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Messaggi - Phil

#1351
Tematiche Filosofiche / Re:L'origine del male e del bene
16 Settembre 2019, 10:52:40 AM
Citazione di: green demetr il 16 Settembre 2019, 01:16:24 AM
Temo di aver perso il filo delle vostre elucubrazioni mentali.
Ammetto che non sei l'unico: Ipazia mi ha ormai "seminato" nel dedalo degli Holzwege.

Citazione di: green demetr il 16 Settembre 2019, 01:16:24 AM
Non capisco più che altro i tuoi rilanci Phil.

Sono d'accordo che posare una etica senza aver prima fatto i conti con il suo linguaggio, sia un rischio notevole, e senza fondamento.

Ma perchè a questo punto rilanciare la cosa con l'ethos?
Non rilancio con l'ethos, che per me è ben distinto dall'etica, ma su l'ethos: rilanciavo l'interesse per la prospettiva di Ipazia in cui, se non l'ho fraintesa, l'ethos è fondante l'etica, addirittura coinvolgendo una certa epistemologia.

Citazione di: green demetr il 16 Settembre 2019, 01:16:24 AM
Certo posso ragionare sulla prassi come evento linguistico, ma questo evento linguistico è precedente o succedente l'evento in sè, quello fenomenologico (lasciamo stare la questione naturale).

Di fatto la filosofia continua a girare a vuoto ogni volta che vuole pensare l'evento come evento linguistico, quell'evento linguistico che viene prima dell'evento che descrive, e che comporta un altro evento linguistico.
Proprio per questo insistevo (ai limiti del pudore) sulla differenza fra referente e significato, fra evento ed etica, fra "moneta" e "caffè", etc.

Citazione di: green demetr il 16 Settembre 2019, 01:16:24 AM
Ma questo è una petitio principi, senza alcun fondamento!
Certo; ho infatti rimarcato spesso ed esplicitamente il fulcro ricorrente e scomodo del tautologico.

Citazione di: green demetr il 16 Settembre 2019, 01:16:24 AM
Che poi il simbolo sia legato al nanturale è solo una cosa secondaria rispetto alle tue problematiche!
Era invece di primario interesse capire come potesse l'ethos essere fondante per l'etica (sempre se non ho frainteso Ipazia); tuttavia, l'incommensurabilità emersa fra le nostre prospettive (operazione filosoficamente comunque molto utile) mi impedisce di capire esattamente tale fondamento e il discorso che lo indica (nonostante la pazienza del mio interlocutore).



P.s.
Citazione di: viator il 15 Settembre 2019, 18:47:34 PM
Salve Phil. Citando dal tuo intervento nr.93 qui sopra: "suicidio che è quindi scelta razionale (contro-istintiva)".
Mai il suicidio , ripeto, potrà risultare conseguenza di scelta razionale (volevi forse dire "volontaria", cioè cosa ben diversa che tuttavia potrà anche essere contro-istintiva).
Intendevo scelta razionale (riferendomi alla definizione classica) in opposizione a scelta istintiva, ma anche riferendomi a come la razionalità sia coinvolta nel suicidio che, pur con differenti sfumature, va organizzato, ragionato ed eseguito. Senza capacità razionali sarebbe difficile persino capire cosa possa ucciderci, decidere fra le varie possibilità e poi preparare adeguatamente tutto il necessario in modo che funzioni. Fosse anche scegliere di buttarsi dalla finestra o sui binari, bisogna comunque pianificarlo e restare razionali nell'esecuzione del piano, fino all'ultimo gesto necessario (saltare giù o su, premere il grilletto, etc.).

Citazione di: viator il 15 Settembre 2019, 18:47:34 PM
La razionalità evita sempre le soluzioni irreversibili. In ciò risultando perfettamente d'accordo con l'istinto.
Motto a mio avviso un po' discutibile, proprio perché, ad esempio, la scelta di uccidere (se stessi o altri) ha spesso una sua razionalità (vedi sopra).
Per quanto riguarda poi gli altri termini che coinvolgi nel tuo post, come «volontà», «psiche», «mente», «coscienza», etc. sono temi sconfinati (e straripanti di storia) con i quali preferisco non misurarmi in questa sede.
#1352
Tematiche Filosofiche / Re:L'origine del male e del bene
16 Settembre 2019, 00:50:29 AM
Citazione di: Ipazia il 15 Settembre 2019, 23:07:21 PM
Chiamare metafore estetico-narrative fatti tratti dal mondo naturale evidenzia tutta l'ideologica autonomia del linguaggio e nulla più.
Per amor di brevità, non ho esplicitato; mancanza mia; non mi riferivo agli animali dell'antropologo (che non sono metafore, né sono estetici), ma ad Antigone; ora anche a
Citazione di: Ipazia il 15 Settembre 2019, 23:07:21 PM
Giorgio Celli, etologo amante dei gatti, riveló di essere perennemente in dubbio su chi tra lui e i suoi gatti avesse adottato l'animale di specie diversa.
simpatica battuta in risposta ad una domanda che parlava di un supposto "accesso degli animali all'etica umana" e di fondamenti (teor)etici.

Citazione di: Ipazia il 15 Settembre 2019, 23:07:21 PM
Questo non esclude una vita psichica capace di comunicare.
Non la escludo affatto, ma non ne colgo la pertinenza con il discorso; se vuoi cambiare tema (la comunicazione negli animali o altro), non insisto oltre sulla questione del sequitur etico.

Citazione di: Ipazia il 15 Settembre 2019, 23:07:21 PM
CitazioneQuindi in un referendum sulla bioetica o dovendo scegliere il miglior programma politico, mi suggerisci di «lasciar parlare la natura»? .... il sequitur fra uomo e natura di cui parlavamo è quello etico, giusto? Non colgo dunque la pertinenza di terremoti e ascese in vetta.
Certamente, solo la conoscenza accurata della natura può sbufalare certe posizioni ideologiche che raccolgono firme per dei referendum e un'occhiata al cielo da vicino può falsificare superstizioni infondate. Anche l'ethos ha la sua epistemologia che si assevera o falsifica interrogando senza pregiudizi la natura. Tralascio per brevità l'abbondante esemplificazione.
Temo si stiano confondendo di nuovo le informazioni-nozioni con le conseguenti decisioni-valutazioni, glissando sul meccanismo etico interpretativo che le elabora (se stiamo ancora parlando di etica...). Qualche esempio di come l'"epistemologia dell'ethos"(?), «interrogando senza pregiudizi la natura», possa instradarmi verso scelte etiche verificate (oltre a darmi informazioni su cui basare tali scelte, attività ben differente), probabilmente mi gioverebbe a seguirti meglio.

Citazione di: Ipazia il 15 Settembre 2019, 23:07:21 PM
CitazioneNon capisco: paragonare un selvaggio umano a un cane addomesticato depone a favore del sequitur fra la società umana e l'ethos naturale?
Sí, nei suoi meccanismi cognitivi di base.
Il problema (e il tema) non è tuttavia la base: che anche l'uomo sia un animale è ben noto; la questione è l'altezza, la verticalità della ratio con cui l'uomo si allontana dalla base (restando comunque un animale, chiaramente). Il sequitur etico, in quanto tale, non sarebbe infatti da cercare fra l'ethos dell'uomo selvaggio e l'ethos dell'animale allo stato brado (due ethos), quanto piuttosto fra l'etica dell'uomo civilizzato e l'ethos del "mondo animale" (almeno questa era la tua tesi iniziale che mi ha incuriosito: il legame fondante fra ethos ed etica).

Citazione di: Ipazia il 15 Settembre 2019, 23:07:21 PM
CitazioneCercavo una dimostrazione, pur nel contesto letterario; la trasvalutazione storico-narrativa del suo gesto, per quanto allettante, non dimostra alcun sequitur, così come accade per altri testi (la Bibbia, tanto per citarne uno...). Si tratta ancora di distinguere il piano logico-argomentativo da quello storico-narrativo, meta-etica da etica, etc.
Esiste forse qualcosa che piú dei miti possa spiegare al meta-ermenauta il senso più profondo delle sue radici ? Etologia umana al calore bianco.
Come detto, «cercavo una dimostrazione»(autocit.), argomentazioni logiche, poiché sul piano estetico-narrativo non c'è epistemologia che fondi paradigmi falsificabili, ma piuttosto letteratura, tradizione, cultura, etc. possiamo risalire fino agli archetipi transculturali, ma la domanda «perché ci sarebbe sequitur fra etica umana ed ethos animale?» richiede, per me, ben altro fondamento (e se non c'è, nessun problema).
#1353
Tematiche Filosofiche / Re:L'origine del male e del bene
15 Settembre 2019, 18:48:39 PM
@Ipazia
Posso sbagliarmi, come sempre, ma mi pare che si sia passati dal «contrattacco» alla «reattanza»/«psicologia inversa»: obiettare a prescindere dal contesto e in assenza di argomentazioni appoggiarsi a metafore estetico-narrative; faccio quindi un po' fatica a seguire il filo del discorso (almeno la parte che mi interessava), comunque ci provo, cercando di essere sintetico e facendo qualche domanda per avere chiarimenti.

Citazione di: Ipazia il 15 Settembre 2019, 16:18:05 PM
Citazione di: Phil il 15 Settembre 2019, 11:43:11 AM
Ethos è intermedio fra physis e nomos, ma fra ethos animale e nomos umano non c'è forse la suddetta razionalità (ratio)? Tale razionalità non ci separa dall'ethos animale, recidendo il sequitur del cordone ombelicale che ci lega all'istinto del comportamento adattativo di base?

No, [...] Ci differenzia l'aver formalizzato i processi logici e la loro comunicabilità.
Questo a me sembra un "sì" dissimulato, il "sì" che rende la mia domanda una domanda retorica: senza la graduale formalizzazione dei processi logici e senza la loro crescente comunicabilità, la ratio umana di oggi non esisterebbe. Gli altri animali non possono dire (e, per ora, fare) altrettanto, non hanno ancora tagliato il cordone con il gesto della scrittura (questa la lascio qui, così...).

Citazione di: Ipazia il 15 Settembre 2019, 16:18:05 PM
Ma questo non legittima etiche nate sotto un cavolo che nel duro impatto col principio di realtà franano, mostrando tutta l'illusionalità della loro arbitraria autonomia.
Curiosità: ci sono etiche del genere? Intendo incompatibili con il principio di realtà (ormai, in campo etico, non mi stupisce più nulla...).

