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Messaggi - paul11

#1381
Citazione di: Apeiron il 29 Giugno 2017, 11:00:22 AM
Citazione di: sgiombo il 28 Giugno 2017, 20:55:53 PM
Citazione di: Apeiron il 28 Giugno 2017, 19:42:04 PMCurisosità: ritieni che sia possibile un linguaggio capace di portare significato e privato? A mio giudizio ciò sarebbe possibile solo se si possono costruire proposizioni autoreferenziali sensate e valide.
CitazioneChiedo scusa per l' intromissione. Credo che le lingue artificiali, come l' Esperanto, o almeno quelle fra di esse inventate da un unico autore, prima di essere proposte al pubblico costituiscano esempi di linguaggi capaci di significare e (sia pur momentaneamente) privati.

Obiezione interessante. Tuttavia anche l'Esperanto ha come scopo la comunicazione, ossia serve ad informare qualcun altro. Quello che mi chiedo io è se è possibile pensare a linguaggi che siano "essenzialmente" privati. Nel caso dell'Esperanto non è privato perchè ha come assioma la comunicabilità mentre un linguaggio "davvero" privato deve anche essere in grado di non essere comunicativo. Il problema del Monismo (e per certi versi del solipsismo) d'altronde è proprio che il linguaggio (come lo intendiamo noi) richiede la pluralità. Se ad esempio io sostengo "tutto è uno senza secondo" (Advaita Vedanta, Spinoza, solispsismo...) ritengo che le distinzioni siano illusorie. Ma il linguaggio richiede molteplicità e distinzioni (soggetto/oggetto, emittente/ricevitore...), quindi se si provasse che non è possibile formulare tale linguaggio allora tutte queste metafisiche sono prive di senso.  Se si prova invece che il linguaggio è illusorio per se allora le distinzioni "soggetto/oggetto, io/non-io ecc" sono illusorie e la teoria dell'"anatta" buddista (ossia che l'io è puramente convenzionale)è corretta. Secondo me questo dibattito è di fondamentale importanza. Se l'auto-referenzialità non è un semplice giochetto formale allora nemmeno l'io può essere considerato illusorio perchè sarebbe possibile costruire proposizioni auto-referenziali con un linguaggio privato. In caso contrario TUTTA la nostra scienza si basa sull'assunzione errata che si possano nominare "cose" (errata perchè se le cose sono puramente convenzionali, allora a livello ultimo non esistono...).

Per epicurus... "ieri c'è stato un tornado nella provincia di Pavia" è sensata e il significato della proposizione è un fatto. "Questa frase è sensata" a cosa si riferisce? "Questa frase è scritta in italiano" si riferisce ad una proprietà della frase stessa e non alla frase stessa...
prendentela come semplice riflessione.........
In questo periodo stavo approfondendo i linguaggi utilizzati da Platone che hanno dato adito a fraintesi direi nella totalità dei filosofi, chi tanto e chi meno.
C'è stato un linguaggio mitico fondato sull'oralità, c'è stato il linguaggio scritto fondato sulla logica predicative e proposizionale, ma c'è sempre stato un linguaggio convenzionale che fuoriesce da qualunque logica.
Si racconta che a Cambridge l'economista famoso Sraffa in compagnia  idi Wittgenstein e parlando di linguaggi, gli insegnò il gesto dell'ombrello tipicamente italiano e Wittgenstein ne fu "fulminato".
Il tentativo di Frege e dei linguisti, di delimitare nel linguaggio formale facendolo diventare matematico il linguaggio convenzionale non dico che sia fallito, ma probabilmente è impossibile.

Penso che il miglior linguaggio possible sia per codici e non per suoni tradotti in segni scritti, in parole che nascono da alfabeti ; ma adatto che è impossibile, in quanto sarebbe impraticabile la comunicazione orale, attendiamo che l'uomo ridiventi......telepatico.
Semplicemente perchè il pensiero si manifesta per immagini e non per suoni.
Gli studiosi, questa volta giustamente hanno notato che la cultura ebraica è fondata sull'"udire", quella greca sull'immagine".
Infatti si dice da una parte".....non si è mai udito..."; dall'altra"....non si è mai visto.........."; oggi che siamo più ambigui
"..non si è mai sentito.........." .
Così abbiamo costruito segni che corrispondono a suoni ,ma che si basano sulle immagini:questo  è già un "casino".

