indispensabile un governo superiore delle forme di economia che al capitalismo, per un verso o per l'altro, fanno riferimento. In sintesi, la variabile umana, folle e mai pienamente governabile, indipendente sia dal mercato sia dalla volontà del capitale, ha in buona misura condizionato la libera e sfrenata espressione proprio del capitale, spesso imbrigliandolo e asservendolo ai bisogni della comunità (soviettismo, per dirla alla Gramsci?). Più sì che no, questo è avvenuto, quando è avvenuto, allorché il liberismo senza vincoli è stato soggiogato alle urgenze umane ed alla necessità di riscatto di vaste frange della popolazione, soprattutto proletaria e contadina.
Il Capitale ha sottoscritto un accordo di reciproca collaborazione con il potere. Vivono in una condizione di osmosi. Si autosostentano. L'espansione dell'uno significa quasi sempre la crescita dell'altro. Il Capitale si è sempre appoggiato al potere, di solito il più becero e cruento, per alimentare se stesso. La storia dell'uomo è ridondante di questa evidenza. La si veda un po' alla stregua di un quadro eseguito con la tecnica del puntinismo. Non v'è alcuna necessità di dover corredare questa tesi con citazioni, basta aprire un qualsiasi libro di storia, di sociologia, di antropologia per averne piena contezza. 
Lo stesso Colombo poté varcare l'Oceano su tre meravigliose barche in grazia e virtù della voluttuosa prospettiva di dar maggior espansione alle brame di ricchezza dei governanti di Spagna. Così fu che popolazioni intere (incivili, cruente etc...) furono sterminate  (c'è necessità di qualche citazione?). La conquista del West fu anch'essa opera sua. La tratta degli schiavi fu una conseguenza della protervia del Capitale. Ma non scordiamo che anche i due massimi e più cruenti conflitti del secolo scorso furono ispirati sempre da questo mostro tentacolare, che se non imbrigliato ed opportunamente asservito rischia oggi, ancora una volta, ma stavolta in maniera definitiva, di soffocare per eccessiva brama l'uomo e la sua umanità. 
Certo, fu inoculato in quelle terre selvagge il germe della civiltà. Ma qualcuno è mai andato a domandare se avessero necessità e avvertissero il bisogno di questa nostra civiltà? L'uomo ha esigenze che il Capitale non può e non potrà mai soddisfare. Potrà forse fornire dei surrogati (come un fiore di plastica), ma mai potrà dare risposte ed indicare la strada verso l'unico vero desiderio umano: quello della felicità.
Le attività umane, sono, giustappunto, attività dell'uomo. Questi non può essere visto e considerato alla stregua di una monade: sufficiente a se stesso, essere a se stesso. È, come prima sua caratteristica essenziale, un essere relazionale. La primissima relazione che instaura una volta che viene al mondo è con l'ambiente circostante. Da questo rapporto polemico (da polemos), quindi spesso conflittuale ed assai dinamico, non può mai prescindere. Può vivere isolato, come un eremita, ma con l'ambiente che lo accoglie e circonda deve pur sempre fare i conti.
La Natura non è sempre una madre benigna, sovente si mostra nelle sue acre vesti di mater matrigna - interessantissime a tal proposito le lezioni di Leopardi -. Da qui la necessità di governarla, modificarla, rimodularla per adattarla alle condizioni genetiche del suo ospite. L'uomo è l'unico essere del creato che nasce totalmente privo di difese naturali: "la scimmia nuda".
Essendo la Natura colei che offre asilo a questa scimmia nuda, è gioco forza che, nel riadattarla alle sue esigenze, l'uomo debba necessariamente portarle assoluto rispetto. Tale rispetto si concretizza nel trovare il giusto equilibrio (il kata metron dell'antica saggezza greca) fra le trasformazioni antropiche e le ragionevoli e ben misurabili capacità di assorbimento che l'ambiente mostra di possedere. 
Diversamente, se si eccede, si cade nel peccato che sempre una saggezza che precedette quella di Cristo definiva 'tracotanza' (hybris).
