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Messaggi - baylham

#1411
L'esser messo in ridicolo è quello che ogni potere, ideologia teme. Chi riesce nell'impresa di ridicolizzare il potere, compreso quello religioso, compie un'azione valida, meritoria, geniale. Gli imbroglioni che ridicolizzano il re nudo della fiaba sono personaggi positivi, simpatici. L'elogio del riso fatto da Umberto Eco nel romanzo Il nome della rosa in questo senso è pienamente condivisibile.

Condividendo l'intervento del Webmaster aggiungo che la schiavitù è giustificata dai dieci comandamenti, che sono originariamente espressione di un uomo storicamente determinato: il legislatore era un maschio adulto egoista e benestante per i criteri dell'epoca.


Mi piacerebbe sulla scia dell'ammirevole panegirico di Benigni che apparisse sul servizio pubblico televisivo un comico capace di ridicolizzare i dieci comandamenti con altrettanta profondità e gaiezza. Lo stesso per i testi delle principali religioni, ateismo compreso, sarebbe indice di una società umana più gioiosa.
#1412
Il giudizio sull'opera di Keynes è soggettivo. Tuttavia la sua Teoria Generale costituisce uno spartiacque per la scienza economica, avendo dimostrato teoricamente perché un'economia monetaria è intrinsecamente instabile a differenza di quello che sosteneva la teoria economica neoclassica allora dominante, incapace di spiegare le crisi economiche.

Dubito, ma non ho approfondito storicamente, che la sua figura di economista e la sua opera principale, pubblicata nel 1936, siano stati così influenti da ispirare le politiche pubbliche nel periodo anteguerra, mentre le politiche espansive del dopoguerra si ispirano a Keynes, ma non possono essergli attribuite data la sua morte nel 1946. La sua politica espansiva era pensata come deterrente o fuoriuscita dalla crisi, come politica straordinaria non ordinaria. Keynes era un liberale, non un socialdemocratico.

Non comprendo che cosa concretamente significhi ridimensionare il potere delle banche e della finanza nell'economia. Che le banche e chi le controlla abbiamo un grande potere economico mi sembra una cosa ovvia. Che tra il sistema politico e il sistema finanziario-bancario ci sia uno stretto legame mi appare altrettanto ovvio: come si finanziano grandi investimenti pubblici e privati a lungo termine se non c'è un consenso politico ed un quadro economico stabile. 
Come si ridimensiona il settore finanziario quando il capitale complessivo è pari almeno a quattro-sei volte il prodotto annuo in qualunque paese sviluppato e la sua gestione coinvolge, interessa in misura e per ragioni decisamente diverse quasi tutte le classi sociali e il suo ambito di azione è mondiale? Quando il motore dell'economia sono gli investimenti che passano attraverso il controllo del sistema bancario e finanziario?
#1413
Cito la parte dell'articolo sul ridimensionamento delle banche.
"crisi economica:riconoscere che la liquidità non risolve nulla e che occorre ridimensionare ruolo e peso della finanza, rimettendo al centro l'economia reale, implicherebbe un ridimensionamento del potere di banche e società finanziarie  che, ovviamente, non vogliono saperne ed hanno una forza di pressione sul sistema politico in grado di bloccare cambiamenti anche più modesti (basti ricordare che fine ha fatto il progetto di riforma della finanza promosso da Obama nel 2009)"


Ammetto che ho una certa antipatia verso i grandi quadri storici, ma questo articolo mi dà l'impressione di un concentrato di critiche banali e inconcludenti, sebbene attualmente diffuse, alla società e alla politica contemporanea. Ci sarebbe molto da discutere su ogni punto trattato, valutando i pro ed i contro. Ad esempio come si affrontano i problemi posti dalla cosiddetta globalizzazione che dal punto di vista economico e sociale è ormai avviata in modo inarrestabile: tornando allo stato nazionale o spingendo verso delle istituzioni sovranazionali, mondiali?

Stranamente l'articolo non indica la questione ecologica come uno dei problemi critici fondamentali della società contemporanea.

Ci mancherebbe poi che una umanità formata da più di sette miliardi di uomini si affidasse non a delle regole consolidate e stabili ma a sperimentazioni culturali e quindi economiche e sociali continue, gli effetti sarebbero disastrosi. In ogni caso il Novecento è stato uno dei secoli più ricchi di innovazioni nella storia umana in tutti i campi i cui effetti continuano tuttora. Non vedo quindi affatto come realistico il rischio di "pensiero unico": il fatto è che esistono delle costanti di fondo biologiche ed economiche insopprimibili, stabili, che spiegano benissimo la rigidità dei comportamenti economici, sociali e politici complessivi. Ci sono invece molti pensieri critici ma deboli, incapaci di costruire alternative sociali e di dare risposte durature ai problemi sociali ed economici.


Per quanto concerne l'individualismo la mia preoccupazione è opposta: c'è una tendenza ad un controllo sociale dell'individuo in eccesso favorita dalle nuove tecnologie informatiche, una schedatura individuale pervasiva, con aspetti positivi, ma anche negativi e preoccupanti e una dipendenza sempre più stretta dal punto di vista economico e sociale dell'individuo alla società.
#1414
L'analisi dell'economia, della situazione storica e delle prospettive internazionali di questo articolo di Aldo Giannulli mi sembrano decisamente fuorvianti.

Ad esempio la contrapposizione tra economia finanziaria e reale è infondata: i fatti dimostreranno che il sistema finanziario sarà sempre più determinante nell'economia globalizzata. Ridimensionare il ruolo delle banche significa non comprendere i motivi della loro centralità in un sistema capitalistico: sono le banche che indirettamente controllano e indirizzano gli investimenti privati e pubblici. In questo ruolo fondamentale non c'è alcuna istituzione o pratica alternativa in grado di sostituirle.

Gli stati nazionali sono superati da processi economici e sociali di fondo che li travalicano. C'è in reazione a queste tendenze sovranazionali il ritorno ad un nazionalismo difensivo, poco lungimirante ma soprattutto velleitario e perciò pericoloso.
 
L'analisi del sistema capitalistico di Keynes e la sua spiegazione della crisi sono geniali come lo sono state le sue proposte di politica economica anticrisi. Tuttavia l'applicazione ordinaria di politiche straordinarie ha spuntato i rimedi proposti da Keynes: oggi sono gli Stati che contribuiscono ad approfondire l'intrinseca instabilità del sistema economico, invece di essere i fautori della sua stabilizzazione.