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Messaggi - niko

#1396
Citazione di: green demetr il 17 Febbraio 2024, 22:00:33 PMIl tuo pensiero rapsodico continua a ruotare intorno alle fantasi dei postmodernisti.
Il tempo è storico, in quanto noi lo conosciamo come tale.
Non ha alcuna importanza che essa sia infinito.
Se tu invece come i postmodernisti credi nel fantastico e che il tempo passato possa di nuovo tornare presente, ti faccio notare che è proprio la posizione del paranoico, ossia di colui che non vuol morire.
Le coazioni a ripetere del nostro tempo sono figlie bastarde di un modo di vedere e di pensare il reale completamente fuori dai confini limitati, molto limitati che noi conosciamo, talmente limitati che lo spirito della vendetta, materiale bollente della critica nicciana, inficia gli oggetti nella loro ricerca spirituale (e in quanto tale eminientemente filosofica, in quanto critica del proprio conoscere) e li trasforma in ulteriori castratori, ossia soggetti limitati che invidiano chi immaginano possa NON ESSERE limitato e percià stesso INVENTANO i limiti.
In Nietzche questi concetti sono evidentissimi se solo lo si leggesse.
Passo e chiudo, non sono interessato ai francesini.


E invece non dovresti chiudere, perche' non hai capito proprio niente, di quello che ho scritto.

Non e' il tempo passato a tornare presente, e' che se un singolo "atomo" di tempo (in altre e piu' comuni parole: un singolo "attimo", del tempo) non fosse insieme, e triplicemente:

passato> e presente> e futuro

Se non fosse tutto questo, dico, esso, l'atomo/attimo, del tempo, non potrebbe comporsi, in figura discreta con altri "atomi" di tempo (altri attimi, vicini e lontani) a garanzia del fatto stesso del "passare". Della composizione differenziale, articolata, e certo anche qualitativamente (oltreche' quantitativamente) differenziata della figura del tempo. Ovvero: a garanzia dell'ubiquita' del divenire, e del rapporto molteplice, e non riconducibile ad unita', intercorrente tra tutti gli enti.

Tutto questo perche' :

> il passato non e' piu', (e, in quanto oggetto, ci domina, nel senso che non e' attingibile alla volonta')

> il presente ha un carattere "eterno" ai fini della coscienza e della percezione>

> e il futuro ha un carattere irreale e autocontraddittorio, insomma non e' ancora.

Ovvero, in parole semplicissime, una "roba", una entita', inesistente (il passato, considerato nel suo essere isolato e "puro", e anche il futuro, considerato nel suo essere isolato e "puro"), o, che e' lo stesso, una roba
iper-esistente (il presente, "puro", nel suo essere sovrabbondante e continuo), non puo' comporsi con altro a formare strutture complesse. E la buona filosofia dovrebbe indagare la complessita', e l'alterita', se (tu...) permetti.

Quello di cui parlo da un sacco di post non e' un evento, e' una struttura.

Sant'Agostino, risolveva il problema dell'inconcepibilita', e della non figurabilita', delle dimensioni del tempo se considerate singolarmente, con il concetto di "anima": e' l'anima, in sant'Agostino, a rendere possibile non tanto il tempo, quanto il "passare" del tempo, il passare come carattere del tempo, il valore sintetico e unitario del tempo, tanto per dire; il Nietzsche interpretato da Deleuze, risolve questo stesso problema, il problema dell'inesistenza separata di passato, presente e futuro, con il concetto di: "valore sintetico dell'attimo", e, quindi, in parole piu' semplici, con il concetto di "struttura".

Ora, sei tu, che, da cinque post, affermi che questa "struttura" (che e', una struttura) sia (invece) un "evento", (cioe' sei tu che me la meni, scusa il francesismo, ora con il realismo, un post fa con il concetto psicologico di paranoia, e due post fa con la pretesa di immortalita', tutte cose che con l'argomento di cui stiamo parlando non c'entrano niente) o perche' non hai fatto uno sforzo minimo per comprendermi, o, temo, perche' vuoi a tutti i costi avere ragione.

L'evento, che secondo te e' un evento, del passato che "ritorna", non e' possibile, quindi, hai ragione tu.

Sai che c'e'?

E' vero, quindi hai ragione tu.
Mi arrendo. Se fossi un po' piu' interessato agli argomenti scientifici, avresti pure potuto citarmi la termodinamica, il secondo principio eccetera, a rafforzare la tua tesi.

Solo che tu, dimostri di non aver capito perche', e' vero.

Cioe', perche', hai ragione.

Cioe': perche' nel mondo c'e' la vita.

Quindi ogni "ripetizione", eonica o psicoanalitica, del passato, proprio per essere completa, proprio per essere includente del fenomeno vita, e non solo dell'inorganico, deve essere voluta. Deve essere un voluto. Un oggetto di volonta'. E quindi, non e' una ripetizione. E nemmeno una opposizione "dialettica" nel senso platonico o hegeliano del termine. E quindi, da cinque post qui non parliamo di un evento (come dici tu), ma di una struttura (come dico io).

E' il vivente che, reagendo volontaristicamente al passato che ritorna, annulla l'eventualita' del ritornare del passato come evento.

Cioe', se (e solo se) tu sai, dell'eterno ritorno come fato e come destino, le tue priorita' etiche, (e pratiche, e eudaimonistiche) dovrebbero cambiare.

Non e' un evento. E' semmai la relazione numerabile equipotente della parte io/corpo, con il tutto, mondo/universo decentrato, che costituisce (la riconoscibilita' di) un'infinito.

Non microcosmico, ma microfisico tu sei. Ospitante non il cosmo, ma la natura.

La tua vita, e' la vita della necessita'.
Non al netto delle illusioni. Ma al lordo, delle illusioni, che la rafforzano, e durano, solo e soltanto finche' la rafforzano.

E quindi, che il tempo storico sia infinito, c'entra.

Molto piu' delle fantasie, che ti fai tu.


#1397
Citazione di: green demetr il 16 Febbraio 2024, 15:11:06 PMTu parli come se fossimo immortali, ma non lo siamo.
Non esiste un senso del mondo, ma un senso del mondo secondo la nostra opinione.
Esiste però un senso del sè che abita il mondo, e che non ha alcuna relazione con esso.
In Nietzche è questo senso del sè che fa i "conti" con il senso del mondo attribuito dagli altri.
In primis ovviamente il castratore primordiale, che Nietzche identifica nella nostra società col cristianesimo.
L'eterno ritorno, è ciò che sussurra il demone del male, ossia il demone che vorrebbe che il sè rimanesse vittima del suo castratore.
Ossia che il senso del mondo che il suo castratore ha in mente, permanga immutato.
La fortuna dell'eterno ritorno in chiave metafisica fantastica è merito della scuola post-modernista francese. Con le sue politiche organiche (e quindi neo-darwiniste, per quel che mi riguarda) di un sè fantastico astorico e sopratutto dissociato.
Nietzche era l'esatto opposto, uno dei tanti paradossi per cui oggi Nietzche è molto letto, e completamente frainteso.



Tu la fai come al solito troppo complicata...

Io non ho detto che siamo immortali, ho detto che dobbiamo agire in ogni situazione, e valutarla, (e rammemorarla, se passata, e cercare di prevederne per quanto possibile le conseguenze, future) come se dovessimo rivivere tale situazione infinitamente, perche' cosi' sara'...

E' impossibile, non capire che la nostra vita e'
 -solo- la vita della Necessita', e per di piu' solo un frammento, di essa, e che, in quanto tale, non ha niente, di speciale. 
Che posizionalmente siamo periferici rispetto ad ogni centro, anche rispetto al "centro" che sarebbe la nostra presunta unicita' e irripetibilita' come esseri viventi, nel grande gioco dell'universo e dell'infinita' del tempo. 

Infinita', si', lo dico chiaramente... infinita', che in matematica e' corrispondenza biunivoca tra insieme e un suo sottoinsieme proprio, e in Zaratustra, alla porta carraia, sempre e ancora corrispondenza, tra passato ed "eternita' ". 

