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Messaggi - Loris Bagnara

#136
Citazione di: maral il 13 Maggio 2016, 22:29:58 PM[...]
La coscienza comunque non la vedo proprio come una sorta di misterioso flusso insufflato nel tutto dal di fuori per fare della somma un intero (e come potrebbe? fuori dal tutto ci sta solo il niente, non certo un insufflatore o programmatore di coscienze), ma è proprio quel gioco di relazioni tra le parti e il loro intero e tra l'intero e le sue parti, un gioco mai perfettamente definibile se non come un continuo reciproco rimando come in un gioco di specchi che si riflettono l'un l'altro costantemente all'infinito, finché uno specchio non si rompe. Sì, penso che pensare la coscienza è entrare in una vertigine infinita che non ha in origine nulla di trascendente, ma genera proprio dal suo abisso infinito ogni trascendenza.
[...]
Infatti la coscienza non ha nulla di misterioso... si fa per dire, nel senso che non viene dall'esterno. Giustamente, nulla può essere esterno al tutto.
Quindi la coscienza c'è già, è già all'interno della manifestazione, è corrisponde proprio "all'intero" (al tutto) che organizza la materia (le parti) per potersi manifestare come vita cosciente e intelligente, a vari livelli di complessità, fino all'uomo.

La stessa fisica c'insegna che nulla sorge dal nulla e sparisce nel nulla, e quindi perché mai la coscienza dovrebbe sorgere dal nulla e sparire nel nulla?

Le "relazioni fra le parti e l'intero" non possono spiegare l'emergere della coscienza, per il semplice motivo che le relazioni non hanno una realtà fisica, sono solo concetti che l'intelligenza autocosciente umana formula come atti conoscitivi della realtà in cui è immersa.
Ma se le relazioni sono concetti formulati dalla coscienza, affermare che la coscienza emerge come risultato delle "relazioni fra le parti e l'intero" equivale a dire che la coscienza emerge da concetti che sono formulati dalla coscienza: una tautologia.

Come ho già scritto, esiste realmente solo il tutto, e le parti sono solo visioni parziali, concettualizzazioni create da individui pensanti.
L'universo è un tutto, come suggerisce la fisica quantistica: dall'evento che chiamiamo Big Bang, tutte le particelle dell'universo si trovano in uno stato entangled, cioè in una condizione di interdipendenza inestricabile e non-locale (peraltro come intuito dal Budda 2500 anni fa).
E si può allora pensare che l'universo stesso costituisca la base materiale di un'intelligenza cosmica: anche questo, concetto intuito già migliaia di anni fa e che ritroviamo, a esempio, nel Corpus Hermeticum.
#137
Dagli interventi che leggo, in generale, mi sembra di cogliere che si tende ad identificare la coscienza con l'ampiezza dell'esperienza cosciente dell'essere umano: sensazioni, pensieri, emozioni, intelligenza astratta, creatività etc.
Io credo sia necessario dare della coscienza una definizione più tecnica e generale.
Propongo la seguente:

La (auto)coscienza è un principio (irriducibile) che si manifesta come una funzione di grado di osservare se stessa nell'atto di osservare dei contenuti.

Questa definizione ci dice una prima cosa: è impossibile pensare di riprodurre la coscienza su base strettamente materiale.
Infatti, la coscienza sarebbe una funzione che ha come input se stessa e come output se stessa. Nessuna funzione del mondo fisico può funzionare con un loop del genere. Questo è uno dei motivi per cui ritengo la coscienza un principio irriducibile.

Poi ne derivano altre cose.
Non ha importanza quali siano i contenuti, se quelli del'esperienza umana oppure altri che non sappiamo nemmeno immaginare.
In altre parole, potrebbero essere autocoscienti anche esseri con capacità molto inferiori e diverse da quelle degli uomini: gli animali ad esempio, come io credo, e in generale tutto ciò che esiste conterrebbe in latenza il principio cosciente.
Oppure potrebbero essere autocoscienti entità che non penseremmo neppure di associare alla vita intelligente: una particolare nebulosa, ad esempio, come si vede in certi film di fantascienza.

C'è poi il problema dell'ampiezza dell'individualità cosciente. Noi abbiamo esperienza del tipo umano di individualità cosciente, ma gli animali hanno probabilmente una coscienza individuale più attenuata in favore di una coscienza di gruppo più forte (e questo sarebbe tanto più vero quanto più si scende nella gerarchia animale).
Ma anche gli stessi esseri umani potrebbero giungere, in un lontano futuro evolutivo, ad una sorta di coscienza collettiva, dove l'individuo non sparisce, ma può integrarsi in una coscienza più vasta. Qualcosa ora di inimmaginabile.

Insomma, il problema così si presenta ancora più complesso...
#138
Citazione di: HollyFabius il 09 Maggio 2016, 22:23:30 PM
Citazione di: Loris Bagnara il 09 Maggio 2016, 22:07:10 PM


Capisco il tuo disappunto, ma hai posto una questione talmente complessa che è difficile dare risposte costruttive...
Però ci provo a fare un passo avanti. Premetto che parto da una concezione molto particolare, ma non mia personale, perché è quella propria della teosofia e condivisa, in generale, dall'esoterismo (o anche occultismo, purché non lo si intenda in senso "nero").

Cominciamo col dire che la complessità dell'essere umano, già sbalorditiva sul piano fisico, lo è forse ancora di più sui piani sottili.
Esiste innanzitutto la monade, o "scintilla divina", cioè il principio di autocoscienza nella sua manifestazione non ulteriormente riducibile (diciamo quindi "atomica").
Preciso che non vi è differenza sostanziale fra materia e spirito: si tratta solo di due poli estremi di una scala infinita di gradazioni di densità, dal più sottile al più denso.
Ad un certo punto dell'evoluzione della vita sul piano materiale, la monade è scesa nelle forme umane, dando così il via all'essere umano vero e proprio e all'evoluzione del regno umano che essenzialmente consiste nel fare esperienze sul piano fisico, esperienze che servono, vita dopo vita (reincarnazione), a costruire e perfezionare i "veicoli superiori" della coscienza, quel che si dice il "corpo causale". Esaurita la necessità di fare ulteriori esperienze, il corpo causale abbandona definitivamente il piano fisico e passa ad esperienze ancora più elevate, sul piano nirvanico, delle quali nulla si può dire perché inimmaginabili per noi ora. Oltre il piano nirvanico, l'individuo ritorna al piano divino con tutto il bagaglio di esperienza accumulato. Detto così sembra che ci sia un inizio e una fine, ma è una limitazione della nostra visione umana.

