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Messaggi - Sariputra

#1411
Citazione di: Phil il 14 Gennaio 2017, 12:00:16 PM
Citazione di: Sariputra il 13 Gennaio 2017, 23:34:02 PMla premessa di base della logica espressa nella formula A=A è pertanto una verità presunta, non dimostrata. Penso possa essere definita come una verità di tipo intuitivo, infatti intuiamo che un cane è un cane e non certo un asino. Questa intuizione però, che è vera certamente, è condizionata e non esclude altre intuizioni quali per l'appunto: A non è A, pertanto A, la realtà esistenziale nel tempo dell'ente cane.
L'impermanenza non può essere tradotta "al volo" in forme logiche permanenti (l'ambizioso isomorfismo logico neopositivista), il linguaggio arranca sempre dietro allo scorrere del reale, restando sempre un passo indietro... l'assioma A=A è fuori dal tempo, ma il tempo umano non ha "realmente" un fuori (e ciò la dice lunga sulla fallibilità del linguaggio). E aggiungendo quantificatori temporali, rimane comunque arbitraria e "ritardata" (fuori sincrono) la loro esatta quantificazione: At1=At1, At2=At2, etc. ma in quell'"uguale", c'è tutta l'inafferrabile transitorietà dell'"è" pensato al presente: nel momento in cui lo dici è già passato, e anderebbe verificato di nuovo (se invece lo poni nel futuro, non puoi affermalo perchè non hai potuto ancora verificarlo...). I principi della logica (assiomi non dimostrabili all'interno dello stesso sitema che fondano) servono per poter parlare e, nella migliore delle ipotesi, ragionare correttamente, ma tale correttezza è "formale", quindi permanente, quindi astratta (alienata?) dall'impermanenza dell'accadere. Sostenere "A è anche Non-a, e proprio per questo può essere A"(cit.) probabilmente allude proprio alla temporalità fluente in cui "A" è in potenza anche "non A", ovvero "A" è la causa presente del suo successivo essere "non più A" (così come è stata effetto del suo precedente essere "non ancora A").

Sono d'accordo con te e sottolineo che "A è anche non-A, pertanto può essere A" non è altro che una formula che cerca di definire il fluire, l'impermanenza, che non può essere fermata, per sua natura, in una formula verbale. Tra l'altro non ha nemmeno l'intenzione di sostituirsi all'intuizione A=A, che viene ritenuta come "vera" nel senso comune di percepire gli enti , Che un albero sia un albero è vero, ma è una forma di verità parziale, incompleta, se così ci si può esprimere. Nel pensiero buddhista non si può staccare la formulazione di Nagarjuna dalla catena di produzione condizionata ( paticcasammupada): proprio perché A è anche Non-A, può essere causa del successivo essere A, come hai scritto...
#1412
Citazione di: cvc il 14 Gennaio 2017, 11:56:29 AM
Citazione di: Sariputra il 14 Gennaio 2017, 11:21:16 AM
Citazione di: cvc il 14 Gennaio 2017, 10:41:33 AM@Sariputra Intuito e ragione sono due forze imprescindibili che interagiscono in noi. Dato che noi abbiamo anche la capacità di concentrarci sull'una o sull'altra tendiamo, per semplificazione, a considerarli separatamente scordando l'intuito che c'è nella ragione e la parte di razionalità che alberga nell'untazione. Come ho detto secondo me i principi cardine sono necessità e volontà. Dato che erroneamente li consideriamo separatamente, e dato che ci è più facile esercitare la volontà sulla ragione che sull'intuito, tendiamo a privilegiare la prima. Ma c'è anche l'altro principio, quello della necessità, dell'inevitabile, del fluire e divenire delle cose che ha una sua logica che ci sfugge e che gli stoici identificano con Dio-Ragione Universale. A me riesce impossibile negare l'esistenza di Dio, perché anche proclamandomi ateo non posso fare a meno di tornare a pensare a Dio. Si può essere atei solo in vista di un'esistenza creduta o supposta di Dio. E capita di vedere atei incalliti (Corradi Augias ad es) che non smettono di parlare di Dio. È nel rapporto fra necessità e volontà. - o destino e libertà. - che vedo le cose più interessanti. La libertà giunge solo quando si accetta l'inevitabile - inclusa l'umana ignoranza sull'esistenza o meno di Dio - esercitando la propria volontà e libertà attraverso questa decisione deliberata.
C'è sempre in noi questa sorta di ambivalenza, di affermare negando e di negare affermando. Spesso, quelli che non credono in Dio ( noi diamo per scontato che quando si parla di Dio s'intende il dio cristiano, ma ci sono molte visioni e idee diverse su questo "Dio"...), passano la vita a tentar di dimostrare che il loro non credere è veritiero. quindi inconsciamente , negando l'Altro, tentano di affermare se stessi. Personalmente vedo , sia nel credere indimostrabile che nel non credere, lo stesso tentativo fatto dall'Io di delimitarsi dei confini precisi. Per affermare il suo "essere ente" reale, sostanziale questa creatura immaginaria ha bisogno di sentirsi in relazione con altro ( nel caso del credente) o con se stesso ( nel caso dell'incredulo). E' un bisogno psicologico fondamentale, direi quasi naturale. Essere consapevoli di questo bisogno naturale aiuta, a mio parere, ad osservarlo, a comprenderne l'irrealtà pur essendone vincolati come necessità. Già solo la pratica di osservare questo fenomeno mentale interiore, questa necessità e volontà di essere un ente ben definito, crea un minor attaccamento a questo processo mentale incessante. Da non sottovalutare anche la necessità e volontà di sicurezza dell'Io e la necessità e volontà di fuggire la Paura. Nel primo caso si manifesta nell'egoismo personale e nel secondo nella credenza in una divinità protettrice dalle nostre paure ( di non-essere un ente ben definito in questo caso...). Le due fasi d'essere dell'Io si alternano continuamente. e s'intrecciano senza sosta durante l'esistenza. Osserviamo come all'aumentare della paura ci si rivolga all'Altro protettore e al diminuire si ritorni velocemente all'ego...( basta la minaccia di una malattia per accorgersi di come funziona la nostra mente...). Ai due estremi abbiamo il mistico che si identifica con la divinità protettrice adorata e viceversa , dall'altra parte, l'incredulo che si identifica totalmente con il proprio egoismo, assumendo di fatto il volto di un "demone". Questa necessità e volontà dell'Io di "appoggiarsi" all'ego o all'Altro ne rivela la fragilità, l'inconsistenza oltre che variabilità. Se l'Io fosse realmente un "ente in se stesso fondato" non avrebbe bisogno di identificarsi incessamente con altro per essere.
Si potrebbe dire che tutto è relazione. Però la relazione stessa ha bisogno di un principio, la funzione che unisce elementi di insiemi diversi. E questo principio deve rimanere immutabile affinché la relazione sia valida. Perciò la relazione è un qualcosa di dinamico che ha però bisogno di una costante. Quindi le cose sono sempre più complesse di quando diciamo che tutto è questo o tutto è quest'altro . E Dio è la più grande delle semplificazioni. Sta di fatto che abbiamo bisogno di semplificare per orientarci in un mondo complesso, e abbiamo bisogno di orientarci per adattarci, per assimilare, per obbedire al nostro istinto di autoconservazione. Perché conservarci è la nostra necessità maggiore, la priorità. Ma quando, data la nostra natura razionale, capiamo di non poterci conservare per sempre, allora assume importanza la nostra idea di libertà. Perché a fianco di ciò che non possiamo cambiare scopriamo la nostra facoltà di dare un senso alle cose. E questa è la sola vera libertà, la libertà di giudicare, perché essa sola può dipendere esclusivamente da noi. In questo senso l'io acquista la sua autonomia.