E insomma, basta una potenza, parziale, antropologica, del tempo, ad esempio quello che noi chiamiamo "passato", il passato del tempo, il passato come parte del tempo, la parte passata del tempo, per "esprimere", come fenomeno, tutto il tempo. O meglio, per numerarlo, per contarlo. Come sono piu' che sufficienti allo scopo di "contare" biunivocamente i numeri, i numeri pari, o i numeri primi. I numeri primi, non sono "di meno", meno capienti, o meno potenti, dei numeri naturali in generale. Gli attimi del passato, non sono di meno, degli attimi del tempo. Capirlo, dopo un po' di tentativi lo capiscono tutti. Poi, dopo averlo capito, si tratta di crederlo. O di continuare a credere ai padreterni antropomorfici che iniziano il mondo, iniziano il tempo, gli danno forma lineare, mettono l'uomo a guardia della creazione, consolano il giusto sofferente invece di imporre la felicita' come legge (e i sofferenti come trasgressori) e tutte quelle robe li'.

Insomma ci siamo decentrati dalla terra dantesca e aristotelica, col sole che gira intorno a nostra maggor gloria, ma non dalla convinzione, biblica, mediocre, cattocomunista, che la "nostra" vita appartenga proprio a noi, o al limite in comproptieta' a noi e ai nostri dei antropomorfici, e non anche, tragicamente, a noi e alla, non per niente antropomorfica, natura.

E cosi', dopo il geocentrismo, con grande sforzo noi bipedi tetrestri abbiamo concepito l'eliocentrismo, ma veramente non abbiamo capito l'essenziale, di tutto quello che veramente c'era da capire, e ci riguardava, e ci strizzava l'occhio, nella metafora di tutto questo gran giramento di "sfere", e di presunte calotte, cristalline, e del suo divenire (gaiamente) scientifico: decisamente, no. Invece, Invece di capire intendo, abbiamo esternalizzato il dato di fatto, o se vogliamo la contemplazione, di come realmente, e disillusivamente rispetto alle bibbie e alle Commedie, precedenti, funzionino il giorno e la notte qui sulla nostra scalcinata terra e (come al solito) ci siamo fermati li'. 

Beata ignoranza, nel possibile e mai intrapreso cammino, non cristiano, della scienza, nel messaggio copernicano originale, eravamo noi, che avremmo dovuto, tramontare.

Kant, ci dicono nella filosofia nozionistica che si studia a scuola, che abbia compiuto un "rivoluzione" simile. A quella di Copernico. Dalla centralita' dell'oggetto, a quella del soggetto, di conoscenza. E ne derivava una, per i suoi tempi innovativa, legge morale: agisci in modo che ogni tua massima.... eccetera eccetera.

Non a caso, Deleuze assimilava Nietzsche, a Kant.

I postmoderni francesi, che non ti piacciono.

Stiamo sempre li': Nietzsche, e Kant, sembrano contraddirsi:

Kant: "agisci in modo tale che quello che fai, possa valere come legge vincolante per tutti, per tutti gli altri esseri razionali, che si venissero a trovare nella tua medesima situazione, in cui tu, ora, agisci". Cosi' facendo, non avrai altro premio, che quello di aver testimoniato la liberta', cioe' la conduzione razionale, su questa terra, della tua volonta'. La sua morale e' l'universale, soggettivo.

Nietzsche: "Agisci in modo tale che quello che fai possa valere come legge vincolante manco per niente per tutti (Nietzsche se ne fregava, di queste cose) ma per te stesso nel tuo dover rivivere all'infinito..." Anche a prescindere un momento dagli altri, e dal loro inattingibile vissuto, Sei tu stesso, che ti verrai a trovare, molteplicemente, nella medesima situazione, in cui ora, agisci. L'universale, oggettuale e oggettivo.

Ma si riconciliano per il fatto di amare la molteplicita' in noi, la costellazione. La natura, per l'uno, la cultura, la societa', per l'altro. Tutte realta' che non fanno uno. Che non valorizzano l'effimero. Che trascendono l'individuo nei molti.

Cosa altro mai si potrebbe amare? Il tempo puo' passare, solo perche' e' infinito, cioe' autocontenuto, fin dentro le sue parti, sovrabbondantemente. E cosi' pure, e con esso, l'uomo. Che deve passare nel suo considerarsi unico, sottratto, dai suoi soccorritori metafisici, alla stretta della Necessita'.

Questo attimo non potrebbe mai passare, se fosse solo passato (cioe' cristallizzato, teoretico e inattingibile alla volonta') se fosse solo presente (eterno, sensoriale ed arbitrariamente esteso) o se fosse solo futuro (attendistico, inoggettuale e messianico). Il fatto che questo attimo sia gia', triplicemente, passato, e presente, e futuro; il fatto dunque, che esso, questo attimo, non sia solo un punto su una singola circonferenza, potenzialmente passibile di ritorno per chi, distrattamente, la percorresse, ma sia gia' presente, gia' proiettato (a cadenzati intervalli) su piu' circonferenze, di piu' cicli eonici temporali, e' condizione, del suo comporsi in figura discreta con altri attimi, e, quindi, del suo passare.
Questo attimo passa perche' vi confluiscono i tre aspetti del tempo. E' in gioco la "salvezza" del divenire, non quella dell'essere. Non devi temere la morte, ma devi temere quello che e' peggio, della morte. Non devi temere la perdita, ma l'infelicita' e la frustrazione. Proprio come gli animiali, che hanno tento da insegnarci.

Poi, se vuoi farmi dire che ho detto che siamo immortali...

Non c'e' un demone del male. C'e' solo una priorita' del positivo e del differente, per cui, chi davanti ad essa e' solo un oppositore, o solo un imitatore, e' un immeritevole di ritornare, diciamo pure un malvagio. Non ti puoi opporre, all'eterno ritorno, e non puoi nemmeno esaurirlo in un autoscimmiottarti. Gli opposti, fanno uno. I differenti, fanno coppia, o gruppo, in un contesto piu' ampio, nel numero, o nell'almeno tre. Molteplicita' irriducibile. Costellazione. Che vedra' l'uomo divenire. Amabile come mezzo, come tramite. E non "fine", in tutti i sensi, del mondo.


#1398
Citazione di: green demetr il 11 Febbraio 2024, 02:39:08 AMIl tempo come ciclo, il tempo come ritorno, il tempo come fine, precipizio, il tempo come volontà.
Come può un solo concetto avere dentro tutto e il suo contrario.
Questa non è filosofia.


Eppure l'eterno ritorno e' la forma piu' semplice possibile di una antimetafisica: la "fine", il precipizio, di cui parli tu non c'entrano niente, se non forse da un punto di vista psicologico, come effetto, che puo' fare questa concezione del tempo agli uomini.

Invece della fine, c'entra, davvero, il "fine", lo scopo.

Il fine del tempo, e' nel tempo. Il fine dello spazio, e' nello spazio.

E' questo il concetto fondamentale.
Il concetto che non c'e' nessun mondo dei fini a parte. Nessun iperuranio, nessun paradiso, nessuna dimensione divina, nessuna dimensione immateriale umana nel senso hegeliano o platonico di "spirito" in cui si decidano, "in separata sede", i fini, degli uomini o delle cose. Invece, nell'eterno ritorno, si afferma che Il mondo delle cose, e' (direttamente) anche il mondo dei fini. Semplice, ed elegante. Contraddittorio solo per chi e' (ancora) psicologicamente, piuttosto che logicamente, in Platone.

E non ho detto, si badi bene, che il fine del tempo sia in un certo, punto, in qualche modo preferenziale, del tempo, (il momento di un "avvenimento topico" qualsivoglia), e non ho nemmeno detto che il fine dello spazio sia una certa, disposizione dello spazio (la disposizione "migliore" delle cose). Intendevo in senso totale.
Intendevo che:

Il fine del tempo e' in (tutto) il tempo: in tutti gli attimi, di tutto il tempo.

Il fine dello spazio e' (in tutto) lo spazio: tutte le didposizioni possibili, di tutto lo spazio.

Se tempo e spazio concettualmente, sommati insieme formano altri concetti come: "il mondo" o "la natura", allora possiamo dire che il fine del mondo e' nel mondo, e il fine della natura e' nella natura.

Il disporsi della "storia" biologica, naturale e umana in una serie infinita di cicli identici, non e' che il dispiegarsi della natura/mondo che raggiunge i suoi fini, ripercorrendo, ed espandendo nella ripetizione, tutti gli attimi del "suo" tempo e tutte le disposizioni del "suo" spazio, che definiscono i "suoi" fini. E tutto questo, senza, "fine".

