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Messaggi - doxa

#136
Gelosia e invidia in comunità religiose



"Congregavit nos in unum Christi amor" (= la vita fraterna in comunità): è il titolo del documento emanato  nel 1994 dalla Congregazione per gli istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica.

In un capoverso c'è scritto: "La comunità religiosa, nella sua struttura, nelle sue motivazioni, nei suoi valori qualificanti, rende pubblicamente visibile e continuamente percepibile il dono di fraternità fatto da Cristo a tutta la Chiesa. Per ciò stesso essa ha come impegno irrinunciabile e come missione di essere e di apparire una cellula di intensa comunione fraterna che sia segno e stimolo per tutti i battezzati".

Vita fraterna in comunità ? bugia ! E quanta ipocrisia in quel documento  del Vaticano.

E' noto che la vita comunitaria religiosa è afflitta da gelosie e invidie tra "confratelli" e tra "consorelle". 

Per esempio, se una suora (o monaca)  riesce a frequentare l'università e la mattina esce dal convento o dal monastero, suscita invidia perché le altre pensano che abbia più libertà rispetto a loro. 


Un prete ha scritto:
"A volte penso che sia più facile confidarmi con una persona esterna al mio ambiente che con un confratello. Ho visto confronti e scontri che nascono da una sorta di gelosia o invidia tra di noi, sebbene non abbiamo incarichi di potere che giustifichino i nostri atteggiamenti diffidenti! ".

Gelosia e invidia sono due cose differenti, e ne argomenterò in un altro topic.

Nel linguaggio comune la gelosia è associata a una relazione significativa di amicizia o di amore. Si possono provare sentimenti di gelosia verso un amico da cui ci sentiamo trascurati o verso il partner, quando ci sembra che non ci guardi con gli stessi occhi di un tempo e magari rivolga attenzioni privilegiate a qualcun altro.

L'invidia, invece, suscita rancore di fronte al benessere o al successo altrui.

Il  "carrierismo", il bisogno di primeggiare angustiano anche le comunità religiose.

Papa Francesco nella meditazione mattutina del 23 gennaio 2014 ha parlato di "Cuori liberi da invidie e gelosie", fra l'altro ha detto "cosa succede in concreto «nel cuore di una persona quando ha questa gelosia, questa invidia». Due le principali conseguenze. La prima è l'amarezza: «La persona invidiosa e gelosa è una persona amara, non sa cantare, non sa lodare, non sa cosa sia la gioia; guarda sempre» a quello che hanno gli altri. E purtroppo quest'amarezza «si diffonde in tutta la comunità», perché quanti cadono vittima di questo veleno diventano «seminatori di amarezza».

La seconda conseguenza è rappresentata dalle chiacchiere. C'è chi non sopporta che un altro abbia qualcosa — ha spiegato il Papa — e allora «la soluzione è abbassare l'altro, perché io sia un po' alto. E lo strumento sono le chiacchiere: cerca sempre e vedrai che dietro una chiacchiera c'è la gelosia e c'è l'invidia».
Dunque «le chiacchiere dividono la comunità, distruggono la comunità: sono le armi del diavolo. Quante belle comunità cristiane — ha commentato amareggiato il Pontefice — abbiamo visto che andavano bene», ma poi in qualcuno dei loro membri «è entrato il verme della gelosia e dell'invidia, ed è venuta la tristezza".
#137
Ciao Koba, per ringraziarti del tuo intervento ti dedico questo post.  ;D

Di solito l'invidioso è una persona con bassa autostima e scarsa capacità introspettiva, perciò  tenta di sminuire gli altri screditandoli.

L'invidia cela differenti sentimenti: senso di inferiorità, inadeguatezza, frustrazione, odio e rabbia per il successo dell'altro/a. Non tollera chi emerge al di sopra della mediocrità, vuole l'uguaglianza sociale. Chi si distingue deve essere odiato ed emarginato.  

E' un sentimento intimo e inammissibile, rabbioso, come quello covato dal ragionier Ugo Fantozzi.  In una intervista Paolo Villaggio disse: "L'invidia è considerata un peccato di cui vergognarsi, invece è un sentimento nobile, in una cultura dominata dall'idea del successo. Un tempo mi facevo vedere ovunque per ostentare il mio successo. Invecchiando sono diventato più buono, non invidio più nessuno e non cerco di suscitare invidie.... Io difendo gli invidiosi, perché tutti coloro che sono felici invidiano chi è più felice di loro....L'italiano medio si lamenta dicendo 'Sono tutti ladri!', ma il suo non è vero disprezzo è semplicemente invidia. In realtà vorrebbe rubare anche lui, solo che non ne ha l'abilità, né il coraggio. Il sogno di molti italiani è di fare una rapina in banca".
 
 La scrittrice e filosofa statunitense di origine russa  Ayn Rand O'Connor (1905 – 1982),  fu sostenitrice dell'individualismo e dell'egoismo razionale, da lei inteso come la più naturale e importante delle virtù, in quanto consiste nel cercare il proprio bene senza arrecare danno agli altri. E con riferimento al collettivismo comunista nell'ex Unione Sovietica, scrisse:    "Non vogliono possedere la tua fortuna, vogliono che tu la perda; non vogliono riuscire, vogliono che tu fallisca".


Questo "augurio" è una "gufata".