Sono d'accordo. Tra l'altro un'autonomia della volontà è necessaria perchè ci sia un'etica. Infatti la critica all'idea di Io, non si rivolge alla sua necessità , che è un fattore naturale e necessario, come ben scrivi, ma solamente all'idea della sua sostanzialità e pemanenza in senso ultimo, o metafisico.
#1413
Tematiche Filosofiche / Re:Tempo ed eternità
14 Gennaio 2017, 11:53:20 AM
Citazione di: Apeiron il 13 Gennaio 2017, 14:50:16 PM
Citazione di: paul11 il 12 Gennaio 2017, 23:12:25 PMLa salvezza cristiana in sostanza è il "completamento" che si ha con la "visione beatifica". A differenza del neoplatonismo questo "ritorno a Dio" non sarebbe un riassorbimento nell'Uno ma una "elevazione" dell'io - in sostanza anche noi saremo trasformati in qualcosa che è simile a noi ma non è uguale. Chiaramente poi se il cosmo è ciclico il cristianesimo descriverebbe a modo suo un ciclo.

E' il sogno profondo dell'Io quello di assumere infine una dimensione eterna ( che però non può che immaginare come una vita perpetua) e lasciarsi alle spalle quella fastidiosa sensazione di fragilità e incompletezza che lo attanaglia. Quindi è proprio di "elevazione" dell'Io, come scrivi, che si parla nel cristianesimo ( e ancor di più nell'Islam ). Un Io che è simile al nostro Io attuale ( che però non riusciamo a definire  chiaramente cos'è questo senso di "Io") che, da impermanente e corruttibile, diventa permanente e incorruttibile.
#1414
Citazione di: cvc il 14 Gennaio 2017, 10:41:33 AM@Sariputra Intuito e ragione sono due forze imprescindibili che interagiscono in noi. Dato che noi abbiamo anche la capacità di concentrarci sull'una o sull'altra tendiamo, per semplificazione, a considerarli separatamente scordando l'intuito che c'è nella ragione e la parte di razionalità che alberga nell'untazione. Come ho detto secondo me i principi cardine sono necessità e volontà. Dato che erroneamente li consideriamo separatamente, e dato che ci è più facile esercitare la volontà sulla ragione che sull'intuito, tendiamo a privilegiare la prima. Ma c'è anche l'altro principio, quello della necessità, dell'inevitabile, del fluire e divenire delle cose che ha una sua logica che ci sfugge e che gli stoici identificano con Dio-Ragione Universale. A me riesce impossibile negare l'esistenza di Dio, perché anche proclamandomi ateo non posso fare a meno di tornare a pensare a Dio. Si può essere atei solo in vista di un'esistenza creduta o supposta di Dio. E capita di vedere atei incalliti (Corradi Augias ad es) che non smettono di parlare di Dio. È nel rapporto fra necessità e volontà. - o destino e libertà. - che vedo le cose più interessanti. La libertà giunge solo quando si accetta l'inevitabile - inclusa l'umana ignoranza sull'esistenza o meno di Dio - esercitando la propria volontà e libertà attraverso questa decisione deliberata.