Tu vuoi delle cose, ad esempio mangiare, essere felice, essere amato, essere in salute, e la natura, personificata in questa allegoria pure, vuole delle cose: rioercorrere tutti i sui attimi, di cui nessuno e' finale, nessuno e' iniziale, nessuno e' intermedio, nessuno e' preferenziale.

Non mi pare, che sia difficile da capire.

Tu giungi a un compromesso, tra felicita' e realta', nel senso che quello che vuoi e che hai, non ti rende completamente e ininterrottamente felice, e la natura personificata, la volonta' di potenza, pure, giunge a un compromesso tra sua felicita' e sua realta', perche' al "termine" di ogni ciclo, non e' paga e ne inizia un'altro: per aquisire parte significativa di cio' che costituisce il suo scopo, del tempo e nel tempo, deve perderne, altra parte, quindi il ciclo non e' mai riconoscibile come tale se non per convenzione di qualcuno, di inesistente, che lo guardasse dall'esterno, e la natura e' sempre, all'inseguimento, di se stessa. Non ha una quieta e felice "memoria", dove depositare quello che perde, procedendo, per quadagnare altro, quindi, proprio nel suo procedere, deve tornare costantemente alla realta' materiale del "perduto", e porvi rimedio.

Neanche questo, mi sembra inconcepibilmente difficile, da capire.

Tutto questo e', semmai, difficile da accettare, nel senso che a un popolo di individui abituati al cristianesimo e al platonismo, (morali servili...) quindi al concetto opposto di "fine del tempo fuori dal tempo" (Dio, l'idea), e di "fine dello spazio fuori dallo spazio" (altri mondi che a vario titolo contengano, Dio o l'Idea: paradisi, iperurani), questo concetto di fine del tempo dentro il tempo e di fine dello spazio dentro lo spazio, fa orrore. Secondo loro, c'e' un inizio del tempo fuori dal tempo, e un fine/scopo del tempo fuori dal tempo, che e' Dio, o e' l'idea.

In loro, l'infinita' del compito, di perfezionamento mistico, o storico, dell'uomo nel senso di una filosofia della storia, e' data dall'impossibilita' dell'uomo, finito, di assimilarsi completamente al Dio infinito. Nell'eterno ritorno, l'infinita' di un compito di fatto infinito, che non coinvolge solo l'uomo, ma certo anche, l'uomo, al contrario, e' data dalla sua stessa, infinita, possibilita': finito un ciclo eonico, finito un anno cosmico, se ne puo' sempre ri/incominciare un'altro: e' proprio la "banalita' " di una costruzione e distruzione, e ridisposizione, sostanzialmente materica, e materiale, sostanzialmente energetica ed energizzante, a renderla infinita.

Ovviamente, anche nell'eterno ritorno il discorso sulla metafisica e sulla spiritualita' non e' (ingenuamente) eluso, ma riportato, marxianamente direi, con i piedi per terra: la "forma" complessa prolungata e dettagliata del mondo, che la natura deve costantemente distruggere e ricostruire, comprende le azioni volontarie e i benche' minimi sentimenti e pensieri, e ricordi, e corpi,  di tutti i viventi, che rientrano nel ciclo come attimi, degni e alla pari con gli altri, del tempo e quindi come perseguibili scopi e micro-scopi ad opera della natura/volonta' di potenza.
E qui e' il vero abisso: nel senso che e' "schopenahueriamente" previsto, che ogni essere vivente abbia il corpo e la testa infarciti di illusioni, di fatue rappresentazioni, di istinti corporali "noumenici", e quindi indefinibili e innominabili, per fare la sua parte, secondo un copione, di uno spettacolo, di cui ogni singolo vivente fraintende gli scopi; cioe' egli fraintende che lo scopo fondamentale della vita, di ogni vita, e' riportare in vita, ciclicamente il mondo (e magari si aspetta, "leopardianamente" dalla benevolenza della natura la sua felicita' individuale o chissa' quali altri "doni"). Ogni singolo vivente, tranne forse il superuomo, che non fraintende lo scopo della vita, ma lo intende.

Ma sta di fatto che nel mondo c'e' la vita, e quindi il ritorno del mondo deve essere volontario, e derivare dalla somma, sia pure incalcolabile, delle azioni dei viventi. E dei loro impulsi e pensieri.

Ogni vivente deve esprimere un proprio ed intimo consenso al "ritorno" quanto meno inconsapevole, deve essere guidato dal suo stesso fato a ritornare.

Il suo proprio e intimo consenso al "ritorno", ogni essere lo esprime essenzialmente vivendo, e quindi riconfermando che la sua gioia in se' valga il suo dolore, e che ogni sua resistita e insistita agonia, sia migliore della (sua) morte. Ogni ciclo, potrebbe essere l'ultimo, ma non e', l'ultimo. O almeno, non lo e' mai stato fino ad ora. Ovvero il ciclo presente ci intertoga nella sua presenza, e' diverso dagli altri, esprime il ritorno non di tutte le forze, ma solo delle forze attive .

Su questo intimo consenso, che e' la vitalita' stessa dei corpi, si aggiungono, le illusioni metafisiche.
Che non sono spazzatura in assoluto, funzionano nella misura in cui potenziano questo intimo consenso e lo supportano quando manca, permettendo anche loro, pur in quanto illusioni, il ritorno del mondo.

insomma anche le illusioni metafisiche, sono ovviamente, previste e centellinate dalla natura, anche esse contribuiscono, se nella giusta dose e nel giusto tempi, al ritorno del mondo.

E infatti Nietszche  non propone di buttarle al cesso le illusioni metafisiche (del resto come, anche lui, potrebbe?), ma di giocare liberamente con esse, sapendo che sono illusioni. E che non tutte le illusiini sono uguali. E che le illusioni si valutano in base all'utile. Che non e' un utile fisso, ma un utile che varia seconfo lo spazio, e il tempo e il carattere degli individui che di certe illusioni si illudono.

#1399
Citazione di: green demetr il 09 Febbraio 2024, 23:30:50 PMNon mi pare sia questa la strada.
Anzitutto perchè il tempo, almeno il tempo filosofico, non certo quello scientifico (che pone l'unità di misura), riguarda il soggetto.
Il divenire in sè è cioè una domanda priva di senso, se non ne diamo il termine di paragone.
Non mi pare tu lo faccia.





Il termine di paragone e' che tu non devi vivere aspettando il ritorno dei tuoi attimi felici passati (e intendo, il primo bacio? La prima ubriacatura con gli amici? La presenza delle persone care ormai morte? Fai tu, che ti conosci meglio di quanto ti possa conoscere io, come definizione di "attimo felice").
Ma che anche l'attimo potenzialmente presente in cui tu realizzi la verita' dell'eterno ritorno (questo attimo!) e' un attimo felice. Lo e' teoreticamente, anche se magari non praticamente. Vale quanto quello del primo bacio eccetera eccetera. Perche' e' in questo attimo, che tu hai ricevuto una notizia che, se sei un superuomo e nella misura in cui sei un superuomo, ti rende felice. E cioe' la notizia che tutto, tutto il bene e tutto il male della tua vita, dovra' ritornare a te.

Il mondo si supera, supera se stesso e si trascende, ma verso un doppio mondo dionisiaco, non verso un alter-mondo metafisico.
E, per farlo, per sdoppiarsi come fa una cellula in un futuro identico a un passato identico, con un labile e poi subito perduto punto di contatto tra i due cerchi, richiede la tua partecipazione.

Se tu fossi certo, di dover rivivere la stessa vita innumerevoli volte, dovresti cambiare le tue priorita'. Diverresti significativamente, perche' e nella misura in cui saresti certo di ritornare, a partire dal punto in cui ne saresti certo.

E nel tuo divenire, saresti capace, finalmente, di accettare l'uomo. Che, dalla sua propria prospettiva, vorrebbe rivivere solo piccolissima parte del suo tempo, e non tutto il suo tempo, ma solo perche' il suo tempo lo ha vissuto male, senza la forza, e il coraggio, di viverlo pienamente.
Senza l'intuizione e l'accettazione dell'eterno ritorno.
Ma tu non potresti lo stesso odiarlo o svalutarlo, perche', se tu sei il superuomo, l'uomo e' la tua causa, il tuo appiglio nel tempo.