Perché si dice "gufare" ? In molte culture il gufo è considerato portatore di sventure, perciò  l'affermazione:   "smetti di gufare" ad una persona  quando sta dicendo qualcosa che può "portare sfortuna", ad esempio prevedendo un evento negativo.

Spesso la gufata viene usata in ambito sportivo, oppure al bar negli "sfottò" tra amici, quando parlano del prossimo incontro di calcio della squadra che amano.  

Il verbo gufare deriva dal verso del gufo, rapace notturno  e solitario


Gufo reale

Le abitudini notturne, l'essere solitario e il verso cupo, detto "bubolare"  hanno portato la credenza popolare a raffigurare il gufo come un animale tenebroso, portatore di sfortune.

Ma non sempre si è visto il gufo come un animale del malaugurio. Infatti nel Medioevo il gufo era un simbolo di sapienza e saggezza, e così viene presentato ai giorni nostri  nel film "La spada nella roccia".

L'antidoto  alle gufate e nei confronti dei gufatori è l'ironia.

Il gufatore è un  "haters", parola inglese che  deriva da "hate" (= odio).

Gli haters sono persone che esprimono con cattiveria o maleducazione il proprio dissenso verso un individuo, oppure un post, un articolo, un video. A Roma li chiamiamo "rosiconi" ed anche roditori (roders).

Gli haters sono diffusi nei social.

Nella lingua tedesca il gufatore è definito "schadenfreude": parola  composta da  "schaden" (= danno) + "freude" (= contentezza, gioia), allude al piacere che si prova alla sfortuna di un'altra persona. 

Il malevolo compiacimento verso il prossimo spesso è causato dalla bassa autostima  del gufatore.
Tutto nasce dall'invidia per qualità che si sa di non possedere. Non a caso Nietzsche citava la "vendetta dell'impotente" per spiegare il significato di "schadenfreude".
#138
Neuroestetica:  è un'area di ricerca che  comprende due rami: la neurologia e l'arte.  Coinvolge le scienze cognitive e l'estetica nello studio della produzione e fruizione delle opere d'arte. Esplora i meccanismi cerebrali, psicologici e sociali.



Cosa succede a livello cerebrale quando osserviamo un dipinto ? La risonanza magnetica permette di avere  informazioni sulle zone del cervello che si attivano e  di sapere con quale intensità. Alcuni studi utilizzano tecniche diagnostiche come l'elettroencefalogramma.

Dal punto di vista fisiologico la risposta estetica potrebbe essere una forma specifica dell'attrazione. Infatti  percepire la bellezza ed  essere attratti da un certo tipo di arte è anche una questione culturale.
#139
Riflessioni sull'Arte / Paleoestetica e neuroestetica
19 Gennaio 2025, 15:28:12 PM
Se vi state annoiando vi propongo la lettura di due post per addormentarvi tra le braccia di Morfeo, il dio della mitologia greca che prende la forma e le caratteristiche dei sogni.  ;D

Mentre siete nella fase della veglia  sappiate che Michele Cometa, docente  di "Storia della cultura" e "Cultura visuale" nell'Università di Palermo, nel suo recente libro titolato: "Paleoestetica. Alle origini della cultura visuale" (edit. Raffaello Cortina) narra il bisogno dell'homo sapiens di raffigurare immagini fin dall'epoca paleolitica. Sono disegni di animali: bufali, tori, cavalli, rinoceronti, mammut, orsi, uccelli, ecc.. Sembrano fotogrammi di un film.


Arte rupestre nelle grotte di Lascaux, Francia).
 Ormai sono anni che studiosi di discipline diverse (antropologia, psicologia sociale, neuroscienze, paleontologia, biologia, archeologia cognitiva) lavorano insieme  per comprendere le coordinate evolutive della cultura visuale e narrativa. Ciò significa scrivere la storia dell'autocoscienza, l'attività riflessiva del pensiero,  tramite la quale l'io diventa cosciente di sé mediante il processo di introspezione.

(l'io si può considerare la "cabina di regia" della nostra personalità. Secondo la psicoanalisi, l'Io svolge la funzione di mediare tra gli istinti, le esigenze della realtà esterna e le regole della nostra coscienza morale.

Il prof. Cometa dice che prima dei miti ci furono le immagini, il "fare-immagine"  nelle pitture rupestri nelle grotte, o scolpite nelle miniature. Erano una forma di conoscenza attraverso i sensi.

Che i meccanismi cognitivi collegati al "fare immagine" siano stati vantaggiosi per l'homo sapiens è testimoniato dal fatto che quell'estetica è ancora la nostra estetica. Quelle figure nelle grotte di Chauvet (Francia), Altamira (Spagna), Leang Tedongnge (Indonesia), ecc., sono parte del nostro patrimonio visuale. Anche se non sappiamo  che cosa significhino le riconosciamo.

Con quelle rappresentazioni gli antichi umani non facevano solo immagini: "facevano-mente". Le neuroscienze insegnano che la mente non è un viaggio solitario nel nostro cervello ma è un processo relazionale.

Dire che "facendo-immagine" l'homo sapiens ha "fatto-mente" significa riconoscere nell'atto estetico una delle forme originarie e primordiali dall'autocoscienza.