Citazione di: Ipazia il 15 Settembre 2019, 16:18:05 PM
CitazioneNon ho ancora capito la risposta: considerando quella lista di questioni squisitamente umane e pratiche (politiche, bioetiche, etc.) come si può decidere secondo ragione ma restando ancora in sequitur con la natura (magari sventando ogni opinabilità interpretativa)?

Semplicemente lasciando parlare la natura. Posso costruire nelle golene o col cemento della mafia e popolare di numi legiferanti il monte Olimpo, ma basta un nubifragio, terremoto o ascensione sull'Olimpo per ripristinare il giusto sequitur tra uomo e natura.
Quindi in un referendum sulla bioetica o dovendo scegliere il miglior programma politico, mi suggerisci di «lasciar parlare la natura»? Perdona la futile battuta, ma il passo successivo non sarà mica «ascolta il tuo cuore»? Scherzi a parte, il sequitur fra uomo e natura di cui parlavamo è quello etico, giusto? Non colgo dunque la pertinenza di terremoti e ascese in vetta (intendi «il cielo stellato sopra di me etc.»? Anche lì il sequitur mi pare manchi, perché oggi sappiamo che quell'«in me» non è soave scintilla divina, ma bios pronto a ricevere gli input del mondo esterno).

Citazione di: Ipazia il 15 Settembre 2019, 16:18:05 PM
E' solo questione di comunicazione e conoscenza. Tra un selvaggio umano e un cane abituato ad andare dal veterinario non so chi reagirebbe più "razionalmente" in simile frangente. Probabilmente il cane.
Non capisco: paragonare un selvaggio umano a un cane addomesticato depone a favore del sequitur fra la società umana e l'ethos naturale?

Citazione di: Ipazia il 15 Settembre 2019, 16:18:05 PM
CitazioneBel discorso, ma davvero il fatto che lei lo affermi è dimostrazione di una fondazione sull'ethos? Mi concederai che è un po' poco come collaudo filosofico.
Cosí poco che lei ci ha messo sopra la sua vita ! E quel che più importa: quel conflitto l'ha trasformata in simbolo fondativo di un conflitto etico tra ethos e nomos ancora assolutamente attuale. Fin troppo collaudato, viste le caricaturali recenti attribuzioni.
Cercavo una dimostrazione, pur nel contesto letterario; la trasvalutazione storico-narrativa del suo gesto, per quanto allettante, non dimostra alcun sequitur, così come accade per altri testi (la Bibbia, tanto per citarne uno...). Si tratta ancora di distinguere il piano logico-argomentativo da quello storico-narrativo, meta-etica da etica, etc.

Citazione di: Ipazia il 15 Settembre 2019, 16:18:05 PM
Citazione
Mi pare che la complicazione nel passaggio dall'ethos animale a quello umano sia proprio il sequitur interruptus (dal non sequitur in ivg fino ai metodi di natalità): nel momento in cui edifichiamo etiche e culture a cui gli animali non possono cognitivamente (prima, tecnicamente poi) accedere, non possiamo più dire che c'è continuità con il loro ethos, che ha certo una sua complessità, ma, passaggio cruciale, tale complessità diverge dalla nostra, non la fonda.

Opinabile. Etologi e chi ha pratica di animali domestici la pensano diversamente.
Davvero gli etologi pensano che gli animali possano accedere alla nostra cultura e alla nostra etica (come scritto)? Davvero ritengono «opinabile» che, riguardo gli animali, la loro «complessità diverge dalla nostra, non la fonda»(cit.)?
Lo chiedo perché non ne frequento.

Citazione di: Ipazia il 15 Settembre 2019, 16:39:28 PM
Non intendo rubare la replica a Jacopus, ma esiste anche un'evoluzione et(olog)ica che risolve i conflitti e unifica i valori. Riscrivendo i paradigmi al pari delle rivoluzioni scientifiche.
Per non scomodare sempre l'Oriente, basta uno sguardo al di là del Mediterraneo per osservare che l'"unificazione dei valori" e la "riscrittura dei paradigmi" non riguardano esattamente le culture di tutto il globo e mi pare sia proprio così che nascono i conflitti più seri, oggi, quelli che testano le etiche sul campo, non nei convegni.
Nondimeno ammetto che non sia "grave" essere tendenzialmente selettivi nel parlare di «cultura» e pensare, da bravi discendenti dei romani, che fuori dalla nostra cultura occidentale «hic sunt leones».
#1354
Tematiche Filosofiche / Re:L'origine del male e del bene
15 Settembre 2019, 15:32:51 PM
Citazione di: Jacopus il 15 Settembre 2019, 12:19:34 PM
1. Physis (l'ossitocina ad esempio ci suggerisce che il bieco egoismo alla Hobbes non rientra nei piani della natura).
Da quel poco che ho visto fugacemente su wikipedia (non essendo pratico in materia) l'ossitocina fa parte di una physis particolare, quella che lega mamma e bambino, legame istintivo a cui non credo Hobbes si riferisse con la storia dei lupi, sicuramente non io quando cito «mors tua, vita mea».

Citazione di: Jacopus il 15 Settembre 2019, 12:19:34 PM
2. Condivisione culturale dei valori attraverso un pubblico confronto (ogni epoca e ogni cultura ha la sua etica e solo accettando la possibilità della coesistenza di etiche diverse ma ugualmente dignitose, possiamo accettare lo scambio e l'accettazione degli altri).
La «coesistenza di etiche diverse»(cit.) è una constatazione, l'«ugualmente dignitose»(cit.) presuppone, a mio avviso, un approccio decisamente "debole" al concetto di «bene» della propria etica: se volessi riconoscere pari dignità anche all'etica che sostiene il contrario di ciò che afferma la mia, dovrei riconoscere che la mia mi appare (non «è») migliore soprattutto per contingenze "biografiche" e di storia individuale. Concessione che può causare un infarto al cuore di molte prospettive etiche (che tale infarto sia "bypassabile" con un po' di relativismo culturale, mi sembra ormai noto).
La domanda ora è: dobbiamo riconoscere pari dignità alle altre etiche? Questo "dovere", se viene avvertito (non è per tutti, quindi), su cosa si fonda? Se il «bene» è prodotto biografico-culturale quale può essere la sua dialettica con la biografia-cultura del prossimo che nega ciò che la mia etica afferma?
L'etica dei «teschi sulle divise» la condanniamo eticamente come condanniamo eticamente l'Isis pur sapendo ipotizzando che ai loro occhi compiono "il giusto"?
Questione di gerarchie culturali (oltre che di rapporti di forza politico-economica etc.), per cui finché ognuno resta a casa sua, professiamo agevolmente che ogni etica abbia un suo recinto di legittimità, ma quando io e l'altro ci in(s)contriamo, che sia in casa o fuori casa, e la tolleranza etica diventerebbe medium fondamentale, la legittimità dell'altrui etica si rivela in concreto spesso secondaria rispetto alla gerarchizzazione degli interessi, miei contro altrui (e qui sì che il valore della vita si conferma decisivo: in assenza di mediazione diplomatica, scatta, in generale, prontamente il «mors tua, vita mea»).

Quando due etiche confliggono e non si tratta di un conflitto sui libri, ma sul "campo di battaglia" (sia esso bellico o economico o politico o altro), a quel punto ognuno vedrà probabilmente le sue ragioni valere di più di quelle dell'altro, anche se un attimo prima le definiva «ugualmente dignitose».
La rimozione "etica" del polemos della guerra, in favore di un gaio pensarsi tutti fratelli sotto lo stesso cielo, al di qua dell'innegabile fascino estetico, cozza con le "materiali" necessità storiche di risolvere "dialoghi impossibili" (per quanto tale espressione possa suonare male ad una cultura cresciuta a "brioches" e umanesimo).
Per questo, secondo me, se si ammette davvero pari dignità fra le etiche, ne consegue che bisogna poi ammettere anche, con buona pace della retorica umanistico-universalistica, che alcuni conflitti fra alcune etiche, in assenza di una meta-etica decisiva e "super partes", possono anche risolversi, talvolta inevitabilmente, con la sopraffazione del prossimo (per dirla senza edulcoranti), in contesti in cui la norma etica finisce con il cedere il passo alla legge marziale. A giudicare tale sopraffazione «giusta» o «ingiusta» sarà poi ogni singola etica: i soldati dell'Isis (è un esempio, prendetelo con tutta la banalità del caso) diranno che è ingiusta la nostra società, noi diremo che è ingiusta la loro, etc. e lo stesso vale per conflitti economici o politici.

Sarebbe infatti, secondo me, un errore logico pensare che il relativismo culturale debba necessariamente essere letto come foriero solo di un pacifico girotondo globale; questa è una possibilità (utopia per utopia, è quella che preferirei, ma ciò qui non conta). Tuttavia la sua antitesi, ovvero che ogni conflitto fra etiche divergenti (non essendoci una meta-etica risolutiva...), non possa che essere risolta "con le cattive", è una possibilità che la storia chiama quotidianamente «realtà» e non si può non tenerne conto: si è passati dall'imperialismo dei colpi di cannone a quello dei colpi di stato pilotati a quello dei colpi del mercato globale. Probabilmente è magra consolazione il poter parlare sempre meno di guerre in Europa, sottovalutando che i colpi del mercato possono fare più vittime (se questo è il criterio etico) di quelli di cannone (oltre che più lontano e sicuramente in modo più silenzioso).
Certo, resta lecito prefigurarsi un altro mondo, con altri uomini e altre storie, ma è comunque un'attività onirico-utopica che, magari sbaglio, nei dettagli si basa guarda caso sulla propria etica e/o sulla legge di casa propria (oikos-nomos) eletta a norma universale, come da copione ben noto.

Citazione di: Jacopus il 15 Settembre 2019, 12:19:34 PM
3. Affinché il punto 2 non sia la riedizione del relativismo culturale con legittimazione dei vari teschi come effige sulle divise, occorre che la cultura, in tutte le sue forme [...] sia sempre più tutelata e diffusa.
La cultura o le culture? Quanto più ci si radica (con studi etc.) nella cultura di casa propria, quanto più la si tutela, tanto più si rischia di diventare impermeabili alle culture altrui (v. nazionalismi, etc.), il che rende poi difficile riconoscerle «ugualmente dignitose», salvo muoversi sin dall'inizio nell'orizzonte del relativismo culturale pacifista (nell'altro, quello più "natural-nichilista", nemmeno si pone il problema della differente dignità).
Se intendevi «la cultura» in generale, globale, resta a mio avviso "esegeticamente pericoloso" usare il singolare: quanto più una cultura è identificata come differente dalle altre, quanto più è facile tutelarla (è questo che proponevi, giusto?); quanto più si parla di unica cultura mondiale, tanto più se qualcuna sparisce e non risponde all'appello, non ce ne accorgiamo.