E' impossibile dirimere l'ambiguità del linguaggio, solo pretendendo (ma rimarrebbe una pretesa) che un'argomentazione fosse scritta seguendo semantiche e sintassi formali , dichiarazioni, definizioni, frasi inferenziali, sillogismo ecc.
Ma le parole,  i gesti, persino i linguaggi stessi,  i neologismi, le nuove sintassi delle chat, dei messaggini, traducono  i tempi culturali in forme nuove espressive.Così i paradossi rimangono e se ne aggiungono altri
#1382
Severino è bravissimo e incantevole quando parla di filosofia, ma quando fa la sua filosofia...........
Wittgenstein scrive che la contraddizione è riempire di logica per non dire nulla della realtà e la tautologia è riempire la realtà per non dire nulla di logico.
Quando un sistema filosofico inserisce le regole come dei principi riempie il sistema di logica e perde di vista la realtà.
E' come chiedere all'addizione ,alla sottrazione alla moltiplicazione e divisione con le proprietà commutativa e dell'invarianza di parlarmi del mondo.
Questa , è un mio modestissimo parere personale, è una forma che illude i movimenti del mondo perchè perde di senso.
E'come se le regole fossero nate e vivessero di vita propria a prescindere  da chi le abbia concepite e si siano messe loro come soggetto condiziionale dell'essere, degli enti e dell'esistenza. Insomma da strumento conoscitivo la regola diventa soggeto epistemico.Lo trovo un paradosso. Dov'è finito l'agente conoscitivo nel suo sistema? E diventato a sua volta technè, ma proprio perchè l'essenza della sua filosofia è una technè umana, la logica per quanto sia dialettica.......e capisco perchè Sini compensi Severino e viceversa.
Di tutti i filosofi dialettici Severino è l'unico che antepone la logica al di sopra dell'agente conoscitivo come se le regole avessero partorito il mondo e l'umanità inclusa.
L'archè per me è una cosa, l'ordine è un'altra, e le regole altro ancora.L'episteme non è nella regola che è dentro l'ordine, in quanto presentandosi come ordine ha regole intellegibili, ma è la coscienza umana l'agente conoscitivo, per cui epistemologicamente è l'uomo che movimenta con la conoscenza le argomentazioni i linguaggi.

Non credo che il dominio del tempo eterno in cui ciò che è ,è sia assolutamente vero e il dominio del tempo in divenire sia l'assolutamente falso, in quanto il nulla è prima del ciò che è che svanisce di nuovo nel nulla, Se fosse così Severino dovrebbe spiegare come dal dominio del tempo in divenire noi umani riusciamo a concepire il tempo eterno.o detto in altri termini, sarebbe impossibile giungere alla verità se noi fossimo nell'assolutamente falso dentro l'assoluta contraddizione,concepiremmo in continuazione sempre e comunque falsità. Lui invece ha concepito la verità, e come ha fatto se la regola non è umana e quindi non è Severino?............è tutto un paradosso.
#1383
Citazione di: baylham il 16 Giugno 2017, 10:16:32 AM


La mia premessa è che l'uomo è una parte: quindi se l'uomo è in relazione con Dio, significa che Dio è in relazione con l'uomo, che Dio esiste, che quindi Dio è una parte assieme all'uomo di un insieme più ampio che li comprende entrambi. I religiosi commettono con frequenza l'errore di mettere in relazione una parte con il Tutto. Nelle rappresentazione religiose in particolare Dio assume una duplice valenza, di tutto e di parte, una confusione di piani che non può che portare a conclusioni errate e contraddittorie, attribuendo all'insieme proprietà, relazioni e processi delle parti e viceversa.

Il fatto che l'uomo è una parte spiega perché il Tutto sia inaccessibile, impensabile: la parte non può relazionarsi al Tutto. Nel momento stesso in cui penso il Tutto, in realtà penso, realizzo, costruisco una parte.

Con questo penso di avere risposto anche a paul11: un insieme, una classe è un concetto logicamente distinto da quello di parte, di elemento, non c'è relazione possibile tra i due se non quella di comprensione, appartenenza della parte, dell'elemento all'insieme, al tutto: sono le parti ad essere in relazione tra di loro, a determinare i processi. Inoltre ripeto che l'uomo essendo una parte, gli insiemi, i tutti, i sistemi cui può pensare non sono altro che ulteriori parti di un insieme più vasto che li comprende ma a cui non  può giungere.
rispondo a te baylham e infondo anche a Maral nel rapporto Tutto e nulla.
Se dico il nome pnus nigra e dico botanica ognuna ha una descrizione e definizione; la botanica è parte del pinus nigra o il pinus nigra è parte della botanica oppure non c'è relazione?
Se scrivo botanica, zoologia e minerali, indico i tre regni e dentro c'è una classificazione tassonomica che include le diverse definizioni del regno vegetale, animale e minerale:questi sono classi, tant'è che si definisce classificazione la tassonomia o categorizzazione..Dire che non esistono relazioni significa chiudere qualunqhe forma di conoscenza e questo è contraddittorio.