Guardo l'immagine e penso alla meraviglia suscitata negli umani in epoca paleolitica dalla conoscenza e l'utilizzo delle sostanze coloranti presenti in natura.

Gli studiosi affermano che 32 mila anni fa l'uomo era capace di miscelare i pigmenti. Ad esempio,  usavano terre contenenti ossido di ferro dall'Ematite per il rosso, l'ocra e il giallo; terre verdi dalla  Celadonite e Glauconite; il bianco dal gesso o caolino; l'ossido di manganese o il carbone vegetale per il nero. Come leganti usavano sostanze estratte dagli animali oppure dall'olio vegetale. 

La forma più elementare di pittura parietale preistorica è costituita dalle impronte delle mani, ottenute premendo sulla parete rocciosa la mano imbrattata nel colore.



Immagini di mani umane analoghe sono state ritrovate in vari luoghi in Francia come nelle grotte di Pech Merle e, soprattutto, in quelle di Gargas, poco distante da Lourdes. Quest'ultima è una grotta con diverse pareti ricoperte da circa centocinquanta segni di mani umane di diversi colori.
#140
Tematiche Culturali e Sociali / Arte "grammatica"
17 Gennaio 2025, 19:04:00 PM
L'Accademia d'arte grammatica   :) è una "società segreta" che ha come sacro testo il vocabolario per ingaggiare cacce ai tesori linguistici, tenendo conto anche delle variabili territoriali.

Per farne sapere di più il linguista Giuseppe Antonelli, docente di "Storia della lingua italiana" all'Università di Pavia ha pubblicato il libro titolato: "Il mago delle parole" (edit. Einaudi).

Apprendere bene la nostra lingua italiana è un'avventura  conoscitiva e di libertà. Aiuta  a diventare cittadini autonomi, mai sudditi del potere politico, di quello intellettuale, dei media e dei social.

L'autore invita a "rivoltare" le parole fino a trovarne il lato che ci piace di più, fino a trovare ogni volta l'incastro giusto per ciò che vogliamo dire.

Non fermarsi mai alla superficie, non accontentarsi mai del primo significato, ma scavare a fondo per capire che cosa vogliono dire le parole che ascoltiamo.

La grammatica non è noiosa ma intrigante.

Il sostantivo "grammàtica"  deriva dall'omonima parola in lingua latina e questa dal greco grammatiké, con riferimento all'arte o tecnica della scrittura.

Grammatiké deriva a sua volta dal greco gráphein (= scrivere).

Etimologicamente "grammàtica" allude all'arte di scrivere, ma  nell'ambito della linguistica la grammatica fa riferimento al complesso di norme o  regole necessarie per formare frasi, sintagmi e parole di una determinata lingua.


Gentile da Fabriano e collaboratori,  frammenti del ciclo di affreschi realizzati tra il 1411 e il 1412  nella Sala delle Arti liberali e dei Pianeti,  Palazzo Trinci, Foligno.
Sulla destra si vede il dipinto dell'allegoria della grammatica.


particolare


Luca della Robbia, Prisciano e la grammatica, ex formella del "Campanile di Giotto" 1437-1439,  Museo dell'Opera del duomo, Firenze

Il campanile di Giotto è la torre campanaria  del duomo, dedicato a "Santa Maria del Fiore.

Chi era Prisciano ? Un grammatico del VI secolo. Il suo nome: Priscianus Caesariensis, nato  a Cesarea, in Mauritania, l'attuale Cherchell, in Algeria. In quel tempo la città nordafricana di Cesarea era la capitale della provincia romana della Mauritania.

Prisciano scrisse le "Istituzioni di grammatica, che divenne l'abituale libro di testo per lo studio del latino durante il Medioevo.
#141
A Roma, nella zona dell'ex Ghetto ebraico, in piazza Mattei, c''è  la fontana delle tartarughe, del XVI secolo,  ogni tanto viene depredata di una o più  testuggini  bronzee e il Comune provvede a farle sostituire.


fontana delle tartarughe

Le quattro tartarughe sono collocate sul bordo della vasca superiore, al di sotto della quale ci sono quattro efebi in bronzo che giocano con altrettanti delfini sulla vasca a forma di conchiglia

#142
Stamane ho accompagnato persone amiche di Milano nella Galleria Borghese.  Prima di farli giungere al museo li  ho fatti passare in alcuni vialetti di Villa Borghese ed hanno visto alcuni gruppi scultorei, tra i quali la "Fontana Gaia". A loro è molto piaciuta.


"Fontana Gaia (= di gioia) o dei Satiri": è nell'area del "Giardino del Lago di Villa Borghese.

È una piacevole fontana, costituita  al centro da un finto puteale (dal latino puteus = pozzo), di forma rotonda, con decorazioni e rilievi,  sormontato da un gruppo scultoreo bronzeo  realizzato dallo scultore Giovanni Nicolini nel 1929.

L'opera raffigura una coppia di satiri a braccia protese che gioca con il piccolo figlio che ha tra le mani un grappolo d'uva. 

Intorno al puteale, in simmetrica posizione, ci sono le marmoree teste in rilievo di 4 conigli. Dalla bocca di ognuno di essi esce un rivolo d'acqua che si riversa nella sottostante ampia vasca circolare.

L'espressione di gioia manifestata dalla famiglia di satiri è confermata dalla seguente epigrafe  incisa nella parte superiore del basamento: "Fons canit vitae laudem murmure suo" (= il mormorio della fontana canta le lodi alla vita).