Il tipo di uomo capace di rivolere l'uomo, e' solo ed esclusivamente il tipo di uomo capace di rivolere, anche, e simultaneamente all'uomo, tutto il resto del mondo, le nuvole, le stelle, i lupi, le rocce eccetera: l'uomo e' la cosa del mondo piu' volente e dolente, e quindi l'ultimo limite del superuomo, la cosa del mondo piu' difficile da volere dalla prospettiva, successiva, e dunque esterna, di chi, proprio al volerlo, avrebbe infinita altra alternativa.

Uomo e superuomo, si desiderano e si supportano a distanza nel tempo. In un gioco in cui conta la salvezza del divenire non dell'essere.

Tutto ritorna uguale attraverso il tempo, con la differenza, non da poco,  di essere voluto, e superato, e distrutto, e obliato, e ricostruito ogni volta. E in questa differenza inestinguibile presso la serie degli identici, sta la verita' del divenire.

Verita' sempre a rischio e precaria, verita' da rimettere alla prova e da ridimostrare sempre.

Ogni ciclo temporale potrebbe essere l'ultimo, l'ultimo prima della fine e del precipitare escatologico di tutta la serie dei cicli in uno stato inedito cristallizzato, definitivo o infinitamente caotico, perche' non c'e', un automatismo del ritorno, una garanzia meccanica del ritornare. O almeno, non c'e' la garanzia del ritornare di una certa specifica forma determinata.

Il ritornare, della forma determinata che siamo e in cui viviamo, aspetta l'assenso, della volonta'.



#1400
Citazione di: Alberto Knox il 09 Febbraio 2024, 11:29:11 AMè quella copula  "è" che riguarda il primo e secondo genere di conoscenza .  Allora diciamo Dio è così , Dio è questo,  Dio è il tutto, Dio è l'uno. è la presunzione di pensare di poter definire Dio che non riesco a condivedere . Perchè si vuole conquistare, carpire, cioè prendere, afferrare Dio in una formula  o in un è questo o quell altro concetto . Rimanendo così vincolati alla volontà di potenza di conoscere.


Si, per me personalmente si puo' pure fare a meno, di Dio e del concetto di Dio...

Dicevo che la natura umana, e' innegabile, a differenza di Dio, che e' una superflua ipotesi, superflua, dico, quando non utile, come fu nel suo passato storico di entita' religiosa, a sviluppare potenza, consenso e sopravvivenza, in chi in esso, e in questa ipotesi/congettura "credeva"; quindi, se assumiamo che Dio sia "in noi", allora Dio ha anche i nostri sentimenti, sensazioni meschinita' eccetera, perche' noi siamo, i nostri sentimenti, sensazioni, meschinita' eccetera.
Vi corrispondiamo. 
Non siamo realmente (e paranicamente) scissi, in male e bene, dentro di noi.
E pure Dio, se vuole "stare" dentro di noi, anche solo come concetto e oggetto di presunta "sapienza" a tutte queste piccolezze e specificita'  umane deve corrispondere. Deve dall'uomo, essere compreso. Dal bene, dell'uomo. E pure dal male, dell'uomo.
Cosa mai altro potremmo essere?
Noi non ci trascendiamo in Dio, se crediamo, nella misura in cui crediamo, nella misura in cui "possediamo" Dio anche solo concettualmente, prima o poi abbassiamo Dio a noi. Per questo, il cristianesimo era, e fu un destino.

E per questo dire che dio sia "in tutte le cose", non ci porta molto piu' lontano rispetto a dove ci ha (gia') portato il cristianesimo. Dio sta in tutte le cose quindi anche in noi. E tutti gli antropomorfismi e antropopatetismi, di Dio, sono giustificati, in quanto divinizzazioni dell'uomo, antropopatetismi dell'uomo/Dio.



#1401
Piu' che altro, chiamare Dio "le cose che sono" non esclude, di fatto, gli antropomorfofismi e gli antropopatetismi di Dio che magari con questa formula ingenuamente si vorrebbero escludere, e che invece rientrano dalla finestra, perche', a ben pensarci, l'uomo, l'uomo terreno e materiale, che pensa a Dio, e', lui stesso, "tra le cose che sono", una cosa tra le altre e una parte del tutto, quindi, se accettiamo la premessa che, in generale, "le cose che sono" abbaino essenza divina, anche la conclusione, che l'uomo abbia essenza divina, essendo l'uomo "una cosa che e' ", semiplicemente, consegue.

Quindi gli antropomorfismi e gli antropatetismi, non sarebbero l'essenza totale di Dio, non sarebbero il tutto/Dio, ma comunque resterebbero la "parte" costututiva di Dio, parte tra le altre ma pur sempre leggittima parte, piu' simile all'uomo, e piu' interessante per l'uomo, e piu' adatta a trarne un'etica, una religione, delle leggittime e ben fondate conclusioni eccetera.

Non credo di esagerare se dico che tutta la metafisica occidentale, soprattutto teologica e medioevale, si puo' ricostruire, con poche o nulle variazioni, partendo dalla premessa che Dio sia "tutte le cose che sono".

Cioe' l'affermazione che Dio sia "tutte le cose che sono", non e' particolarmente eretica, ne' tantomeno originale e innovativa, rispetto al nostro radicato e archetipico modo di pensare Dio, e la religione in generale. Credenti o no che noi possiamo essere.

E' quello che dicevo prima: il Cristo, puo' essere ricondotto, a una metafora del fatto che Dio e' "tutte le cose che sono", e quindi questo comprende l'uomo, (se Dio e' tutte le cose che sono, allora Dio e' anche l'uomo, per forza e non si scappa, dalla logica platonico aristotelica) da cui la genesi necessitata e simbolica dell'uomo perfetto, del Cristo appunto, che accede dal suo "spirito parziale", cioe' dalla sua coscienza/anima, di singolo e alienato uomo tra gli uomini, allo "spirito totale" cioe' a Dio, che e' realta' di "minimo comune denominatore", di quanto la "sua" anima, l'anima del Cristo, abbia in comune con le "anime", di tutte le altre cose, stelle, alberi, montagne eccetera, e soprattutto di tuttii gli altri uomini, del mondo; insomma logos, verita' dalla totalita', escludente il nulla (padre) e quindi giungente alla comprensione migliore possibile anche di esso.

Gli antorpomofrismi/antropopatetismi del Dio, non si superano in altro, (e intendo, non si superano in un tipo d'uomo capace di accettare l'assenza totale del Dio o quantomeno un tranquillo ed emotivamente "freddo" teismo astratto o filosofico, perche' a me interessa una filosofia che parli del "carattere", dell'uomo che fa la filosofia, non dei concetti); permangono, e diventano gli antropomorfismi/antropopatetismi del Cristo: per questo la formula, la formula del "Dio che e' tutte le cose", puo' ben piacere, a qualcuno o a molti, nel soddisfare certi desideri e certi caratteri, appunto, ma non funziona, ai fini di escludere, gli antropomorfismi/antropopatetismi, come spero di aver dimostrato.

Se Dio e' tutte le cose, e' leggittimo, che i quadrati immagginino Dio a forma di quadrato, e i cavalli a forma di cavallo, e gli uomini a forma di uomo. Deriva dalla premessa. Il cavallo Dio, o l'uomo Dio, si riferisce a partire da una singola parte pensante alla totalita' nel tentativo di comprenderla o includerla, si riferisce al fatto che i cavalli hanno leggittimamente trovato Dio dentro di loro, e gli uomini pure, e i quadrati pure. Sono partiti, per la loro ricerca, da cio' che avevano di piu' simile a loro, e non di piu' diverso: gli uomini da un uomo, i quadrati da un quadrato, i cavalli da un cavallo. Del resto, la parze cavallina, di Dio, e' la parte piu' eticizzante, e paterna, e genitoriale, e significativa per i cavalli, la parte quadrata per i quadrati, e la parte umana per gli uomini. Ci saranno in giro per il grande cosmo, sacerdoti umani, sacerdoti quadrati e sacerdoti cavalli, come e' giusto che sia.