Perché tutto questo, se parliamo di IA? Perché, quel che intendo dire, è che lo sviluppo ingegneristico sul piano fisico non potrà bastare per creare IA autocoscienti. L'umanità dovrà sviluppare anche l'ingegneria dei piani sottili, cioè giungere ad una conoscenza approfondita e a un perfetto dominio di tutti i nostri corpi sottili: il corpo eterico, poi quello astrale, poi quello mentale, poi quello buddico e così via..
La naturale evoluzione del regno umano porterà ad un livello del genere. A quel punto l'umanità avrà anche sviluppato una sorta di coscienza collettiva e sarà in grado di muoversi sui pani sottili con la stessa facilità con cui si muove sul piano fisico.
E a quel punto, col raggiunto dominio dell'ingegneria sottile, potremo pensare di creare a nostra volta entità autocoscienti: prendere cioè forme fisiche ed innestarvi il principio autocosciente, dando il via ad un nuovo processo evolutivo che porterà allo sviluppo di un nuovo essere.
Il nuovo essere magari potrà anche non avere base biologica, ma tecnologica, come diremmo noi oggi.

Per quanto possa sembrarvi incredibile (e sono sicuro che ve lo sembrerà) questo è esattamente ciò che sarebbe accaduto all'essere umano: la tradizione occulta dice che milioni d'anni fa, esseri già evoluti (non sto parlando di dischi volanti, sia chiaro) avrebbero insediato il principio cosciente nelle forme antropoidi allora esistenti, creando i primi esseri umani, i nostri antenati. In altre parole, a nostra volta noi saremmo in qualche modo intelligenze artificiali su base materiale biologica. La creatura diventa a sua volta creatrice.

Vi lascio immaginare quali siano le implicazioni etiche in tutto ciò. Quando l'umanità farà questo, lo farà con la piena consapevolezza di dare il via ad un processo che porterà miliardi di individui ad affacciarsi alla vita cosciente, con tutto ciò che ne consegue...

Chiedo anticipatamente scusa a chi, non conoscendo questa concezione, potrà trovarla follemente arbitraria (non lo è), e chiedo scusa anche a chi già la conosce, per la rozzezza con cui ho dovuto condensarla in poche righe.

P.S. Estremamente acuto l'ultimo post di And1972rea, concordo. (Se non sembrasse un autoelogio, direi che è un esperimento mentale che avevo concepito anch'io... ;))

P.P.S. Hollyfabius, mi raccomando, non accomunarmi a Sgiombo: lui non ha piacere. A me invece non me ne frega niente.

Mi scuserai ma mi sono perso. Se già non trovo giustificazioni alla mitologia cristiana ammetterò che la mitologia che tu presenti mi pare ancora più soggetta ad elementi indimostrabili.
Ne cito uno su tutti, io ho difficoltà a rappresentarmi un essere divino superiore che non dia spazio ad una fase precedente alla sua esistenza, come faccio a rappresentarmi una civiltà divina superiore che abbia lo stesso difetto logico? Banalizzando: cosa c'era prima? Chi ha creato il creatore o i creatori?
Ti comprendo perfettamente, ma occorrerebbero molti libri e anni di riflessioni su questi argomenti prima di cominciare a digerirli, e qui non possiamo farlo. Rispondo solo brevemente ad alcune cose, senza pretendere di essere esaustivo.

Quella che ho descritto non è propriamente una mitologia; o meglio, vi sono anche elementi mitologici, che però sono solo la veste che ricopre un nucleo di eventi da intendersi come reale, diciamo pure storici.

Non si tratta di una civiltà divina superiore. Quello è il normale stadio finale di ogni ciclo evolutivo, che porta una monade ad evolvere fino a quel punto in cui è in grado di dare il via a sua volta ad un nuovo ciclo evolutivo.

Il tempo è una pura illusione che "vale" solo all'interno della manifestazione. Nell'Assoluto non manifestato non esistono né lo spazio né il tempo e vi è già "contenuto" ogni possibile evento in ogni possibile concatenazione di causa ed effetto. In un certo senso, dal punto di vista dell'Assoluto tutto è già accaduto/accade/accadrà. Non esiste un prima e un dopo.
Il nostro universo, ogni possibile universo non è che uno degli infiniti modi in cui si possono percorrere e conoscere gli infiniti eventi già contenuti nell'Assoluto.

E' ovvio che una cosa del genere non la si può dimostrare, la si può solo intuire, e arrivi a intuirla solo quando realizzi che ogni altra sluzione non fornisce altrettante spiegazioni.

La chiave è preoccuparsi meno di dimostrare, e più di cercare soluzioni che diano un senso alle cose.
Non esistono domande che non hanno risposta.
#139
Citazione di: HollyFabius il 09 Maggio 2016, 17:12:10 PM
Citazione di: Loris Bagnara il 09 Maggio 2016, 14:19:28 PMHo inteso perfettamente quel che intendevi con "tutto e per tutto", e quando ho scritto il mio post intendevo dire la stessa cosa, non una cosa diversa.
Ma come ha detto anche Sgiombo, se anche esistesse una IA capace di riprodurre in tutto e per tutto ogni cosa che l'uomo è in grado di fare, anche quelle artisticamente e intellettualmente più sublimi, come si fa dall'esterno a giudicare che quell'intelligenza possiede la luce dell'autocoscienza?
Io, per me, so di essere autocosciente: di un altro, non posso saperlo con certezza. Posso ritenerlo probabile, se si tratta di un essere umano biologico come me; ma se si tratta di una IA, che si può dire? Io non conosco un modo per accertare l'autocoscienza altrui.

Se uno parte da una visione riduttivista, secondo cui la coscienza umana è il risultato dell'attività neuronale, allora può anche ragionevolmente ammettere che una IA, raggiunto un certo grado di complessità, possa divenire autocosciente. Ma la visione riduttivista non è la mia...