#143
Ciao Jacopus, ogni tanto ci si incontra.  ;D

Il sostantivo "invidia" deriva dal latino "in – videre": unione del prefisso "in" (= sopra) + "videre" (= guardare); letteralmente, = guardare sopra; più liberamente, guardare con astio, con ostilità.

L'invidia è il sentimento avversivo che si prova per un bene o una qualità altrui che si vorrebbero per sé.


L'invidia è un sentimento bipolare


positivo, se  suscita  ammirazione ed emulazione, se dà ambizione e sprona a darsi da fare onestamente per arrivare allo stesso livello di chi è ricco, ha successo, ha un elevato status sociale, ha un oggetto che ci piace molto, ecc.;

negativo se invece provoca afflizione, astio per la fortuna, i beni o le qualità fisiche che ha un altro e li vorrebbe avere. L'invidia può condurre all'omicidio. Infatti, secondo il racconto biblico, fu  per invidia che avvenne l'uccisione di Abele da parte del fratello Caino.

L'invidia sociale: questo sentimento così intimo e inconfessabile, si sedimenta nella relazione che intercorre tra l'invidioso e l'invidiato. L'invidioso avverte con strazio il proprio scarso valore rispetto a colui che, invece, ha successo. 

L'invidia sociale motiva l'individuo a pretendere l'uguaglianza sociale: nessuno deve emergere
. Chi si distingue deve essere odiato ed emarginato. Siamo tutti uguali.

Giovanni Boccaccio nell'introduzione alla IV giornata del "Decameron" scrisse:  "... posso comprendere, quello esser vero che sogliono i savi dire, che sola la miseria è senza invidia nelle cose presenti...".

Il filosofo olandese Baruch Spinoza (1632 – 1677) nel suo libro dedicato all'etica riflette  sui comportamenti umani. Secondo lui le passioni sono caratterizzate da gioia o tristezza. Tra le passioni tristi c'è l'invidia: "Per l'invidioso nulla è più gradito dell'infelicità altrui, nulla è più molesto dell'altrui felicità".

L'invidia non concede tregua. Il "corteo" che l'accompagna è descritto da Paolo di Tarso nella  seconda Lettera ai Corinzi: "litigi, invidie, orgoglio  dissenso, maldicenze, pettegolezzi, fanatismi, immoralità" (2Corinzi 12, 20).

L'antidoto per non soffrire d'invidia è l'umiltà, unita alla generosità e alla sincerità.

#144
Tematiche Culturali e Sociali / Invidia e gratitudine
12 Gennaio 2025, 19:26:28 PM
"Un uomo era invidioso del suo vicino. Un giorno gli apparve una fata: 'Puoi realizzare ogni tuo desiderio solo a questa condizione: il tuo vicino riceverà il doppio'. Quell'uomo pensò un po' e disse: 'Allora, cavami un occhio'."

Questa parabola è tratta dal saggio "Invidia e gratitudine", pubblicato nel 1957 e scritto dalla psicoanalista inglese di origine austriaca Melaine Klein, famosa per le sue teorie sul libero gioco dei bambini.

L'invidia è uno dei sette vizi capitali ed è la categoria con la quale si interpretano e si condannano le varie forme di antagonismo sociale e politico.

L'invidia è sofferenza per il bene degli altri; l'invidioso è colui che guarda di traverso (invidet) un altro individuo perché non sopporta che costui goda di un qualche bene che lui non possiede.

Di solito si prova compassione, solidarietà se un amico o un collega di lavoro soffre o ha problemi economici. Ma se l'amico o il collega si rivela più intelligente, più simpatico e più fortunato, comincia la diffusa pratica della critica verso di lui, e persino la calunnia.

L'invidia è il peccato sociale che rompe i legami tra le persone, impedisce la convivenza e la pace, suscita l'ira  e la violenza.

L'invidia dilaga ed emargina la gratitudine, che è un antidoto all'invidia. Infatti la gratitudine genera affetto verso chi ci ha fatto del bene, è un sentimento che fa ricordare il beneficio ricevuto e la riconoscenza.

Ricerche socio-psicologiche evidenziano che le persone riconoscenti hanno livelli più elevati di benessere soggettivo e  sono più soddisfatte delle loro relazioni sociali.  ::) ???
#145
Riflessioni sull'Arte / Re: Lo sguardo, il viso
11 Gennaio 2025, 16:33:12 PM
Dall'epoca rinascimentale ebbe notevole diffusione il ritratto quasi fotografico.

Un esempio è il noto dipinto del pittore olandese Jan Vermeer la "Ragazza col turbante", meglio conosciuto come "Ragazza con l'orecchino di perla", dal romanzo di Tracy Chevalier, pubblicato nel 1999, da cui è derivato nel 2003 l'omonimo film diretto da Peter Webber.


Jan Vermeer, Ragazza col turbante, olio su tela, 1665 circa,  Museo Mauritshuis, L' Aia, Olanda

A guardarla sembra di trovarsi davanti a lei.

Nel 1696 vennero venduti all'asta tre dipinti di Vermeer, catalogati come "tronie" (in olandese significa faccia), uno di quelli forse era  la "Ragazza col turbante".