#1402
Citazione di: Gyta il 08 Febbraio 2024, 16:58:28 PMLa "democrazia" rappresentativa (ecco, l'hai detto!) funziona in modo tale che la risposta ai problemi climatici non viene dirottata a chi di fatto maggiormente inquina.. e comunque il discorso è abbastanza lungo.. non complesso ma lungo poiché comporterebbe un'inversione di rotta sul modello dell'economia mondiale che nessun poltronato dell'ue, onu, g7 si sognerebbe minimamente di suggerire in pratica.. e come ampliamente dimostrato i governi nazionali (tanto più il nostro) eseguono nel complesso le direttive di cui sopra.. Mentre per quel che riguarda la prima parte del tuo discorso intorno alle canzoni non ci ho capito nulla.. se riformuli in italiano.. magari..
Sono d'accordo sul discorso fatto da Niko.. tranne che per una centralità che sembra sfuggirgli: non si chiedono sacrifici al fine di salvaguardare il clima/pianeta, si chiede di mettere in ginocchio i/il piccolo produttore. Il perché è alquanto ovvio. E non mi pare un discorso paranoico/complottista quando basato sui fatti.



Io non credo, che si voglia (solo) mettere in ginocchio il piccolo produttore, credo che nella testa delle elites che dominano il mondo si sia formato davvero il concetto che bisogna salvare climaticamente e ambientalmente il pianeta prima che succedano disastri che possano mettere in discussione lo status quo, l'ordine pubblico di una societa' di massa e quindi i loro stessi privilegi, solo che tali elites vogliono farlo, questo salvataggio, del mondo, o meglio, delle condizioni minime affinche' il mondo possa andare avanti, mantenedo una sproporzione di privilegi di classe, di censo e di distribuzione del potere tra ricchi e poveri, sia nazionale che internazionale, immensa, sproporzione che naturalmente riverberera' sulla definizione precisa di chi, dovra' fare i necessari sacrifici, e come; insomma e' gia' preparato un futuro in cui i "sacrifici per salvare il mondo", tipo rinunciare non solo all'automobile, ma a tutto quel minimo di diritti sociali e sindacali che rendono la vita del cittadino occidentale medio decente, li fara' chi gia' e' marginale e disastrato, li faremo tutti noi, e chi e' ricco, nella villetta e con la cameriera filippina, non fara' il minimo, sacrificio, a loro non cambiera' un bel niente, andranno con la macchina elettrica e continueranno ad essere, almeno consumisticamente e materialmente dei "vincenti". 
Almeno, questo e' secondo me il programma complessivo, non complittisticamente voluto e definito, e realizzantesi naturalmente secondo l'eterogenesi dei fini, previsto da chi comanda, 

Contro tale tipo di futuro, non si potra' che insorgere.

Ma che i sacrifici di tipo climatico e di risparmio delle risorse bisogna farli, in generale i potenti e quelli che davvero contano, lo hanno capito tutti: non e' in programma di mandare, veramente, e letteralmente a scatafascio il mondo, con fenomeni climatici estremi ed estati stabili a oltre 50 gradi, perche', chi e' ricco nella villetta con la cameriera filipoina, e' il primo, che ha qualcosa da perdere e rischia fisicamente la vita, se va a scatafascio il mondo.

E quindi, che i sacrifici vanno fatti, lo hanno capito tutti. Compresa la destra populista piu' o meno di governo occidentale, che fa il gioco, francamente ridicolo, di fare finta di non averlo capito, finche' sta all'opposizione, per guadagnare consenso e passare, in tutte le grandi nazioni e ovunque, al governo, sulla prevedibile ondata Trump. 

Quando si saranno consolidati, sia pure in un complesso piu' protezionista e totalitario, anche loro, i populisti al governo e di governo intendo, faranno esattamente, o con minime variazioni, secondo me in peggio, le stesse politiche climatiche e ambientali della piu' liberale e "arcobalenica" sinistra. 
Perche' il disastro grosso in grado di sconvolgere l'ordine pubblico e lo status quo sociale davvero, non lo vuole nessuno. 
Alla faccia, di quelli che li avranno votati, o rivotati, perche' il cambiamento climatico antropico "non esiste" (Trump, Salvini, eccetera...). 
Trump, con ogni probabilita' non e' cosi' deficiente da credere davvero, dentro di se', che il cambiamento climatico antropico "non esista", quando lo dice e lo strombazza per farsi votare da una platea di individui empaticamente a lui "simili", e alrettanto in grado di autoconvincersi temporaneamente e misticamente del falso al fine di mentire meglio a loro stessi e agli altri (semplice deduzione, la mia: se lo fosse non sarebbe arrivato dov'e', la societa' promuove la carriera di psicopatici e narcisisti un minimo funzionali, non completamente deliranti) e se davvero lo fosse, convinto sinceramente e stabilmente che il cambiamento climatico antropico non esista e sia tutto un complotto drlla sinistra eccetera, la cosa sara' complessivamente irrilevante, perche', nel prendere le decisioni che veramente conteranno, sara' comunque consigliato da esperti e consulenti, e persone altrettanto come lui potenti ma agenti nell'ombra e non famose, che non altrettanto, di questo, di questa inesistenza intendo, saranno convinte.

Quindi, sintetizzando, destra o sinistra, nazipopulisti o nazidem: i sacrifici, li faremo noi, loro, accenderanno l'auto elettrica e il condizionatore. Si tornera' a un mondo piu' medioevale e feudale, con solo i ricchi "in carrozza" per le strade, ma, complessivamente, si sopravvivera'.

 Chenge my mind, come si dice...





 
#1403
Comunque, io penso che finche' ci sara' il capitalismo, non ci sara' mai, l'accettazione umana della necessita' di fare "sacrifici" in favore dello scopo superiore della tutela ambientale.

I sacrifici "per il bene della terra", cioe' per il bene di tutti, , li devono fare tutti, ma non costano, lo stesso sacrificio (effettivo, culturale e materiale) a tutti, data la disparita' assoluta, di condizioni iniziali.

Quindi, i contadini, fanno bene, a protestare perche' il sacrificio di non usare pesticidi, ad esempio, non lo vogliono fare. Lo facessero le multinazionali e i padroni, il "sacrificio", questo e' il loro (sacrosanto) discorso. Non hanno torto. Se per loro fare quel sacrificio significa essere definitivamente marginalizzati e fatti fuori, fallire esistenzialmente nei loro proggetti di vita e magari di farsi una famiglia o mantenerla, mentre per uno che e' gia' ricco, fare quello stesso sacrificio, non usare pesticidi per le aziende che possiede, per esempio, significa gadagnare un milione di euro in meno o in piu' quando magari ne ha gia' venti, oggettivamente, dal punto di vista di un povero e dei problemi che conosce e vive un povero, non gli cambia niente.

Non e' lo stesso sacrificio di fatto, anche se magari lo e' formalmente.

Il capitalismo, equiparando ricchi e poveri nell'uguaglianza formale davanti alla legge, di fatto equipara anche l'onerosita' putativa di sacrifici "ambientali'" che non sono, davvero, equamente onerosi per tutti coloro che li fanno e li devono fare, e quindi, tali sacrifici sbagliati nei loro presuppusti ideologici ed idealistici, saranno sempre invisi e odiati in quanto tali, e scateneranno sempre, piu' o meno gravi rivolte.

E poi, quando si vanno a colpire i lavoratori con una richiesta onerosa di tipo ambientale, e' sempre potenzialmente offeso un criterio di vere e veramente collettive necessita', rispetto ad edonismo e consumismo principalmente individuale, oltreche' di quanto sia gia' ricco o non sia gia' ricco colui che e' chiamato a fare i sacrifici.

E' chiaro, che, ad esempio, se c'e' da ridurre con necessita' ed urgenza assoluta l'uso dei carburanti, "per il bene della terra",  andra' "colpito" primariamente chi usa la macchina per andare in vacanza e andarsi a divertire, secondo, in secondo luogo, chi usa la macchina per raggiungere il posto di lavoro ma avrebbe delle onerose ed esistenzialmente impegative alternative, ad esempio pigliarsi l'autobus dedicando di fatto un'ora di vita in piu' al lavoro perche' l'autobus e' piu' lento e  scomodo della macchina privata, e terzo e ultimo, solo come alternativa disperata, se e solo se le prime due non sono bastate o non hanno funzionato, chi usa direttamente del carburante come fattore di produzione per lavorare, e quindi per contribuire al suo reddito e al reddito complessivo della comunita'.

Trattori, ma anche tassisti, imprese, cantieri eccetera. Soprattutto produttrici di beni e servizi di prima necessita'.