C'è sempre in noi questa sorta di ambivalenza, di affermare negando e di negare affermando. Spesso, quelli che non credono in Dio ( noi diamo per scontato che quando si parla di Dio s'intende il dio cristiano, ma ci sono molte visioni e idee diverse su questo "Dio"...), passano la vita a tentar di dimostrare che il loro non credere è veritiero. quindi inconsciamente , negando l'Altro, tentano di affermare se stessi. Personalmente vedo , sia nel credere indimostrabile che nel non credere, lo stesso tentativo fatto dall'Io di delimitarsi dei confini precisi. Per affermare il suo "essere ente" reale, sostanziale questa creatura immaginaria ha bisogno di sentirsi in relazione con altro ( nel caso del credente) o con se stesso ( nel caso dell'incredulo). E' un bisogno psicologico fondamentale, direi quasi naturale. Essere consapevoli di questo bisogno naturale aiuta, a mio parere, ad osservarlo, a comprenderne l'irrealtà pur essendone vincolati come necessità. Già solo la pratica di osservare questo fenomeno mentale interiore, questa necessità e volontà di essere un ente ben definito, crea un minor attaccamento a questo processo mentale incessante. Da non sottovalutare  anche la necessità e volontà di sicurezza dell'Io e la necessità e volontà di fuggire la Paura. Nel primo caso si manifesta nell'egoismo personale e nel secondo nella credenza in una divinità protettrice dalle nostre paure ( di non-essere un ente ben definito in questo caso...). Le due fasi d'essere dell'Io si alternano continuamente. e s'intrecciano senza sosta durante l'esistenza. Osserviamo come all'aumentare della paura ci si rivolga all'Altro protettore e al diminuire si ritorni velocemente all'ego...( basta la minaccia di una malattia per accorgersi di come funziona la nostra mente...). Ai due estremi abbiamo il mistico che si identifica con la divinità protettrice adorata e viceversa , dall'altra parte, l'incredulo che si identifica totalmente con il proprio egoismo, assumendo di fatto il volto di un "demone".
Questa necessità e volontà dell'Io di "appoggiarsi" all'ego o all'Altro ne rivela la fragilità, l'inconsistenza oltre che variabilità. Se l'Io fosse realmente un "ente in se stesso fondato" non avrebbe bisogno di identificarsi incessamente con altro per essere.
#1415
Citazione di: Apeiron il 14 Gennaio 2017, 09:33:29 AM@cvc la tua metafora è bellissima e la penso più o meno allo stesso modo. Concordo che i filosofi sono come bambini troppo curiosi e per la loro curiosità la rischiano grossa, finendo spesso di strangolarsi con i loro stessi mostri linguististici. Detto questo ritengo il taoismo tra le filosofie più rigorose perchè da quello che mi pare di vedere i filosofi taoisti prima formulano un'ipotesi metafisica e poi la distruggono. E in effetti credo che più di ogni altra tradizione viene contemplato il silenzio contemplativo. Ogni riga del Tao Te Ching mi sembra un invito a riconoscere che ogni nostra metafisica non potrà mai cogliere la realtà. Perchè dunque scrivere libri o parlare di queste cose? Semplice per dimostrare che non si può parlare (un po' come il Tractatus...). Motivo per cui non concordo con acquario69 che dice che il Tao è identificabile con lo 0 che genera l'1. Il problema è che se il Tao è qualcosa è già un "1", quindi per non essere identificato con l'1 (in modo simile nel neoplatonismo si dice che l'Uno è ineffabile...). Quello che secondo me voleva dire Laozi è ribadire che il Tao ossia la Via in cui procedono gli eventi è incomprensibile (d'altronde "il Tao che può essere detto non è il Tao eterno...") e lo stesso Chuang-Tzu rifiutava l'idea secondo la quale il taoismo era un filosofia monistica (cioè rifiutava il detto che "tutto è uno"). Infatti se al posto di Tao ci mettete "Mistero" credo che il libro sia più facile da comprendere. In ogni caso il Tao non è né l'Essere né un Ente, cosa che per un occidentale è aberrante. Detto questo sorprendentemente concordo sul fatto che sia un concetto ben definito l'Ente che è "creatore e sostenitore" di tutto ma questo è appunto un Ente (Dio) e non il Tao. In ogni caso per spiegare il divenire a mio giudizio si deve accettare di "usare" una metafisica che si fonda sulle logiche paraconsistenti, cioè che ammettono contraddizioni. Altrimenti ci creaiamo dei "sistemi" coi quali finiamo per strangolarci.

Alla fine torniamo al punto che, per comprendere la natura del reale, abbiamo bisogno di quella che viene comunemente chiamata esperienza "mistica"? O esperienza ineffabile, indefinibile, indescrivibile, ecc.?
La quale comporta un alto grado di pericolosità perché, per l'appunto , non dimostrabile e soggetta allo stato condizionato dell'agente. La filosofia ha il merito di mostrare i limiti del ragionamento logico e di ogni pretesa metafisica, ed è assolutamente importante comprendere ed avere consapevolezza di questi limiti della ragione umana. Pertanto non è in discussione, a parer mio, la validità e l'importanza della filosofia e del filosofare ( più o meno bene nei limiti appunto di ognuno...) ma la pretesa della filosofia di superare i limiti della ragione. Senza la filosofia non avremmo nemmeno la consapevolezza di questi limiti, che la riflessione filosofica sposta sempre più in là, rivelando così un "campo" della ragione sempre più vasto. Per es., l'interrogarsi sulla funzione e sulle distorsioni del linguaggio e del suo uso all'interno della filosofia stessa è fondamentale, come scrivono anche Apeiron e Cvc. I limiti del linguaggio sembrano addirittura più stringenti di quelli della ragione stessa.
Per esempio, la funzione "intuitiva" del pensiero non si può descrivere con un linguaggio appropriato, ma si può "suscitare" in qualche modo anche attraverso l'uso del linguaggio. Spesso , leggendo per es. un libro di poesie o di narrativa, si hanno intuizioni più dirette che non ragionando su un trattato filosofico. La mente rivela potenzialità espressive che investono globalmente la persona e possono suscitare quella consapevolezza intuitiva del reale.
#1416
@Phil
Mi spiace per la tua influenza. In questo momento l'ente influenza è diverso da te o tu sei anche l'ente influenza?  ;D
scrivi:
se A è il giorno e B è la notte, non avremmo problemi ad affermare che il giorno diventa notte, senza nessuna contraddizione logica...