"Tronie" è un tipo di quadro che mostra la testa di figure allegoriche, simboliche o curiose: bevitori, fumatori, persone talvolta brutte o che fanno smorfie. Non sono ritratti ma teste decorative che evocano significati morali.

Nella storia dell'arte questo tipo di facce è definito "pseudo-ritratto".

Un esempio di pseudo ritratto è l'Olympia, realizzata dal pittore francese Edouard Manet.


dettaglio



Edouard Manet, Olympia, olio su tela, 1863, Musée d'Orsay, Parigi

In questo dipinto il soggetto è una prostituta stesa su un letto, ma l'immagine che vediamo è Victorine Meurent, che faceva da modella per i pittori.

Il quadro evoca la "Venere di Urbino", di Tiziano. Infatti Manet la copiò nel 1857 quando venne in Italia.


dettaglio


Tiziano Vecellio, Venere di Urbino, olio su tela, 1538, Galleria degli Uffizi, Firenze.

La raffigurazione  è un elogio alla grazia e alla femminilità. Come Venere, è simbolo di amore e  bellezza. Il committente, il duca di Urbino, Guidobaldo II della Rovere.

Il quadro rappresenta un'allegoria del matrimonio. Doveva servire come modello "didattico" per Giulia Varano, la giovane moglie del duca: l'evidente  erotismo aveva lo scopo di  ricordare alla donna i doveri matrimoniali nei confronti dello sposo.

L'allegoria è ancora più chiara nella rappresentazione di Venere, dea dell'amore, come una donna terrena, che fissa in modo allusivo chi la guarda. 

Il corpo nudo disteso di fianco sul letto con  la parte superiore poggiata su cuscini, ha una lunga tradizione figurativa, in particolare quella veneziana del Cinquecento.

In questo quadro Tiziano ha dipinto una seducente Venere basandosi sull'antica figurazione della Venus pudìca.

La fanciulla è distesa nuda sul letto, le lenzuola sgualcite, guarda lo spettatore in modo allusivo. Con la mano sinistra nasconde la zona pubica, nella mano destra ha un piccolo mazzo di rose, uno dei simboli della dea Venere.
 
Su un lato del letto, ai piedi della donna,  c'è  il cagnolino  simbolo di fedeltà coniugale, lo stesso che è in un altro dipinto di Tiziano, il "Ritratto di Eleonora Gonzaga".

Lo sfondo mostra un ambiente di una casa patrizia della Venezia del Cinquecento. Ci sono due ancelle:  una è  in ginocchio, di spalle intenta a frugare nel cassone istoriato dal quale ha preso il sontuoso abito destinato alle nozze, visibile sulla spalla dell'altra ancella in piedi a destra.

Sul davanzale delle finestra, il vaso di mirto, pianta tradizionalmente legata a Venere, costituisce un ulteriore riferimento alla costanza in amore.
#146
Riflessioni sull'Arte / Re: Lo sguardo, il viso
10 Gennaio 2025, 16:30:57 PM
Il libro che ho citato racconta  che fin dai tempi antichi il viso è stato oggetto di riflessioni ed elaborazioni da parte di artisti e letterati.

Teste scolpite oppure dipinte, bambole o maschere, effigi funerarie o personaggi di fantasia come gli dei. Che forma dare a quei volti ? Come rappresentare i sovrani ? Dall'espressione del viso come far capire agli altri chi è buono e chi è cattivo ?

Michelangelo Buonarroti, scultore, pittore e architetto, tra il 1524 e il 1534 fu impegnato nella decorazione della "Sagrestia Nuova" nella basilica di San Lorenzo, a Firenze, e realizzò anche la tomba di Lorenzo de' Medici, duca d'Urbino, da non confondere con il nonno, Lorenzo il Magnifico (si chiamavano entrambi Lorenzo di Piero de' Medici).
 

Michelangelo Buonarroti, tomba di  Lorenzo  di Piero de' Medici, duca di Urbino.  Cappella de' Medici, Sagrestia Nuova, chiesa di San Lorenzo,  Firenze.

Questa tomba è famosa per le statue del Crepuscolo (sulla sinistra) e dell'Aurora (sulla destra). Nella nicchia al centro, in alto c'è l'allegorica statua di Lorenzo raffigurato come un condottiero di epoca romana.
 

In questa scultura Michelangelo lo idealizza e lo raffigura come un  condottiero malinconico mentre sta pensando.

Al Buonarroti fecero notare che la statua non era somigliante al duca, l'artista rispose che in futuro nessuno ricorderà le fattezze di Lorenzo. Lo scopo dell'arte è celebrare la gloria  degli uomini e trascurare il compiacimento dei contemporanei.

L'artista non considera gli attributi del duca, come la barba o la forma del naso, preferendo ideare un volto immaginario del personaggio eroico che simboleggia Lorenzo.

Per capire il significato del ritratto scultoreo michelangiolesco (e delle sue idee in proposito) si può fare il confronto con il dipinto attribuito a Raffaello Sanzio che mostra Lorenzo de' Medici, duca d'Urbino, in modo più somigliante.
 

Raffaello Sanzio (attribuito) ritratto di Lorenzo de' Medici, duca di Urbino, olio su tela, 1516/1519
 
Nel XVII secolo Gian Lorenzo Bernini a volte scolpiva le statue  con la bocca un po' aperta per dare l'idea che il soggetto stesse respirando.