P.s.
Anche in queste osservazioni, come in quelle con Ipazia, non mi interessa tanto cosa è giusto o cosa è sbagliato, se è giusta la pace nel mondo o è giusto sterminare i propri oppositori, se quelli dell'Isis credono davvero di fare il bene, se l'umanesimo sia la "redenzione" della nostra epoca dalle "barbarie" di quelle precedenti, etc.; il mio focus d'interesse è piuttosto capire i meccanismi del dispositivo etico, lasciando in sospeso i giudizi di valore sulle sue applicazioni di volta in volta possibili.
#1355
Tematiche Filosofiche / Re:L'origine del male e del bene
15 Settembre 2019, 11:43:11 AM
Citazione di: Ipazia il 15 Settembre 2019, 08:19:54 AM
L'obiezione di viator mi pare fondata ed evidenzia un punto cruciale del dissenso: ethos é un intermedio tra physis e nomos che Phil riduce totalmente al primo, negandone la complessità.
Ethos è intermedio fra physis e nomos, ma fra ethos animale e nomos umano non c'è forse la suddetta razionalità (ratio)? Tale razionalità non ci separa dall'ethos animale, recidendo il sequitur del cordone ombelicale che ci lega all'istinto del comportamento adattativo di base?
Non ho ancora capito la risposta: considerando quella lista di questioni squisitamente umane e pratiche (politiche, bioetiche, etc.) come si può decidere secondo ragione ma restando ancora in sequitur con la natura (magari sventando ogni opinabilità interpretativa)?

Citazione di: Ipazia il 15 Settembre 2019, 08:19:54 AM
Che si assevera anche in ambito extraumano quando un animale preso nella tagliola recide l'arto intrappolato per guadagnare la libertà  compiendo un gesto psicologico apparentemente in contrasto con una ipostatizzata logica naturale.
Non capisco la «ipostatizzata logica naturale»; riesco solo a connettere la logica alla razionalità e quindi all'umanità, emancipata dall'istinto che ci farebbe sempre correre via quando abbiamo una gamba presa in una trappola, lasciandoci storpi o, meno cruentemente, renderebbe impossibile farsi fare una puntura perché o fuggiremmo o aggrediremmo chi ci provoca dolore.

Citazione di: Ipazia il 15 Settembre 2019, 09:55:44 AM
Citazione di: Phil il 14 Settembre 2019, 23:30:24 PM
Se l'ethos di matrice naturale (quello di cui si è parlato sinora, se non sbaglio) non prevede il suicidio per istinto, suicidio che è quindi scelta razionale (contro-istintiva), per capire meglio, provo con una domanda secca: perché l'etica di Antigone è fondata sull'ethos?

Lo dice lei stessa a Creonte: "Neppure pensavo i tuoi decreti avere tanta forza che tu uomo potessi calpestare le leggi degli dèi, quelle leggi non scritte e indistruttibili. Non soltanto da oggi  né da ieri, ma da sempre esse vivono, da sempre: nessuno sa da quando sono apparse"
Bel discorso, ma davvero il fatto che lei lo affermi è dimostrazione di una fondazione sull'ethos? Mi concederai che è un po' poco come collaudo filosofico.

Citazione di: Ipazia il 15 Settembre 2019, 09:55:44 AM
La tua premessa sbaglia per il motivo che ho detto sopra. L'ethos umano é  physis + psiche (+ logos).  Ma anche nel mondo animale l'etologia rivela la complessità dei comportamenti, particolarmente nei contesti sociali.
[...]
PS. l'ulteriore complicazione é data e va navigata.
Mi pare che la complicazione nel passaggio dall'ethos animale a quello umano sia proprio il sequitur interruptus (dal non sequitur in ivg fino ai metodi di natalità): nel momento in cui edifichiamo etiche e culture a cui gli animali non possono cognitivamente (prima, tecnicamente poi) accedere, non possiamo più dire che c'è continuità con il loro ethos, che ha certo una sua complessità, ma, passaggio cruciale, tale complessità diverge dalla nostra, non la fonda.
#1356
Tematiche Filosofiche / Re:L'origine del male e del bene
14 Settembre 2019, 23:30:24 PM
Citazione di: Ipazia il 14 Settembre 2019, 21:46:28 PM
Mentre il relativismo cerca assiomi e paradigmi, l'ethos li scrive sulla carne e quel segno é assai più potente del segno logico.
Assiomi e paradigmi, correggimi sempre se sbaglio, li cercano le discipline, prima ancora delle rispettive correnti; li cerca la logica, l'ermeneutica, l'etica (inconsapevolmente, a quanto pare) e direi persino l'arte. Sul relativismo come capro espiatorio che accomuna papi e nietzschiani, comunisti e fascisti, playboy e femministe (non parlo di te), non ho nulla di nuovo da aggiungere, vostro onore: come scritto sopra, mi interessa piuttosto capire un potenziale "novum" (sotto forma di inatteso sequitur), un passaggio che sfaterebbe l'aura del pensiero debole e mi darebbe molto da riflettere.

Citazione di: Ipazia il 14 Settembre 2019, 21:46:28 PM
Antigone ne é consapevole e va fino in fondo, conquistando la vita eterna in quell'ethos di cui si era eletta testimone sapendo perfettamente cosa si stava giocando. Il sequitur ethos-etica qui é immediato.
Se l'ethos di matrice naturale (quello di cui si è parlato sinora, se non sbaglio) non prevede il suicidio per istinto, suicidio che è quindi scelta razionale (contro-istintiva), per capire meglio, provo con una domanda secca: perché l'etica di Antigone è fondata sull'ethos?

Citazione di: Ipazia il 14 Settembre 2019, 21:46:28 PM
In condizioni di buona salute fisica e sociale il valore vita si afferma positivamente senza meta-etica alcuna.
Decisamente sì; come dicevo, per l'etica in quanto tale bastano infatti la tradizione, l'educazione, etc. per la meta-etica basta la curiosità filosofica del bambino che chiede «perché?» (v. domanda sopra). Domanda spesso ritenuta superflua e impertinente dai più e a cui, per fortuna, si può anche non rispondere, senza perdere nulla in termini di "funzionalità" del proprio punto di vista.

Citazione di: Ipazia il 14 Settembre 2019, 21:46:28 PM
Che il bene e il male non siano intercambiabili in uno schematismo relativista lo dimostra pure il fatto empirico che chi fa il male non ama subirlo.
Davvero c'è un relativismo che propone tale "schematismo"? Di nuovo: senza riflessione meta-etica, si finisce dritti al giudizio di valore, questo sì per nulla meta-etico: «questo è giusto»/«quello è sbagliato», senza passare per la comprensione, che richiederebbe di aprire il famigerato dispositivo di erogazione, svelare il sancta sanctorum dell'etica... tuttavia non è un gesto necessario: in fondo, se il distributore funziona, perché aprirlo? Eppure questo non è il "perché" del bambino-filosofo.


@viator
Parlando di Antigone e non dei suicidi della cronaca reale (premessa piuttosto necessaria), intendevo che tale suicidio rivendica l'indipendenza della razionalità poiché è una scelta (non approfondisco) che va contro l'istinto di conservazione. Ovviamente, per essere comprensibile, tale mia osservazione va contestualizzata nel colloquio con Ipazia, che più di una volta si è appellata alla razionalità dell'etica collegandola ad un suo sequitur da ethos e physis (da qui il mio commento volto a rilevare il non sequitur fra etica razionale e ethos spontaneo-animale; se per «ethos» intendiamo invece la morale, il problema del non sequitur forse "guadagna" un ulteriore gradino di complicazione).
#1357
Tematiche Filosofiche / Re:L'origine del male e del bene
14 Settembre 2019, 16:32:51 PM
Citazione di: Ipazia il 14 Settembre 2019, 13:53:37 PM
Il distributore funziona secondo il progetto di chi conia le monete e possiede le piantagioni di caffè: struttura.
E se il distributore funzionasse secondo il progetto di chi lo progetta? Si parlava di tautologia, no?
Disambiguo per evitare fraintendimenti: il «distributore (di giudizi etici)»(autocit.) è il paradigma etico con cui valutiamo le informazioni (monetine) per produrre giudizi etici (caffè). Del suo essere struttura (concordiamo) erogatrice, mi interessa scrutarne il funzionamento dall'interno (quindi la progettazione, quindi la questione meta-etica), a prescindere (qui torniamo in metafora) da quale sia l'"impatto diuretico" del caffè nella società di finanzieri e coltivatori.

Citazione di: Ipazia il 14 Settembre 2019, 13:53:37 PM
Lavorando di vanga e cacciavite si trovano tutti i sequitur che l'autonomia del relativo non vuole vedere.
Riguardo a tale auto-nomia del relativo (suppongo tu intenda la tautologia assiomatica, da Aristotele a Godel): forse più che rimproverargli il non vedere i sequitur, gioverebbe esplicitarli e (di)mostrarglieli; se è possibile (se invece è stato già fatto, allora la cecità è forse irrimediabile).