Si però la questione che ponevo io era leggermente più complessa. Certo che non hai la possibilità di verificare che io sia un essere autocosciente, nel tuo mondo tu potresti essere l'unica mente autocosciente e il resto del mondo un teatrino di fantasmi creati dalla tua mente a tuo uso e consumo. Io volevo partire come minimo dal superamento di questa posizione, peraltro espressa anche  Sgiombo. Non ho la superbia di pensare di essere unico oggetto e soggetto della mia mente, chiaro se chi dialoga con me pone questa come la sola possibilità che renderebbe vana l'indagine intellettuale comune direi che posso concludere qui le mie riflessioni.
Ovviamente il dialogo non è per me interessante, io ho già dato per scontata l'idea di vivere in un mondo di vivi.
Capisco il tuo disappunto, ma hai posto una questione talmente complessa che è difficile dare risposte costruttive...
Però ci provo a fare un passo avanti. Premetto che parto da una concezione molto particolare, ma non mia personale, perché è quella propria della teosofia e condivisa, in generale, dall'esoterismo (o anche occultismo, purché non lo si intenda in senso "nero").

Cominciamo col dire che la complessità dell'essere umano, già sbalorditiva sul piano fisico, lo è forse ancora di più sui piani sottili. 
Esiste innanzitutto la monade, o "scintilla divina", cioè il principio di autocoscienza nella sua manifestazione non ulteriormente riducibile (diciamo quindi "atomica").
Preciso che non vi è differenza sostanziale fra materia e spirito: si tratta solo di due poli estremi di una scala infinita di gradazioni di densità, dal più sottile al più denso.
Ad un certo punto dell'evoluzione della vita sul piano materiale, la monade è scesa nelle forme umane, dando così il via all'essere umano vero e proprio e all'evoluzione del regno umano che essenzialmente consiste nel fare esperienze sul piano fisico, esperienze che servono, vita dopo vita (reincarnazione), a costruire e perfezionare i "veicoli superiori" della coscienza, quel che si dice il "corpo causale". Esaurita la necessità di fare ulteriori esperienze, il corpo causale abbandona definitivamente il piano fisico e passa ad esperienze ancora più elevate, sul piano nirvanico, delle quali nulla si può dire perché inimmaginabili per noi ora. Oltre il piano nirvanico, l'individuo ritorna al piano divino con tutto il bagaglio di esperienza accumulato. Detto così sembra che ci sia un inizio e una fine, ma è una limitazione della nostra visione umana.

Perché tutto questo, se parliamo di IA? Perché, quel che intendo dire, è che lo sviluppo ingegneristico sul piano fisico non potrà bastare per creare IA autocoscienti. L'umanità dovrà sviluppare anche l'ingegneria dei piani sottili, cioè giungere ad una conoscenza approfondita e a un perfetto dominio di tutti i nostri corpi sottili: il corpo eterico, poi quello astrale, poi quello mentale, poi quello buddico e così via..
La naturale evoluzione del regno umano porterà ad un livello del genere. A quel punto l'umanità avrà anche sviluppato una sorta di coscienza collettiva e sarà in grado di muoversi sui pani sottili con la stessa facilità con cui si muove sul piano fisico.
E a quel punto, col raggiunto dominio dell'ingegneria sottile, potremo pensare di creare a nostra volta entità autocoscienti: prendere cioè forme fisiche ed innestarvi il principio autocosciente, dando il via ad un nuovo processo evolutivo che porterà allo sviluppo di un nuovo essere.
Il nuovo essere magari potrà anche non avere base biologica, ma tecnologica, come diremmo noi oggi.

Per quanto possa sembrarvi incredibile (e sono sicuro che ve lo sembrerà) questo è esattamente ciò che sarebbe accaduto all'essere umano: la tradizione occulta dice che milioni d'anni fa, esseri già evoluti (non sto parlando di dischi volanti, sia chiaro) avrebbero insediato il principio cosciente nelle forme antropoidi allora esistenti, creando i primi esseri umani, i nostri antenati. In altre parole, a nostra volta noi saremmo in qualche modo intelligenze artificiali su base materiale biologica. La creatura diventa a sua volta creatrice.

Vi lascio immaginare quali siano le implicazioni etiche in tutto ciò. Quando l'umanità farà questo, lo farà con la piena consapevolezza di dare il via ad un processo che porterà miliardi di individui ad affacciarsi alla vita cosciente, con tutto ciò che ne consegue...

Chiedo anticipatamente scusa a chi, non conoscendo questa concezione, potrà trovarla follemente arbitraria (non lo è), e chiedo scusa anche a chi già la conosce, per la rozzezza con cui ho dovuto condensarla in poche righe.

P.S. Estremamente acuto l'ultimo post di And1972rea, concordo. (Se non sembrasse un autoelogio, direi che è un esperimento mentale che avevo concepito anch'io... ;))

P.P.S. Hollyfabius, mi raccomando, non accomunarmi a Sgiombo: lui non ha piacere. A me invece non me ne frega niente.
#140
HollyFabius ha scritto:
CitazioneIl significato del "tutto e per tutto" non può essere ambigua. Implica tutte le funzioni dell'uomo, comprese le più astratte di creazione artistica, di razionalizzazione degli eventi (fenomeni esterni) alla macchina.
Ho inteso perfettamente quel che intendevi con "tutto e per tutto", e quando ho scritto il mio post intendevo dire la stessa cosa, non una cosa diversa.
Ma come ha detto anche Sgiombo, se anche esistesse una IA capace di riprodurre in tutto e per tutto ogni cosa che l'uomo è in grado di fare, anche quelle artisticamente e intellettualmente più sublimi, come si fa dall'esterno a giudicare che quell'intelligenza possiede la luce dell'autocoscienza?
Io, per me, so di essere autocosciente: di un altro, non posso saperlo con certezza. Posso ritenerlo probabile, se si tratta di un essere umano biologico come me; ma se si tratta di una IA, che si può dire? Io non conosco un modo per accertare l'autocoscienza altrui.