L'uomo per vivere ha necessità assoluta di usare l'ambiente, ma senza eccessi ed evitando di apportare modificazioni tali da ridurre a macerie la casa che lo ospita.
Abbiamo e siamo innamorati (me compreso, ovvio) di un unico modello di civiltà. Lo abbiamo brevettato e lo esportiamo convinti che sia l'unico universalmente valido. Abbiamo così soppiantato altri esempi di convivenza fra umani. Sotto l'insegna della croce e della pecunia abbiamo irriso le civiltà del vicino e lontano Oriente - per riscoprirle solo quando il nostro modello ha mostrato vistose crepe ed incrinature -; cancellato quella precolombiana; reso sterile quella paleocristiana; disintegrato quelle animistiche del centro Africa. Senza rispetto e senza ritegno, le abbiamo quasi tutte cancellate. Mai che alla pecunia ed alla mitra sia venuto in mente di affiancare e non sostituire, accostare e non soverchiare, integrare e non assimilare. 
Il Capitale e il potere hanno un vocabolario assai ridotto, purtroppo.
Da sempre quest'entità acefala si è servita del potere e il potere di lei. La storia del colonialismo è una storia d'amore fra potere e Capitale. E quest'ultimo conserva in sé, nel proprio Dna proprio il sentore e il sapore di quelle calde e voluttuose notti in cui poté, senza remore e senza freni, addirittura con il consenso festoso della più alta autorità morale del tempo, consumare l'amplesso col suo amato. Ne serba il ricordo e tende a perpetuare questa sua vocazione, prescindendo dall'uomo e dalla Natura, che in questa sarabanda ditirambica sovente appaiono come freni – lacci e lacciuoli -.
Il Capitale ragiona in termini di colonialismo. Quando non lo fa è giusto perché la politica, quindi l'uomo, non glielo consente – a tal proposito gli esempi sarebbero ridondanti -. Se fino a ieri assumeva volto e sembianze piuttosto rozze, senza curarsi dell'estetica, oggi, epoca in cui anche l'occhio ha le sue pretese, si ammanta delle candide vesti del progresso. Anche quando a questo progresso sarebbe meglio e più saggio rinunciare . Ma il suo volto è sempre arcigno e il suo sorridere scopre denti aguzzi, come quelli delle fiere pronte all'assalto.
Questa naturale alleanza impone che quanti permangono ai suoi margini o relegati oltre il suo perimetro debbano sottostare alle sue ferree regole, che statuiscono l'imperio delle élites sulle masse. La dittatura del Capitale si estrinseca e realizza con la sottrazione alle masse delle opportunità di sviluppo organico ed armonico. È sufficiente dare una scorsa alla storia della Sardegna. Cercare di comprendere cosa sia accaduto con la grande industrializzazione dell'isola - capitale, potere e, purtroppo in quel caso, anche cieco, se non addirittura venduto sindacalismo, uniti all'insegna del progresso -. Una visita guidata a Sarroch, Ottana, Porto Torres, Portovesme è sempre assai didattica. Lì, in quei deserti, fra quelle cattedrali, potranno essere reperite le dotte citazioni che io non includo in questo testo. Se per un solo attimo si ha avuto la sensazione che stia filosofeggiando in maniera astratta, una visita al museo della morte di Porto Torres rasserenerebbe chiunque sulla veridicità di quanto affermo.
Non vi è naturalità nell'operare del Capitale, solo un'inesausta ricerca del profitto. Ciò va a danno, troppo spesso, di tutto quel che entra in conflitto con le sue mire. La Natura non è un'entità amorfa del complesso ecosistema definito terra. Ne è parte viva e pulsante. L'ambiente, intendendo terra, acqua e cielo, elementi primordiali che rinnovano e celebrano ogni giorno i fasti e la sacralità della vita, è elemento vivente. Come tale esposto anche al rischio di essere sopraffatto dalla morte: tutto ciò che vive è esposto alla morte (cit. U. Galimberti e mille altri ancora, ma soprattutto il buon senso).