Citazione di: Ipazia il 14 Settembre 2019, 13:53:37 PM
labirinto dell'illusionismo relativista, coi suoi mille sentieri che non sbucano in radure assolate, ma in cieche caverne platoniche.
[modalità meta-discorsiva: on
Ben vengano discorsi ampliati e critiche a correnti di pensiero, ma a me interessavano soprattutto chiarimenti sulla tua prospettiva. Magari sbaglio, comunque capisco che il disagio del sentirsi assediati possa spingere al contrattacco e, in assenza di bersaglio palese, si scaglino strali un po' "a memoria"; se questa tua "reattiva" frecciata al relativismo arriva in fiera delega delle risposte per le sollecitazioni alla tua posizione, è una forma di "difesa" indubbiamente legittima. Tuttavia, secondo me, nel momento in cui il dialogo diventa duello o assedio (proprio quello che volevo scongiurare, come non a caso già anticipato) e non collaborazione su un topic, si innescano inevitabilmente dinamiche retoriche che sterilizzano ogni fertilità filosofica, lasciando in sospeso il filo logico del tema («basta parlare della mia posizione, parliamo piuttosto delle debolezze dalla tua!», ovvero l'antitesi della ricerca di equipe, come la filosofia dovrebbe potrebbe essere).
modalità meta-discorsiva: off]
Nella dianoia che mi interessa(va), la tua posizione era il focus (e lo è stato per pagine) proprio perché quel sequitur sarebbe potuto essere un affondo molto impattante (anche) sul relativismo: trovare un sequitur forte, radicato nella physis e nell'ethos animale, avrebbe assestato un duro colpo alla tenuta pragmatica (prima ancora che teoretica) di ogni pensiero debole... per questo ero motivato a capire e collaudare la solidità di tale possibile sequitur (che tuttora mi sfugge; forse devo solo iniziare a mettere in conto i limiti di comprensione imposti dal mio paradigma).


P.s.
Nota letteraria: se non erro, Antigone decide di impiccarsi nella grotta in cui era stata rinchiusa: la sua etica, più che farla uscire dalle «cieche caverne platoniche»(cit.), l'ha portata a scegliere di terminare lì la sua vita. Direi quindi che il conto della potenza del suo «ethos» l'ha pagato lei in prima persona, con buona pace di quell'ethos che mira alla conservazione della vita. Anche in questo caso, la razionalità ha dunque rivendicato la sua indipendenza dall'ethos animale, manipolando la physis e il bios fino all'estremo gesto (altra tacca, seppur letteraria, sul "non sequitur"; se citi queste storie, non mi aiuti a capirti...).
#1358
Tematiche Filosofiche / Re:L'origine del male e del bene
13 Settembre 2019, 22:24:17 PM
Citazione di: Ipazia il 13 Settembre 2019, 20:32:52 PM
Sì direi che è qui il punto nodale: gli sbarramenti assiomatici che il relativismo forte pone tra uomo e natura impediscono di vedere la stretta correlazione esistente tra i vari saperi che si fondono in una koinè unitaria
Non colgo perché il relativismo non potrebbe vedere la correlazione fra i vari saperi (anzi, gerarchizzandoli poco, mi pare li renda più vicini e meglio collegabili...). Sulla unitarietà della koiné, sospendo cavallerescamente il giudizio (intrigato della differenza fra unità e collegamento, tra fondere e fondare...).

Citazione di: Ipazia il 13 Settembre 2019, 20:32:52 PM
il folle assume ruoli diversi non necessariamente di marginalizzazione, ma addirittura di vate, profeta, ispirato e guida, in funzione del rapporto unitario tra la "visione" di una specifica società e il visionario che esce dalla curva della normalità comportamentale postulata.
Chi ha avuto a che fare con i malati mentali, di cui si parlava sopra, sa che fare appello alla figura estetica (avevo messo in guardia dalle u-topie del cross-dressing?) del folle avanguardista, del genio rivoluzionario, è come fare appello alle mosche albine: pur con tutto il rispetto per le minoranze, se parliamo di mosche in generale (come stavamo facendo) possiamo posporle fra le postille di fine trattato.

Citazione di: Ipazia il 13 Settembre 2019, 20:32:52 PM
La monetina e il caffè sono molto più intrecciati di quello che il relativismo ammette, perchè chi dà la monetina può anche decidere, solitamente, la marca del caffè, determinando così l'inclusione e l'esclusione dall'orizzonte epistemologico prima e ontologico poi.
L'apparente libertà di scelta la decide il dispositivo (con le sue preimpostazioni) e guardare solo alla monetina e al caffè, senza aprire il dispositivo per curiosare sul come funziona, secondo me, non è certo una colpa, né filosoficamente e né eticamente; tuttavia significa non guardare al fondamento, passaggio occulto che a me incuriosiva (e senza il quale, correggimi se sbaglio, il relativismo non esisterebbe nemmeno... preferirei comunque non spostare il focus del topic; sul relativismo ce ne sono già troppi).

Citazione di: Ipazia il 13 Settembre 2019, 20:32:52 PM
Se proprio vogliamo l'autonomia del relativo dobbiamo mettere in conto anche l'ethos ad hoc che esso produce e i tanti sequitur, palesi e occulti, che accompagnano tale processo antropologico. Sempre risolti da chi detiene le monetine.
(Filtrata la constatazione del relativismo in atto) Concordo, nella nostra epoca il lupus non usa artigli, troppo facili da spuntare e vistosi nei loro crimini; ci rivedo proprio il «mors tua, vita mea» in versione economico-politica di cui parlavo... che sia questa la koinè unificante?

Citazione di: Ipazia il 13 Settembre 2019, 20:32:52 PM
Essendo l'etica "ethos techne" ha pure lei i suoi bravi referenti, invisibili, ma implacabili nel determinare l'andamento di quell'oggetto immateriale che è la nostra vita sociale.
Anche la sofistica e il linguaggio in generale sono una tecnica, sebbene il loro rapporto con il referente non sia affatto pacifico e univoco; nelle scienze umane, considerare la vita sociale come «oggetto immateriale» è spontanea mossa per spalancare tutti gli orizzonti di senso ermeneuticamente possibili... tuttavia, la mia curiosità era di capire come funziona il distributore (di giudizi etici) che ci invita all'"insert coin", non fare il sommelier alla macchinetta delle bevande (preferisco fare il caffè a casa, come è più incline al mio... ethos).
#1359
Tematiche Filosofiche / Re:L'origine del male e del bene
13 Settembre 2019, 00:08:33 AM
Citazione di: Ipazia il 12 Settembre 2019, 22:31:32 PM
Il "confligge" non riguarda la manipolazione ma i suoi esiti e le motivazioni. E si torna all'ethos: rimuovere una tara ereditaria intervenendo sui gameti non è la stessa cosa che attuare manipolazioni dagli esiti incerti come gli ogm.
Parlando di etica (bioetica, eugenetica, etc.), mi riferivo alla manipolazione dell'uomo sul bios dell'altro uomo (v. green demetr); lasciando alle piante una vita inesorabilmente in balia di noi "viventi mobili". Coinvolgendo le «motivazioni»(cit.) siamo già con entrambi i piedi dentro l'etica,  con ethos e natura che sono "destinatari" delle nostre scelte, non "mittenti".

Citazione di: Ipazia il 12 Settembre 2019, 22:31:32 PM
Dipende dal grado etologico della motivazione. La ricerca sul cancro non credo sollevi polveroni etici da centrifuga tautologica. E se lo è, sia benedetta la centrifuga.
Per fortuna, non ogni tema tecnico comporta questioni etiche e la medicina è un settore di tangenza fra le due (tecnica ed etica); tuttavia, fra il giuramento di Ippocrate e l'obiezione di coscienza di alcuni medici, mi pare ci sia una zona franca di problematiche eticamente interessanti (eutanasia, etc.), non pianamente riducibili al comprensibile cercare di rimuovere un tumore per salvare una vita.

Citazione di: Ipazia il 12 Settembre 2019, 22:31:32 PM
Il perchè (causale e finale) lo determinano le circostanze naturali ed etologiche, una volta che se ne sia ottenuta una conoscenza più accurata. Così accade ad esempio che il giudizio (anche etico) sulla malattia mentale sia variato molto nel corso delle epoche. Non semplicemente con artifici ideologici (tautologia) ma con ricerche, almeno nelle intenzioni, obiettive.
Forse questo è il punto nodale della nostra divergenza: le «circostanze naturali ed etologiche» non determinano il perché un'etica sia giusta o razionale o altro; chiaramente, intendo il perché del fondamento teoretico, non il perché dell'accettazione sociale o del successo storico.
Il «giudizio (anche etico)» sulla malattia mentale è per me quasi un non senso: nei vari contesti storici è cambiata l'analisi della malattia, da possessione demoniaca a malfunzionamento neurologico-psichiatrico (vado a naso), ma ciò ha poco a che fare con la dimensione etica, teoreticamente intesa, essendo più una questione di ruolo sociale del malato. Detto altrimenti: il bene e il male morale non c'entrano, a parte la storia del demonio che, dobbiamo ammettere, per quell'epoca non era affatto peregrina.
L'interdizione per "incapacità di intendere e volere" (espressione tanto fuorviante quanto eloquente, direbbe forse Foucault, ma non divaghiamo) resta a testimoniarci come il "referente" sia rimasto identico, anche nella sua marginalizzazione pragmatica (non etica) con il contesto.
Direi che bisogna sempre distinguere la "monetina" dal "caffè": le informazioni su cui basiamo un giudizio etico e il paradigma con cui lo formuliamo, hanno filosoficamente ruoli ben differenti e, soprattutto, sono fondati su discipline epistemologicamente ben differenti (anche se il loro mutamento storico può far sembrare il legame reciproco più intimo di quanto non sia).

Citazione di: Ipazia il 12 Settembre 2019, 22:31:32 PM
Nel caso dell'ivg l'apporto della scienza è vero che non riguarda la definizione giuridica di persona, ma la descrizione fenomenologica, focalizzata sullo sviluppo del snc, è un tassello importante di tale definizione e risolve la questione senza capovolgimenti dove ciascuno, scienza e norma, fa la sua parte. Capovolgimento sarebbe (cosa peraltro avvenuta di frequente nella storia) se i criteri etici predeterminassero gli esiti della conoscenza
Anche qui non coincidiamo nella lettura: i criteri etici non possono predeterminare gli esiti della conoscenza, semmai la sua interpretazione; così come la scienza non può predeterminare (né fondare) un paradigma morale, ma può fornirgli dati/monetine da elaborare (il rapporto fra snc e il concetto di "persona" è "risolutivo" tanto quanto quello fra altri organi vitali e "persona" o altri elementi successivi dello sviluppo e "persona", etc. le possibilità sono molte). Rimango con il non sequitur irrisolto.

Citazione di: Ipazia il 12 Settembre 2019, 22:31:32 PM
La sintesi va fatta "dopo", "fondandosi su" i risultati.
Ciò, secondo me, vale per la scienza, ma non può valere per l'etica; non a caso, una è descrittiva della natura (nel senso più omnicomprensivo), l'altra, pur con tutte le riflessioni del caso, socialmente/individualmente normativa (oppure, tanto per non essere ripetitivo: una si occupa del referente, l'altra del significato).