Se uno parte da una visione riduttivista, secondo cui la coscienza umana è il risultato dell'attività neuronale, allora può anche ragionevolmente ammettere che una IA, raggiunto un certo grado di complessità, possa divenire autocosciente. Ma la visione riduttivista non è la mia...
#141
Citazione di: HollyFabius il 08 Maggio 2016, 23:30:40 PM
Citazione di: HollyFabius il 26 Aprile 2016, 20:12:25 PM
Una delle tesi forti dell'intelligenza artificiale era (o forse è ancora) che continuando ad aumentare complessità negli algoritmi, oltre ad un certo grado di complessità, si sarebbe "rivelata" una sorta di coscienza o auto-coscienza.

Provo a riportare la discussione su temi a me noti e sulla domanda iniziale.
Nessuno dei filosofi dei quali abbiamo parlato nel 3D ha visto gli sviluppi dell'intelligenza artificiale degli ultimi anni. Questo fatto dovrà venire assimilato dai pensatori. Torno a chiedere più chiaramente: è possibile lo sviluppo di una intelligenza artificiale che arrivi alla coscienza e all'autocoscienza? Per quanto io mi sforzi non riesco a capire perché questo non possa generarsi, magari tra 200, 300 o magari 1000 anni di sviluppo tecnologico.
Cosa abbiamo noi, come qualità, che le macchine del futuro non potranno mai avere e per farci mantenere un'idea di un qualche tipo di coscienza a noi soli accessibile?
Anch'io non vedo perché non possa essere tecnicamente possibile, in un futuro più o meno lontano, costruire delle macchine in grado di agire in modo tale da risultare indistinguibili da un essere umano.
Detto questo, sarà comunque impossibile accertare se quelle macchine siano effettivamente autocoscienti: potrebbero semplicemente simulare di esserlo, potrebbero simulare libero arbitrio pur essendo condizionate da algoritmi estremamente complessi. Peraltro, il libero arbitrio presente negli stessi esseri umani è, sappiamo bene, limitatissimo (c'è chi dice nullo: io dico molto limitato).
In ogni caso, per come la vedo io, la vita è una discesa dello Spirito nella Materia, della Coscienza in un Corpo, dell'Informale in una Forma. Non il contrario. Non si costruisce la coscienza partendo dal corpo, ma è la coscienza a costruirsi un corpo (anzi, vari corpi, "uno dentro all'altro", per così dire) per fare esperienze ed evolvere. Vera e divertente la metafora della tetta suggerita da Sariputra.
#142
Ho riscritto questo post perché ora ho capito cos'ha fatto indignare Sgiombo per il fatto che io abbia usato l'espressione "evento di coscienza" per definire le sensazioni. Sgiombo sta pensando che sto facendo polemica gratuita. Non è così.
A me la definizione delle sensazioni come "eventi di coscienza" mi sta bene, perché io postulo la coscienza come principio irriducibile.
Ma se si nega la realtà della coscienza come principio, allora non si può definire la coscienza utilizzando le sensazioni ("amalgama di sensazioni"), perché si crea un circolo vizioso con la precedente definizione. A meno che non si torni a modificare, appunto, la precedente definizione. E' solo questo che ho cercato di far capire a Sgiombo.
La soluzione del problema è semplicissima: basta postulare la coscienza individuale come principio, e definire le sensazioni come eventi di coscienza. Punto. Fine del problema.
Negare la realtà in sé della coscienza individuale porta solo ad un'infinità di problemi, come ho cercato di mostrare. Inutilmente, perché forse questo genere di problemi più che dimostrarli devi intuirli: si deve intuire che esiste un problema, e se non lo intuisci nessuno riuscirà a fartelo capire.
Con l'intuizione e l'osservazione interiore, tradizioni millenarie in oriente hanno sviluppato una conoscenza empirica, esperienziale della coscienza che noi purtroppo in occidente ci sogniamo. E purtroppo, però, l'intuizione è una facoltà che Sgiombo non ha coltivato e non ha intenzione di coltivare (parole sue): forse per questo non sente alcun io quando elimina ad una ad una le sensazioni (parole sue).

Leggendo l'ultimo post di Sgiombo, trovo solo le stesse cose ribadite in parole leggermente diverse.
Anzi, ancora più ingarbugliate, ancora meno comprensibili, come quando si ascoltano i politici che non hanno nulla di concreto da dire: un "filosofese", come c'è il politichese.
Ma ribadire le stesse cose non dà ad esse maggior senso. Il senso è quello di prima: nessuno.
Il fatto è che un tempo, da adolescente, anch'io la pensavo così, anch'io ero pervaso di scetticismo. Poi ho capito che non funzionava. Quindi io so esattamente come pensa Sgiombo; Sgiombo, invece, non sa come penso io ora.

Ha ragione Sgiombo, non è il caso di continuare questo scambio. Finiamola qui.
Sarà un mio limite: purtroppo non ho ancora imparato a comprendere le cose senza senso.
#143
Mi rendo conto che con memento c'è un problema di comprensione linguistica riguardo alla parola "sensazione".
Il significato che gli do io è di "evento della coscienza" - come dice anche Sgiombo - (di qualunque tipo: percezione esteriore, emozione, pensiero astratto etc).
Invece memento chiama sensazione qualunque segnale elaborato dal sistema nervoso.
Io, quel che dice memento, preferisco chiamarlo appunto "segnale" o "dato percettivo" o altro, perché può sussistere anche in una entità sprovvista di coscienza: ad esempio un robot biologico identico ad un essere umano, se non per il fatto di essere appunto sprovvisto di coscienza. In questo caso non userei il termine "sensazione", perché mi pare più legato al "sentire" e alla coscienza.
Altrimenti potremmo chiamare sensazione anche il segnale trasmesso da un cavo telefonico, come dicevo, ma non mi pare opportuno. Il segnale telefonico diventa comunicazione (sensazione) solo quando c'è un soggetto cosciente che lo recepisce.

Il problema che io ponevo era quello del rapporto fra coscienza e sensazione: che giustamente è un insieme inscindibile (almeno in prima approssimazione) ma in cui si possono e si devono riconoscere degli aspetti differenti. Non fosse altro che per il fatto che io posso passare da una sensazione all'altra, ma resto pur sempre io.