E' chiaro, che se io uso il carburante per accendere il trattore su cui lavoro, e aro i campi, e porto sui tavoli della gente le zucchine e le pagnotte che mangiano tutti, e che senza di me non mangerebbero, e vengo equiparato, (intendo: equiparato nel mio concettuale essere un "inquinatore", che deve accettare di fare dei "sacrifici", per "emendarsi" per il "bene della terra", eccetera) a un generico cittadino che usa la sua macchina privata per uscite il sabato sera, andare alla casa al mare, o anche solo per raggiungere l'ufficio o il posto di lavoro, un po' mi incazzo, perche' questa "equiparazione" non e' ne' secondo logica, ne' secondo giustizia.
Se sono costretto a fermarmi io, perche' il sacrificio richiesto, che sanziona il mio trattore a benzina, mi manda in rovina imprenditorialmente, oltre alla mia sofferenza personale, le zucchine e le pagnotte non arriveranno piu' sulle tavole. Saranno dolori per tutti. Se fa un sacrificio quello che deve andare al mare, o anche solo quello che deve andare a lavorare, col carburante inquinante, magari tirera' un bestemmione per aver perso tempo e aver viaggiato scomodo su un mezzo pubblico, ma lui sopravvivera' e tutti gli altri, in linea teorica, sopravviveranno.

Quindi, finche' i sacrifici richiesti non riusciranno a differenziare concettualmente e praticamente tra produzione e consumo, necessita' e comodita'/divertimento, non saranno mai giusti.

Altra cosa impossibile nel capitalismo attuale, dove il diritto di svagarsi per il ricco, o comunque per chunque abbia due soldi in tasca e mezz'ora di tempo libero, e' sacro. Sacro perche' sfoga frustrazioni accumulate, e sacro perche' rimette in moto il meccanismo del consumo, che ormai, dalla produzione, e dalle sue necessita' reali e materiali, e' inseparabile.




#1404
In realta', nel cristianesimo le caratteristiche antropopatetiche, e finanche antropomorfiche del vero Dio, non possono essere negate, quantomeno perche' tale vero Dio si incarna in un uomo, Gesu' Cristo.

Insomma Cristo e' Dio, (l'incarnazione non e' solo un evento storico, ma e' anche intemporale ed eterna) e Cristo ha innegabilmente un corpo, una mente, una possibilita' di soffrire e una volonta'.

Del resto, anche prescindendo un momento dal discorso su Cristo, gli elementi antropomorfici e antropopatetici sono recuperati al concetto e alla figura del Dio anche solo perche' Dio e' l'assoluto, e l'uomo, dell'assoluto, inestricabilmente fa parte.

Il discorso dell'Essere che permette l'esistenza degli enti, fa da sfondo immutabile e eterno, e che in qualche modo, negli enti si manifesta, quantomeno perche' alcuni enti, gli uomini, sono abbastanza intelligenti da interrogarsi sul loro fine e sulla loro causa.

Niente, e' cosa (assolutamente) a parte rispetto all'assoluto, nemmeno l'uomo come individuo e come specie, e, dunque, svalutare i tratti antropomorfici e antopopatetici di Dio in Dio, ovvero, dell'assoluto nell'assoluto, dello Spirito nello Spirito, insomma "svaltare noi in Dio e a causa di Dio" sarebbo come svalutare e gerarchizzare "una parte" di Dio rispetto "alle altre parti", negando il "monismo" e la "semplicita' " e l'indivisibilita', di fondo, in quanto attributi putativi  del Dio stesso, quindi inaccettabile.

Nell'assoluto, gli elementi antropomorfici e antropopatetici sono relativizzati, in contatto con altre infinite complessita' e altri infiniti elementi costitutivi del tutto che antropomorfici e antropopatetici non sono, ma non sono, pur con questo, svalutati eticamente o negati. L'assoluto non sarebbe assoluto, senza elementi antropomorfici o antropopatetici, cioe' senza di noi, cosi' come non sarebbe assoluto senza qualcuna (qualunque altra) delle altre cose piccole e grandi, reali e irreali, che lo compongono pur senza esaurirlo, compreso un granello di sabbia o un petalo di rosa, per dire.

Quindi Dio si incazza eccome, nella misura in cui noi, che abbiamo putativamente in noi lo Spirito di Dio "come minimo comun denominatore del nostro essere", ci incazziamo. E cosi' pure ride, gioisce eccetera. Il senso della questione e' sempre microcosmico, cioe' quel minimo comun denominatore che pure noi abbiamo in quanto parti, non rimanda solo a noi come parte, ma sempre anche a un mistico tutto, in quanto e' anche, il minimo comun denominatore di tutto il resto, di tale mistico tutto. Le parti non sono "sole'" nel tutto, ma hanno in loro l'essenza, del tutto.

Quindi, ovviamente (ok, scperta dell'acqua calda) anche le altre grandi religioni monoteiste che non credono nella divinita' del Cristo non sono immuni, da antropomorfismi e antropopatetismi.

Ma la "nostra" religione di massimo successo occidentale, il cristianesimo, che ha il Cristo come simbolo universale dell'inclusione dell'umano nell'assoluto (e quindi dell'inestricabilita' di legame risultante, dell'assoluto dall'umano) e' la piu' antropomorfica e la piu' antropopatetica di tutte.

Non si scappa. Il seguito annunciato di tale topic "sulla rivelazione" secondo me non potra' che parlare di questo.


#1405
Citazione di: iano il 06 Febbraio 2024, 19:45:03 PMMa sopratutto valuta quanto il tuo dolore possa essere stato generato paradossalmente dai tuoi tentativi di fuggirlo.
Direi che il bene, o benessere, mancanza di dolore, è uno stato di equilibrio dinamico, che deriva da una trattativa con la natura che non può mai dirsi chiusa, come abbiamo creduto.
Il bene è nell'equilibrio, non negli elementi che facendo da contrappesi contingentemente lo determinano.

Si', il problema e' che provare dolore e' assolutamente naturale, e' conforme alle leggi di natura; sfuggire la morte finche' c'e' tempo e modo di sfuggirla, cercare e perseguire la vita, e' la cosa piu' naturale del mondo, e quindi anche la piu' "giusta", rispetto ad una possibile, e che qui esamino e propongo, concezione della giustizia, fondata sulla natura. E questa giustizia prevede, entro certi limiti, l'evitamento del dolore.

Quello che e', per modo di dire, "innaturale", e' il fatto di produrre e sperimentare la "sofferenza" alla maniera specificamente umana, la sofferenza come la sperimentano in modo strutturato e pervasivo, tra tutti i viventi e gli animali, sicuramente gli uomini, intendevo... e quindi, sofferenza come una differenza metafisica, culturalmente mediata, tra un desiderio e una realta', fino a creare, per l'uomo, un mondo del desiderio e un mondo della realta; separati e solo parzialmente comunicanti. L'evitamento eccessivo, della realta' e dell'inevitabilita' del dolore, la produzione di soddisfazioni e autoconsolazioni, e autoassoluzioni, illusorie,  produce la perdita, del contatto con la realta'.
Contro tutto questo, contro questo raddoppiamento metafisico dell'uomo e del mondo, si "scaglia", per modo di dire, il monito e la condanna del Dio/natura, che pone il sofferente, e con cio' intendo il sofferente in senso umano pieno, (e non il semplice afflitto, o dolente) sempre e necessariamente come ingiusto, e, quindi, sempre come una fola metafisica, il Dio Persona, consolatore dei (putativi) giusti sofferenti.

I giusti sofferenti in giro su questa terra non ci sono. C'e' poco da consolare. Se mai ci sono degli innocenti, sofferenti. Ma innocenza, non e' la stessa cosa, di giustizia.

E non ci sono per decreto di un Dio non proprio e nel senso comune del termine "buono", o pieno d'amore, cioe' la natura stessa, la divinita' naturale e sostanziale intendo, che "giustifica", cioe' salva, e santifica, tra tutti gli esseri e gli essenti, solo coloro e quelli in qualche modo trovano la via, per il loro benessere esistenziale e la loro, per quanto immanentemente e temporaneamente possibile, felicita'.

Quando sei infelice, al di la' di ogni possibile ipocrisia moralista, non sei "giusto", perche' senti dentro di te la spinta, la pulsione, a ribaltare il tavolo e la situazione, insomma a tornare al piu' presto ad essere felice. Solo tale pulsione, nel suo comandarti in qualche modo e in qualche senso di cambiare te stesso o il mondo, o al limite, se proprio non riesci a cambiare te stesso o il mondo, di soccombere, quindi, solo tale pulsione che in un certo senso in quanto essere attualmente infelice ti "condanna", e non ti vuole, e' giustizia.