L'uomo, intendendo con questo termine l'intera umanità, in esso (ambiente) è immerso, da questo è circondato e con questo deve convivere, pena la scomparsa di entrambi. 
La Natura, quindi l'ambiente, ha un'enorme capacità di assorbimento delle attività antropiche. La Natura è resiliente. Questo afferma la scienza. In un rapporto osmotico, si modella, modula, adatta e conforma alle modificazioni apportate dall'attività umana. Così è sempre stato. È questo che ha consentito il progredire della tecnica e la crescita del livello e della qualità della vita della comunità umana. Altro che Capitale. Una Natura rigida non avrebbe mai potuto consentire l'antropizzazione del pianeta. Merito assai più elevato rispetto a quello ascrivibile al mercato e al Capitale. Se le cose sono andate in un verso favorevole all'uomo, non è detto che domani possa essere così. O per meglio dire, così è sempre stato fino all'avvento della rivoluzione tecnologica, quella dei tempi coevi... Di oggi.  
Dicevo, l'ambiente ha un'immensa capacità di adattamento. Certo, è risaputo e comprovato, ma è anche scientificamente provato che questa adattabilità ai mutamenti, soprattutto quando indotti in maniera eccessivamente repentina, non è infinita, bensì definita e, mi si passi la tautologia, quindi anche limitata. Il che significa, senza meno, che vi è una soglia (altra sgraditissima tautologia, ma serve per comprendersi), un confine oltre il quale il sempre labile diaframma che separa il rigoglio della vita dal tanfo della morte e del disfacimento si lacera e non sarà più rammendabile con interventi tampone come gli accordi di Kyoto (tali sono, servirebbe ben altro per mettere in sicurezza il bene più prezioso che abbiamo, ovverosia la vita futura nostra, in quanto specie e del pianeta, in quanto ecosistema globale).
Il capitale è figlio di un sistema imprenditoriale che si è sempre nutrito attingendo linfa vitale dall'eco coloniale dei secoli trascorsi. Non si è mai abbeverato ad una fonte che non scaturisse dalla silicea roccia della necessità di rincorrere se stesso. Avendo come unico obiettivo quello di potersi sempre superare (accumulo, in economia), non si è mai nutrito dell'esigenza di operare per un bene più elevato e meno autoreferenziale: quello, per esempio, delle comunità entro cui è andato ad insinuare le sue voraci membra. Ha stretto un patto serrato e pare inscindibile con l'autoremunerazione. 
È così diventato alieno alle tematiche di più elevato profilo etico e sociale (se ne fotte, in un francesismo assai più esplicativo). È refrattario a misurarsi in termini di eco-sostenibilità (tutto ciò che entra in contatto con il termine ambiente o ecosistema, assume per lui i connotati dei no global, scordando e non volendo vedere che a Genova nel 2001, per esempio, sfilavano madri di famiglia, padri con prole al seguito, sfilavano pacificamente inseguendo l'utopia di pacificare la Natura con l'umanità che il capitale tende a disumanizzare). Recalcitrante ad ascoltare le voci dissennate (certo, lo sono, tutte le utopie sono dissennate) e dissonanti che pongono sulla linea dell'orizzonte del guadagno fine a se stesso la necessità di espandere le possibilità per costruire i presupposti di un'esistenza migliore, che non sia dunque esclusivo appannaggio di già pingui capitalisti. 
Non avendo a cuore altri che se stesso e la sua spiraliforme remunerazione, ha in uggia tutto ciò che tendenzialmente o anche potenzialmente possa recare con sé un gradiente o una screziatura di pericolosità al suo eterno, vano e vacuo indefinito espandersi
#146
Tematiche Filosofiche / Re: Psicoanalisi
22 Novembre 2024, 19:25:52 PM
Citazione di: PhyroSphera il 22 Novembre 2024, 13:32:01 PMUn dissidio nei discorsi sulla psicoanalisi... e spesso salta fuori qualcuno che s'illude di avere una intesa che proprio non ha.