P.s.
Citazione di: Ipazia il 12 Settembre 2019, 22:31:32 PM
in condizioni certamente più agevoli di un castello medioevale assediato.
Temevo che il mio interrogare fosse preso come "assedio" per caparbietà, non certo per disagio procurato... comunque, in fondo, si vive meglio nel castello, fosse anche assediato, che accampati fuori all'addiaccio, no?
#1360
Tematiche Filosofiche / Re:L'origine del male e del bene
12 Settembre 2019, 16:29:17 PM
Citazione di: Ipazia il 12 Settembre 2019, 12:43:37 PM
Tutto il dibattito etico sulla manipolazione genetica e le biotecnologie rimane ancorato al cui prodest. Se è utile ad un potenziamento della vita umana e non confligge con la natura (è chiaro che tra uomo e natura vi è circolarità) viene promosso.
La manipolazione genetica «confligge» con la natura per sua stessa definizione (è un "metter mano" piuttosto indiscreto), per cui le sue questioni etiche non potranno essere decise a partire dalla natura stessa, che magari ci inviterebbe a star fermi con le mani. Certo, anche la razionalità (base della tecnica) dell'uomo fa parte della natura, ma non possiamo rinnegare il fatto che è stata proprio tale "dote" ad averci alienato/emancipato/differenziato dalle leggi dell'ethos naturale, per cui appellarci adesso al bios, a questo punto evolutivo che lo ha reso ormai manipolabile, pare più una ricerca di un pre-testo per le differenti fazioni di pensiero (che, come da manuale, interpretano a modo loro).
Lo stesso concetto di «potenziamento della vita umana»(cit.), fulcro spinoso di ogni dibattito su quei temi, non è forse da valutare secondo paradigmi etici? Se è così e gli chiediamo nondimeno anche di fungere da fondamento degli stessi paradigmi decisionali-risolutivi, siamo in piena centrifuga tautologica.

Citazione di: Ipazia il 12 Settembre 2019, 12:43:37 PM
Non è sufficiente ma è fondativo "la vita accade prima di tutto". Che su questo non sia possibile fondare un'etica condivisa ("non è sufficiente"), tu e green avete ragione. Ma quando si va alle origine della questione sempre da lì si finisce col ripartire, non ideologicamente (la trascendentalità "kantiana" non è autosussistente), ma sostanzialmente e praticamente.
Certo, «ripartire» ma come presupposto fenomenologico, non come criterio, che è, una volta dati i presupposti, ciò che serve a fondare un'etica razionale.

Citazione di: Ipazia il 12 Settembre 2019, 12:43:37 PM
Il rebus fa parte del problema, ma le due questioni si sviluppano dialetticamente trovando la sintesi, almeno a livello teorico, in forme più dense e libere di valorizzazione della vita (umana) che riguardano le tecniche di cura, la libertà sessuale, la disponibilità della propria vita in ogni suo ambito (economico, esistenziale, biologico,...) e le scelte politico-economiche.
La valorizzazione/valutazione di/in tutti quegli ambiti è proprio il cruccio dell'etica, chiamata a decidere della «densità» e della "libertà" dell'agire; nel momento in cui viene definito il "programma" della valorizzazione, si tratta solo di applicarlo, ma è la scelta a monte il problema meta-etico: non cosa sia il bene (etica), ma perché (meta-etica, ad alto rischio tautologico).

Citazione di: Ipazia il 12 Settembre 2019, 12:43:37 PM
Nel dibattito sull'ivg la conoscenza del processo di sviluppo dell'embrione è un elemento dirimente per contemperare il miglior compromesso etico possibile tra la donna e il risultato della fecondazione.
Non mi pare un compromesso, quanto un processo: la conoscenza degli stadi embrionali è descrittiva, poi (attenzione a non confondere il "dopo" con il "fondandosi su") l'etica assegna un significato ad ogni stadio.
Come dire: prima metto i soldi in un distributore automatico, poi lui eroga il caffè, ma il caffè non è fatto dai soldi, bensì dal distributore automatico. Certo, di solito, senza soldi niente caffè (senza informazioni, niente scelta etica) e più soldi/informazioni metto, più il distributore può erogare bevande migliori (semplifichiamo), ma la produzione del caffè/giudizio-etico è tutta interna al distributore/paradigma-etico. Concordiamo di sicuro sul fatto che un distributore che eroga caffè gratis (scelte etiche senza informazioni sul contesto), probabilmente non fornisce un prodotto di qualità (per quanto, de gustibus...).
Al di là della "pausa caffè", ad ogni stadio embrionale non so se possano essere date descrizioni eccessivamente divergenti, ma sicuramente differenti letture etiche. Il dove inizia la persona, non lo dice la scienza, almeno non prima di aver preso i criteri dall'etica, dunque qui il fondamento dell'interpretazione rischia di essere capovolto.

Citazione di: Ipazia il 12 Settembre 2019, 12:43:37 PM
Lo studio sui limiti dello sviluppo e l'impatto antropico fornisce un riferimento forte al principio etico della procreazione responsabile...
Un riferimento ancora più forte lo fornisce un elaboratore che, analizzando tutti i dati antropici, ci spiega che razionalmente dovremmo smetterla di procreare e persino di curarci perché il pianeta è sovraffollato, l'impronta ecologica è drammatica, etc. tuttavia se possiamo intimargli di tacere è perché lui non ha un cuore e, come noto solo agli umani, «il cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce...».
La procreazione responsabile, o meglio, il concetto di «responsabilità» scatena la bagarre della dialettica armonia-della-società/libertà-individuale (per fortuna è off topic, perché il mio forfait sul tema sarebbe al primo minuto di gioco) di cui solo un'etica potrebbe decidere... se solo ce ne fosse una più razionale e incontrovertibilmente fondata delle altre.

Citazione di: Ipazia il 12 Settembre 2019, 12:43:37 PM
Il mio paradigma ha per lo meno il vantaggio della costanza del suo fondamento e strutturarlo in senso umanistico diventa il nucleo originario di quella spiritualità atea di fronte alla quale green storce il naso ributtando la palla nel campo dell'automazione tecno-scientifica. La quale non è l'unica declinazione possibile della "virtute e canoscenza".
En passant, «spiritualità atea» è per me un modo nostalgico per dire «ideologia etica», ma anche qui il mio forfait è istantaneo (come sempre quando è davvero solo una questione di prospettive e non può darsi un meta-piano, che non sia quello meramente linguistico).

Citazione di: Ipazia il 12 Settembre 2019, 12:43:37 PM
Come afferma Lou, anche i lupi sono animali sociali e al loro interno vale piuttosto il "vita tua, vita mea" quando cacciano in branco. I fondamenti assiomatici la natura li pone. Se non si cade nell'ingenuità giusnaturalistica di prenderli tutti in blocco (con le loro evidenti contraddizioni eto-logiche) ma si fa leva solo sugli aspetti socializzanti inscritti fin nel dna si possono elaborare etiche razionali.
(Fermo restando che nella società umana "lupi" e "agnelli" sono della stessa specie) da sempre i lupi cacciano e uccidono assecondando il loro ethos (basato sulla loro physis), poi alcuni lupi decidono che conviene essere tendenzialmente vegetariani (almeno di facciata) e redigono la DUDU; se tali lupi dichiarassero che la loro DUDU è fondata sul loro ethos, ammetto che resterei piuttosto perplesso... quanto meno significherebbe che anche loro hanno acquisito un livello di razionalità tale da emanciparsi dal loro ehos, al punto da poterlo strumentalizzare come alibi.
Fuor di storiella: l'ethos naturale ci rende animali da branco, ma le regole del branco umano, per "colpa" della razionalità, dobbiamo scrivercele noi, perché in merito la physis ci dice troppo poco, essendocene alienati tramite la tecnica. Come dicevo: va bene il «non uccidere», il vivere assieme, etc. ma sui temi esclusivamente umani (i famigerati ipotetici referendum su biopolitica, eugenetica, gender, etc.) non ci resta che suonarcela e cantarcela senza mamma natura (per quanto invocata da tutti dalla propria parte).
Oppure siamo davvero in grado di proporre un "falsificazionismo etico" epistemologicamente fondato?

Citazione di: Ipazia il 12 Settembre 2019, 12:43:37 PM
La pulsione estetica pare sia innata e col tempo si sia particolarmente sviluppata nella nostra specie. Non la porrei in contrapposizione alla razionalità logica, ma piuttosto all'irrazionalità del brutto. Sentire che la violenza (e la sua forma istituzionale "guerra") è "brutta",  in civiltà evolute potrebbe funzionare meglio che la tradizionale concezione etica della violenza "cattiva". Fatte salve le eccezioni motivate del caso che la vita reale non concede alla metafisica.
Cross-dressing fra due nemiche giurate; utopia per utopia, la mia indole postmoderna apprezza.


P.s.
Nonostante i meta-discorsi (discorsi che tematizzano i discorsi), abbiano mostrato recentemente, nella "cronaca locale", tutto il loro potenziale dirompente e contrario alle iniziali buone intenzioni, mi permetto di chiarire che il mio obiettare a quello che mi sembra un tuo non sequitur, non si reitera per amor di poliercetica, ma perché, non riuscendo a capire come sia invece per te un sequitur, sono spinto a riportare ciò che non mi quadra (e, fatto il rapporto delle perplessità, «ambasciator non porta pena...»).
#1361
Tematiche Filosofiche / Re:L'origine del male e del bene
10 Settembre 2019, 23:02:40 PM
Citazione di: Ipazia il 10 Settembre 2019, 20:31:12 PM
I Sollen, must, doveri, etologici hanno un diritto di primogenitura su quelli formalizzati in precetti etici.
Proprio la formalizzazione è il passaggio dello slittamento verso l'arbitrarietà del senso, l'innesco del pluralismo esegetico. L'ethos e la physis sono molto meno deformabili e interpretabili dell'etica, nondimeno, con l'ingegneria genetica diventa ancor più lampante quanto l'etica non dipenda dalla physis e di come il potere/volere umano, per vie tecniche, possa talvolta manipolare persino i "doveri" innati della natura.

