Supremo "Soviet" ,
ultimo, coraggioso "rappresentante" di quell'organo sovietico del potere statale, per approfondire le tue perplessità riguardo i nostrani, italioti partiti politici della sinistra, sempre litigiosa e scissionista fin dalla nascita, ti faccio leggere parte di un articolo pubblicato oggi su "Il Sole 24 Ore" e scritto da Roberto Napoletano, direttore del predetto giornale.
"Non si è ancora capito bene se stanno tutti lavorando più o meno consapevolmente per l'incoronazione prossima ventura di Grillo, sotto la spinta del crescente disagio sociale e di un moto diffuso di protesta, o per affrettare i tempi dell'arrivo della Troika che commissaria il Paese e costringe ognuno di noi a fare i conti con la realtà. Lo spettacolo offerto, in casa e fuori, dalle mille anime del Pd, più o meno scissioniste, un tutt'uno di prepotenza politica, protagonismi e rancori personali, dibattiti surreali e piccole furbizie, spiana la strada, giorno dopo giorno, a entrambi gli scenari. Ha i modi, i toni e i colori bizantini tipici delle società decadenti, mette a nudo i calcoli di una politica in crisi di identità che sembra avere perso il bandolo della matassa.
Quasi senza accorgersene ci si ritrova in un clima da anni Ottanta con gli scioperi selvaggi, taxi, metropolitane, aerei, che si fermano senza preavviso e paralizzano le città, nuova voglia di proporzionale e operazioni di piccolo cabotaggio, furbetti del cartellino, aumenti agli statali e "manomorta" della burocrazia. In un clima schizofrenico tornano comportamenti e atteggiamenti che alimentarono la grande illusione di quella stagione e portarono nei fatti l'Italia, tra un'euforia e l'altra, disservizi, corruttele varie e sistemiche che riguardarono la politica e l'impresa, a un passo dalla bancarotta del '92. Non manca neppure il carosello quotidiano di analisi politologiche così vecchie e logore da fare impallidire il Cencelli della politica della Prima Repubblica dove tutto si riduce a distribuzione di seggiole e poltrone, vecchie e nuove clientele, tornano le ombre dei soliti maestri dell'eterno galleggiamento italiano in un Paese sospeso che fugge dalle sue responsabilità. Promana da tutto ciò una sensazione mista di nausea e di disorientamento.
Non c'è spazio per occuparsi delle cose serie e, cioè, di un debito pubblico che non si schioda dal 133% del prodotto interno lordo e che, quindi, ha superato le vette dell'inizio degli anni Novanta, il primato della peggiore crescita europea, i consumi che sono a zero e mettono a nudo la debolezza sistemica di una politica di bonus a partire dai famosi 80 euro che avevano incantato un po' tutti ma non sono riusciti a spingere l'aumento della domanda interna oltre lo 0,1% e hanno bruciato capitali ingenti che non riavremo più e che avrebbero dovuto invece ridurre in modo strutturale il cuneo fiscale e contributivo, la più odiosa delle tasse a carico di lavoratori e datori di lavoro. Rischia di non esserci spazio, tra un calcolo elettorale e l'altro, per proseguire il cammino di Industria 4.0 dove si è fatto benissimo perché si sono poste le basi per un cambio di mentalità e si sono stanziate risorse appropriate per cominciare a fare seriamente innovazione con una logica di medio termine. Rischia di interrompersi o di non fare percepire fino in fondo alle nuove generazioni i vantaggi del primo riformismo compiuto che è quello del Jobs act e che segna uno spartiacque positivo nel mondo del lavoro e delle relazioni industriali. Si può bruciare, parlando solo di elezioni, il capitale della fiducia legato a questi interventi strutturali e a un sentiment di modernizzazione lasciando spazio a proposte surreali che ignorano i vincoli di deficit, debito e crescita: guai a innamorarsi di teorie economiche fantasiose come il reddito di cittadinanza che ignorano l'assenza di risorse e alimentano aspettative che non si possono soddisfare. Neanche il peggiore degli immobilismi può legittimare questo tipo di ragionamenti.
Si corre il rischio di non prendere coscienza che la parte sana del Paese - compete sui mercati globali nonostante la zavorra di un pesantissimo total tax rate e mette a segno il record della bilancia commerciale con un surplus da 51,6 miliardi - chiede solo alla politica di non fermare il processo esecutivo delle riforme che, tra mille errori e contraddizioni, è stato comunque avviato, a partire da pubblica amministrazione e giustizia, di cominciare a occuparsi seriamente di produttività riaprendo la stagione degli investimenti in infrastrutture e stimolando in modo serio l'edilizia, di fare in modo che la piccola crescita si consolidi sottraendo l'Italia al ciclone infernale delle scadenze politiche elettorali di Olanda, Francia, Germania, lasciando il palcoscenico alla Le Pen e al debito francese e nascondendo finché è possibile il macigno del debito italiano. Abbiamo scritto domenica scorsa che il Paese di tutto ha bisogno meno che di sprecare il tempo tirando a campare dentro la nuvola referendaria mai uscita dal cielo italiano di un regolamento di conti trasversale che nulla ha a che fare con le ragioni nobili della politica e molto invece con l'assenza di realismo e l'irresponsabilità".