Si tratta in definitiva di una sorta di esperimento mentale in cui si immagina di "aprire gli occhi" in questo istante, senza alcuna conoscenza di alcun genere, ma con i sensi attivi e con tutte le facoltà mentali pure attive. In questa condizione, ci troviamo con la nostra coscienza e con i suoi contenuti (chiamiamole come ci pare).
Il problema è: come si esce da questa condizione di solipsismo?
Qual è il primo atto conoscitivo che posso porre?
Postulo la res cogitans oppure la res extensa?
Oppure tutte e due?
Oppure nessuna delle due?

Io sostengo che il primo atto conoscitivo che posso compiere con certezza è postulare la realtà dell'io-sono.
Il resto viene in seguito.
#144
Metto insieme le definizioni date da Sgiombo per farne una completa:
Citazione"La coscienza é l'insieme delle sensazioni" + "che accadono, che si constatano nel loro apparire"
La frase, benché grammaticalmente corretta, non ha alcun significato.

Cosa vuol dire "insieme delle sensazioni"? Dove c'è un insieme, esiste qualcosa che definisce i limiti di tale insieme.
Ebbene, qual è questo limite, nel caso della coscienza individuale? Cos'è che raduna le sensazioni in un insieme?

Cosa vuol dire che una sensazione "accade"? Accade dove? Forse nella mente? Allora c'è una mente, e se c'è una mente c'è una coscienza.
Quindi, la definizione corretta sarebbe: la coscienza è l'insieme delle sensazioni che accadono nella mente (coscienza).
Non è un circolo vizioso?

Cosa vuol dire "che si constatano"? Altro esempio di trucco linguistico e di depistaggio, sostituendo il "percepire" con il più innocuo "constatare". Ma la questione non si sposta di una virgola: si constatano da sole le sensazioni? Se no, chi o che cos'è che compie la funzione di constatare?

Che significa "al loro apparire"? Apparire a chi? Difficile pensare a qualcosa che appare se non a qualche soggetto. Oppure si intende "apparire a se stesse"? Ancora più oscuro. E poi "apparire" significa giungere in un "luogo" provenendo da un altro "luogo", oppure comparire dal "nulla" in un certo "luogo". Trascuriamo pure la provenienza. Ma il "luogo" dove le sensazioni appaiono, dov'è, se non si ammette l'esistenza di un soggetto?

Infine, tale definizione non dice nulla su due questioni basilari:
1) l'impressione di permanenza della coscienza, pur nel fluire mutevole delle sensazioni;
2) l'individualità della coscienza.

Ripeto la "sciocchezza", che però sta tutta in questa tua vuota definizione, che è solo un circolo vizioso di parole che si rincorrono. E implicitamente lo ammetti anche tu quando dici che per definire una parola occorrono sempre altre parole. Quando fai l'esempio dell'albero e della foresta. Ciò indubbiamente si deve all'aspetto olistico della realtà. Resta il fatto però che se è comprensibile definire la foresta come "insieme di alberi", vi sono definizioni di albero ben più ricche di significato, che non "unità costituente della foresta"... e infatti questa definizione di albero non la trovi da nessuna parte.
Ma appare ormai evidente che il senso delle cose non è fra i tuoi interessi.
#145
Sgiombo ha scritto:
CitazioneLe sensazioni sono eventi di coscienza
Hai ripetuto quest'affermazione, ma non hai ancora risposto alla domanda: se le sensazioni sono eventi di coscienza, che cos'è allora la coscienza?

E poi hai scritto:
Citazionele sensazioni (più o meno "amalgamate") si percepiscono immediatamente
Che significa "si percepiscono", che si percepiscono da sole?
Neanche a questa domanda hai risposto: è così per te, le sensazioni si percepiscono da sole?
Oppure non intendi il "si" in senso riflessivo, ma intendi dire "la mente, la coscienza percepisce le sensazioni".
Ma allora, torna la domanda di prima: che cos'è la mente, che cos'è la coscienza?
Non mi dirai che è "un'amalgama di sensazioni", vero?

Facciamo così: prova a definire la coscienza senza usare la parola sensazione (o sinonimi) e a definire la sensazione senza usare la parola coscienza (o sinonimi).
Cioè, almeno una delle due definizioni non può dipendere dall'altra.
Se ce la fai, mi convinci.
Sto qui ad aspettare.

P.S. Ovviamente la soluzione più semplice sarebbe quella di postulare la coscienza come principio irriducibile, cioè giocare subito la carta della res cogitans. Ma poiché sembra che, per qualche motivo a me oscuro, tu non voglia attribuire una sorta di primato alla coscienza, il consiglio che ti do è di definire la coscienza come amalgama di sensazioni (cosa che finora non hai contestato) per poi definire le sensazioni in qualche modo che non sia riconducibile alla coscienza (e affini). Altrimenti, come evidenziavo, si tratta di un ovvio circolo vizioso.
#146
Citazioni da memento:
CitazioneL'errore che spesso il senso comune ci spinge a fare,e contro cui la filosofia scettica di Hume si è sempre scagliata,è quello di porre l'io ad occupare il ruolo di soggetto senziente. Ma l'equivalenza tra Io e soggetto senziente non è affatto da dare per ovvia.
Chi sente le sensazioni? In primis,gli organi ricettivi,i 5 sensi. Secondariamente il cervello che elabora le informazioni ricevute dalle proprie diramazioni nervose. Se volessimo sintetizzare in un solo concetto,il nostro corpo.
Forse con una metafora riesco a farmi capire.

Immaginiamo un'installazione, ad esempio una base militare, sorvegliata in tutto il suo perimetro e anche all'interno da videocamere, sensori etc di ogni tipo. Un sistema di cablaggi e wi-fi trasmette i dati grezzi dai "captatori" fino ad una stazione di controllo, dove dei computer elaborano i diversi segnali convertendoli in formati leggibili e interpretabili, inviandoli poi a dei monitor, a dispositivi di riproduzione audio, indicatori etc. Nella stazione di controllo, una quantità enorme di questi dati primari, ad ogni istante, entra per essere singolarmente elaborata, esaminando ogni dato in sé ed integrandolo con gli altri, il tutto al fine di ricavarne istruzioni operative: tutto a posto? C'è una minaccia? Bisogna inviare una squadra in qualche posto per un qualche problema? etc.
E' evidente allora che occorre una seconda elaborazione di tutti i dati primari, che vanno letti e interpretati nel loro insieme. Ad esempio potrebbero esserci degli esseri umani che li interpretano e prendono decisioni; oppure potrebbe anche esserci solo un computer fornito di algoritmi decisionali.
In ogni caso, è evidente che i soli dati primari provenienti dai diversi captatori non sono sufficienti: occorre una funzione che li integri tutti e li interpreti nel loro insieme.