Nel XIX secolo il pittore e fotografo tedesco Franz Seraph Hanfstaenglinventò il fotoritocco, perché ci sono persone che nelle foto "vengono male", invece altre sono fotogeniche  e "vengono bene" o meglio di come sono dal vero.


Doppio ritratto  di Monica Bellucci realizzato dal fotografo Piero Gemelli nel 1996. La sua idea era quella di far apparire in fotografia una sola persona ma come se  fossero due.

A differenza del pittore, il fotografo sceglie fra le foto scattate qual è quella giusta. Non necessariamente quella in cui "si è venuti meglio",  ma quella adeguata  a ciò che deve raccontare.
#147
Riflessioni sull'Arte / Re: Lo sguardo, il viso
10 Gennaio 2025, 16:21:00 PM
Nel precedente post guardate bene quel riflesso, quel piccolo punto bianco nell'iride delle due giovani, non è un riflesso della luce.

Il graphic designer Riccardo Falcinelli nel suo recente libro titolato "Visus. Storie del volto dall'antichità al selfie" nel preambolo ha scritto:

"Occhi simili possono esistere solo in pittura: le sopracciglia seguono un arco che ripete, come in rima, la curva delle palpebre. Il risultato è uno splendido andamento di geometrie regolari. Una scelta che potrebbe apparire  fredda o troppo astratta, se non fosse che Ingres, per renderla plausibile, decide di trattare le superfici in maniera illusionistica: modella l'incarnato per velature di colore, mette i rossori nei punti giusti e dipinge qua e là gli effetti di umido, tipici degli occhi veri, aggiungendo piccoli tocchi di bianco che, alla giusta distanza , danno l'idea che l'iride sia bagnata. Sembra niente, una cosa banale; eppure nell'arte nulla è mai scontato. Quel luccichio compare infatti solo in certi periodi storici, anzi, la maggior parte delle culture lo ha completamente ignorato: non c'è riflesso negli occhi delle madonne bizantine; né in quelli delle miniature indiane; non c'è in molti ritratti rinascimentali".

Ed ancora: "Dal punto di vista fisico, quel bagliore è la conseguenza di una superficie lucida colpita da una fonte luminosa isolata. Non vediamo riflessi quando la luce è diffusa o riverberata, per esempio se il volto è in controluce".

[...] "I motivi sono più complessi e non riguardano la fisica della luce, ma le teorie della rappresentazione. Un volto disegnato, dipinto o scolpito è sempre un'interpretazione della realtà: si dipinge in una data maniera per restituire una versione dei fatti o un modo di sentire la vita. Decidere se mettere o non mettere quel riflesso è una volontà precisa, una cosa che è stata pensata con cura per raccontare un determinato tipo di storia. Quel puntolino bianco, insomma, non è davvero un riflesso della luce, ma della cultura".
#148
Riflessioni sull'Arte / Lo sguardo, il viso
10 Gennaio 2025, 16:18:28 PM

Jean-Auguste Dominique Ingres, Mademoiselle Caroline Rivière, olio su tela, 1806, Museo del Louvre, Parigi.

Il dipinto raffigura la quindicenne Caroline Rivière, che morì pochi mesi dopo. E' l'unico ritratto di Ingres che raffigura una persona adolescente.

L'abito bianco di mussola è in  stile impero, la parte bassa  spicca sul fondo scuro della vegetazione.

Il vestito è impreziosito da accessori che evocano la voluttà femminile, tra le braccia ha la stola di ermellino nella forma di serpente boa, i lunghi guanti lasciano intravedere la parte superiore delle dita. Una cintura (di raso bianco ?) cinge l'abito sotto il seno.

Sullo sfondo c'è il paesaggio dell'Ile-de-France.

I capelli e gli occhi scuri della fanciulla mettono in evidenza il chiarore diffuso nella parte alta del  dipinto.


Mademoiselle Caroline Rivière, particolare

La posa  evoca i ritratti di epoca rinascimentale, in particolare quelli di  Raffaello Sanzio.

Ecco un esempio


Raffaello Sanzio - La Fornarina 1518-1519,  particolare.

segue
#149
Oggi, 5 gennaio 2025,  nell'inserto domenicale "La lettura" del Corriere della Sera c'è un interessante articolo dello storico triestino Raoul Pupo, già docente di storia contemporanea all'università di Trieste.

L'articolo è titolato:   "La vecchia frontiera dell'Europa".
Gorizia e Nova Gorica: due città per una "Capitale della cultura".

"Gorizia è una collina. Lo dice l'originario toponimo sloveno, Gorica (si pronuncia allo stesso modo), diminutivo di gora, cioè montagna. Compare nella storia agli inizi dell'XI secolo come villaggio ai piedi di un colle sul quale una dinastia germanica erige un castello. Pian piano il castello cresce così come il villaggio, le nobili famiglie germaniche si succedono e riescono a costruirsi un bel dominio feudale, la contea di Gorizia, inserendosi abilmente nei contrasti fra il patriarca di Aquileia, i suoi riottosi vassalli, i comuni di Venezia, Padova e Treviso, il ducato d'Austria su cui dominano gli Asburgo.