Visto che in questo periodo mi piace parlare di Platone ora indico cosa sia l'Idea per Platone.
L'idea per Platone non è come oggi si definisce terminologicamente nel linguaggio comune come pensiero, come concetto noologico.
Il termine Idea nell'antica grecia è la forma , è l'essenza e sua caratteristica è l'UNITA' DEL MOLTEPLICE.
Il metodo dialogico in Platone chiama in causa la relazione argomentativa ad esempio fra Socrate ed un deuteragonista.
il metodo dialettico di Platone utilizza la sinottica e la diairesi.Lega con le cause i ragionamenti per giungere alle essenze, perchè "colui che si muove errando per i molteplici non è un filosofo", il fondamento è sempre finalizzare verso le essenze, le forme per giungere appunto all'unità dei molteplici. In fondo il termine botanica racchiude tutte le molteplici forme del mondo vegetale, così come zoologia così come minerale.
Il nulla ha una forma, una essenza?
#1384
Tematiche Filosofiche / Re:La domanda ontologica
27 Giugno 2017, 12:49:07 PM
Citazione di: maral il 27 Giugno 2017, 10:46:33 AM
Citazione di: paul11 il 27 Giugno 2017, 08:55:47 AM
oppure semplicemente che non c'è un unico e solo sistema per conoscere un dominio; per limiti nostri come umani e limiti quindi di conoscenza.
penso che dobbiamo utilizzare più strumenti: logici, linguistici e correlarli fra loro. perchè l'episteme non ci dice quanto ci siamo avvicinati, non risponde.
Certo, ma non la sento come in un'alternativa, ma piuttosto come una ragionevole necessità per ampliare la "probabilità" di un'effettiva conoscenza (la probabilità che accada il "momento di grazia"). E' per questo che, come dice Sini, i saperi devono poter danzare insieme (anche nel contrappunto) senza escludersi per boria di potenza e quindi devono imparare a danzare insieme i popoli, le culture nella diversità delle prassi e dei linguaggi che le fondano.
ciao Maral,
intendevo anch'io la correlazione come ampiamento, come estensione.
Ma ad un certo punto la quantità estensiva deve raccogliersi in una sintesi, in una essenza; ed è quello che a fronte di nostre individuali conoscenze ,esperienze, ad un certo punto propendiamo verso una forma, piuttosto che un'altra, senza per questo abbandonare quell'ampiamento che ci permette di attingere altre conoscenze e confrontarle con ciò che pensiamo.
Anche per questo è importante il confronto come quì nel forum e nel mondo:siamo continuamente in itinere
#1385
Tematiche Filosofiche / Re:La domanda ontologica
27 Giugno 2017, 08:55:47 AM
Citazione di: maral il 26 Giugno 2017, 22:03:40 PM

Citazione...
Tautologia e contraddizione non sono immagini della realtà. Esse non rappresentano alcuna possibile situazione. Infatti, quella ammette ogni possibile situazione; questa, nessuna.
...
Se allora né la verità assoluta (sempre vera) né la falsità assoluta, pur nel loro valore simbolico, possono dare alcun senso alla realtà, non resta che la probabilità il cui senso è determinato dal contesto in cui si conosce, contesto che comprende certamente il linguaggio da cui si trova espressa, che permette di rappresentarla e quindi di misurarla. Ma il linguaggio, come ben sappiamo, è una forma variante e contingente, che varia con quanto dovrebbe andare a valutare.
Non resta allora che la fiducia condivisa che capiti qualche volta, in un momento di grazia, di dirci l'un l'altro qualcosa di sensato. :)
oppure semplicemente che non c'è un unico e solo sistema per conoscere un dominio; per limiti nostri come umani e limiti quindi di conoscenza.
penso che dobbiamo utilizzare più strumenti: logici, linguistici e correlarli fra loro. perchè l'episteme non ci dice quanto ci siamo avvicinati, non risponde.
In fondo Maral, mi sembra di capire che ti muovi fra la metafisica di Severino e la prassi di Sini  e in fondo penso che tutti ci si "muova"
per cercare di capire le domande fondamentali, "la domanda ontologica".
#1386
Niente meglio della filosofia sa mettere in discussione i fondativi delle scienze.
La filosofia è la pietra angolare su cui sono costruite culture.
La cultura seconda la prassi della nostra vita mondana è quel modo di approcciarsi nelle azioni sociali.
I fondamenti delle scienze, dai postulati agli assiomi, la filosofia del diritto e della politica, le basi dello scambio economico,
sono tutte forme culturali.
Sono perfettamente d'accordo con Maral, nulla è dato per scontato e questo apre innumerevoli possibilità.
E' proprio nelle pratiche che si sente dire " ...è sempre stato così e sempre sarà",cioè si accetta supinamente ciò che potrebbe essere modificato.
La forma mentale è data da una cultura intesa come ambiente pedagogico educativo.

Sono d'accordo che la filosofia debba comunque relazionarsi alla prassi, il rischio è l'elucubrazione fine a se stessa.
La filosofia deve essere vita, è vita.

Un elogio infine all'inadeguatezza e all'inutilità. Perchè mai come in questo tempo in cui ogni cosa ha un prezzo e tutto ciò che facciamo deve essere utilitaristico  compresi noi, l'uscire fuori da questo gioco meschino  significa rimettere in discussione quei principi che hanno disumanizzato l'uomo.
#1387
Citazione di: Jacopus il 26 Giugno 2017, 19:26:19 PM
La teoria di Jung e' una delle tante. I tipi di carattere possono essere classificati in molti altri modi. La discussione ha poi virato sulla immodificabilita' dei caratteri, principio solo parzialmente vero. La genesi del ns carattere discende da tre fattori. Il fattore genetico che e' strutturale. Il fattore ambientale, sul quale possiamo incidere in parte. Il fattore comportamentale, come adozione di uno stile di vita che ripetendosi nel tempo modifica la stessa struttura del nostro cervello modificandone le sinapsi.
Si puo' inoltre considerare anche un fattore "quantistico", nel senso indicato da Trauma, come possibilita' di scelta quasi-casuale fra diverse opzioni, che determinano l'evoluzione del carattere.
Una visione servodeterminata del carattere la escludo anche perche' nasconde una visione ideologica della societa'. Se le persone non possono modificare il loro carattere a maggior ragione anche la societa' e' immodificabile.
ciao Jacopus,
...interessante.
Sono d'accordo con la tua prima parte.
Penso che conti il rapporto fra ciò che riteniamo giusto praticare in determinati eventi che la vita ci porta e dall'altra il condizionamento sociale, vale a dire quello che gli altri vorrebbero che noi fossimo.
E' vero che fra genetica, ambiente educativo, nei primi anni di vita noi, una piantina, ci sviluppiamo in una certa maniera, riflessiva, reattiva o quant'altro e più passano gli anni e più è difficile mutare quelle condizioni originali (ormai la piantina è un albero).
Ma penso che noi possiamo in qualche modo cercare di preordinarci in funzione di un evento.
Possiamo cercare di modificare una forma istintiva in qualche modo educandola, ma dobbiamo preparare delle strategie in funzione di eventi.
Un impulsivo, faccio un esempio banale, deve contare fino a non so quanto, insomma deve prendere tempo e non reagire "di botto".
Ma questo lo si può fare solo se siamo convinti che un nostro comportamento in funzione di un evento è sbagliato, quindi dobbiamo modificarci .A volte le sfide più grandi sono proprio con noi stessi........
#1388
Heidegger prende dalla teologia Dio che diventa verbo ed esiste storicamente e la coscienza intenzionale della fenomenologia di Husserl. Ma se per quest'ultimo la coscienza intenzionale rimane come giudizio sospeso (epochè) ,per Heidegger questa entra nella prassi.Quindi Heidegger studia l'essere aristotelico in quanto in quest'ultimo ritene che vi sia la prassi.