Ma per accettare che il giorno diventa la notte, dobbiamo per l'appunto accettare il divenire di A in B che, come giustamente scrivi, si pone in uno spazio e in un tempo. C'è un continuo divenire di momenti ( chiamiamoli Ab, Ac, Ad.ecc.non ha importanza) che fanno sì che l'ente A si trasformi nell'ente B che poi darà vita , in momenti successivi, a C, D, E.ecc.
Come "seguace" dell'impermanenza non ho alcuna difficoltà a intuire e ritenere valido questo processo di trasformazione, anzi ritenendolo il vero essere del reale. L'ente però si dimostra mutabile e non potrebbe essere altrimenti. Ma dov'è l'essere ( che per definizione è e quindi non può mutare) di questo ente? Qual'è il momento in cui A è A e B è B? Introvabile...
La legge d'identità ci dice che A=A. Un cane è un cane ; un uomo è un uomo. Un cane non può essere un non-cane e un uomo un non-uomo. Solo che l'"essere" cane è introvabile, non essendo mai, in nessun momento, cane ( se non come designazione convenzionale)  . Qual'è il momento esatto in cui il giorno è giorno e la notte è notte? Introvabile...Solamente come designazione possiamo dire "Ora è giono" e "Adesso è notte".Quindi , come direbbe il Nagarjuna "A è anche Non-a, e proprio per questo può essere A". ( ente è anche niente e proprio per questo è un ente).
Come è possibile verificare che A è A? Come possiamo verificare questa fondamentale Legge di Identità, questo modello archetipico su cui si debbone basare i ragionamenti logici?
Irvin Copi scrive:
"Ogni sistema deduttivo, a meno che non voglia cadere in una circolarità o in un regresso all'infinito, deve contenere alcuni assiomi o postulati che vengono assunti ma non dimostrati nell'ambito del sistema...essi non sono dimostrati nell'ambito dello stesso sistema...Ogni argomentazione intesa a stabilire la verità degli assiomi è assolutamente fuori dal sistema, ovvero extra-sistemica"
Secondo questa visione, la premessa di base della logica espressa nella formula A=A è pertanto una verità presunta, non dimostrata. Penso possa essere definita come una verità di tipo intuitivo, infatti  intuiamo che un cane è un cane e non certo un asino. Questa intuizione però, che è vera certamente, è condizionata e non esclude altre intuizioni quali per l'appunto: A non è A, pertanto A, la realtà esistenziale nel tempo dell'ente cane.
#1417
Citazione di: maral il 13 Gennaio 2017, 22:10:01 PM
Citazione di: Sariputra il 13 Gennaio 2017, 16:32:05 PMnoto pure una certa divergenza d'opinioni ( o almeno a me pare tale...) tra voi stessi. Infatti Phil afferma: "Un ente non è un niente, poichè l'ente è numerabile, contabile, identificabile, il niente invece no." Al che Maral insinua invece che: "l'ente è, anche quando è quel particolarissimo ente che dice di sé di non essere ente, ossia di essere niente, un vero satanasso."
Non scoraggiarti Sari, l'ente non è mai niente (e non tanto perché non è numerabile, mi pare, dato che di enti non numerabili ce ne sono tanti e forse nessun ente lo è propriamente, a parte forse quegli enti che sono appunto i numeri), ma il niente è un ente dietro la sua maschera mentitrice che finge di essere niente, se infatti, come dici il niente è assenza di ogni ente si è già dichiarato come ente che qualcosa è, esattamente "l'assenza di ogni ente". Severino dice che il niente è un significante che significa l'autocontraddizione ossia significa niente, dato che ad autocontraddirsi non si dice niente, ma questo non vuol dire che non è, ovviamente, ma che è. Perché il niente non fosse bisognerebbe non dirlo né pensarlo, ma come si fa? Una volta pensato l'Essere (maledetto Parmenide!) non resta che pensare il niente (e oggi non manca certo chi afferma pure il contrario, ossia che si comincia con il non pensare niente per poi pensare qualcosa: come è noto tutto cominciò da niente e forse proprio lì alla fine tutto ritorna). Anche l'Essere dopo tutto è ente che dice sempre il vero, ossia ripete sempre la sua tautologia di cui ogni ente partecipa al participio presente. Heidegger voleva provarci a concepire l'Essere a prescindere dagli enti (l'ente è la radura dell'Essere andava dicendo), finì depresso sull'orlo del suicidio, la piantò lì dopo aver cercato l'Essere nella illuminazione poetica e concluse che solo un Dio ci potrà salvare e da cosa se non dal Niente? Wittgenstein, da buon mistico appassionato di logica, concluse che di ciò che non si può parlare bisogna tacere, ma così dicendo, ahimè, si era già contraddetto, se semplicemente fosse stato zitto avrebbe dimostrato più coerenza. Una cosa però mi sembra di poter dire a favore del Niente, pur essendo l'autocontraddizione fatta ente a modo suo è terribilmente coerente, infatti a rimuginare sul niente non si conclude mai niente, comunque la si metta, è logico. :D P.S a me non pare che a dire essente sia dire esistente, uno è il participio presente di essere, l'altro di esistere, sono due verbi diversi e un motivo ci sarà, il primo richiama qualcosa che sta, definitivo, inamovibile, incontaminabile nella purezza tautologica di "è", il secondo invece qualcosa che si fa largo per saltar fuori e apparire nella fenomenologia dei suoi significati per ogni altro ente (i "cerchi dell'apparire", come direbbe Severino). Ma ognuno può vederla come meglio crede, che nulla, finché non si muore, sarà mai definitivo :) .

Anche Severino però, come mi sembra ricordare dalla bellicosa discussione di qualche tempo fa, pare approdare alle stesse conclusioni di Parmenide, ossia negando in definitiva il divenire e "cristallizzando" in eterno gli enti...