Citazione di: Ipazia il 10 Settembre 2019, 20:31:12 PM
L'istinto viene problematizzato quando confligge col valore "vita", intesa in senso ontologico, quantitativo e qualitativo. Sempre lì andiamo a parare... e il sequitur funziona come ratio di ultima istanza. Fammi qualunque esempio e te lo dimostro.
Ad esempio, mi chiedevo come sia possibile ispirarsi al "valore della vita"
Citazione di: Phil il 10 Settembre 2019, 15:46:47 PM
parlando di politica, bioetica, eutanasia, gender, globalizzazione, etc. non ci si può ispirare alla mera preservazione della "vita", poiché tale concetto fa esso stesso parte del rebus, non può essere criterio risolutivo, essendo la sua coniugazione il cuore stesso del problema.
Sono tutte questioni che riguardano come intendere ed interpretare la vita e le sue categorie, ma per passare alla dicotomia etica "questo è giusto"/"questo è sbagliato", discrimine utile ad esempio per eventuali referendum in merito, non capisco come l'ethos o la physis possano suggerire una risposta «incontrovertibile»; infatti i dibattiti su quei temi strumentalizzano entrambe le dimensioni a proprio piacimento, ciascuno interpretandole dalla sua parte (sempre la faziosa bilancia fra quantità e qualità).

Citazione di: Ipazia il 10 Settembre 2019, 20:31:12 PM
... il biav e innanzitutto assiomatico con quarti di nobiltà metafisica: essere o non essere ? Ma è anche frutto di un'analisi sulle tavole della legge, da Mosè alla DUDU. Talmente assiomatico che spetta a chi lo nega scegliere assiomi diversi, generalmente più deboli e abborracciati dell'assioma "vita umana".
Direi che la vita umana non è assioma, è condizione di possibilità dell'etica: ovviamente solo fra vivi ci si può porre il problema dell'etica, e ridurlo al restare vivi il più (e in più) possibile, mi sembra poco consono alla complessità della società attuale (nel senso che lascia molti angoli bui). Di certo è una via legittima di interpretare il mondo e va bene il «non uccidere», con tutte le postille legali e costituzionali del caso, ma i dilemmi etici dell'uomo comune (e del votante, vedi sopra), che tende a non uccidere (si spera), hanno comunque le loro esigenze a cui il motto "la vita prima di tutto" non è sufficiente.

Citazione di: Ipazia il 10 Settembre 2019, 20:31:12 PM
Detto in soldoni: oggi un'etica che prescinda dalle leggi naturali e dalle evidenze scientifiche è destinata alla discarica. Può sopravvivere ideologicamente, ma deve rinunciare ai suoi principi ogni volta che si trova ad affrontare un ostacolo reale.
Non saprei: leggi naturali ed evidenze scientifiche che ne sanno di etica? Il referente che ne sa del significato che gli si può (non "deve") attribuire. Di fronte ad un «ostacolo reale», tornando ai temi citati all'inizio: natura e scienza mi spiegheranno i dettagli "tecnici" del dilemma del referendum, ma come mi aiuteranno a fare la mia scelta etica? Mi daranno gli elementi da considerare per decidere, ma non il paradigma valoriale per farlo (occupandosi di altro settore). Se trovassimo un'etica basata su leggi naturali ed evidenze scientifiche, dovremmo iniziare a parlare di "etiche vere" ed "etiche false" potendo dimostrare oggettivamente la falsità di queste ultime; l'etica smetterebbe di essere trattata nella sezione «filosofia» per passare in «scienza». Magari ci arriveremo, chissà...

Citazione di: Ipazia il 10 Settembre 2019, 20:31:12 PM
In ogni caso è velleitarismo illuministico pretendere, per schivare la tautologia, di saper/poter dire solo ponendosi fuori dal cerchio.
Per me il dire filosofico è di default tautologico, nessun fuori-cerchio, poiché fuori dall'orbita ermeneutica c'è (almeno) un altro piano, ma qui è off topic: l'estetico (ci tornerò alla fine, ovviamente non da solo). Da precisare che la chiusura tautologica non significa stasi cognitiva o interpretativa, né impossibilità di modifica dall'interno: ogni discorso può modificarsi per l'irruzione del Differente (tanto per parlare "metafisichese") o per autoanalisi cogitabonda (la M di meditazione nella parodia einsteniana).

Citazione di: Ipazia il 10 Settembre 2019, 20:31:12 PM
Ma non tutte le prospettive si equivalgono e sono equipotenti. Allargamenti d'orizzonte, anche con tutte le distorsioni del globalismo capitalistico, è un dato di fatto storico.
Anche qui: per giudicarle non equivalenti, larghe o strette, a cosa ricorriamo? La storia ci dice che ce ne sono molte, il meglio/peggio è questione di successo storico (guidato da un'ordalia o darwinismo storicistico) oppure di chiave di lettura paradigmatica, quindi assiomatica, quindi tautologica?

Citazione di: Ipazia il 10 Settembre 2019, 20:31:12 PM
La filosofia non può surrogare la politica, ma può cercare buone risposte etiche che riducano i conflitti o li superino in sintesi meno cavernicole del mors tua vita mea eletto ad assioma comportamentale e quindi etico (passando per l'etologia per rendere la tautologia meno trasparente e più physica)
Forse scrivendo si sono rovesciati i piani: il «mors tua, vita mea» è della/nella physis (istinto di sopravvivenza) e dell'/nell'ethos (pratica della autoconservazione), non dell'/nell'etica. Non può essere «assioma comportamentale» perché è già nel nostro dna senza bisogno di ermenetiche o assiomi culturali. Certo, la sua forma, come dicevo, cambia fino ad "alienarsi" nei piani della macroeconomia e nelle dinamiche del consumismo, ma la radice resta quella (e non può fondare etiche razionali, essendo istinto, pulsione al possesso, privo di normatività biologica su giusto/sbagliato etc.).

Citazione di: Ipazia il 10 Settembre 2019, 20:31:12 PM
Citazione
Consentimi di precisare che non è tautologico il referente («la vita umana»), ma il suo significato umano: la tautologia è che il fondamento etico (e non solo) è un significato che decide degli altri significati derivati ma anche di lui stesso; la vita, dal canto suo, non mi pare (una) pratica di tautologie.
A me pare di sì. La prima cosa che sa/può/deve fare è riprodurre se stessa. Sovranista al cubo, lo fa dall'interno di se stessa, proprio come il filosofo che filosofeggia di un'etica che sempre lo contiene. Anche la scienza si è dovuta arrendere a fare il suo lavoro dall'interno, interferendo con esso.
La vita è metaforicamente tautologica (concessione), la filosofia lo è fuor di metafora; v. differenza significato/referente.

Citazione di: Ipazia il 10 Settembre 2019, 20:31:12 PM
La lezione ermeneutica ha spiegato anche questa ineliminabile, chiamiamola aporia , dell'interpretazione. Ma ha anche dato qualche trucco per non prendere troppi fischi per fiaschi. Scoprendo la circolarità relativistica dei suoi percorsi. Talvolta sentieri contorti e fortunati. Holzweg.
Gli Holzwege hanno portato Heidegger verso il pensiero poetante, un'uscita della circolarità ermeneutica può essere infatti la deviazione estetica; la conseguenza da accettare è il sacrificio della razionalità logica che, in ambito etico, può non essere accettabile da tutti.
#1362
Tematiche Filosofiche / Re:L'origine del male e del bene
10 Settembre 2019, 15:46:47 PM
Citazione di: Ipazia il 10 Settembre 2019, 01:39:14 AM
noto che i cuccioli amano fare cose pericolose e le possono fare ma la madre insegna loro che non le devono fare. Siamo sempre a livello ethos. Imparare ad attraversare il ponte tibetano che unisce potere/dovere non è un fatto banale perchè implica la preservazione di quello che ho definito "bene incontrovertibile assoluto del vivente (biav)", la sua vita individuale. Appunto quell'impervio ponte tibetano. Oltrepassato il quale si possono costruire sovrastrutture etiche a piani diversi ma sempre fondate su un ethos che ha recepito il corretto, non sovrastrutturale, rapporto tra potere e dovere.
Non tutte le prescrizioni e i divieti sono etici, e distinguerli da quelli etologici è fondamentale per rispettare la distinzione fra vita animale e vita "civile" (di una civitas). Rintocca puntuale la domanda sul fondamento: ciò che spinge la mamma a insegnare ai suoi cuccioli a non fare azioni pericolose è (ad occhio) la tutela materna e istintiva della vita; ciò che spinge un umano a barcamenarsi nelle questioni etiche non può permettersi di essere semplicemente istintivo, "dovendo" l'uomo fare i conti con la razionalità, che problematizza perfino lo stesso istinto, e soprattutto il concetto stesso di «vita». 
Le possibilità dell'uomo (il suo "potere", in tutti i sensi) sono così complesse, vaste e (a differenza degli animali) tecniche, che non possono essere sbrigativamente recintate dall'istinto di conservazione: parlando di politica, bioetica, eutanasia, gender, globalizzazione, etc. non ci si può ispirare alla mera preservazione della "vita", poiché tale concetto fa esso stesso parte del rebus, non può essere criterio risolutivo, essendo la sua coniugazione il cuore stesso del problema. Per avere spunti edificanti per l'etica umana, la mamma e il cucciolo non ci possono fare da maestri, perché in natura non c'è nulla di simile alle tematiche accennate sopra; proprio come, si diceva, non ci sono né il giusto né lo sbagliato, che tali tematiche presuppongono, ma solo istintivo/non istintivo, etc.
Quindi concordiamo pure che sia etologico (e metaforicamente "etico") che una mamma, umana o di altra specie, istruisca i propri cuccioli a non attraversare la strada senza guardare, ma usarlo come fondamento teoretico per tutte le altre questioni di «etica razionale»(cit.), quindi non meramente istintiva, mi pare una proiezione fallace (il famigerato non sequitur a cui accennavi).