Il senso dell'essere è l'esistenza che trascende l'essere per Heidegger e il destino è il pro-gettarsi in maniera autentica nell'orizzonte temporale .

Detto in maniera stringatissima, ciao
#1389
ciao Epicurus,
già, il meccanismo del paradosso."giuro di dire tutta  la falsità nient'altro che la falsità...."

Nel linguaggio naturale, convenzionale, se è vero che possiamo mentire, in realtà affermiamo praticamente sempre.
Non siamo abituati all' affermazione di uno "status" di menzogna.E' il soggetto che muta status e non un'informazione, una conoscenza(una predicazione)
L'affermazione dichiarando determina comunque una conoscenza attraverso un'informazione, il mentitore è dentro uno status di ambiguità perchè se afferma una conoscenza deve doppiamente negare affinchè il suo status ridiventi vero e affermativo.
Il mentitore deve negare non può affermare per costruire una coerenza.


Il secondo aspetto è l'utilizzo di un metalinguaggio in cui una prima proposizione è ridefinita da una sua proposizione subordinata o da un'altra proposizione.Il cretese che dichiara che tutti i cretesi mentono, non fa altro che dichiarare un suo status di verità implicita o meno ( è un cretese), ma è la seconda proposizione che ritorna a mutare lo status della prima proposizione costruendo un'ambiguità.
O si autoattribuisce una predicazione di falsità "io sono bugiardo" e quindi palerà del mondo in negativo, oppure ancor più ambiguamente sarà una dichiarazione di una proposizione a lei collegata ( una subordinata ad es.) a mutarne lo status di veritieo o mentitore.

Quindi penso che si dovrebbe costruire un filtro logico, una condizionale  del tipo SE(if).....ALLORA sul soggetto, sull'agente conoscitivo che non deve mutare status o autoaffermarsi un bugiardo e rovesciare tutte le dichiarazioni che farà.

....
#1390
Tematiche Filosofiche / Re:La domanda ontologica
26 Giugno 2017, 15:08:27 PM
ante scriptum: abbiate pazienza per le sgrammaticature , è per forzare le vostri menti  


alla radice del problema è se veramente la modernità ha capito e superato il tempo greco dell'archè e dell'episteme, non lo faccio per difendere o criticare l'una o l'altra ,ma per porre un momento di riflessione.

Sgiombo stai sottovalutando le forme del linguaggio che mutano rappresentazione e modelli, o detto in altri termini se i contraddittori o perchè dovresti dimostrare quale linguaggio è razionale  e perchè e soprattutto se si avvicina all'episteme, alla verità.
ma so già la tua risposta..........
I linguaggi mutano anche per quanto scritto da Maral, ma dimentichiamo soprattutto le traduzioni, le trasposizoni ,le interpretazioni.

Adatto che sono decenni che mi studio i passaggi non solo esegetici ed ermeneutici dei testi sacri, il passaggio ad esempio :
volgare italiano-latino-greco- ebreo- sumerico accadico;cii sono innumerevoli Bibbie scritte in diversi tempi e con errori macroscopici sia di traduzione (voluti o  non voluti) sia di interpretazione culturale
Tanto per capirci fra le teologie paleocristiane e la teologia della liberazione attuale, passano mari e monti e fiumi di contraddizioni.
I test rimangono e non ci sono più gli autori, le domande rimangono e le risposte sono interpretative.
Ma soprattutto ci sono pochi studiosi che vanno sui fondamenti, sugli originali, non a caso  i bravi filosofi sono quelli che traducono il termine specifico greco filosofico in italiano, almeno chiariscono termini e loro posizioni.
Ho messo in luce il passaggio nel tempo dei filosofi greci dall'oralità alla scrittura, e ribadisco Socrate per scelta NON  volle la scrittura, Platone scrisse, ma dice chiaramente nella parte finale del Fedro, come nella Lettera VII ritrovata a inizi Novecento che la propria dottrina non è nella scrittura e indica le motivazioni( andate a leggervi le parti interessate che sono molto esplicative ,prima di leggersi Platone). I sofisti invece appoggiarono la scrittura.Con Aristotele, discepolo di Platone, il problema non si pone più.
Platone utilizza volutamente la dialettica del dialogo, della diairesi, di un Socrate con accanto un discepolo: il modello linguistico se è scritto appartiene comunque all'oralità come riferimento del fare argomentazione.
Allora dico: ma su quali basi la modernità ha costruito e mosso critiche sul tempo dei filosofi greci?
E' una domanda che lascio in "epochè"