Il che rivaluta l'immagine, la figura filosofica e concettuale intendo, di un Dio malvagio o di un Dio indifferente, che si identifica con l'innocenza un po' crudele della natura, come conquista del realismo e dell'intelligenza. Perche' questo Dio non vuole la felicita' dei giusti, vuole tautologicamente, solo la felicita' dei felici. E proprio in questo suo volere avalatuativo ed eticamente insignificante, e' a un passo dalla dissoluzione del concetto di se stesso, come Dio, verso un nichilismo ateo consapevole. Di questo Dio natura e naturale, da uomini, dal basso di una condizione veritativa umana, semmai si deve imitare come virtu' l'indifferenza, l'essere imperturbabile in una struttura di sostanziale accettazione, della realta' cosi' com'e', o, che e' lo stesso, se ne deve imitare la, putativa, malvagita'.

Una sorta di sequela dell'anticristo. Perfino il Dio indifferente, a te piccolo uomo sulla terra, ti puo' aiutare. Ma solo, facendoti da esempio se tu sei disposto, a seguire quell'esempio, a diventare avalutativo e amorale come quel Dio. E non in mille altri, e molto piu' fantasiosi, modi.

E questo a prescindere dai vari gradi di "realta' " o di verita' attribuiti ai vari, possibili dei.


#1406
Dio e' la natura, e' la natura impone a tutti i suoi figli la felicita', o quantomeno la ricerca del piacere e l'evitamento del dolore, come legge. Ovvero come assoluto a cui e' impossibile sottrarsi, volonta' di voluto, volonta' di (autotrasformantesi e autosuperantesi) volonta'.

Legge naturale, non legge morale. Il cui comando, sinteticamente e':

"Davanti al dolore, oh figlio della terra, oh essere immanente, cambia quello che e' in tuo potere cambiare, e per il resto... resisti e accontentati".

La Necessita', cioe' la legge di natura, non e' un monito (o un ostacolo) contro la possibilita' logica, o esistenziale, di un Dio malvagio o indifferente, ma contro la possibilita', logica o esistenziale, di un uomo giusto e infelice.

Non e' Dio lassu' nel suo ipotetico cielo, che non puo' essere "Dio, e insieme malvagio" (o, che e' lo stesso, Dio e insieme montalianamente, o epicureanamente, indifferente), ma sei tu, piccolo uomo su questa terra, che, secondo la legge di questa terra stessa, che ti compone, non puoi essere giusto, e, insieme, sofferente. Il messaggio della natura non e' per Dio, e' per te, la contraddizione, e' per te, il lupo, ulula per te.

La sofferenza e' un delitto, e dunque una ingiustizia, contro la natura.

La contraddizione, dunque, non e' tra Dio e indifferenza, o tra dio e malvagita', ma molto piu' immanentemente tra giustizia e sofferenza, dato che il comando, velevole per gli immanenti, e' reale, e comanda la felicita'.
La redenzione, del giusto sofferente, non c'e', non esiste e non ci sara' mai, perche' gia' il giusto sofferente, in se', e' una contraddizione in termini.
Se soffre, non e' giusto, davanti a Tribunale, della natura. Che sia giusto, davanti al tribunale, degli uomini, nel loro non essere natura, me ne importa, il giusto. Tanto piu' che qui con "soffrire" non intendo, genericamente, il "provare dolore", ma l'essere, in maniera propriamente umana, nella differenza (vagamente ambigua e autocompiaciuta) tra desiderio e realta'. Abitare stabilmente, questa differenza.

Il tipo d'uomo, che puo' pensare un Dio indifferente/imperturbabile, e da imitare come esempio e fonte di ogni virtu', proprio per il suo essere, indifferente/imperturbabile, un Dio di indifferenza, e quindi un Dio che puo' al limite del parossismo e del paradosso essere oggetto, d'amore, ma non ne sara' mai, d'amore intendo, soggetto, e' migliore, con tutto il rispetto per tutti e secondo me, e' un tipo umano migliore intendo, tanto dell'ateo volgare moderno, che non pensa direttamente a nessun Dio, quanto del cristiano, che pensa a un Dio che lo ama, e che soffre, e muore, con lui. Il Dio persona, appunto.


#1407
Tematiche Culturali e Sociali / Re: Geopolitica 2024
03 Febbraio 2024, 19:57:35 PM
Citazione di: Ipazia il 03 Febbraio 2024, 19:34:22 PMI nazifascisti sono in gran parte supporter di Israele fin dal 1967. Se non hai capito questo di che parli ? Il posto dell'ebreo l'ha preso l'arabo nell'immaginario ariano puro. C'è ancora qualche antisemita di vecchia tradizione, ma il grosso è allineato con Israele, Nato e Davos.

Agli Hammerband vorrei chiedere perché Budapest e non Kiev, dove i neonazisti non si limitano a sceneggiate in piazza. Ecco perché Davos. Come diceva quel tale: "a pensar male ..."


Forse i postfascisti moderati e di governo, attuali, tipo la Meloni, sono assolutamente proisraele, ma ti assicuro che quelli "stradaioli", curvaioli, residuali e anche fisicamente, pericolosi, Forza Nuova, Casapound eccetera, sono attualmente tutti antiisraele, antisemiti, e propalestina, basta che ti leggi qualunque loro comunicato, canzone, che ti informi realmente, invece di parlare per luoghi comuni e storie vecchie del 1967.

Poi, se vai a fare adesso come adesso in ucraina quello che gli antifascisti, hammerbande o no, hanno fatto in ungheria, semplicemente, ti sparano, o, se proprio ti va bene, non ti ci fanno arrivare, e un istinto di conservazione ce l'hanno tutti: certo la forma gloriosa della manifestazione pubblica antifascista e antiazov non e' cosa possibile, li'... ma ti assicuro che l'azov non sta simpatico a nessuno, nell'ambiente antifascista radicale, e neanche moderato...

Qualcuno ci e' anche andato, a combatterlo, ma certo nella forma della militanza clandestina individuale, la cosa ha fatto notizia solo per i morti e dopo che erano morti, ma chiedere perche' non si organizza una manifestazione pubblica anti azov in ucraina oggi, e' una domanda retorica, e' come chiedere perche' non si organizza una partita di hockey su ghiaccio nel deserto: per motivi ovvi, che non vale neanche la pena spiegare. Se vuoi, organizzala tu.

#1408
Tematiche Culturali e Sociali / Re: Geopolitica 2024
03 Febbraio 2024, 18:07:51 PM
Citazione di: Ipazia il 03 Febbraio 2024, 14:36:58 PMTipo Hammerband ? Ce ne vuole di doppio standard per difendere questo pattume Davos e criticare le BR.

È facile, dopo il genocidio dei palestinesi di Gaza, pensare che Hitler non avesse tutti i torti. Il sionismo ha dimostrato di non aver nulla di meno della ferocia razzista nazista. Solo chi è filosionista a prescindere puo scandalizzarsi per le esternazioni di Zacarova, sempre più condivise tra chi antisemita non lo è e non lo è mai stato: capolavoro politico di Israele, che peggio di così non poteva germogliare.



Io scherzavo eh, non mai detto di sparare a nessuno, ero ironico, rispondevo a Inverno, che e' spesso anche lui ironico, e il nesso, (proprio a livello di nesso logico, intendo) con la Hammerband in questa mia semplice battuta, "banda" che peraltro non ha mai sparato a nessuno, e non ha legami comprovati con Davos, e non e' nemmeno accertato che la Salis ne faccia parte, ce lo potevi vedere so tu, che segui, scusa se te lo dico, fili logici tutti tuoi.

Allibito davanti alla floridita', di eeemh,  collegamenti, tra cose non collegate, che possono venire fuori dalla logica populista... non so io, se sento dire: "potenza di fuoco", al massimo, ma proprio al massimo, mi vengono in mente le BR, dai... fuoco... pistola... la Hammerband... mi viene in mente al massimo se sento dire: "potenza di martello..." perche' io "poeta" non sono, tanto meno poeta delle stronzate.

Poi ok, Hitler non aveva tutti i torti, nessuno nella vita ha tutti i torti, pare che anche Hitler, abbia dato amorevolmente i biscottini al suo cane qualche volta.

Allora, di nuovo, il nesso che io, qui, dovrei seguire per cercare di capirti qual'e' ?!