Il «biav»(cit.) è assioma (se si, scelto come?) o risultato di un'analisi (se si, basata su quale paradigma?)? 
Inteso individualmente è il significato del referente «istinto di sopravvivenza»; inteso socialmente è invece piuttosto amleticamente (s)fondato: nell'ethos umano imperversano (geneticamente, v. istinto) Polemos e il già citato Ares, quindi se il "biav" si spaccia per figlio redentore ed "induttivo" dell'ethos naturale, probabilmente è stato in realtà "adottato", perché l'analisi del suo "dna" non rimanda tanto alla natura, quanto piuttosto alla nostra cultura (razionale, umanistica, antropocentrica, etc.).
Riconosco che il "biav" è un assioma problematico se coniugato nella nostra società, ogni sua parola meriterebbe un trattato (proprio a partire dalla «b» di «bene»), tuttavia ammetto che come criterio è ben più filosofico (ricambio la tua trasparenza, esplicitandomi) della "mia" formula E = MC2 , ovvero Etica = Meditazione x Cultura al quadrato, dove l'imprinting della cultura d'appartenenza tende di default a pesare di più della meditazione personale; per quanto sia poi possibile, con un po' d'impegno, rendere M più influente di C.
[Da non confondere con l'altro E = MC2, quello ontologico, ovvero: Esistenza = Materia x Causalità al quadrato... e per oggi ho profanato Einstein a sufficienza]

Citazione di: Ipazia il 10 Settembre 2019, 01:39:14 AM
L'innesto è obbligato per completare il circolo ermeneutico. Geneticamente, l'etica (bene/male) non può che innestarsi su un ethos che a sua volta è radicato in physis. 
La proprietà transitiva non funziona sempre: il circolo ermeneutico prescinde dalla physis, la sua chiusura è tutta nel significato; infatti di circoli (e di etiche) ce ne sono in gran quantità (è una constatazione, direi) ed interpretano in maniera differente la medesima physis
Il legame ethos/physis è naturale (istintivo, genetico, etc.), quello etica/ethos è culturale (e infatti leone/gazzella non lo condividono, almeno apparentemente). La peculiarità dell'uomo rispetto agli altri animali è proprio il livello del significato (di cui l'etica è un'applicazione) delineato asintoticamente sulle coordinate del referente fisico. Quando tale significato assume la forma del "dovere", in cui la legge umana prova a scimmiottare la legge di natura, emerge tutta l'arbitrarietà e la convenzionalità delle (sovra)strutture semantiche (dal linguaggio all'etica, all'arte, etc.). 
Banalizzando: che un corpo debba cadere verso il centro della terra e che i migranti debbano essere identificati, spiega bene (perdona l'ovvietà) la differenza fra il "dovere del referente" e il "dovere del significato", fra il dover essere della natura e il poter essere dell'uomo (per quanto inteso da egli stesso come "dovere"), fra sequitur e non sequitur.


Citazione di: Ipazia il 10 Settembre 2019, 01:39:14 AM
Che poi finiscono sempre col cadere nel discorso etico: leggi, regolamenti, procedure, ciascuno dei quali necessita di una giustificazione di tipo etico.
[...]
Chiamare il bene, nirvana e il male, samsara non cambia di molto la sostanza della questione (etica). La spersonalizza, pandivinizza, ma non le toglie direzione e motivazione verso un qualche "bene" in fuga da un suo omologo "male".
Pensavo più a Confucio e al Taoismo piuttosto che al Buddismo (e quella distinzione Samsara/Nirvana non è affatto come sembra, ma è off topic), comunque ciò che cambia è lo slittamento che subirebbe lo statuto del «bene», soprattutto in ottica laica: non propongo certo di tornare indietro di 2500 anni (per questo ho giocato la carta del «mutatis mutandis»), ma scindere tale concetto dal suo statuto metafisico (il buddismo è molto più meccanicista di quanto lo siano le nostre religioni, il taoismo è naturalista e il confucianesimo è spiccatamente laico, metafore a parte), consentendo di ragionare più facilmente in chiave pragmatica, piuttosto che in chiave assolutistica, metafisica, etc. Mi sembrano approcci più attualizzabili di quello tipicamente nostrano, ormai in panne fra nichilismo e deismo.
Inoltre, si aprirebbe meglio, chiarendosi, anche l'orizzonte del relativismo pluralismo ermeneutico che struttura l'interazione fra culture (ormai tocca farci i conti), ma ammetto che qui tendo a tirare l'acqua al mio mulino...

Citazione di: Ipazia il 10 Settembre 2019, 01:39:14 AM
Il problema si risolve ampliando l'orizzonte del circolo ermeneutico fino a comprendere tutto il sistema che si desidera regolamentare. Più il sistema è coerente più è facile tarare i parametri superando i conflitti. Ciò vale metodologicamente sia per piccoli sistemi (il condominio) che per grandi (il pianeta). Scienza e filosofia aiutano a trovare la sincronia. Ovviamente più cresce il sistema, più crescono le complicazioni e l'abilità richiesta agli amministratori. L'etica dovrebbe diventare quello per cui è nata: una tecnica sapiente del (con)vivere intorno a valori condivisi superando quelli divisivi che condivisibili non sono.
Se quel «dovrebbe» è il bene per l'etica (deciso basandosi a sua volta su una visione etica basata su... etc.), ciò può andar bene come discorso programmatico per una conferenza dell'Onu; "dobbiamo" poi consentire che tale circolo ermeneutico unico, globalizzante (oggi la realtà è questa) faccia le sue vittime (ovvero tutti gli altri circoli più piccoli) e i suoi sacrifici (umani, inutile essere ingenui: "superare i valori «divisivi» in virtù di un'unità più giusta, in nome del bene" è movente ben noto, che va dal ratto delle Sabine fino ai kamikaze, passando per l'inquisizione, etc. è spesso l'applicazione di quel «superare» a non essere "etico"... e se siamo in fiduciosa attesa del "parlamento internazionale illuminato", versione globalista del "re filosofo", temo l'attesa possa durare molto). Secondo me, sperare di costruire tale circolo planetario unico (monismo caro alla cultura occidentale, da Carlo Magno agli imperialismi) solo con girotondi diplomatici e uso di ragione non-violenta (so che non è esattamente quello che proponi), significherebbe non aver imparato la lezione storica che va dall'impero romano (il cui circolo era piuttosto esteso per l'epoca) all'attuale ruolo globale degli Stati Uniti. Si ritorna sempre (e qui dalla natura non si esce) alle mille declinazioni culturali, democratiche e tecnologiche del "mors tua, vita mea", seppur in versione "2.0" e antropocentrica. Che poi il «mors tua, vita mea» venga giudicato umanamente come "male", storpiato in apologia dell'anarchia o in utopico rimpianto dell'età della pietra, è sempre questione di prospettiva (teor)etica.

Citazione di: Ipazia il 10 Settembre 2019, 01:39:14 AM
Redimere la morte dal "male" è saggezza filosofica fin dai tempi di Epicuro. In una società di uguali "chi sacrificare" lo sa per primo chi (liberamente) si sacrifica. Come il vecchio indiano che sente giunta la sua ora. Come la madre, in ogni cultura che non ne abbia disumanizzato il ruolo e la natura. Esistono pure un'etica e una metafisica del sacrificio e della morte. Sanificate, una volta che si siano liberate dai fantasmi irrazionali.
Forse il problema etico nasce quando il sacrificato non è consenziente (Sparta docet), perché della «società di uguali» non vedo traccia (e forse sarebbe troppo poco umana); tuttavia, di fronte alle tue belle parole non voglio fare troppo il disincantato pragmatico e sintetizzo tutto in un: «chissà...».

Citazione di: Ipazia il 10 Settembre 2019, 01:39:14 AM
Etica o meta-etica, il fondamento, a partire dal quale formare un'etica razionale, l'ho dichiarato. Tautologico quanto lo è la vita umana.
Consentimi di precisare che non è tautologico il referente («la vita umana»), ma il suo significato umano: la tautologia è che il fondamento etico (e non solo) è un significato che decide degli altri significati derivati ma anche di lui stesso; la vita, dal canto suo, non mi pare (una) pratica di tautologie.
#1363
Scienza e Tecnologia / Re:L'oggetto misterioso
09 Settembre 2019, 16:51:40 PM
Cibo per astronauti?
#1364
Tematiche Filosofiche / Re:L'origine del male e del bene
08 Settembre 2019, 22:18:46 PM
Citazione di: Ipazia il 08 Settembre 2019, 15:43:02 PM
Il rapporto tra descrizione e prescrizione è fallace solo se collegato da un non sequitur ideologico [...], ma il collegamento può essere anche non fallace: non ho le ali (descrizione) quindi non posso/devo volare (prescrizione).
La prescrizione di matrice fisica (o chimica, etc.) non conosce il non-dovere («non devo volare» è di fatto un non sequitur), ma solo il non-potere (tecnicamente modificabile): la forza di gravità mi tira giù, non posso volare (prescrizione "fisica"; poi la tecnica manipola la mia "gravitazione" e posso decollare con un dispositivo. Il dovere è "fuori tema", il volere è ciò che orienta la tecnica).
Per l'etica è l'esatto contrario: ho la mano, posso (e magari voglio) dare un pugno, ma (prescrizione etica) non devo farlo.
La razionalità dell'etica è la sua tautologia (di quale etica si parli è quasi irrilevante) con annessi circoli viziosi, premesse indimostrabili e aspirante universalismo (da cui la sottomissione altrui al proprio paradigma; v. sotto... e anche sopra).

Citazione di: Ipazia il 08 Settembre 2019, 15:43:02 PM
L'etica è la presa d'atto delle prescrizioni poste da una determinata condizione etologica (naturale/ambientale) su cui si innesta un'etica razionale.
Proprio l'innesto è, a mio avviso, il passo falso: la condizione etologica non ha in sé nulla di bene/male (qui concordiamo, no?), per cui non può fungere da fondamento per il bene/male con cui, retroattivamente, vengono poi lette le stesse vicissitudini di tale condizione (qui il circolo è ben più che ermeneutico, direi quasi vizioso). Senza bene/male non c'è etica (almeno classicamente intesa), non c'è prescrizione, c'è però l'ethos che l'antropologo studia, ma da cui, non a caso, non ricava dettami morali, universali o personali, che siano filosoficamente estranei al suo stesso oggetto di studio.

Citazione di: Ipazia il 08 Settembre 2019, 15:43:02 PM
Rendiamone conto: donde sgorgano le leggi e le consuetudini ? Ethos-techne ha uno statuto tecnico fatto di cose concrete che prescindono dalla metafisica e che comunque la anticipano. Salvo poi ingarbugliarsi in circoli di retroazione. Però razionalmente dipanabili con un po' di buona volontà.
Concordo, e in ciò l'etica con i suoi concetti generalisti può restare in disparte, magari lasciando spazio a categorie più pragmatiche e schiette.