Infine alcuni passaggi che meritano una riflessione sia sulle costruzioni logiche, assiomatiche, sulle forme conoscitive

L. Wittgenstein, Tractatus logico-philosophicus

4.46        Tra i possibili gruppi di condizioni di verità vi sono due casi estremi.
Nel primo caso, la proposizione è vera per tutte le possibilità di verità delle proposizioni elementari.
Noi diciamo che le condizioni di verità sono tautologiche.
Nel secondo caso, la proposizione è falsa per tutte le possibilità di verità. Le condizioni di verità sono contraddittorie.
Nel primo caso noi chiamiamo la proposizione una tautologia; nel secondo, una contraddizione.

4.461     La proposizione mostra ciò che dice; la tautologia e la contraddizione mostrano che esse non dicono nulla.
La tautologia non ha condizioni di verità, poiché è incondizionatamente vera; e la contraddizione è sotto nessuna condizione vera.
Tautologia e contraddizione sono prive di senso.
(Come il punto onde due frecce divergono in direzione opposta.)
(Ad esempio, io non so nulla sul tempo se so che o piove o non piove.)

4.4611   Tautologia e contraddizione non sono però insensate; esse appartengono al simbolismo, cosí come lo "o" al simbolismo dell'aritmetica.

4.462     Tautologia e contraddizione non sono immagini della realtà. Esse non rappresentano alcuna possibile situazione. Infatti, quella ammette ogni possibile situazione; questa, nessuna.
Nella tautologia le condizioni della concordanza con il mondo – le relazioni di rappresentazione – si annullano l'una l'altra, cosí che essa non sta in alcuna relazione di rappresentazione con la realtà.

4.463     Le condizioni di verità determinano il margine che è lasciato ai fatti dalla proposizione.
(La proposizione, l'immagine, il modello sono, in senso negativo, come un corpo solido che restringe la libertà di movimento degli altri; in senso positivo, come lo spazio, limitato da una sostanza solida, ove un corpo ha posto.)
La tautologia lascia alla realtà la – infinita – totalità dello spazio logico; la contraddizione riempie tutto lo spazio logico e non lascia alla realtà alcun punto. Nessuna delle due, quindi, può in qualche modo determinare la realtà.

4.464     La verità della tautologia è certa; della proposizione, possibile; della contraddizione, impossibile.
(Certo, possibile, impossibile: Ecco l'indizio di quella gradazione che ci serve nella teoria della probabilità.)
#1391
Tematiche Filosofiche / Re:La domanda ontologica
25 Giugno 2017, 22:09:33 PM
Quando si attualizza , si traducono con i canoni moderni le forme antiche si fanno spesso disastri.
Questo lo scooerto nei testi sacri prima, nelle traduzioni moderniste, nelle trasposizioni con un criterio più razionale, questa sarebbe la pretesa di scientificità. 
Platone e la cultura greca vive nell'epoca del passaggio ddalla tradizione orale a quella della scrittura.
Oggi vivuamo nell'epoca che passerà dalla scrittura all'immagine. 
Come può un pensatore ritenere di portare un linguaggio che vive in un tempo reinterpretarlo come se fosse nel suo tempo.
Se le future forme del linguaggio sarà l'immagine, muta anche la forma sintattica e semantica cambiando illinguaggio delaa comunicazione.
Non capire che le forme linguistiche cambiano anche la mente, vuol dire perdere i significati dei linguaggi collocati in diversecstorie, tempi e culture.

Per tornare alla discussione , siamo sicuri che nella modernità abbiano davvero compreso ad esempio Platone? Ho dei forti dubbi.
Perché Platone stesso s' avvede che stava vivendo nel tempo storico del passaggio dall' oralita' alla scrittura.
Nei passi finali del Fedro, infatti dichiara che solo l'oralita comunica da cuore a cuore da mente a mente perché l'insegnamento è dato dal maestro che insegna e lascia silenzi in funzione della crescita del discepolo.
La piattezza attuale il livellamento culturale è dato dalla quantita' innumerevole di testi che non possono sostuire il rapporto di vicinanza maestro discepolo.

Se si ritiene daccapo che il progresso umano sia solo in una autovalutazione di una cultura che solo perché è venuta dopo si ritiene superiore avrei da ridire
#1392
Tematiche Filosofiche / Re:La domanda ontologica
25 Giugno 2017, 12:20:55 PM
Non so se la razionalità sia in antitesi con il linguaggio del mito  e quindi che la razionalità sia una progressione naturale nell'argomentazione. Duemila anni dopo avviene un terremoto culturale sulle forme razionali iniziate dalla filosofia greca.

la cultura occidentale nasce dal passaggio della tradizione orale nella scrittura e in Grecia avviine sul finire del quinto secolo e inizio quarto secolo avanti Cristo.
Il passaggio della triade maestro discepolo ,vale adire Socrate- Platone- Aristotele è esemplare.
Socrate rifiuta la scrittura è per l'oralità dialettica. Platone si trova ne tempi dei sofisti e il modo di scrivere di questi ultimi non è nella forma del dialogo,cosa che invece Platone accetta ancora come emulo nella scrittura della dialogia socratica. Aristotele è addirittura quasi in antitesi con Socrate, è ormai dentro nel tempo della scrittura.