Non è questione di opinioni.
Io continuo a rispondere in ragione della situazione esistente, non per spirito di opposizione e tantomeno fine a sé stesso né per accordare confidenze a chi nega senza voler capire o voler dubitare - errore madornale nella filosofia. La dimensione filosofica della mia risposta apparirà alla fine del mio messaggio, ma le informazioni scientifiche elargite non sono solo per filosofi.

[...]
Ho letto con non poca fatica l'intero intervento. Al di là del solito atteggiamento spocchioso da 'magister' che rampogna gli ingenui scolari, ci dovremo abituare, rilevo, nel suo periodare talvolta sconnesso, più volte improvvisato, molto spesso del tutto irrelato, fra asserzioni più che discutibili (interamente risibile il passaggio sul comportamento psicotico del 'salvatore') 'smerciate' come dati e situazioni oramai acclarati, qualche elemento davvero condivisibile, anche se a parer mio estremizzato. 
Concordo pienamente sul fatto che la 'cura' (gli apici solo per affievolire e smorzare il significato del termine) di patologie psichiche non possa mai prescindere dalla psicoterapia, irrinunciabile, ma questa può benissimo essere coadiuvata ed affiancata dal trattamento farmacologico, che non può mai sostituirla interamente. Quindi, l'estensore del mega pistolotto potrebbe emendarsi e cancellare la stupidaggine "Il grande progresso farmacologico quindi è una insidia e una impostura quando viene proposto per rimedio e peggio se massicciamente; quanto più la farmacologia progredisce, tanto meno diventa sostenibile o tanto più nociva e al fondo della strada sbagliata c'è l'accrescimento della repressione violenta."
#147
Non ci penso nemmeno. L'atarassia, perorata dalla cultura orientale, non può essere la risposta a questo senso di vuoto e alla percezione del Nulla che informa di sé i tempi che viviamo. Tutt'altro, son convinto che sia necessario riprendere ad abitare il sociale e ridurre gli spazi che oggi dedichiamo al solipsismo. Dobbiamo rivitalizzare la stagione dell'impegno nel mondo, non solo attraverso la partecipazione come cittadinanza attiva, ma soprattutto come partecipazione attiva alla vita democratica del Paese e del mondo. Non possiamo rassegnarci ad abbandonare le società nelle mani di personaggi quantomeno discutibili.
Per restare in Italia, non troppi anni fa, assistevamo alle dispute fra i Pajetta, Berlinguer, Nenni, Pertini che dibattevano con personaggi della statura di Moro, Zaccagnini, Spadolini, La Malfa, oggi assistiamo ai confronti tra parolai come Salvini che fronteggia Renzi, Di Maio ministro degli esteri, Tajani vice presidente del consiglio dei ministri, Lollobrigida che straparla di agricoltura, Sangiuliano ministro della cultura, per fortuna solo ex, anche se il fanfarone odierno per certi versi fa rimpiangere il predecessore. Sguaiati personaggi che guidano le imprese e il governo. Insomma, un moto d'orgoglio dovrebbe imporci di riprendere ad interessarci della cosa pubblica, di non abbandonare il mondo per rinchiuderci in noi stessi. Anche perché quel che vediamo è anche frutto, in 7na certa misura, del nostro montante atteggiamento individualista.
Non sono per la resa!
#148
Vedo che non rinunci al tuo solo immaginato auditorio. Lo appelli, lo chiami in causa per offrirgli una delucidazione "sulla mia posizione" (presunzione grottesca), per rendere chiaro quel che chiaro proprio non ti è. In tutto questo motteggio da imbonitore, redarguisci, ammonisci e rimbrotti. Vabbè, transeat, ce ne faremo una ragione, non mi va di spendere troppe parole per insegnarti il dialogo e farti gustare il piacere del confronto. Spero comunque che alcuni messaggi riescano a scalfire l'involucro che hai eretto a protezione della tua vacillante tetragona sapienza e che il florilegio vaporoso di mal comprese casuali lezioni studentesche si apra al dubbio. Vedremo.