Credo che la metafora sia chiara: la base militare è il corpo umano, i captatori sono i canali percettivi e la stazione di controllo è il cervello.
Quel che arriva al cervello non sono sensazioni, perché ancora non dicono nulla: sono solo segnali elettrochimici che giunti al cervello hanno bisogno di una funzione che li integri in una percezione sintetica. Questa sintesi avviene nella coscienza, e la coscienza non può essere il risultato di ciò che arriva dall'esterno, ma dev'essere qualcosa che è dato, che esiste anche in assenza di segnale.

Tu, memento, hai detto la stessa cosa:
CitazioneQuindi,per rispondere alla tua seconda domanda, è la coscienza a realizzare,attraverso la sua azione di controllo, l'amalgama fra le sensazioni,ossia ad "incaricarsi" di costruire un senso coerente e unico,un Io.
Appunto, è la coscienza a realizzare la sintesi dei diversi segnali e a creare quelle che appaiono come sensazioni: senza coscienza non ci sono sensazioni, ma solo segnali (esattamente come sono un segnale, non sensazione, i dati che passano in un cavo telefonico).
E la coscienza non è altro che quell'io-sono, quell'osservatore che rappresenta il soggetto senziente di tutte le sensazioni.

CitazioneNon è necessario pensare che vi sia un autore che,da dietro le quinte,manovri il meccanismo. Accade tutto in maniera perfettamente naturale e spontanea (e sai che fatica se non lo fosse!). Pensare che ad ogni azione corrisponda un soggetto,cosi come che ad ogni effetto corrisponda una causa (un altro punto cardine della filosofia humiana),è un preconcetto illogico,e che pure fonda la logica stessa. Io ad esempio ho appena parlato di sensi e coscienza come fossero soggetti che agiscono, quando in realtà sono solo concetti di cui mi sono servito per necessità di spiegazione.
Qui non capisco bene cosa intendi per "autore" e per "dietro le quinte", e neanche capisco bene cosa voglia dire "pensare che ad ogni azione corrisponda un soggetto". Io dico semplicemente che una coscienza, un soggetto, un io-sono è l'osservatore di ogni sensazione. Quanto alle azioni, possono essere in parte consapevoli (e quindi partono dal soggetto) oppure inconsapevoli (istintive, inconsce etc).

Sensazioni, sensi e coscienza non sono concetti, sono esperienze empiriche. Al contrario, sono i concetti ad avere bisogno di una mente che li formuli. Se ammettessimo che la coscienza è un concetto, dovremmo dire più correttamente e paradossalmente che "la coscienza è un concetto, ossia un concetto formulato da un concetto". Il che non ha palesemente senso.

Infine, osservo per inciso che il rifiuto del principio di causalità spazza via alla radice ogni tentativo di fare scienza, e in generale qualunque tentativo di dare un senso alle cose. Se non si postula la validità del principio di causalità (sia sul piano fisico, che su quello metafisico), tanto vale concludere che le cose sono come sono, non si sa come né perché e punto e basta.
#147
Citazioni da Sgiombo e repliche:
CitazioneNo, scusa, ma l' affermazione che la filosofia di David Hume sia insensata e costituita da sofismi andrebbe dimostrata.
E' precisamente quel che ho fatto nel seguito del post.

CitazioneHume non è affatto all'origine di "quella corrente di pensiero che ha portato agli spettacolari successi della scienza moderna".
Non l'ho detto io, lo dice Wikipedia: "Quel che è certo è che ebbe una decisiva influenza sullo sviluppo della scienza e della filosofia moderna."
Per me in realtà è irrilevante, che lo sia o non lo sia.

Citazione[...] perché David Hume non "meditava" ovvero pensava, ragionava, e anche molto finemente [...]
Pensare e ragionare NON sono meditare: meditare significa NON percepire, NON pensare, NON ragionare. E' solo così che si può INTUIRE l'Osservatore che sta "dietro". Più pensi e ragioni, meno sei in grado di cogliere l'Osservatore.

Citazione"la presenza dell'Osservatore dietro il flusso delle sensazioni, Osservatore che permane anche quando nella mente si riesce a fare il vuoto, anche solo per brevi momenti" non è affatto logicamente necessaria, né dimostrabile (e men che meno mostrabile) in alcun modo;
L'Osservatore, prima ancora che dimostrarlo, lo si intuisce, lo si sente con assoluta evidenza (vedi sopra). Dovrei forse dimostrarti che il rosso è rosso? No, perché tu puoi vederlo con la stessa evidenza con cui lo vedo io. Si tratta innanzitutto di esperienza interiore, non di dimostrazione logica.

Tuttavia, per quanto sia vero ciò che ho appena detto, anche qualche ragionamento logico può portare i suoi frutti.
Consideriamo questa affermazione:
CitazioneUna sensazione non richiede affatto necessariamente un senziente: un soggetto, oltre che un oggetto per definizione: necessariamente è unicamente un apparenza sensibile, un evento di coscienza. Punto e basta.
Come si fa a non vedere che sono proprio le parole stesse che non stanno logicamente in piedi?
Da una parte si vuol dire che la coscienza è solo "un amalgama di sensazioni". Bene, dico io, e chiedo allora: cosa sono le "sensazioni"? E mi si risponde che le sensazioni non richiedono un soggetto e un oggetto, ma che sono semplicemente "eventi di coscienza"...
Un momento: siamo partiti col definire la coscienza attraverso le sensazioni, e poi definiamo le sensazioni attraverso la coscienza...
Ma com'è possibile non rendersi conto della circolarità del ragionamento?
Non è solo una questione linguistica o grammaticale, questa semmai è solo il segno di una carenza del ragionamento. Che non è nemmeno un ragionamento, ma solo un sofisma per depistare la mente, un circolo vizioso di parole che non costruiscono alcun senso.
Ma davvero non ci si rende conto di quanto queste parole si rincorrono l'una l'altra senza produrre senso?