Tolleriamo i neonazisti di oggi, e i loro raduni,  perche' sono nostri alleati nella lotta contro Israele?

Ma tu ti rendi conto, qualche volta, di quello che dici o a cui alludi?

Secondo te, l'antifascismo, proprio come concetto, oggi, il concetto contemporaneo di antifascismo, ha a che fare con il comprendere che le sedi e i raduni naziati siano oggettivamente un problema date le continue aggressioni fasciste che non colpiscono solo militanti, ma semplici passanti, gente inerme, immigrati, gay eccetera o, invece, ha a che fare con la scelta di combattere politicamente i fascisti, spendendoci tempo, energie eccetera?

Perche' non e' affatto, la stessa cosa, ed e' su questo, su questo necessario distinguo, che si reggono la maggior parte degli equivoci.

Un antifascista, oggi, e' uno che combatte i fascisti, o e' uno che capisce astrattamente e cognitivamente che i fascisti sono un problema?

A te puo' non piacerti la Hammerband, e puoi vederci dei collegamenti segreti con Soros che sai solo tu, ma quello che vorrei farti capire, e' che per essere mandato all'ospedale dalla Hammerbande, almeno un po', te lo devi essere andato a cercare: devi essere andato in un certo posto, a una certa ora, laddove si teneva un certo raduno. Non so se mi spiego, valutazioni oggettive, su un piano di realta' qui sto facendo, non politiche o morali...

Invece, in che senso, te lo devi essere andato a cercare, di essere mandato all'ospedale da un gruppo di fascisti di passaggio o di coatti e piccoli criminali che alla cultura fascista aderiscono?

Hai un taglio di capelli che a loro non piace?

Sei nero?

Sei per mano con uno del tuo stesso sesso?

Sei bianco, ma stai mangiando kebab?

Stai uscendo da un concerto di musica che a loro non piace?

A loro basta questo, per mandarti all'ospedale.

A parte quando si menano in manifestazione con gente organizzata a loro contrapposta (cioe' quasi mai).

Obbiettivamente, diventa troppo difficile evitarlo.

Hanno troppe pretese, di quello che tu secondo loro devi fare, per non diventare obbiettivo, dei loro pestaggi. Tanto meno gli africani, si possono tingere la pelle

Quindi, quando dico che questi qui sono un problema di ordine pubblico, e che in un mondo ideale di loro, di questa gente qui, se ne dovrebbero occupare le autorita', dico un dato di fatto.

Io... Non sono un antifascista perche' preferisco la mia liberta' di camminare per le strade con i capelli tagliati come mi pare, mangiando, quello che mi pare, per mano, a chi mi pare, sentendo, la musica che mi pare, alla loro liberta' di esistere, (di esistere... e di essere, quello che sono, e di dire, quello che dicono, e di fare, quello che fanno, e di istigare a fare, quello che istigano a fare).

Sono solo uno che ancora non si e' bevuto il cervello, e che capisce che un evento pericoloso imprevedibile, puo' capitare a tutti. Sono nella concretezza delle cose, sono nella ragione illuministica. E cosi', come me, chiunque altro.

Sono, o sarei, al massimo, un antifascista, se faccessi qualcosa di reale e concreto per combatterli. E non intendo necessariamente diventare come loro. Andarli a prendere uno per uno tipo la Hammerbande.
Ci sono tanti modi, e tanti tempi, per fare le cose se uno le vuole fare.

Ma, e questo e' il punto, chiamare antifascismo il livello cognitivo/pratico di quello che e', o non e' un problema, per un individuo che voglia circolare liberamente per strada senza essere spragato, e magari entrare in un consultorio pagato con le proprie tasse, senza trovarci i volantini antiabortisti, e' proprio il giochetto dei fascisti, dei populisti, dei rossobruni e dintorni.

Loro, dicono che se ancora ti funziona il cervello, e vuoi vivere e circolare liberamente in uno stato liberale, magari godendo di alcuni, dei pochi, diritti civili che ancora lo stato liberale ti offre, tipo quello di farti i capelli come ti pare o di girare per mano con uno del tuo stesso sesso eccetera,
allora>>> sei antifascista. Sei nel gioco degli opposti estremismi laddove il vero problema e' la nato e il Capitale, e Israele, eccetera. Per questo, vedono molti, ma molti, piu' antifascisti (da loro reputati tali) in giro di quelli che davvero ci sono.

E io rispetto pienamente, chi non e' antifascista.

Chi davvero non gliene frega niente e non e' dispisto a spebdere un minuto di tempo o un soffio di fiato per combattere il fascismo.

Ma nel senso di antifascismo che ho appena spiegato qui.

Cioe' purche' razionalmente, dove sta il problema, pur non volendoci fare niente e avere niente a che fare, lo abbia capito.

Non rispetto, chi invece, dice, o afferma, o allude, che sia intrinsecamente un estremismo, contrapponibile a un altro estremismo, il mero stare in una democrazia e godere dei suoi benefici. Che chi capisce che i (neo)fascisti sono un problema allora e' "antifascista", nel senso di partecipe di un gioco di opposti estremismi.

La ragione in se' e' sempre innocente. Innocente pure del "crimine" di antifascismo, e pure se io per assurdo volessi concedere che l'antifascismo sia un crimine.

Questo tipo umano non e' antifascista, e' solo normodotato. Io sono libero, libero di dire pane al pane e vino al vino, normodotato al normodotato, e antifascista all'antifascista. E chi aspetta che spranghino lui, o una persona a lui cara, per capire la natura del problema, a livello di problema di sicurezza e integrita', e' minus habens. Visto che ti piace questo termine.


#1409
Tematiche Culturali e Sociali / Re: Geopolitica 2024
02 Febbraio 2024, 20:43:32 PM
Citazione di: Ipazia il 02 Febbraio 2024, 17:40:13 PME ti va bene che l'Eurasia non esiste ( a proposito di metafantapolitica....) e chi ci sta ha altro da fare che occuparsi di niko: un'accozzaglia di stati nazione e colonie USA, l'un contro l'altro armati. Come ai tempi di "Franza o Spagna purché se magna", nel paese più prono di tutti, che l'unica volta che provò a passare di grado come stato nazione si ritrovò i Savoia e Mussolini.

Ma si può essere più  geopoliticamente sfigati ?!

Adda venì baffone euroasiatico ...


Se l'Eurasia non esiste, e' proprio il concetto di esistenza, che deve avere qualche problema...

#1410
Citazione di: InVerno il 02 Febbraio 2024, 20:16:33 PMSpero che il tuo presidente dell'Eurasia perda perlomeno uno dei vizi più antichi dell'uomo che si propaga da Hamas al tassista romano fino all'agricoltore padano, la pretesa di "sciuscià e sciurbì" (aspirare e soffiare insieme, per un ligure) o più comunemente il "chiagni e fotte".

Il tema di questa discussione è drammaticamente serio, e il fatto che si parli di cibo lo rende pressante per la soppravvivenza ma in realtà si estende a tutti i settori. Senza idrocarburi il costo di tutto triplicherà, che fare con le piccole-medio imprese che sono l'ossatura economica europa? Non hanno l'economia di scala per competere con le multinazionali, ma non hanno neanche la capacità di "nicchia" delle microimprese. Sarà un mondo diviso tra giganti e nanerottoli, senza classe media? Allora sarà anche un mondo senza democrazia. E no, il pericolo non è il populismo, che è solo l'etichetta che usa chi non capisce le dinamiche sociali, il pericolo è proprio un mondo senza democrazia, cioè un mondo fascista e feudale.



Feudale lo e' gia' (questo mondo...) fascista, il populismo, cioe' il metodo di governo dei falsi problemi e dei falsi nemici, ce lo fara' diventare sempre piu'.

Se infine si deve arrivare ad una guerra, allo spettro della terza (ed ultima) guerra mondiale, la presa emotiva sulle masse delle ideologie non potra' che aumentare.

Le ideologie fredde, non emotive, funzioneranno sempre di meno.

E quelle calde, messianiche, revansciste, sempre di piu'.

Non e' certo questo, mondo, a poter scendere in guerra.

Ci vogliono molti piu' disperati, e piu' soffiatori sul fuoco della disperazione.

Altroche' trascendenza robotica, macchinica, altroche' transumanesimo.

Le macchine la guerra non la fanno.

O meglio, la fanno ma non la iniziano, non ne' concepiscono le cause.

Per questo, non possono ancora sostituirci.