 
Noto che da subito non ti fai sfuggire l'occasione per compiere un peccato di presunzione quando sostieni con tracotante eccessiva enfasi che l'ateismo sia 'disimpegno che può sfociare in disastrosa distrazione", negando d'un sol fiato l'esperienza di decine di pensatori convintamente atei che hanno inciso tracce indelebili nella storia della cultura universale, ai quali certamente non puoi addebitare disimpegno e men che meno mancanza di profondità nell'analisi. Sostenere che sia ignoranza è un'altra delle tue perle di arroganza, ma la sciocchezza più evidente è la pretesa che l'ateismo sia un approdo provvisorio destinato a svanire come orizzonte esistenziale. Credi che certe sciocchezze, peraltro smentite dall'esperienza quotidiana che coinvolge tutti noi, meritino dei commenti o di essere confutate? Ho già scritto che sei autoreferenziale, ma qui più che altro mi pare che il tuo pensiero sia del tutto alieno dal confronto e conforto con e della realtà. Più spesso si è assistito all'abbandono fatale della fede, soprattutto dopo gli eventi cruenti del secolo breve.
 
In ragione delle tue poco accorte parole circa l'Infinito leopardiano, trova conforto la mia marcata e già evidenziata opinione che tu tenda a con-fondere Trascendenza (ribadisco, innegabile) con Dio. Non si tratta di sinonimi. È concepibile e percepibile una trascendenza che sia l'approdo speculativo, ma anche emozionale, della coscienza della finitudine e della limitatezza umane. Perciò ti scrissi, senza che tu abbia capito alcunché, che il dialogo con il proprio animo, col profondo (potrei inondarti di parole su questo tema), porta a lambire la percezione di un oltre, di una trascendenza che al suo fondo abissale non incontra alcun Dio (fattelo raccontare da Husserl), se non quando questo è posto e preteso dalla necessità di dar conforto per acquietare un animo che ribolle, un animo in tramestio. Nietzsche sosteneva che il cristianesimo e Dio stesso fossero la rivalsa e la risposta del risentimento dei deboli. Si tratta di una risposta pretesa dall'ansia, edificata da un'angoscia esistenziale, istituita da un male di vivere che ha impregnato di sé l'intera opera leopardiana (almeno dal 1819 – se insisti nel mostrarti ottuso ti inserisco i brani) e di cui l'Infinito è preclara testimonianza (vuoi la parafrasi del poema?). Sartre l'ha battezzato con il termine Nausea, cui diede un rimedio vitale come l'Impegno (l'uomo si edifica da sé, scaraventato nel mondo, nasce come una tabula rasa, da qui la necessità di edificarsi esistendo); Baudelaire con l'ennui e i suoi paradisi artificiali. Ma tu, ovviamente, limitato oltre che 'finito', non sei riuscito a capire nulla... non mi stupisco! Mentre faccio ammenda per Spinoza e Bergson: rileggendo mi son reso conto di essermi fatto prendere dalla fretta ed aver costruito un pastrocchio. L'elan vitale, il conatus essendi, come anche in buona misura la volontà di potenza di N., o l'arte di Shopi rappresentano delle vie di fuga, la cura alla percezione del non senso della vita.