ultimo, coraggioso "rappresentante" di quell'organo sovietico del potere statale, per approfondire le tue perplessità riguardo i nostrani, italioti partiti politici della sinistra, sempre litigiosa e scissionista fin dalla nascita, ti faccio leggere parte di un articolo pubblicato oggi su "Il Sole 24 Ore" e scritto da Roberto Napoletano, direttore del predetto giornale."Non si è ancora capito bene se stanno tutti lavorando più o meno consapevolmente per l'incoronazione prossima ventura di Grillo, sotto la spinta del crescente disagio sociale e di un moto diffuso di protesta, o per affrettare i tempi dell'arrivo della Troika che commissaria il Paese e costringe ognuno di noi a fare i conti con la realtà. Lo spettacolo offerto, in casa e fuori, dalle mille anime del Pd, più o meno scissioniste, un tutt'uno di prepotenza politica, protagonismi e rancori personali, dibattiti surreali e piccole furbizie, spiana la strada, giorno dopo giorno, a entrambi gli scenari. Ha i modi, i toni e i colori bizantini tipici delle società decadenti, mette a nudo i calcoli di una politica in crisi di identità che sembra avere perso il bandolo della matassa.
Quasi senza accorgersene ci si ritrova in un clima da anni Ottanta con gli scioperi selvaggi, taxi, metropolitane, aerei, che si fermano senza preavviso e paralizzano le città, nuova voglia di proporzionale e operazioni di piccolo cabotaggio, furbetti del cartellino, aumenti agli statali e "manomorta" della burocrazia. In un clima schizofrenico tornano comportamenti e atteggiamenti che alimentarono la grande illusione di quella stagione e portarono nei fatti l'Italia, tra un'euforia e l'altra, disservizi, corruttele varie e sistemiche che riguardarono la politica e l'impresa, a un passo dalla bancarotta del '92. Non manca neppure il carosello quotidiano di analisi politologiche così vecchie e logore da fare impallidire il Cencelli della politica della Prima Repubblica dove tutto si riduce a distribuzione di seggiole e poltrone, vecchie e nuove clientele, tornano le ombre dei soliti maestri dell'eterno galleggiamento italiano in un Paese sospeso che fugge dalle sue responsabilità. Promana da tutto ciò una sensazione mista di nausea e di disorientamento.
Non c'è spazio per occuparsi delle cose serie e, cioè, di un debito pubblico che non si schioda dal 133% del prodotto interno lordo e che, quindi, ha superato le vette dell'inizio degli anni Novanta, il primato della peggiore crescita europea, i consumi che sono a zero e mettono a nudo la debolezza sistemica di una politica di bonus a partire dai famosi 80 euro che avevano incantato un po' tutti ma non sono riusciti a spingere l'aumento della domanda interna oltre lo 0,1% e hanno bruciato capitali ingenti che non riavremo più e che avrebbero dovuto invece ridurre in modo strutturale il cuneo fiscale e contributivo, la più odiosa delle tasse a carico di lavoratori e datori di lavoro. Rischia di non esserci spazio, tra un calcolo elettorale e l'altro, per proseguire il cammino di Industria 4.0 dove si è fatto benissimo perché si sono poste le basi per un cambio di mentalità e si sono stanziate risorse appropriate per cominciare a fare seriamente innovazione con una logica di medio termine. Rischia di interrompersi o di non fare percepire fino in fondo alle nuove generazioni i vantaggi del primo riformismo compiuto che è quello del Jobs act e che segna uno spartiacque positivo nel mondo del lavoro e delle relazioni industriali. Si può bruciare, parlando solo di elezioni, il capitale della fiducia legato a questi interventi strutturali e a un sentiment di modernizzazione lasciando spazio a proposte surreali che ignorano i vincoli di deficit, debito e crescita: guai a innamorarsi di teorie economiche fantasiose come il reddito di cittadinanza che ignorano l'assenza di risorse e alimentano aspettative che non si possono soddisfare. Neanche il peggiore degli immobilismi può legittimare questo tipo di ragionamenti.
Si corre il rischio di non prendere coscienza che la parte sana del Paese - compete sui mercati globali nonostante la zavorra di un pesantissimo total tax rate e mette a segno il record della bilancia commerciale con un surplus da 51,6 miliardi - chiede solo alla politica di non fermare il processo esecutivo delle riforme che, tra mille errori e contraddizioni, è stato comunque avviato, a partire da pubblica amministrazione e giustizia, di cominciare a occuparsi seriamente di produttività riaprendo la stagione degli investimenti in infrastrutture e stimolando in modo serio l'edilizia, di fare in modo che la piccola crescita si consolidi sottraendo l'Italia al ciclone infernale delle scadenze politiche elettorali di Olanda, Francia, Germania, lasciando il palcoscenico alla Le Pen e al debito francese e nascondendo finché è possibile il macigno del debito italiano. Abbiamo scritto domenica scorsa che il Paese di tutto ha bisogno meno che di sprecare il tempo tirando a campare dentro la nuvola referendaria mai uscita dal cielo italiano di un regolamento di conti trasversale che nulla ha a che fare con le ragioni nobili della politica e molto invece con l'assenza di realismo e l'irresponsabilità".