CitazionePretendere che Una sensazione richieda necessariamente un senziente: un soggetto, oltre che un oggetto per definizione sarebbe come pretendere che l' esistenza della realtà richieda necessariamente per definizione un creatore o che l' esistenza dell' evoluzione biologica (o magari solo della diversità biologica esistente) richieda necessariamente un "disegno intelligente".
Questa obiezione mi sembra semplicemente fuori luogo: non capisco cosa c'entri il "creatore" col soggetto della sensazione. Il soggetto della sensazione non crea nulla, è l'osservatore che assiste al fenomeno percettivo o al flusso interiore. L'osservatore non crea nulla, esattamente come lo spettatore al cinema non crea il film: lo vede.

Cos'è una sensazione? Se pretendiamo di fare a meno del soggetto, la sensazione resta solo un fenomeno fisico, elettrico, chimico. Esattamente come un'infinità di altri fenomeni fisici, elettrici e chimici dell'universo.
Quindi volete dire che i fenomeni fisici, elettrici e fisici si sentono da soli?
Perché allora ogni essere umano non sente tutti i fenomeni dell'universo?
Perché io invece avverto un limite a ciò che posso sentire?
Cos'è che costruisce quell'"amalgama", quel "fascio" che rappresenta il mio limite percettivo rispetto a quello di un altro?
Risposta:
CitazioneRisposta: Se no semplicemente accadono [...]
Grande risposta, che fa il pari con la "geniale" risposta di Hume:
CitazioneE se si appura, come David Hume genialmente appurò, che non esiste una risposta dimostrabile né tantomeno mostrabile alla domanda su "quale fosse quell'elemento che ci fa essere noi stessi quando tutto il nostro corpo cambia incessantemente giorno dopo giorno" questa è proprio la giusta, la vera risposta.
Anche ammesso che non esista una risposta dimostrabile alla domanda, resta l'evidenza del fatto: ognuno di noi sente (intuisce) con certezza la propria costanza come io-sono aldilà della mutevolezza del corpo, delle sensazioni e dei pensieri.
Questo dato empirico resta, ben chiaro in ciascuno di noi: che poi la risposta non si riesca a dimostrare, o a trovare, non fa sparire l'evidenza del fatto.
Sarebbe bello poter far sparire le questioni di cui non si conosce la risposta. A quanto pare Hume ce l'ha fatta. Davvero geniale!
#148
Ricordo che ai tempi del liceo il pensiero di Hume non mi prese più di tanto, e tornandoci sopra ora devo confermare la mia prima impressione...

Riporto alcuni passi da Wikipedia (https://it.wikipedia.org/wiki/David_Hume)
CitazionePer Hume la sostanza non era altro che una "collezione di qualità particolari" ovvero un insieme di stimoli e di sensazioni empiriche provenienti dall'esterno cementate dal nostro intelletto fino a creare un'idea di ciò che stiamo analizzando, creandoci l'impressione che ciò esista anche nel momento in cui noi non lo percepiamo.
Nel suo iter filosofico Hume fece rientrare in questo ragionamento anche l'"io". Egli cercava infatti di scoprire quale fosse quell'elemento che ci fa essere noi stessi quando tutto il nostro corpo cambia incessantemente giorno dopo giorno.
Ne concluse che anche la sostanza dell'"io" era soltanto un amalgama di sensazioni. Infatti, ogni volta che ci addentriamo nel nostro io, incontriamo sempre una qualche particolare sensazione (piacere, dolore, caldo, freddo) e se riuscissimo ad eliminare ogni singola sensazione del nostro io non resterebbe nulla.
Il pensiero di Hume mi sembra un chiaro esempio di come lo scetticismo, spinto ai suoi estremi, divenga sterile e insensato, trasformando ragionamenti in sofismi.

Per Hume, "se riuscissimo ad eliminare ogni singola sensazione del nostro io non resterebbe nulla".
Quest'affermazione farebbe come minimo sorridere un orientale (come pure qualunque occidentale dedito a un minimo di meditazione), perché a una mente attenta e lucida appare chiara la presenza dell'Osservatore dietro il flusso delle sensazioni, Osservatore che permane anche quando nella mente si riesce a fare il vuoto, anche solo per brevi momenti. I grandi meditatori orientali poi vedono anche l'Osservatore dell'Osservatore, e l'Osservatore dell'Osservatore dell'Osservatore; ma non è necessario spingersi così oltre per capire che parlare di sensazioni senza un senziente è un'insensatezza.

Per definizione, una sensazione richiede un senziente: un soggetto, oltre che un oggetto.

Se no chi le sente le sensazioni? Si sentono da sole? Ogni sensazione è autosensibile?
Supponiamo di sì: ogni sensazione è autosensibile. Ma se l'io, come dice Hume, è solo "un'amalgama di sensazioni" autosensibili, chi o che cos'è a realizzare l'amalgama, appunto? Come avviene che un fascio di sensazioni autosensibili si aggregano in un'unico amalgama che produce l'impressione (non importa se reale o illusoria) di un soggetto unico?
Se è vero che Hume "cercava infatti di scoprire quale fosse quell'elemento che ci fa essere noi stessi quando tutto il nostro corpo cambia incessantemente giorno dopo giorno" (bellissima domanda che anch'io mi sono sempre fatto), qual è poi la sua risposta? Nulla. Bella domanda inevasa.

Per non dire del fatto che anche solo a esporre quel che Hume vuol dire non si riesce ad evitare l'incoerenza e il non senso. 
Hume infatti dice: "se ci addentriamo nel nostro io, se eliminiamo ogni singola sensazione etc"... Ma chi è il soggetto grammaticale di questi verbi? Noi. Chi è dunque che compie le azioni di "addentrarsi" ed "eliminare"? Noi.
Ma noi chi, se non il soggetto senziente, l'io-sono?