La corte comitale nel Trecento accoglie letterati sia italiani che tedeschi, mentre nel Quattrocento Gorizia scampa alle scorrerie turche dirottandole verso i suoi vicini. Nell'anno 1500 però l'ultimo conte si estingue e gli Asburgo sono i più lesti a impadronirsi della contea. Per un secolo il confine con la repubblica di Venezia rimane caldo, poi arriva la pace e Gorizia vive fino a tutto l'Ottocento una tranquilla esistenza di periferia imperiale.

Alla vigilia della Grande guerra è una cittadina vivace e multilingue. Il comune è guidato dal partito liberalnazionale, italianissimo con qualche simpatia irredentista, il luogotenente imperiale è un sacerdote friulano, esponente di un movimento cattolico che raduna i contadini italofoni fedeli sudditi dell'imperatore, vescovo principe è uno sloveno, così come molti fedeli della città e tutti quelli dell'alta valle dell'Isonzo.

Poi comincia il Novecento breve e terribile. Durante la Prima guerra mondiale Gorizia è campo di battaglia e ne esce distrutta. Attorno sorgono le alture più insanguinate del conflitto: il Sabotino, il San Gabriele, il San Michele, il Calvario. Finite le ostilità, la città viene ricostruita e semplificata. I tedescofoni se ne vanno quasi tutti. I patrioti italiani esultano, quelli sloveni, che vorrebbero l'annessione al regno jugoslavo, vanno in esilio o al confino. L'antica contea diventa provincia del regno d'Italia, ma nelle elezioni del 1921 vengono eletti quattro deputati di lingua slovena e un deputato italiano comunista: tanto basta perché dopo l'ascesa al potere di Mussolini nel 1923 la provincia venga abolita. Viene ricostituita nel 1927, quando il fascismo è diventato regime e della volontà degli elettori non si tiene più alcun conto.

La città vive così fasti e nefasti del ventennio, ben più numerosi i secondi, perché all'oppressione politica che morde tutti gli italiani si aggiunge quella nazionale, per sradicare l'identità della componente slovena della popolazione. I provvedimenti sono quelli usuali delle politiche di assimilazione forzata: divieto di insegnamento, stampa e uso pubblico della lingua slovena, penalizzazione — che vuol dire anche legnate — di quello privato, cambio di toponimi, cognomi e nomi, incarcerazione, confino o espulsione dei riottosi. Anche i modesti spiragli lasciati dalle leggi vengono riempiti dagli squadristi, che non esitano ad ammazzare un musicista per aver diretto un coro natalizio in lingua slovena autorizzato dalla questura. Qualcuno, ovviamente fra i più giovani, si ribella e aderisce al movimento clandestino irredentista jugoslavo Tigr, acronimo che sta per Trst, Istra, Gorica i Rijeka. Per il regime sono punture di spillo, anche se generano una pesantissima repressione, ma ben diversa è la situazione quando nel 1941, in piena Seconda guerra mondiale, l'Italia fascista invade la Jugoslavia assieme ai tedeschi e ne annette alcune parti.

In breve, dalla nuova provincia di Lubiana il movimento partigiano a guida comunista si estende alla contigua Venezia Giulia; agli inizi del 1943 quella goriziana è la prima provincia italiana in cui le autorità hanno perso il controllo del territorio ben prima dello sbarco alleato in Sicilia. Dopo l'8 settembre arrivano i tedeschi e gli operai del vicino cantiere di Monfalcone, assieme a soldati italiani e partigiani sloveni, li affrontano nella «battaglia di Gorizia», uno dei pochi episodi di resistenza armata dopo l'armistizio.

Durante l'occupazione nazista la pluralità della città isontina si tinge di sangue. I partigiani sloveni controllano le foreste alle spalle di Gorizia, in città si crea un Comitato di liberazione nazionale italiano; con i tedeschi collaborano non solo i fascisti ma anche le formazioni anticomuniste slovene dei domobranzi, che però con i fascisti italiani dialogano a suon di bombe e scariche di mitra; prefetto diventa un aristocratico asburgico che riesce a dialogare con tutti, ma ci rimette quasi la pelle; a un certo punto arrivano anche i marò della Decima, aumentando il tasso di conflittualità con tutti gli altri, ma vengono pesantemente sconfitti dai partigiani nella selva di Ternova.