In poche e conclusive parole, è nel fondo abissale dell'anima che si entra in contatto con il tramestio della trascendenza, dell'ulteriorità che ci abita. Questa percezione, questo lambire l'orizzonte degli eventi dell'oltre non ci collega ad una dimensione metafisica esogena, ontologicamente collocata e stabilmente ubicata all'esterno dell'essere; è l'essere stesso che sprofonda in sé stesso, come un astro in un buco nero. Dio o Marx (spero capisca l'allegoria di Marx... sii allergologo, una volta tanto) sono quel tanto che forniamo come risposte ultime e transeunti a questo richiamo abissale. Dio è l'ipostasi (credo inconscia) della percezione del Nulla (quello trovi oltre quell'oltre che ci abita); parimenti, Marx è l'idea (logica) che edifichiamo coscientemente per non udire la Nausea, l'ennui, la Noia, il Male di vivere che, se non calmierata, conduce alla follia. Perciò Dio o Marx (sii allergologo nel leggere Marx) hanno svolto un compito terapeutico come cura dal Male. Qui non hai torto. Ma si tratta di cure da farmacopea, entrambe. Volute e cercate o istituite dalla necessità espressa dal Nulla. Sono le illusioni (per tornare a Leopardi) che offrono riparo dal dolore che il non sense espresso dalla nullità di tutte le cose si trascina appresso, almeno fintanto che "Nobil natura è quella/ che a sollevar s'ardisce/gli occhi mortali incontra/ al comun fato, e che con franca lingua,/ nulla al ver detraendo,/ confessa il mal che ci fu dato in sorte..."
 
A grandi linee (perdonami la semplificazione di un pensiero complesso), Mircea Eliade, con piena ragione, ha sostenuto che l'umanità è una storia di religione. Innegabile, almeno fintanto che la ratio non sopravvenne per inverare questo predominio, che in un mondo secolarizzato è oramai sfumato e reso labile come non mai. È un bene? Un Male? Non sta a me dirlo... ma quantomeno è vero. Colgo anch'io nel respiro del Nulla la caducità dell'esistenza umana e i rischi insiti in questa fase storica di transizione.
 
Per quanto riguarda Cristo con questo intervento, per certi versi apprezzabile, chiarisci meglio rendendo maggiormente condivisibile il tuo pensiero. L'unico approccio possibile, concordo, non può che essere metafisico. Può anche non esserci un approccio e ritenere la narrazione dei Vangeli e le successive (stupende) interpretazioni solo filosofiche per la e della mente. In ogni caso, da ateo convinto, ti riporto un brano, interamente pensato e scritto da me ed inserito in un breve racconto che non ricordo se ho pubblicato su questo forum.
Son due personaggi che s'incontrano dopo tanti anni. È lei che parla:
"Io, dentro di me, sento che il Logos, facendosi carne, ha patito sulla croce non solo come carne, ma anche come divinità. Gesù è un paradosso. Non puoi pensare di scindere la divinità dall'umanità di Gesù; è la sua stessa natura che non lo permette. Diversamente, la morte sulla croce e l'intera vita di Gesù, sarebbero solo una finzione, una bugia – forse pietosa – raccontata all'uomo, poiché la divinità non avrebbe partecipato al dolore e non sarebbe stata quindi partecipe delle afflizioni dell'umanità. L'incarnazione, invece, impone proprio questo. Dio si è fatto uomo, nella sua interezza: carne intrisa di gioia e dolore, certezze e dubbi. E' per questo motivo che ti ripeto che è Dio stesso che soffre. Anche il dubbio insinuatosi sulla croce, i cui segni sono rinvenibili nel Getsemani, sono la cifra di un'agonia spirituale che coinvolge la divinità in prima persona, e Gesù, in quanto uomo divino, non poté sottrarsi a questa agonia, la quale trovò il suo epilogo nell'agonia della carne divina sulla croce. Ritenere che la sofferenza abbia coinvolto solo la carne, lasciando intatta la natura divina, significa sostenere un'algida alterità di Dio rispetto alle vicende umane, ciò sarebbe in aperto contrasto e negherebbe di fatto la passione amorosa che dovette convincere Dio a dare sé stesso per riscattare la creazione dal peccato, e sarebbe un'indelicatezza rispetto al mio amore, che non posso concedere".
Il cristianesimo si compie o muore ai piedi di quei quattro legni. Questo ci dice la teologia del Dio crocifisso di Moltmann, teologia del mondo riformato, ben diversa da quella di Benedetto XVI, che si mantiene forzatamente coerente alla tradizione tracciata da Sanctae Romanae Ecclesiae.