I diversi atteggiamenti e gli scritti pervenuteci grazie ad appunti dei discepoli è proprio che nella scrittura finisce il tempo del  MAESTRO.
La scrittuua separa il testo dall'autore rispetto achi legge magari in perfetta solitudine.Se la scrittura è una comodità, è una memoria fondamentale su cui si basa la scienza storica è altrettanto vero che si perde il contatto fisco del dialogo e quindi mutano le forme della conoscenza.
Un testo in fondo è un monologo ininterrotto dalla domande di discepoli e qiusto diventerà, l'esercizio retorico quindi della persuasione in quanto l'autore non c'è fisicamente.

Tant'è che i primi testi scritti nelle diverse tradizioni, un esempio lampante è il Vangelo che Gesù non scrive, ma lascia a quattro evangelisti, come Socrate per Platone, la narrazione con dialoghi utilizzando la parabole che n fondo è un linguaggio nella metafora.

Quindi i primi testi scritti sono ancora nel dialogo fra maestro e discepolo e d è tipico nelle diverse tradizioni condensare le scienze antiche trasmesse oralmente in un qualcosa, il libro, che rimane che è memoria "fisica", ma si perde il contatto fisco fra maestri e discepoli e mutano quind le forme linguistiche.
Non a caso Platone è lo spartiacque fra il linguaggio del mito e quello filosofico

Se Platone diventa il capro espiatorio come iniziatore della cultura dell'occidente per Nietzsche ed Heidegger, dove il primo lo interpreta come figura morale, il secondo come astrazione del'Essere, Severino è di tutt'altro avviso, la filosofia greca  si fonderà sulla manifestazione degli enti e sulla nuova "sacralità" del divenire che è in antitesi sulle regole logiche:un ente non può manifestarsi dal nulla e sparire nel nulla dentro un divenire.
Quindi Severino critica anche Nietzsche ed Heidegger.

E' tutto dire quindi che la cultura occidentale sia più razionale se si sposano le tesi severiniane
#1393
Citazione di: Vittorio Sechi il 22 Giugno 2017, 00:02:10 AM
Paul11: il male viene da sempre imputato dalla stessa umanità come implicita nella propria "doppiezza"

Nel mio discorso sul Male non si imputa Dio perché ne abbia fatto ampio utilizzo, bensì per la sola colpa di averlo creato. Diversamente l'attributo di creatore di tutte le cose 'visibili ed invisibili', rinvenibile nella copiosa letteratura veterotestamentaria e dottrinale, perderebbe di significato e presumibilmente staremmo a confrontarci intorno all'opera di due creatori contrapposti. Manicheismo, gnosticismo, zoroastrismo... Scegliete voi. Qui si parla dell'unico creatore di cui alla narrazione biblica.

Paul11: Non si può fondare nessuna etica e morale togliendo il "sacro", se finisce il sacro delle religioni, se finisce l afilosfia e teologia, rimane la scienza e l'uom rientra allora nel SOLO ordine naturale.

Questa perentoria affermazione è alquanto singolare. Il sacro non attiene all'etica, attiene alla percezione del terrifico, insito nella Natura, che sedimentasi in sentimento ha trovato uno sbocco narrativo nel mito, prima, nella religio, in seguito. Letture consigliate: Eliade Mircea, Girard, Galimberti, fra i tanti.

Paul11: Il padre che abbandona il Figlio sulla croce è una fesseria moderna.

Secondo la dottrina di Sancta Catholica Apostolica Romana Ecclesia
il Logos, fattosi carne, acquisisce la doppia natura divina ed umana. Su questo argomento si sono espressi alcuni Concili – Efeso, Calcedonia, Costantinopoli -, adversus haereses (Ireneo, santo e uno dei Padri della Chiesa) – docetismo, arianesimo, monofisismo etc... - decretando indiscutibilmente e dogmaticamente a favore della natura teandrica - due nature distinte in un'unica persona -. Il Simbolo niceo-costantinopolitano, recitato nel corso della messa ed accettato da gran parte delle confessioni cristiane, afferma: [...]Credo in un solo Signore, Gesù Cristo, unigenito Figlio di Dio, nato dal Padre prima di tutti i secoli. Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero, generato, non creato, della stessa sostanza del Padre; per mezzo di Lui tutte le cose sono state create (visibili ed invisibili)...

Pochi dubbi. Il cristianesimo, perlomeno le confessioni maggioritarie, crede indiscutibilmente alla natura teandrica di Gesù, pena l'anatema (sentenza che assume il valore di maledizione).
Non ve la prendete con me che sono ateo.

Paul11: la modernità imputa a dio come nuovo capro espiatorio, la propria doppiezza di creatore del male: questo è il delirio culturale del presente.

Il capro espiatorio ha molto a che vedere con il sacro e con la sacralizzazione o purificazione dei luoghi o delle comunità. È un meccanismo, ben noto agli antropologi, di trasduzione di una colpa insorta nei confronti della divinità (René Girard – il capo espiatorio). Nulla a che fare con il modernismo, a cui non frega una cippa lippa.