I tedeschi se ne vanno l'1 maggio 1945, però non scoppia la pace, bensì le terribili violenze di transizione. Sloveni e anche comunisti italiani accolgono festanti la liberazione portata dalle truppe jugoslave, i patrioti italiani no, perché la temono premessa all'annessione alla Jugoslavia di Tito e perché subito l'Ozna — la temibile polizia politica — avvia la caccia ai «nemici del popolo», come in tutta la Slovenia. Se nell'alta valle dell'Isonzo non mancano gli sloveni, sacerdoti e laici, presi di mira perché anticomunisti e sospetti di collaborazionismo e finiti nelle foibe, in città gli arrestati sono quasi tutti italiani: dai noti fascisti e collaborazionisti agli uomini delle istituzioni, agli altrettanto noti e potenzialmente fastidiosi patrioti, fino ad alcuni antifascisti non comunisti del Cln. Gli arrestati nell'Isontino sono migliaia, gli uccisi fortunatamente meno: gli elenchi oscillano fra 600 e 800 scomparsi, che in ogni caso configurano una di quelle stragi il cui trauma si conficca a fondo nella memoria collettiva. Ciò tanto più, dal momento che al ritiro delle truppe jugoslave e all'instaurazione di un'amministrazione provvisoria anglo-americana segue una fase di aspri conflitti, anche fisici, fra patrioti italiani e sostenitori della causa jugoslava. Il 15 settembre 1947 tornano finalmente i bersaglieri: gli italiani tripudiano per la «seconda redenzione» dopo quella del 1918, sloveni e comunisti assai meno, perché mentre la massa dei goriziani festeggia, c'è chi sceglie il momento per devastare negozi e abitazioni di concittadini sloveni e comunisti.
Il nuovo confine è un mostro. La stazione della Transalpina è tagliata a metà dal reticolato, in periferia la linea attraversa una stalla, lasciando la mucca da una parte e il mungitore da quell'altra. La città ha perso la maggior parte della provincia, le valli dell'Isonzo e del Vipacco hanno perso il loro centro urbano. Non si può andare avanti così. Il governo italiano decide provvidenze eccezionali. Quello jugoslavo avvia la costruzione di una città gemella, Nova Gorica. Ma il 13 agosto 1950 una massa di abitanti jugoslavi supera i posti di blocco e si riversa in città a salutare i parenti e, soprattutto, ad acquistare quei beni di consumo elementari che oltre confine non si trovano: la chiameranno 'la domenica delle scope'.

Passano dieci anni, arriva la distensione e le classi politiche locali capiscono che bisogna andare oltre. Gorizia ha avuto fortuna con i sindaci. Negli anni Sessanta è dalle amministrazioni comunali che parte la spinta al dialogo fra le due Gorizie, per affrontare i problemi comuni e spingere sui rispettivi governi. Agendo in sintonia con Trieste e con la nuova regione Friuli-Venezia Giulia, ne viene lo stimolo a realizzare quello che ben presto verrà chiamato il confine-ponte, motore di un'economia transfrontaliera che dà ossigeno a entrambe le città. Altrettanto dinamica è la cultura di frontiera, capace di guardare anche orizzonti più lontani, come fa l'Istituto per gli incontri mitteleuropei.
Il collasso della Jugoslavia disegna prospettive nuove. Per un verso facilita i contatti, per l'altro costringe Gorizia a ristrutturare un'economia largamente fondata sulla peculiarità frontaliera e sulla massiccia presenza di unità militari. Saltano però, anche materialmente, le divisioni fra le due città sorelle: i valichi di frontiera si spalancano, le garitte delle sentinelle diventano musei del confine, la piazza della Transalpina collega e non divide più le due Gorizie. I sindaci continuano a darsi da fare ed è soprattutto grazie a loro che in questo mese di gennaio 2025 Gorizia e Nova Gorica diventano assieme Capitale europea della cultura.

Ci saranno feste, concerti, spettacoli. Ci saranno prove di integrazione del territorio e dei servizi. Speriamo ci siano anche momenti forti di riflessione comune e serena su un passato che sereno non è stato per niente. Nel mondo che sembra nuovamente compiacersi delle divisioni e degli atti di forza, c'è urgenza di mostrare come anche il buio della storia può venire illuminato. È tempo allora di andare oltre il confronto rispettoso delle reciproche memorie dolenti per proporre ai più giovani la storia intera di una comunità articolata che solo nella prospettiva europea trova la sua autentica dimensione".
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Attualità / Capitale europea della cultura nel 2025
05 Gennaio 2025, 19:41:05 PM
2025: quest'anno la "Capitale Europea della Cultura" è trans-frontaliera,  saranno Gorizia e Nova Gorica. Due città di confine, la prima italiana, la seconda slovena. Un sodalizio simbolico che unisce due territori vicini, storicamente separati da un confine, che oggi segna invece un cammino condiviso.

GO!2025 è il motto.

L'inaugurazione congiunta di  Gorizia e  Nova Gorica come Capitale Europea della Cultura avverrà il prossimo mese: l'8 febbraio 2025: una data simbolica,  sia perché  l'8 febbraio in Slovenia si celebra la "Giornata della cultura", legata allo scrittore France Prešeren, morto l'8 febbraio 1849,  sia perché è la data di nascita di Giuseppe Ungaretti: 8 febbraio 1849.  Questo poeta partecipò in zona alla prima guerra mondiale.

Un concatenarsi di simboli che vanno in un'unica direzione: quella di valorizzare la cultura che costruisce ponti e futuro, diventando un modello e un simbolo per l'Europa.

L'iniziativa vuole promuovere la diversità e l'integrazione. Le due città vicine offriranno arte, musica, natura e cultura.


Castello di Gorizia

Due città un tempo divise, oggi riunite dalla comune appartenenza all'unione europea.

Gorizia e Nova Gorica (questo toponimo significa "Nuova Gorizia") in precedenza separate dal confine di Stato italo-jugoslavo e poi italo-sloveno, sono di fatto unite dal 21 dicembre 2007, giorno in cui la Slovenia è entrata nell'area del "trattato di Schengen", che ha comportato la definitiva caduta delle barriere doganali e la rimozione delle recinzioni alla frontiera. Le due città sono comunque diverse, essendo il centro sloveno privo di edifici storici: l'unico edificio di rilievo del centro cittadino è la stazione ferroviaria.

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