Il capitolo cinque del libro "change" di Watzlavick si intitola "la sindrome da utopia". Con sindrome da utopia W. intende quell'attitudine radicata in Occidente, di poter ottenere qualsiasi cambiamento sulla base del "dovrebbe essere", impartito dalla società umana ed in grado di piegare "l'essere" ai suoi voleri. Riporto la chiusura del capitolo, a costo di essere noioso:
"In pratica esistono molte situazioni in cui accade di cambiare la realtà per conformarla ad una premessa. Ma è probabile che ci siano altrettante situazioni in cui non si può modificare in alcun modo lo stato delle cose. Se in una qualunque di tali situazioni le condizioni potenziali (il dovrebbe essere) sono considerate più reali della realtà, allora si tenterà il cambiamento dove non può prodursi e dove neppure si sarebbe dovuto tentare se inizialmente non fossero state postulate premesse utopistiche".
W., forte di una lunga esperienza di vita in India, prima di diventare uno degli esponenti di punta della PNL della scuola di Palo Alto, si pone in modo critico rispetto a tutta l'esperienza tecnico/filosofica dell'Occidente. Esperienza fondata proprio sull'Utopia come "non luogo prima progettabile e poi realizzabile". Al culmine del potere simbolico dell'Occidente, Weber poteva scrivere "perseguire ciò che ancora non c'è è il primo modo per realizzarlo". A tale enunciato risponde il famoso maestro zen a cui un discepolo infervorato domanda come si raggiunge l'Illuminazione (altro luogo utopistico) e al quale viene risposto: "tornare a casa e dormire serenamente".
Noi Occidentali siamo quel che siamo perché ci abbeveriamo da secoli di "dovrebbe essere" e riteniamo "l'essere" come un limite da superare, per ottenere un " super essere" in continuo autosuperamento.
Quello che mi domando è se questo percorso vada oggi ricondotto a più miti ragioni, se si debba tornare al semplice " essere" Orientale e cosa questo comporti. Non è un caso che la dialettica, la democrazia, la filosofia, siano nate e cresciute nell'albero della Sindrome da utopia, mentre il dispotismo, il fatalismo, la resa agli eventi siano tipiche delle culture che preferiscono l'essere al dover essere. Oppure, e questa è la seconda domanda, se è possibile una sintesi proficua fra i valori dal lato dell'essere orientale e i valori dal lato del dover essere occidentale.
"In pratica esistono molte situazioni in cui accade di cambiare la realtà per conformarla ad una premessa. Ma è probabile che ci siano altrettante situazioni in cui non si può modificare in alcun modo lo stato delle cose. Se in una qualunque di tali situazioni le condizioni potenziali (il dovrebbe essere) sono considerate più reali della realtà, allora si tenterà il cambiamento dove non può prodursi e dove neppure si sarebbe dovuto tentare se inizialmente non fossero state postulate premesse utopistiche".
W., forte di una lunga esperienza di vita in India, prima di diventare uno degli esponenti di punta della PNL della scuola di Palo Alto, si pone in modo critico rispetto a tutta l'esperienza tecnico/filosofica dell'Occidente. Esperienza fondata proprio sull'Utopia come "non luogo prima progettabile e poi realizzabile". Al culmine del potere simbolico dell'Occidente, Weber poteva scrivere "perseguire ciò che ancora non c'è è il primo modo per realizzarlo". A tale enunciato risponde il famoso maestro zen a cui un discepolo infervorato domanda come si raggiunge l'Illuminazione (altro luogo utopistico) e al quale viene risposto: "tornare a casa e dormire serenamente".
Noi Occidentali siamo quel che siamo perché ci abbeveriamo da secoli di "dovrebbe essere" e riteniamo "l'essere" come un limite da superare, per ottenere un " super essere" in continuo autosuperamento.
Quello che mi domando è se questo percorso vada oggi ricondotto a più miti ragioni, se si debba tornare al semplice " essere" Orientale e cosa questo comporti. Non è un caso che la dialettica, la democrazia, la filosofia, siano nate e cresciute nell'albero della Sindrome da utopia, mentre il dispotismo, il fatalismo, la resa agli eventi siano tipiche delle culture che preferiscono l'essere al dover essere. Oppure, e questa è la seconda domanda, se è possibile una sintesi proficua fra i valori dal lato dell'essere orientale e i valori dal lato del dover essere occidentale.