Sarà anche vero che Hume è all'origine di quella corrente di pensiero che ha portato agli spettacolari successi della scienza moderna, ma per quanto riguarda la filosofia, ne faccio tranquillamente a meno.
#149
in questo forum ho visto citato più volte George Berkeley e il suo "esse est percipi", e quasi sempre mi è sembrato che lasciasse intendere una comprensione del pensiero berkeleyano diversa dalla mia.
Può anche darsi che fosse solo un'impressione. In ogni caso, per stabilire una base comune su cui poterci intendere senza rischio di equivoci, mi sembra utile riportare la seguente sintesi del pensiero berkeleyano che si trova su Wikipedia, e che corrisponde alla comprensione che mi ero fatta sin dai tempi del liceo (ahimé, lontani...).

Citazioni da https://it.wikipedia.org/wiki/George_Berkeley:
Citazione[...]
Nei Commentari filosofici scrive che, se l'estensione esistesse al di fuori della mente, o si avrebbe a che fare con un Dio esteso, oppure si dovrebbe riconoscere un essere eterno e infinito accanto a Dio. Berkeley aderisce quindi all'immaterialismo ovvero alla dottrina per cui nulla esiste al di fuori della mente: non esiste la materia, ma solo Dio e gli spiriti umani.
[...]
Ma anche gli oggetti che noi crediamo esistere sono in realtà delle astrazioni ingiustificate; non esistono oggetti corporei, ma soltanto collezioni di idee che ci danno una falsa impressione di materialità e sussistenza complessiva.[1] Infatti noi conosciamo soltanto le idee che coincidono con le impressioni dei sensi. Proprio come in un sogno, noi abbiamo percezioni spazio-temporali relative ad oggetti materiali senza che questi esistano.
[...]
La celebre formula che riassume la filosofia di Berkeley, «Esse est percipi», vuol dire "l'essere significa essere percepito", ossia: tutto l'essere di un oggetto consiste nel suo venir percepito e nient'altro. La teoria immaterialistica così enunciata sentenzia che la realtà si risolve in una serie di idee che esistono solo quando vengono percepite da uno spirito umano. È Dio, spirito infinito, che ci fa percepire sotto forma di cose e fatti le sue idee calate nel mondo. Idee, in un certo senso, "umanizzate", e in quanto tali "percepibili".
La dottrina di Berkeley esclude in virtù di questo principio l'esistenza assoluta dei corpi. Secondo il teologo irlandese tutto ciò che esiste è idea o spirito, quindi la realtà oggettiva non è che un'impressione data dalle idee.[2] Berkeley nega la distinzione fra qualità primarie e secondarie, propria di John Locke, sostenendo che tutte le qualità sono secondarie, cioè soggettive, e rigetta anche l'idea di substrato, ovvero di materia. Se esistesse una materia, essa sarebbe soltanto un limite alla perfezione divina. In questo senso anche la scienza di Newton non ha altro valore che quello di una mera ipotesi, che ci aiuta a fare previsioni per il futuro, ma non ha alcun riferimento con la realtà materiale, che non solo non è conoscibile, ma non esiste affatto. Le idee, secondo Berkeley, vengono impresse nell'uomo da uno spirito infinito, cioè Dio. Lo stesso Dio si configura come la Mente infinita grazie a cui le idee esistono anche quando non vengono percepite.
Berkeley porta quindi alle estreme conseguenze l'empirismo di Locke, giungendo a negare l'esistenza di una sostanza materiale perché non ricavabile dall'esperienza, e recidendo così ogni possibile legame tra le nostre idee e una realtà esterna. Egli anticipa lo scetticismo di David Hume, ma se ne mette al riparo ammettendo una presenza spirituale che spieghi l'insorgere di simili idee dentro di noi, rendendocele vive e attuali, sebbene prive ormai di un fondamento oggettivo.
[...]

Questo è il pensiero di Berkeley. I passi che ho evidenziato in grassetto parlano chiaro: dal dubbio cartesiano, attraverso l'empirismo di Locke, si giunge all'idealismo assoluto di Berkeley, secondo il quale nulla esiste al di fuori della mente. Uno sviluppo perfettamente coerente e, direi, inevitabile a quel punto.

Se cambiamo la terminologia propria del pensiero occidentale e sostituiamo il Dio personale con qualcos'altro di più "raffinato" siamo ad un passo dal concetto di maya dell'induismo. Insomma, quello che ho sostenuto io in questo 3D, quando ho parlato del primato dell'io-sono nei confronti di un'ipotetica realtà esterna oggettiva.
#150
Citazione di: HollyFabius il 26 Aprile 2016, 20:12:25 PM[...]
Il principio è che "il tutto è più delle singole parti"!
Ebbene si questo  principio, sintesi del pensiero della Psicologia della Gestalt è in realtà il cuore della tesi forte dell'IA.
Mi aiutate a dimostrare che è falso?
Purtroppo non posso aiutarti, perché sono convinto che il tutto sia davvero più delle singole parti. :)

Prendiamo ad esempio il principio cosciente, quello che in altri post ho chiamato io-sono (l'osservatore): anche nella concezione più riduttivista (che non mi appartiene) non si può certo sostenere che l'io-sono sia l'insieme dei fenomeni mentali che attraversano la mente dell'individuo; né che sorga come risultato della giustapposizione dei fenomeni mentali.
L'io-sono e i fenomeni mentali costituiscono l'io-empirico, senza che lo si possa scomporre in parti costituenti come si potrebbe fare con una macchina.

Del resto anche l'universo è un tutto. Non esistono fenomeni singoli, se non come frutto d'un'astrazione/approssimazione che ci è utile a fini pratici e di studio. I fenomeni sono tutti interrelati fra loro, e la quantistica ci dice che anche l'osservatore è parte del fenomeno che osserva.
Due particelle elementari che sono state "a contatto" restano per sempre collegate anche quando si allontanano l'una dall'altra, in virtù del noto fenomeno dell'entanglement. Ora, se è vero che ad un certo punto della storia dell'universo vi è stata quella singolarità che chiamiamo Big Bang, ciò significa che tutte le particelle che compongono l'universo sono in uno stato "entangled"...

Non esistono le parti, esiste solo il tutto: il tutto che si manifesta in illusioni chiamate dall'osservatore "fenomeni".