 

Ancora una volta ribadisco con ancor maggior enfasi che la vicenda di Gesù nell'analisi girardiana non è incuneata entro un 'contesto sociale criminologico fondamentale'. No, nel modo più assoluto. L'ira popolare descritta nei Vangeli è il momento culminante della tensione che, privata di sfogo, rischia di esplodere in maniera incontrollata. Furia violenta che va incanalata affinché la deflagrante violenza accumulata trovi uno via d'uscita e pian piano sia ricondotta a livelli comunitariamente accettabili. È, per l'appunto, la giusta esposizione di un evento, noto all'intero universo umano, da collocarsi pienamente nell'ambito della vittimizzazione dell'innocente, ovverosia del paradigma del capro espiatorio. Aspetto ben colto anche dalla liturgia cristiana con la definizione di 'agnello di Dio'.
 
Sul 'pastrocchio' ti ho risposto facendo pubblica ammenda per la confusione creata.
Sulla tragedia greca, Edipo, Girard evito di cercare di comprendere pensieri espressi male. Non creare pastrocchi tu, ora.
 
Il quid di cui parlo non è oggettivato o oggettivabile, non essendo neppure definibile né collocabile. È semplicemente quel di più che, pur essendo un prodotto del bios, lo trascende, lo sopravanza e supera. Quel di più che i nostri sensi e il nostro sentimento fugacemente colgono in un baluginare indecifrato ma ben sentito e avvertito. Quel quid tu pare lo riempi di un contenuto impersonale, immateriale che chiami Dio (oggettivandolo). Io mi limito a definirlo 'vita psichica': immateriale e personale (in quanto prodotto del bios individuale). Il tuo Dio si regge appellandosi alla tua filosofia, come la mia 'vita psichica' si aggrappa agli incerti sostegni delle neuro scienze. Non vedo dei nel fondo dell'abisso emerso dai forni di Auschwitz, ancor meno lo scorgo appeso alla forca di Wiesel, non lo vedo nei drammi del dolore degli innocenti. Se credessi nel tuo Dio restituirei il biglietto d'ingresso, perché l'armonia del creato che questo deus absconditus ci offre è costruita sul pianto degli innocenti. Grazie a Dio, Dio non esiste. La sua inesistenza salva Dio dalle giuste bestemmie che l'intero creato dovrebbe tributargli.
Urla Giobbe, urla Auschwitz, urla la madre che perde il sorriso del proprio bimbo, urla una donna stuprata nel corpo e dilaniata nell'anima... Ma la vita continua sorda ai lamenti, sorda a quel che accade... perché quel che accade è proprio ciò che deve accadere, senza finzioni, senza orpelli, senza barocchismi stucchevoli che rendano meno greve la visione di chi piange nell'anima perché ha dissecato la fonte delle proprie lacrime, di chi non ha più voce per gridare ed esigere una mano tesa che si sporga in un gesto d'aiuto, cui è rimasto solo un flebile filo di voce per restituire a quel Dio sì tanto indifferente la responsabilità che si deve accollare: <Padre, Padre perché mi hai abbandonato?>. "
E si ode ancora l'eco della protesta di Cioran: <<...Ecco perché, quando ingiuriamo il cielo, lo facciamo in virtù del diritto di colui che porta sulle spalle il fardello di un altro. Dio non è all'oscuro di quello che ci succede - e se ha mandato il Figlio, affinché ci tolga una parte delle nostre pene, lo ha fatto non per pietà, ma per rimorso.>>. 