Myfriend: Questa è una interpretazione errata. Il fatto che esistesse "l'albero della conoscenza del bene e del male" non implica affatto che il male fosse già presente nella Realtà. Questa è una tua deduzione che non trova riscontro nel testo.

Rileggi attentamente, senza sofismi o partigianeria, il testo di Genesi, capitolo due, versetti 16-17. Te li trascrivo, temo che il tuo testo li abbia persi:
"(16)Il Signore diede questo comando all'uomo: "Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino, (17) ma dell'albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché, quando tu ne mangiassi, certamente moriresti".
Qualcuno piantò quell'albero nell'Eden, non certo io. Non prendetevela con me. Chi piantò quell'albero è anche colui che, stando al testo e, per i credenti, anche alla realtà che il simbolismo mitico traduce in grafia e dizione, creò il Male. Ribadisco quanto sopra. Dio non è imputato per il largo ed arbitrario utilizzo del Male (leggasi Giobbe, fra i tanti altri), bensì per averlo creato.

Myfriend: Non è che ci possiamo inventare la bibbia che ci piace eh.
La bibbia va letta per quella che è.

Appunto! Non farlo. Non c'è alcuna necessità di riscriverla. Va bene il testo già esistente. Questo stiamo provando a mettere in controluce per leggerlo in filigrana.

"Le radici del male"

L'intera fatica di Dio, resa concreta e manifesta da e nella Creazione, è contrappuntata dall'aggettivo <<buona>>. L'intero Creato è <<cosa buona>>. Solo in seguito, con la comparsa dell'uomo, appare l'espressione <<cosa molto buona>>. Tale differenza di linguaggio, rilevabile nel I Capitolo della Genesi, offre la misura dell'atto più eccelso dell'intera opera creatrice di Dio. Solo con la creazione dell'uomo si giunge al culmine della fatica divina. L'uomo rappresenta, infatti, il fastigio del processo creativo.
Solo in tale occasione il Libro della Genesi si esprime in termini di somiglianza ed immagine del Creatore. Somiglianza non uguaglianza, dunque. L'uomo è posto all'apice del creato, e ciò per espressa volontà di Dio, poiché fu Dio stesso che adunò tutte le creature viventi, le condusse al cospetto dell'uomo affinché questi imponesse loro un nome. Chiaro simbolo dell'estensione della signoria di quest'ultimo sull'intero creato – attribuire un nome a cose, persone o animali significava prenderne possesso -. I capitoli I e II del Libro Sacro narrano con sufficiente chiarezza questa determinazione originaria della volontà di Dio: un'opera definita <<buona>> sottoposta alla signoria di un'altra creatura considerata <<molto buona>>. In ciò è ravvisabile anche la scaturigine dell'ordinamento cosmologico che d'allora informa il creato.
In ogni caso, entrambe le definizioni - <<buona>> e <<molto buona>> - lasciano ben intendere che non si tratta di creature perfette – somiglianza, non uguaglianza -, mancando appunto dei crismi di questa suprema qualificazione
Somiglianza, per quanto o per quel che non è coincidenza o uguaglianza, significa eccedenza o assenza (in questo caso è evidente si tratti esclusivamente di "mancanza"). Somiglianza è dunque anche dissomiglianza.
Ritenere che nello slabbro prodotto dal "mancare" dell'una - creatura - rispetto all'altro - Creatore - s'insinuino l'angoscia, il conflitto, il male e il dolore, equivale a dire che Dio, essendo sempre uguale a se stesso, non possa essere anche Male. È, infatti, più corretto inferire che la dissomiglianza sia la scaturigine del trabocco del Male, e, quindi, ne rappresenti l'esperienza che la coscienza ne fa, circostanza che, appunto, nell'uomo si traduce in una perdita di senso e significato, entrambi – senso e significato – invece ben presenti a Dio.
<<La dissomiglianza invece secondo Pascal apre alla doppiezza metafisica della natura, che non conosce acquietamento possibile, ma, al contrario, comporta conflitto, disperazione, agonia fino alla fine del mondo. Doppia è la natura: originaria e corrotta, integra e decaduta. L'una e l'altra convivono nell'uomo; che perciò non è né angelo né bestia, ma non è neppure "mai se stesso, essendo piuttosto un impasto di entrambi – un centauro, un mostro, anzi «le plus prodigeux objet de la nature" (Givone – Storia del Nulla)

La Creazione è un atto imperfetto, che reca in sé i germi della corruzione. Se la creazione e la sua creatura più bella e fulgida fossero state perfette, la tentazione non avrebbe insidiato e, in una certa misura, plasmato l'intero cosmo. Il peccato e il Male, che già adombravano la Luce divina, sarebbero rimasti relegati nel cantuccio a loro destinato, avrebbero, cioè, riguardato solo gli angeli ribelli; l'uomo non avrebbe ceduto alla tentazione.


[il resto ad un altro momento]
ciao Vittorio Sechi,
non è possible risolvere il problema del male,semplicemente "è".Questo non dipende dal credere o non credere in Dio, per questo all'inizio della discussione la relazione male con il Dio è morto è un'aporia,  e per questo alla fine Giobbe che rappresenta l'uomo onesto, probo, deve fare di necessità virtù:accettare ,diremmo noi perchè questa è la vita.
Non pensare che non me lo sia posto io stesso, sono convinto che tutti quanti ce lo siamo posti come umani e non una sola volta nella vita.
E'come dire che ci possono essere diversi universi diverse vite, ma perchè mai proprio questa condizione umana " che cosa ho fatto per vivere in mezzo a ferocia e crudeltà, ignominia, dolore e sofferenza.Ma ci sono anche attimi di gioia e di felicità.