P.S. Tra poco entrerò nella ristretta elite degli utenti "storici" del forum, dove mi sembra abbia trovato posto fin'ora, e da poco tempo, il solo Paul11 ( cha Allah lo preservi!). Per l'occasione ho intenzione di festeggiare con un sontuoso e poco buddhista banchetto tenuto nel salone della Villa. Naturalmente siete tutti virtualmente invitati. Potrete conoscere meglio la Vania e la Maddi... ;D
#1418
Tantissimi spunti interessanti su cui riflettere...
Sappiamo quindi che un ente è qualcosa che c'é ( il famoso drago che svolazza sopra Padova non c'è e quindi non è un ente, ma sognarlo è un ente). Però mi pare più complesso definire cos'è quel qualcosa che c'è. Ossia definire la natura dell'ente che poi è proprio la domanda nel titolo della discussione. Osserviamo che ogni ente è formato da innumerevoli altri enti, a sua volta formati da altri innumerevoli e così via. Parmenide ci dice che l'ente è l'essere di una cosa. Questo mi sembra prestarsi a parecchie complicazioni. Il greco era assolutamente convinto che, per il solo fatto di pensare, dobbiamo postulare che qualcosa "è". Ciò che non-è non è possibile nemmeno pensarlo; come può allora essere una parte della realtà? Non-essere, per Parmenide, è pertanto impossibile. Il corollario di questa affermazione è l'impossibilità del cambiamento, dato che il cambiamento comporta tanto l'essere che il non-essere. Per es. quando A cambia in B, A non esiste più. Come si può pensare una siffatta contraddizione? Una qualità non si può cambiare in un'altra qualità; affermare questo significa affermare, a parer mio, che qualcosa "è" e al contempo "non-è". Quindi  l'ente , per poter cambiare, è nel contempo non-ente ( ni-ente?..?.
Inoltre, se l'essere è diventato, deve pure esser venuto o da un essere o da un non-essere. Però se viene da un non-essere è impossibile. Come può un qualcosa venir fuori dal nulla? Se viene da un essere, allora è venuta da se stesso, che sarebbe come dire che è identico a se stesso, e così è sempre stato. Se è questo il caso, non è certo un caso di "divenire". Parmenide , da quel poco che ho letto, è costretto a concludere che da un essere può venire solo un essere, che nulla può diventare qualcos'altro, che qualsiasi cosa ( ente) è, è sempre stata e sempre sarà e che ogni cosa rimane ciò che è. Quindi, alla fine della fiera, può esistere solo un unico, eterno, indiviso e immutabile Essere.
Questo ragionamento, se non sbaglio, è alla base dell'Occidente ( con infinite variazioni ma partendo da..) e di svariate religioni, credi, ecc. ( Sono d'accordo con Apeiron che lo definisce un Errore, con la maiuscola...).
Uno dei problemi che vedo in questa visione "sostanziale" delle cose e che si ritiene possibile avere la sostanza senza gli attributi o i modi; viceversa la visione "modale" pensa che si possa fare a meno della sostanza. Non c'è, però, attributo senza sostanza , né sostanza senza attributo. Classico l'esempio del fuoco e del suo rapporto con il combustibile:
-il fuoco non-è il combustibile, perché se no il consumatore e il consumato dovrebbero essere identici.
-né il fuoco è diverso dal combustibile, perché non lo si avrebbe senza quest'ultimo.
Tutti gli enti, l'essere e i modi dell'essere, mi sembra, vivono in rapporto e quindi rientrano interamente in questa analisi ( anche enti come sedie , tavoli e alberi innevati di Villa Sariputra...)
#1419
Signori, signori!!...Avevo chiesto la vostra benevolenza per dipanarmi dalle tenebre e voi me le rendete ancora più oscure?...
Dopo aver letto la spiegazione datami da Maral ho dovuto immergere i polsi nell'acqua gelida, per riavermi... :o
Intanto noto pure una certa divergenza d'opinioni ( o almeno a me pare tale...) tra voi stessi. Infatti Phil afferma:
"Un ente non è un niente, poichè l'ente è numerabile, contabile, identificabile, il niente invece no."
Al che Maral insinua invece che:
"l'ente è, anche quando è quel particolarissimo ente che dice di sé di non essere ente, ossia di essere niente, un vero satanasso."
Allora avevo ragione quando affermavo che, se tutto è ente, lo deve essere anche il niente! Se ogni cosa che posso citare è un ente, lo è anche il niente visto che posso citarlo.  Però a me sembra anche che l'ente significhi pure qualcosa come "presenza", qualcosa che c'è. Quando quella cosa , o qualunque ente, non c'è, non è presente, si parla di ni-ente ( ossia dell'"assenza" dell'ente). Ma il niente è sempre riferito all'ente. Non si può logicamente parlar di niente se non c'è ente. Allo stesso modo come potrei parlar d'assenza senza una presenza? Il niente, essendo solo assenza dell'ente ( e non il Nulla), però in pratica non è esistente ( e quindi non è un ente). "Niente albero" significa solamente che non c'è più l'albero ma è presente sicuramente un altro ente al suo posto ( l'aria, le mosche, le zanzare, ecc.che danno presenza nello "spazio" dell'ente albero divelto dal vento, per es.). E qui, come giustamente mi ricorda Phil, sento lo sciabordio del mare sulla chiglia di una nave antica...
Se un termine però ingloba tutto, anche il suo contrario ( infatti di ogni cosa pensabile si può dire che "è", cioè un ente, quindi anche il niente-ente) non diventa privo di significato? Qual'è la caratteristica che distingue l'essere dal non-essere? Una cosa , per essere, non deve distinguersi, avere un'immediata evidenza di differenza, dalle altre? Se no che differenza possiamo trovare tra due cose che appaiono opposte? Che differenza si manifesta alla fine tra essere e divenire ? Non sono infine la stessa cosa?
Mi pare che , alla fine, l'idea stessa di ente appaia inconsistente se sottoposta all'analisi logica.
Dove erro? Illuminatemi così che non mi rifugi, sempre più confuso, nel mio accogliente Vuoto...

P.S.Non temete di dirmi di lasciar perdere, di dedicarmi alla pessima poesia o alle barzellette. Non abbiate paura di mortificarmi dicendomi che sono inadeguato per la filosofia...lo so, lo so già e...non soffrirò, non soffrirò...vi assicuro che non soffrirò ( beh...forse solo un pochettino :().
Maral, ti sei dimenticato di citare, nella tua diatriba infinita con l'amico Sgiombo, anche lo stambecco che scende a balzi dal monte...
#1420
Come sapete ormai, tutti voi assidui frequentatori di questo Logos, che giustamente l'amico Jean definisce come hotel, la mia somma ignoranza di molti termini filosofici del pensiero di noi, messi a Occidente di una palla persa nell'Universo, mi fa spesso prendere fischi per fiaschi nei riguardi di alcune terminologie.
In specie mi risuona spesso nella zucca vuota questo termine, questo "ente". Subito mi si profilano davanti le immagini di alberi secolari, alberi maestosi di una immensa foresta cupa. Sono i famosi Enti del Signore degli Anelli di Tolkien.  Sono alberi saggi e parlanti; però a me, purtroppo o per fortuna, il termine ente non mi parla.
C'è per caso qualche anima pia, moderatamente pia ( ché l'eccesso di piaggine non è auspicabile), con la mente intasata di termini filosofici e che se ne vorrebbe liberare in parte per trovare un pò di sollievo dall'ingombro? Potremmo avere un vantaggio reciproco dall'affare: la mia zucca vuota in parte viene abitata e la vostra , troppo piena, in parte si libera, così che anche voi possiate gustare lievemente quel piacere indefinibile che dà la leggereza del Vuoto, mentre il sottoscritto non si troverebbe sempre a mal partito nelle dispute filosoficamente profonde.
E , sempre a proposito di alberi enti, mi son chiesto: L'albero è un ente? E le sue parti, per esempio le sue belle radici, sono a loro volta enti ? O sono enti solo se le consideriamo albero?
Quindi ( come fan tutti senza mai confessarlo...) ho spulciato varie pagine virtuali e ho trovato definizioni di ente:
-participio presente di Essere.
-"quel che è" in assoluto e senza altra predicazione.
-Parmenide, mi par di capire, definisce l'ente come essere ( o l'essere come ente).
-nell'Eleatismo assume il carattere di identità, stabilità, inalterabile sostanza.
-Platone ( ahia...), guardando le sue idee, gli vien da dire che gli paiono anch'esse degli enti ( enti strani invero, ma sempre enti...).
-Aristotele, da quel gran criticone che era, disse che l'ente assumeva varie predicazioni ( ente per sé, ente per accidens, "potenza" di essere dell'ente altrimenti detta "essenza"). Secondo il greco barbuto i diversi enti si distinguono in : enti reali, enti immaginari, enti di ragione, enti finiti, enti ideali, enti creati ( in pratica non si vede cosa non sia ente e perciò niente. Ma, se tutto è ente, niente è ente, giusto? :-\ boh...incomprensibile per me e vorrei apposta il vostro illuminato parere... ).
-Poi ti arrivano i cristiani e aggiungono ( manco ce ne fosse bisogno...) degli altri enti alla lista dell'arcigno Ari : ente infinito, ente supremo che ha in sommo grado la capacità dell'essere.
-Tommasino d'Aquino, tra una messa e l'altra, trova il tempo di puntualizzare pure: in verità, dice convinto, solo Dio è un vero ente, tutti gli altri lo sono per partecipazione ( lui lo chiama ente per essentiam) dicendo pure che c'è una bella differenza tra essenza e esistenza ( e qui il mistero, per il povero Sari, s'ingarbuglia sempre di più...).
-Così , tra un ruminare e l'altro, si arriva ai tempi moderni dove per lo più si identifica il concetto di ente con quello di essere...
Fatta questa doverosa e pedante premessa , il dubbio amletico, osservando l'albero innevato dalla finestra di Villa Sariputra, mi tormenta sempre di più:
"Albero, parlami! Sei un ente?...O non sei niente?"