La profondità dell'urlo di protesta di Giobbe è tale da solcare il tempo e lo spazio, fino a congiungersi allo scoramento e al gemito di Gesù. Non vi è cesura fra i due eventi, solo un tratto di storia – dell'uomo – in assenza di Dio, costellato dal dolore, contrappuntato dal Male inconsulto che insorge bestiale a nutrire la vita. Non vi è cesura fra Giobbe, Gesù e le baracche di Auschwitz e Darkenau. Vi è continuità nel Male che s'insinua perfido nel cuore e prorompe dalla gola di madri che piangono figli, senza un perché, senza un motivo. Dio non ha mai fornito risposte, non vi è teofania che lo abbia giustificato. Quando, richiamato dall'urlo di Giobbe, fece udire la sua voce, non lo fece per svelare il mistero della vita e del Male, ma solo per accentuarli, per marcare una distanza incolmabile fra terra e cielo. Dio non è crudele, la crudeltà non trova ospitalità fra i suoi misteri. Dio parrebbe perseguire un progetto ineffabile, inconoscibile, intangibile ed inintelligibile, ma questo progetto dissemina la terra di vittime innocenti, le stesse vittime innocenti – i tanti bambini morti per caso, senza un perché - che indussero in un famoso personaggio di Dostoevskji un moto di ribellione, fino a rifiutare la coppa della vita, la cornucopia ricolma di tanti mali, fino ad infrangerla sul il pavimento per non volerne più cogliere i cocci, fino a restituire a Dio il biglietto d'ingresso nella mortifera Vita. L'Anima è ricettacolo di questa discrasia, e l'uomo avverte quest'antinomia presente nella vita, nella creazione. L'avverte in una visione tragica, che dilania, che accentua vieppiù la lacerazione dell'Origine. E non vi è sutura che possa redimerla. Chi soffre non è il corpo, è l'Anima. Quando l'Anima soffre, patisce l'intero corpo, patisce l'uomo nella sua interezza: mente, Anima, corpo."
 
#149
Citazione di: PhyroSphera il 19 Novembre 2024, 08:07:15 AMStamattina non ho tempo sufficiente per leggere e rispondere a tutto.
Mi limito a una osservazione necessaria sul preambolo che Visechi ha fatto.
Non c'è mai stato da parte mia un discorso o una illusione di discorso a tu per tu.
L'illusione del palcoscenico non è stata la mia. A parte questa continua proiezione psicologica che Visechi fa - non dico che è patologica o malata - devo pure far notare, non a un palcoscenico ma alla comunità dei lettori (di solito ce ne sono sempre alcuni anche non scriventi), che la manifestazione di un pensiero non sempre rivela l'intimità del pensiero. Visechi non sa neanche se io qui scrivo col mio stile personale e neanche che rapporto c'è tra me e gli argomenti che tratto su questo forum.
Dunque proiezioni e superficialità psicologiche... e mettersi a parlare di ipertrofia dell'ego mentre se ne è vittima è assurdo.
Io avevo specificato che lo scopo principale della mia risposta era mettere a nudo per gli altri qualcosa. Il Visechi finge che io non lo abbia indicato, che abbia scritto altro; è uno di quelli che non accetta le dichiarazioni. Al posto di occuparsi di filosofia potrebbe pentirsi della sua prepotenza e studiare la Convenzione di Ginevra, per non andare oltre. Impari a rispettare le dichiarazioni degli interlocutori e la smetta di fingere a fare lo psicologo, e forse avrà qualche comprensione che adesso gli sfugge proprio.

MAURO PASTORE
E con ciò è stata appena officiata la liturgia della letargia. Il nostro letargico magister non rinuncia ad ammannire scipite leziose lezioncine. Bene! Non mi presto a fornirgli materiale che nutra oltre misura il suo ego.

Bye!
#150
Citazione di: Freedom il 18 Novembre 2024, 19:00:22 PMPensavo agnostico.

Consentimi una domanda un pò banale ma che spero possa aprire un ragionamento di più ampio respiro.

Che prove hai per dimostrare l'inesistenza di Dio?
Ovviamente nessuna prova. Non si è atei perché si possiedono prove sull'inesistenza di Dio, lo si è perché non si crede minimamente alla possibilità di una divinità trascendente, anche in foggia non teista... insomma, non possiedo un briciolo di fede che possa esserci un qualcosa di divino oltre e sovra la nostra miserrima realtà. Anche se non rifiuto di pormi nella prospettiva di uno che riponga fede nell'esistenza di un Dio