Dimostrami su cosa si possa fondare un etica condivisa di una comunità: puoi solo imporre la forza, la costrizione, l'obbligo.la sanzione
Perchè alla fine lo Stato sulla base del diritto si regge sul monopolio delle armi e la legge viene imposta, con una pena con una sanzione alla disobbedienza.L'albero del bene e del male dimostra che l'uomo finisce per tendere alla sua inclinazione animale.
Non pensare che da giovane anarchico abbia pensato anch'io alla "legge morale dentro di noi" e non un'imposizne esterna.
purtroppo non regge , perchè un uomo è una testa e una mente diversa dalle altre. un'etica ha la necessità non solo che sia accettata dal singolo e seguita nei comportamenti ,ma che venga condivisa.Sono il primo io ad augurarmi un utopico mondo in cui gli uomini siano in pace  e amore
e nel loro intimo una felice spiritualità condivisa ,priva di leggi esterne ed obblighi, ma di rispetto e fratellanza: ma non funziona così il mondo perchè è anche in noi che alberga il male.se non ci fosse il male ,non avremmo bisogno di etica

Non hai capito quello che ho scritto: il Padre non abbandona il Figlio poichè quest'ultimo sapeva già il suo destino sapeva il suo compito, la sua missione sulla terra. Tutto fu già profetizzato prima della venuta di Gesù, che compie le profezie.

Ho letto le scienze antiche, perchè le religioni sono trasmissioni "cristallizzate" di antiche conoscenze.
L'antropologo al massimo può fare correlazioni del tempo storico, del tipo di civiltà ,di ambiente, di contesti in cui una scrittura è nata o riveduta..
Ve ne sono pochi degni di questo. ma quando l'antropologo esce dalla su disciplina dice spesso fesserie.

Il sistema di relazione della comunità in rapporto con la divinità è dato dal destino. Si leggevano i segni nel cielo, nelle stagioni, che mostravano un dio adirato ono in funzione delel clamità dell'abbondanza o scarsità il capro espiatorio è colui che si prende la colpa di tutti e si sacrifca per di nuovo riappacificarsi con Dio.
Dire che il male è esterno all'uomo e creato da Dio è volergli  addebitare  le nostre  colpe nel tempo in cui l'uomo ha ucciso Dio e si  è ripreso il destino,

Quello che filosofi ma anche teologi scrivono dalla modernità alla contemporaneità, sono molto spesso, mi spiace dirlo, un sacco di fesserie.
Tutti, si sta dimenticando che se esiste una parusia e una escatologia è proprio perchè dall'uomo a Dio sappiamo che questa esistenza è il "fio", il destino mortale in divenire.Ma adatto che non credo che veniamo dal niente e spariamo nel niente.........anche il male deve avere un senso,come ogni granello di sabbia.
#1394
Attualità / Re:Ius soli o ius sanguinis ?
21 Giugno 2017, 20:57:30 PM
Citazione di: baylham il 21 Giugno 2017, 15:50:58 PM
Citazione di: paul11 il 21 Giugno 2017, 08:33:08 AMla contraddizione è che definiamo infestanti animali e e vegetali non autoctoni e li debelliamo. Con gli umani no, esattamente il contrario.
La patata, il granoturco, il pomodoro, la zucca, il cacao, il riso sono da debellare poiché non autoctoni? Le piante infestanti sono quelle meglio adattate all'ambiente. La cannella è irrinunciabile. Magdi Allam non è molto coerente con i suoi criteri per l'attribuzione della cittadinanza. Le sue critiche dovrebbero essere indirizzate verso lo ius sanguinis, che è un principio meno adeguato rispetto allo ius soli in discussione. Ci sono milioni di italiani nel mondo, figli di emigranti, che hanno addirittura il diritto di voto senza alcun legame con l'Italia. Inoltre dovrebbe ripassare i principi della nostra Costituzione: ad un esame di cittadinanza basato sui suoi criteri avrebbe rischiato la bocciatura.

beh certo,ricordo quando eravamo homo sapiens sapiens e venivamo dall'Africa con una piantina di ginko biloba
#1395
chiedo scusa , anche se temo che creerò confusione.

E' vero che in Genesi non appare il male nella creazione.
il serpente in ebraico nacash e in sanscrito nagas, rappresenta l'inclinazione umana istintiva-
lo yetzer hara in ebraico è la natura materiale umana.

quello che indossano Adamo ed Eva ,Adam  e Chawàh in ebraico, non è una cintura di foglie è una "pelle" di protezione.
Tov we-rà  è il bene e il male, quando Adamo assaggia la mela diventa ke- elohim che non è il signore bensì "somigliante al giudice".

Allora l'interpretazione è che l'uomo ascoltando i suoi istinti e non gli obblighi dell' elohim disobbedendo diventa giudice, ma non signore.

La ruach è tradotta in spirito e la nefesh in anima.
ma se chiedete agli eruditi ebrei il significato rimane letterale di soffio=ruach  e respiro.= nefesh