P.S. Faccio presente che ho frequentato studi agrari che non contemplavano come materia d'insegnamento la filosofia ( questo velato vittimismo è per suscitare le vostre compassionevoli risposte) anche se, quando mi trovo viso a muso con il mio asino, mi chiedo spesso chi di noi due è più filosofo... :(
#1421
Attualità / Re:Non è bello ciò che è bello!
12 Gennaio 2017, 16:27:55 PM
Citazione di: Fharenight il 12 Gennaio 2017, 14:39:53 PMLa bellezza è oggettiva, soggettiva, o politically correct? Nel nostro povero e sbandato Occidente ormai accade di tutto e il contrario di tutto; le cose piú bizzarre, le piú assurde, capovolte. Persino i concorsi di bellezza si adeguano alla follia generale del tempo che viviamo. Nei giorni scorsi si è svolto in Finlandia il concorso di Miss Helsinki organizzato dalla rivista "Genuine", rivista di moda e "tendenza", la cui vincitrice è risultata, tra le tante bellezze in gara, una ragazza di colore che, definirla bella, è un eufemismo. È il caso di dire ormai che non è piú bello ciò che è bello, ma è bello ciò che "deve" piacere.


"La bellezza sta negli occhi di chi guarda" dice un vecchio proverbio...sperando che non sia miope, aggiungo io ! ;D ;D
#1422
Tematiche Filosofiche / Re:Tempo ed eternità
12 Gennaio 2017, 15:11:14 PM
Citazione di: acquario69 il 12 Gennaio 2017, 12:47:17 PM
Citazione di: Sariputra il 12 Gennaio 2017, 12:29:04 PM
Citazione di: acquario69 il 12 Gennaio 2017, 12:12:47 PM
Citazione di: Sariputra il 12 Gennaio 2017, 11:22:53 AMil Nirvana non è né immanente né trascendente, è indicibile e indescrivibile, se ne può fare solo esperienza diretta , ma non è Dio, nè un Principio nè la Causa né la Distruzione delle cause...Non sorge né tramonta...Non è il Nulla né il Tutto...la sua "funzione" è dare pace... :)
capisco...quindi il nichilismo assoluto,che dovrebbe poi dare la pace..terminale! questa sarà (se non lo e'gia) la nuova "religione" del nuovo ordine mondiale -post umano/iper relativista-...in effetti coincide alla perfezione
Acquario, sarebbe un nichilismo se non fosse presente come meta da raggiungere il Nirvana...e sarebbe una forma di teismo se il nirvana fosse considerato trascendente. Il Dharma buddhista sta lontano da questi due estremi ( che vengono definiti come l'estremo positivo della metafisica e l'estremo negativo del nichilismo) e si propone come autentica "via di mezzo" (madyamika) lontana da ogni estremo... Tieni presente poi che il buddhismo è fortemente etico. :)
per Nirvana si intende liberazione dal dolore (la sua funzione e' dare pace,come dicevi prima) ...giusto ?!? se e' così,allora perché se per il buddismo che predichi tu,dove alla fine mi pare di capire che e' un assenza di tutto..nessuna causa,nessun niente di niente,allora emerge l'aspirazione a tale pace e liberazione?! ...liberazione e pace di (e da) che,se poi e' di per se tutto effimero e inesistente?

Non mi sembra di usare un tono predicatorio. Se ti sembra così , mi dispiace veramente..
L'aspirazione alla pace nasce dall'aspetto impermanente di ogni cosa, che alla fine rivela il suo vuoto e il suo carattere insoddisfacente ( magari non tutti sentono la vita insoddisfacente, ma questo è un altro discorso...). Quindi pace intesa come cessazione del desiderio incessante, dell'avversione e dell'ignoranza della vera natura impermanente di ogni cosa. Ottenere questa pace, secondo il Buddha, è possibile; è possibile in questa vita e non in un ipotetico "aldilà". Per raggiungere questa pace ha insegnato un sentiero di Liberazione dalla brama, dall'odio/avversione e dall'ignoranza/illusione. Questo sentiero è stato da Lui chiamato il Nobile Ottuplice sentiero.
Liberazione intesa quindi non come annichilimento ma come fruizione di questo stato di pace da brama, avversione, illusione. Infatti il termine pali Nibbana (Nirvana) significa estinzione ( per la scuola theravada anche come libertà dal desiderio: nir+vana ).Si libera la mente non più irretita dall'idea di un sè personale, durevole, eterno e sostanziale e che quindi vede tutti i fenomeni per quello che sono: impermanenti, insoddisfacenti e privi di qualunque sé/sostanza.
La realtà per il Buddhismo non è inesistente (se fosse così sarebbe inesistente anche il dolore in ultima analisi), è ben presente. Inesistente è il nostro modo di concepirla come permanente, sostanziale e dotata di esistenza intrinseca ( ossia dotata di un "anima" o sostanza). La natura della mente che ottiene la Liberazione è inconcepibile, indescrivibile e non è l'Io o sé autonomo, non è una divinità e non è la Causa o il substrato del Tutto. E' semplicemente...il nirvana  :) :) :)  
I
#1423
Tematiche Filosofiche / Re:Tempo ed eternità
12 Gennaio 2017, 12:29:04 PM
Citazione di: acquario69 il 12 Gennaio 2017, 12:12:47 PM
Citazione di: Sariputra il 12 Gennaio 2017, 11:22:53 AMil Nirvana non è né immanente né trascendente, è indicibile e indescrivibile, se ne può fare solo esperienza diretta , ma non è Dio, nè un Principio nè la Causa né la Distruzione delle cause...Non sorge né tramonta...Non è il Nulla né il Tutto...la sua "funzione" è dare pace... :)
capisco...quindi il nichilismo assoluto,che dovrebbe poi dare la pace..terminale! questa sarà (se non lo e'gia) la nuova "religione" del nuovo ordine mondiale -post umano/iper relativista-...in effetti coincide alla perfezione