Citazione di: Ipazia il 08 Settembre 2019, 15:43:02 PM
La tradizione si sussume e la semantica si adatta. Difficile trovare surrogati etici a bene e male.
Finché si sceglie di restare sul piano etico non vedo il motivo di farlo, sarebbe come restare sul piano religioso e cercare surrogati di «dio» e «anima»; un onesto cambio di categorie (e/o di paradigma) non prevede "surrogati". Accennavo all'Oriente perché (sempre se non ricordo male), non avendo una tradizione culturale in cui il Bene si è fatto carne o comunque si è rivelato dettando tavole e libri, la coppia bene/male non viene sopravvalutata egemonicamente come da noi in Occidente, pur non essendo quelle civiltà prive di etica (mutatis mutandis).

Citazione di: Ipazia il 08 Settembre 2019, 15:43:02 PM
CitazioneChi invece sostiene che oggi l'etica sia proprio un "lavoro in corso", si ritrova poi (correggetemi pure se sbaglio) un po' in difficoltà a spiegare come tale etica possa avere l'ambizione di essere valida anche per il prossimo, dal momento che anche lui potrà proporre la sua "etica in corso d'opera", e allora quale criterio meta-etico sbroglierà il diverbio? Il calcolo(?) della "felicità" del maggior numero di persone al minor "prezzo" (Bentham)?

Anche i cavoli hanno bisogno di un terreno comune per germogliare. La storia umana, sarà pure del cavolo, ma funziona nello stesso modo...
La storia è infatti scandita dalle etiche dei feudatari che sovrastano le etiche dei servi della gleba; una volta presone atto, si tratta di contestualizzare tale gerarchia in tempi meno violenti, più democratici e informatizzati, per poter leggere le dinamiche etiche moderne. Fatto questo, per pensare al mondo come dovrebbe essere (e quindi sapere cosa fare per cambiarlo), basterà usare la propria etica; fermo restando il tirare l'ago della bilancia del Bene dalla propria parte (come dicevo sopra, parlando di qualità e quantità).

Citazione di: Ipazia il 08 Settembre 2019, 15:43:02 PM
... quindi trovo superabile il concetto di "etica dominante" insieme con le condizioni materiali che producono una "classe dominante".
Certo, «superabile» di diritto; ma di fatto?
Il tuo(/nostro) ritenere superabile una certa egemonia è un significato, tuttavia il referente in questione è la cronaca (dal paesello al pianeta) dove, a conferma della non tangenza fra significato e referente, non scorgo traccia di tale superamento (al netto di dichiarazioni universali, slogan politicamente corretti e convegni vari).
Inoltre, per raccontarci come la società dovrebbe-essere/vorremmo-che-fosse dobbiamo ricorre ad una visione etica basata su... e il cerchio (il circolo ermeneutico) si chiude.
Chiaramente, non è necessaria una riflessione meta-linguistica per poter usare il linguaggio, così come non è necessaria una riflessione meta-etica per avere un'etica; la mia opinione spiccia è solo che, filosoficamente parlando, non guasterebbe.

Citazione di: Ipazia il 08 Settembre 2019, 15:43:02 PM
Anche "no man is an island" se la passa mica male. La scelta tra il motto latino e quello inglese ha un nome antiquato, ma di difficile sostituzione nel significato ancor più che nel significante.
Proprio poiché «no man is an island» (approfondire virerebbe verso l'off topic) ha senso il «mors tua, vita mea»: siamo sulla stessa terra e nasce dunque il problema di come dividercene le risorse, di come organizzare i ruoli e di chi sacrificare...

Citazione di: Ipazia il 08 Settembre 2019, 15:43:02 PM
Rispetto per i piani e i mezzanini, ma pure per quello che succede dentro. Soprattutto a tutela di chi la cambiale in bianco la deve pagare in una banca esistente, per quanto virtuale essa sia.
Questi sono i fatti (referente), è sull'interpretazione etica (significato) che il dibattito può prendere differenti strade; se invece ci chiediamo dove si (af)fondano i criteri con cui decidiamo quale percorso di senso intraprendere, siamo già nel meta-etico, ovvero in ciò che rende tale un'etica.

Citazione di: Ipazia il 08 Settembre 2019, 15:43:02 PM
Oppure, in puro stile S: etica razionale.
Lo «stile S» mi richiama all'appello Spinoza, ma perché non gli Stoici?
Sull'«etica razionale» è bene ricordare che (soprattutto dopo Godel) è una classe di etiche (se ce ne fosse solo una razionalmente ammissibile, mi avresti riesumato in vano), quindi, sommessamente, dissimulatamente, si apre l'ostico scenario di una riflessione meta-etica su cosa rende preferibile (migliore? compatibile? saggia?) un'etica rispetto alle altre... per poi ritrovarsi dentro l'inevitabile, temporanea, accomodante tautologia che fa quadrare il cerchio (almeno per un po'... aporie permettendo).
#1365
Tematiche Filosofiche / Re:L'origine del male e del bene
08 Settembre 2019, 14:20:16 PM
Citazione di: green demetr il 08 Settembre 2019, 03:36:02 AM
La filosofia è solo uno strumento della ragione.
Del saper distinguere i componenti della domanda.
L'etica come d'altronde nel tuo errare tu stesso fracassi, è solo un vuoto atto formale che vuole imporre un paradigma e non descriverlo come ingenuamente tu affermi.
La descrizione del paradigma spetta infatti alla meta-etica, mentre l'etica (il bene/male, etc.) si identifica con il paradigma stesso.
A mio avviso, andrebbe distinto il mondo del logos (linguaggio) dal mondo come contenitore "naturale" delle attività del logos (onto-logia). Come accennavo: non si dà referente senza significato, non si dà significato senza referente o, semplicemente, risalendo l'interconnessione semiotica fra i due, il significato non è il referente?
Spesso i discorsi con hybris veritativa dimenticano questa essenziale (come direbbe la metafisica) differenza (o "differanza" come direbbe Derrida), per cui credono che con il logos si dominino gli enti, a loro volta "marchiati" dal Logos (dalla Genesi a Eraclito, etc.). Notoriamente, tertium datur: la tecnica, è lei a fare da intermediario fra logos e mondo, e come scopriamo sempre più, non è affatto un medium neutro, privo di effetti e "ritorsioni" collaterali. Ipazia ha spesso ricordato che anche la politica è una tecnica; andrei oltre aggiungendo che lo è persino l'etica e, proprio in quanto tecnica, non può essere normativa, almeno non più di quanto sia a sua volta normata; ecco inquadrato il piano meta-etico sulla (in)decidibilità dell'etica.


Citazione di: green demetr il 08 Settembre 2019, 03:36:02 AM
cominciamo a sdoganare il fatto che non esiste un mondo senza una metasfisica. essa si deve semplicemente rinnovare
«Non esiste un mondo senza metafisica»(cit.) finché restiamo (tauto)logicamente nel mondo metafisico (e della libido che esso genera), che è un mondo del logos, certo non l'unico possibile. Pensare al mondo oltre la metafisica è uno degli spunti novecenteschi, una possibilità per nulla necessaria (si vive e si ragiona anche nella metafisica, intendiamoci), di certo non un dovere etico, ma che richiede eventualmente di sfidare il comandamento divino «non esiste un mondo senza metafisica», così penetrato nel nostro dna filosofico da essere laicizzato quasi in assioma (pato)logico. L'anelare ad una nuova (messianica?) metafisica, non esula dal poter(si) render conto del perché la vecchia (e finora unica...) si sia inceppata o abbia, politicamente parlando, "perso consensi" (non certo fra la massa, quanto perlopiù fra gli addetti ai lavori; storiografi e filologi esclusi).

Citazione di: green demetr il 08 Settembre 2019, 03:36:02 AM
"oggi, speculazione per speculazione, si può anche puntare su una tesi simile, in virtù della sua legittimità meta-etica (dall'ur-etica all'uber-etica?)." cit Phil

Come detto sopra la meta-etica tua è solo una tautologia. E purtroppo da quella non  riesci a smuoverti, peccato!
Eppure, volenti o nolenti, le tautologie "funzionano", anzi, fondano formalmente ogni discorso logico (geometria, religione, etc.); il metterle in discussione è tipico hobby filosofico e per praticarlo dall'interno (evitando la babelica carambola fra punti di vista), per vivisezionare il circolo ermeneutico (aureola che "santifica" ogni discorso ai suoi stessi occhi), il passaggio obbligato è quello per l'aporia, che scuote il cerchio, ne svela l'inevitabile autoreferenza, non facendolo più "quadrare" con la stessa "fatalistica inevitabilità" di prima (e qui nascono possibilità teoretiche di discorsi ulteriori).
Come infatti sempre spesso accade quando si punta al(lo) (s)fondamento, si tratta (sul piano logico) di scegliere fra tautologia e aporia: tautologia, si resta dentro (al circolo ermeneutico, ai "comandamenti", etc.); aporia, si resta intrigati e abbagliati dal fuori (dall'asintotica linea dell'orizzonte fra referente e significato, che finché non si congiungono lasciano aperta l'intercapedine delle differenza, del pensiero ulteriore).
Ciò almeno fino a quando non arriva un Voltaire a ricordarci candidamente di annaffiare il nostro giardino, prima che si secchi sotto il sole battente della prassi (politica, etc.).

Citazione di: green demetr il 08 Settembre 2019, 03:36:02 AM
"direi che l'origine del male è secondo me nel paradigma che lo definisce (meccanismo tautologico che ne rende irrilevante la definizione)"

Cit Phil analista che non riesce a risolvere il suo stesso analizzante.
La tautologia non è soluzione, ma assoluzione, almeno all'interno del proprio discorso; peccato originale, invece all'esterno del medesimo. Non risolvo il mio essere paziente afflitto da tautologia (più o meno metafisica), perché la ritengo una condizione standard del logos (sebbene, lo confesso, mi conceda sporadicamente dosi ricreative di aporia). Quindi la diagnosi resta "giustamente" irrisolta: non si può guarire quando ci si ritiene sani (semmai sia "malattia" cercare la definitiva genesi ontologica del male e del bene al di là della tautologia del discorso etico).
La (dis)soluzione dell'etica nel(lo) (s)fondamento della sua velleità di proporsi come normativa ma non convenzionalmente giuridica, universale ma non fondata sull'universale (laicamente parlando), non disabilita comunque la possibilità di una riflessione che sia meta-etica e, in quanto tale, non etica (la questione dei piani del discorso, tanto cara a Russell).