Acquario, sarebbe un nichilismo se non fosse presente come meta da raggiungere il Nirvana...e sarebbe una forma di teismo se il nirvana fosse considerato trascendente. Il Dharma buddhista sta lontano da questi due estremi ( che vengono definiti come l'estremo positivo della metafisica e l'estremo negativo del nichilismo) e si propone come autentica "via di mezzo" (madyamika) lontana da ogni estremo...
Tieni presente poi che il buddhismo è fortemente etico. :)
#1424
Tematiche Filosofiche / Re:Tempo ed eternità
12 Gennaio 2017, 11:51:43 AM
Citazione di: Apeiron il 12 Gennaio 2017, 09:49:13 AM
Citazione di: Sariputra il 12 Gennaio 2017, 00:01:26 AM
Citazione di: maral il 11 Gennaio 2017, 23:01:01 PMNon so, ma ci sento una differenza tra ciò di cui mi parli come Atta e ciò che noi occidentali chiamiamo Essere. Perché l'Essere, che è concepito come tale in Occidente da Parmenide nel suo poema (ed è da lì che nasce la filosofia dell'Occidente) è figura del Logos, mentre non mi pare che possa considerarsi così per Atta, per come me lo dici, esso infatti trascende in partenenza ogni possibilità del Logos. E' Parmenide infatti che facendo parlare la Dea (quindi, se si vuole, il pensiero mitico) le fa dire di non credere a ciò che essa dice perché lo dice, ma in virtù di un giudizio raziocinante, ossia del Logos e così dicendo la dea distrugge il pensiero mitico che incarna. Il pensiero orientale invece non mi sembra che abbia mai vissuto questa contrapposizione così escludente tra pensiero mitico e razionalità, nel pensiero orientale l'ancoraggio al mito resta e per questo l'essenza è non essenza, è del tutto inesprimibile, è illuminazione completamente paradossale a cui il pensiero logico che astrattamente e definitivamente separa Essere e Non essere (o anche Ente e Niente) non può giungere in alcun modo. Forse qualcosa di più simile che non l'Essere parmenideo, potrebbe essere l'Infinito (Apeiron) di Anassimandro. Nel frammento di Anassimandro c'è scritto che « principio degli esseri è l'infinito (ápeiron)....da dove infatti gli esseri hanno l'origine, lì hanno anche la distruzione secondo necessità, poiché essi pagano l'uno all'altro la pena e l'espiazione dell'ingiustizia secondo l'ordine del tempo. » Dove l'ingiustizia è proprio quella che commette ogni essere venendo a esistere, ossia separandosi dall'infinito e l'espiazione che ristabilisce la giustizia è il karma delle reincarnazioni.
Non conoscendo la filosofia occidentale dò per scontato che alcuni termini filosofici orientali abbiano esatta analogia con il significato che hanno nella nostra cultura... :( Per chiarire meglio: Sistema atta ( o atma-vada) è la teoria secondo cui il reale è sostanza, permanente ed eterna, e ha una natura propria. L'atman si potrebbe tradurre con Sè, Anima, Sostanza. Infatti è equiparato a dravya (sostanza), a nitya (permanente, eterno), a svabhava ( natura), a sara( essenza) e a vastu (reale). Sistema anatta (tipico del buddhismo) ( o anatma-vada) è la teoria dell'assenza del sé (anima), per cui tutte le cose sono prive di sostanza o di realtà permanente e identica; tutto è impermanente, mutevole, momentaneo ( anitya), non-essere, negazione, assenza (abhava). Essere è quindi ciò che è presenza, permanente, sostanziale. Non-essere è ciò che diviene, che muta, che è assente. Apeiron, se gustando in eterno quella torta non provi noia, ma solo un piacere infinito, ecc...non puoi essere "tu" a gustartela, ma "qualcos'altro" che non è un Io come comunemente lo intendiamo! Questo tentavo di dire. A parer mio è impossibile per l'Io umano vivere un simile stato. E' come dire."Se fossi come un pesce proverei piacere a nuotare in eterno"...ma non lo siamo! L'Io, che è tempo( e che crea il suo tempo), non può vivere in una dimensione senza tempo. Il problema, se di problema si può parlare, Apeiron è che tu non parti dall'esperienza per poi riflettere su di essa , ma ritieni che la riflessione in sé sia sufficiente a spiegare l'esperienza. Nella cultura indiana , dai Veda in poi, la filosofia è al servizio della pratica meditativa e i trattati filosofici sono sostanzialmente delle guide all'esperienza da vivere. In Occidente invece la filosofia è pura astrazione, non è richiesto ad un filosofo di vivere la sua convinzione o riflessione filosofica ( mi viene in mente Schopenhauer che amava la vita e le donne, "Chi non ama le donne il vino e il canto, è solo un matto e non un santo", e poi teorizzava l'ascetismo ...). Per questo, riflettendo solo sui termini, non vedi differenze tra moksha e Nibbana, per es., che ti appaiono entrambi un bel Nulla.Si può spiegare dettagliamente all'infinito come si fa a pescare, ma se poi non provi l'esperienza del pescare, come puoi sapere se quella guida è corretta?... :) Sicuramente hai letto , nel canone pali, l'esempio che fa il Buddha dell'uomo colpito da una freccia...
Il motivo per cui credo non potremo comprendere le filosofie indiane è appunto il fatto per noi inconcepibile che la filosofia è in servizio alla meditazione e non viceversa. Nella nostra mentalità occidentale noi siamo portati prima a comprendere e poi a fare. Questo metodo è usato moltissimo nella scienza e in particolare nei "Gedankenexperiment" (esperimento mentale) di Einstein. Anzi più o meno tutta la filosofia occidentale è un "Gedankenexperiment": prima ci costruiamo il modello e poi tentiamo di applicarlo alla realtà. Motivo per cui qui in occidenti vedi tantissime teorie filosofiche che non portano a nessuna "salvezza" ma semplicemente si cerca la verità in sé stessa senza preoccuparsi della condizione del "ricercatore". Nel Gedankenexperiment della torta dici bene che l'io che si gusta la torta non è un io umano comunemente inteso perchè l'io umano comunemente inteso certamente è più sensibile alle condizioni esterne. Tuttavia nemmeno un deva è un io umano e nemmeno lo è un animale. Ora se io rinascessi deva e riuscissi a stare felice per l'eternità nel mio "paradiso" contrariamente a quanto dice Buddha allora credo che in tal caso avrei raggiunto la liberazione da malattia-vecchiaia-morte. Ebbene l'obiezione che si può fare al buddismo è: chi te lo dice che nessun mondo di rinascita è eterno? E la risposta: Buddha che conosce i "lavori del karma" lo sa, fidati! Il punto è che finchè si fa filosofia o scienza bisogna indagare e essere (metodologicamente) senza fede. Dunque se per assurdo esistesse un tale mondo deva permanente la ricerca del Nirvana buddista avrebbe senso? La risposta è "no" se si ritiene che la "negatività" della vita sia l'attaccamento a stati impermanenti. La risposta viceversa è "sì" se si ritiene che l'eternità della liberazione è "migliore" di quella del (presunto) mondo deva eterno. Il mio "io" del paradiso cristiano chiaramente è diverso dal mio "io" terreno e la cosa si mostra per il fatto che immaginandomi di restare per sempre in un posto per come sono fatto io oggi mi terrorizzerebbe. Rimane di capire prima di iniziare un percorso se l'obbiettivo promesso è migliore o no di un altro (per noi). Conosco la sutta dell'uomo colpito dalla freccia ma la ritengo utile solo dopo aver scelto il percorso non quando uno si deve decidere. Comunque le descrizioni "esperienziali" di Moksha e Nirvana mi paiono molto simili. Credo che bene o male l'obbiettivo è lo stesso ma il modo con cui lo si raggiunge fa in modo che concettualmente siano descritti in modo diverso. Schopenhauer era un tipico filosofo occidentale esposto all'oriente e infatti l'analogia tra la sua filosofia e l'oriente è meramente concettuale. Tornando ad immaginarci l'eternità: 1) proseguimento infinito della vita terrena - insoddisfacente perchè conduce a noia e disperazione; 2) conservazione del sé nelle memorie altrui - inconsistente perchè appunto l'io ormai non c'è più; 3) edonismo puro - insoddisfacente perchè invece di elevarci ci abbassa; 4) visione estetica della vita - vedere tutto "sub specie aeternitatis" alla Spinoza, tempo rimosso dal mondo. Problema: congelare tutto causa un senso di prigione; 5) eterno ritorno di Nietzsche - prigione; 6) eterno samsara - prigione; 7) diventare uno col mondo (panteismo, taoismo ecc) - davvero è un bene diventare un tutt'uno con questo mondo di malattie, morte ecc? 8 ) paradiso Cristiano- Dvaita e simili. Visione beatifica di Dio di cerrto è un'elevazione ammesso che siano vere (ma i dubbi sono troppi...) 9) Liberazione buddhista-Advaita. Pace assoluta. Ma non è uguale alla morte? 10) nichilismo/eterno oblio. A meno che uno non sia amorale non può che ritenere che la vita in questo scenario è tragica...

L'eventuale deva godereccio però dovrebbe vivere in un "paradiso" permanente...Siddharta sostiene , in base alla Sua pratica meditativa, che non esiste nulla di permanente. A questo ci si può credere o non credere, ma non cambia il fatto che solo di impermanenza noi facciamo , come Io, esperienza e con questa impermanenza abbiamo a che fare. Immaginare "come" potrebbe essere un mondo permanente popolato di deva permanenti è immaginazione, fare ipotesi affascinanti...però indimostrabili, a cui ci si può credere solo per fede. Visto che la meta che si prefigge il Buddha è raggiungere la Liberazione qui, nel presente aggregato, le fantasiose speculazioni sui mondi superiori e inferiori, così care alla tradizione indiana, servono per rafforzare l'importanza etica dell'agire qui e ora e con questa motivazione vengono narrate nei sutra. Penso che bisogna tener presente che, nella visione indiana, gli infiniti mondi, sono un tutt'uno; non vengono visti come "trascendenti" nel senso del paradiso trascendente dell'islam e del cristianesimo...è un pò diversa qui la storia... Comunque non è mia intenzione "convertire" nessuno... ;D io ritengo che l'esperienza sia fondamentale , tu che sia più importante la comprensione intellettuale ed eventualmente poi la pratica. Sono due approcci diversi, entrambi legittimi...
#1425
Tematiche Filosofiche / Re:Tempo ed eternità
12 Gennaio 2017, 11:22:53 AM
Citazione di: acquario69 il 12 Gennaio 2017, 09:57:57 AM
Citazione di: Sariputra il 12 Gennaio 2017, 09:19:24 AM
Citazione di: acquario69 il 12 Gennaio 2017, 04:47:53 AM
Citazione di: Sariputra il 12 Gennaio 2017, 00:01:26 AMEssere è quindi ciò che è presenza, permanente, sostanziale. Non-essere è ciò che diviene, che muta, che è assente.
secondo me le cose stanno un po al contrario.. nel Non-essere non può esserci manifestazione,quindi il divenire ("non essendo" cioè non manifestandosi) ..semmai e' l'essere il principio di tutta la manifestazione e del suo divenire.
Questo è un sistema atta... ;D Il molteplice ( fenomeni) sono solo apparenza, manifestazione dell'Uno. Un sistema anatta ritiene che non ci sia alcun Uno, ma solo i fenomeni. Non-essere è diverso dal termine Nulla. Anatta è negazione di atta, negazione del sé, non dei fenomeni.
in realtà ho provato a spiegare che l'Uno (l'essere) e' l'affermazione del Non-essere,che ne sarebbe così la causa prima...ma tu appunto mi pare che neghi il Non essere. infatti il Non-essere non e' affatto il nulla.  ad ogni modo non mi sembra che dai spiegazioni su cio che tu intendi per anatta ma ti limiti soltanto a dire che e' la negazione di atta

Anatta= assenza di sostanza, assenza di "anima" nelle cose, assenza di Dio, assenza di un Principio e di una Fine, assenza di qualsiasi visione sostanziale dell'intera esistenza fenomenica. I fenomeni esistono ma non hanno sostanza propria essendo interdipendenti ( formati da infiniti altri fenomeni, a loro volta formati da infiniti altri fenomeni, e così via...tutti formati da cause e condizioni a loro volte formate da cause e condizioni). Nessuna Causa in Principio, nessun Uno da cui provengono tutte le cause. Flusso eterno, senza inizio e senza fine. Mondi superiori e inferiori ( se esistenti e popolati da altri fenomeni) anch'essi soggetti a cause e condizioni e pertanto impermanenti e dolorosi... il Nirvana non è né immanente né trascendente, è indicibile e indescrivibile, se ne può fare solo esperienza diretta , ma non è Dio, nè un Principio nè la Causa né la Distruzione delle cause...Non sorge né tramonta...Non è il Nulla né il Tutto...la sua "funzione" è dare pace... :)