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Messaggi - Phil

#1426
Il "caso Greta" può essere un buono spunto per riflettere sulle dinamiche simboliche della società contemporanea: passare rapidamente dall'anonimato di un'adolescente ad essere fenomeno mondiale che parla di fronte all'Onu, è un percorso che richiede... già, a cosa è dovuto questo (s)balzo simbolico-semantico, dall'insignificanza dell'ordinario alla significanza planetaria? Forza dell'ispirazione di un piccolo gesto (la sua prima assenza a scuola per "motivi ambientalistici"), forza dei media avidi di eroi e breaking news da far echeggiare nell'infosfera, forza di una portabandiera involontariamente perfetta per sostenere, suo malgrado, il greenwashing nel mercato globale, forza di contingenze propizie, forza di corsi e ricorsi storici (deja vu: Severn Cullis-Suzuki nel 1992)?
A ben vedere, la ragazza ha il profilo ideale del testimonial contemporaneo: giovane ma non troppo da essere infantile, donna ma non così femminile da distrarre o suscitare gelosie, caucasica ma proveniente da un territorio che non ha storia di discriminazione e noto per il suo grado di civiltà, etc. i suoi genitori, poiché comunque parliamo di una minorenne, mi pare vengano fatti restare nell'ombra per non rompere l'incanto mediatico: una famiglia che lotta per l'ambiente impatta meno l'opinione pubblica rispetto ad un'eroina introversa ma determinata (e, soprattutto, si evita anche di toccare il tema "famiglia", potenziale harakiri mediatico, o comunque a rischio di far perdere una fetta di "seguaci").
Sul piano della comunicazione, il suo «avete rubato i miei sogni» tocca un elemento retorico che scalda sempre i cuori della platea: il sogno; certo, non è esattamente come il ben noto «ho un sogno» (King), che non era solo una denuncia quanto piuttosto una visione, tuttavia è ingiusto paragonare un'adolescente con a cuore l'ambiente ad un leader politico e, soprattutto, temi e contesti ben differenti. Il linguaggio usato da Greta è infatti quello, giustamente ed inevitabilmente, delle proteste studentesche, se non fosse che lo rivolge ad un "interlocutore macroeconomico" a cui può far solo tenerezza (al netto del politicamente corretto). Ecco alcune frasi ricorrenti: «non siete abbastanza maturi» (giocando volutamente sul rovesciamento delle età fra lei e i politici), «come osate» (per richiamare provocatoriamente al mandato di fiducia popolare di cui i governanti dovrebbero farsi carico), «il cambiamento è in arrivo, che vi piaccia o meno» (come per rovesciare i rapporti di forza), «vi terremo d'occhio», «non vi perdoneremo mai» e persino «il vero potere appartiene alla gente» (citazione dell'intramontabile «power to the people»).
Cacciari ha già detto la sua in merito, ammonendo su come l'appello fatto «in termini ideologico-sentimental-patetico»(cit.) dovrebbe lasciare spazio a proposte e iniziative più scientifiche ed educative; Finkielkraut gli fa eco con considerazioni contestualmente simili. Secondo me, si può comunque cogliere un "chiasmo comunicativo", un incrocio fra le "direzioni" della comunicazione: Greta rimbrotta i potenti, tuttavia il suo appello, per le sue "tonalità", può far effetto sul popolo, non sui politici a cui si rivolge; lei si fa forza del «cambiamento in arrivo», ma le piazze degli adulti gilets gialli, ad esempio, hanno chiesto prezzi più bassi del carburante (non certo per usarlo di meno, come lei propone) e riguardo le piazze di studenti non so (con cinismo da adulto che per fortuna ancora le manca) se siano state più ricche di CO2 oppure di buone intenzioni ecologiste.

Di sicuro, ritornando alla domanda iniziale, se la ragazza è arrivata sino all'Onu dopo un solo anno di "attività politica", senza che fossero state equipes di scienziati o governi ad inviarcela (se non sbaglio), abbiamo qualcosa su cui riflettere (e di certo non possiamo biasimarne il suo impegnarsi in prima persona): il fascino e il feticismo della narrazione mediatica che forgia idoli dal nulla e permette traguardi persino "istituzionali"; l'effetto domino fra le piazze (a cui si auspica corrisponda un pari effetto domino nella mutazione di usi e costumi) da valutare per le conseguenze reali che avrà sul piano politico (per quanto il rapporto piazza/potere in occidente non sia, oggi, sempre "saldo" come a Hong Kong); l'appello all'emotività del «sinite parvulos venire» che scalza noiosi report statistici spiegati da esperti (esperti fra i quali non tutti sembrano particolarmente smaniosi di salire sul carro di Greta, anzi alcuni di loro hanno inviato documenti ufficiali controcorrente rispetto a lei; chiaramente, visti gli enormi interessi economici in gioco, per l'uomo della strada è quasi un atto di fede, o di comodo, scegliere di chi fidarsi). 
La questione di Greta è, secondo me, una "cartina al tornasole" sulla comunicazione globale forse più di quanto lo sia sul clima; sicuramente, eroi bambini si addicono molto al nostro "bambino interiore" e per quanto già l'analisi transazionale di Bernstein ci abbia messo in guardia dal dargli troppo retta, bisogna riconoscere che come testimonial "funzionano" molto bene.
#1427
Tematiche Filosofiche / Re:La felicità
01 Ottobre 2019, 12:27:29 PM
Citazione di: Ipazia il 01 Ottobre 2019, 11:30:58 AM
Non ridurrei tutto a questa rappresentazione kinica (Peter Sloterdijk) ansimante. Benchè la felicità sia generata da un processo dinamico, non ogni vagabondare sortisce l'effetto, ma solo se saggiamente condotto, eudemonisticamente. Il sapore della felicità si gusta nel momento di stasi, appagamento, illuminazione (individuale o conviviale), che nella sua bellezza arrestata assume una prospettiva infinita che dà anche al più kinico degli umani la pienezza di senso della sua propria realizzazione. La fine del film è scontata, ciò non impedisce di gustarselo finchè lo si vive dissolvendosi in esso.
Personalmente, per quel che vale, tendo al «godersela senza correre»(autocit.), ma devo riconoscere che non tutti hanno l'indole soggettiva e le possibilità oggettive per farlo, per cui quello che fa felice me magari provoca frustrazione e (in)sofferenza in altri; il buon Protagora può essere letto anche in chiave eudemonologica: c'è la felicità  del uomo cinetico (o cinestetico), quella del cinico, quella del "cinefilo" (anche se come dici il finale è scontato), etc.
#1428
Tematiche Filosofiche / Re:La felicità
30 Settembre 2019, 17:27:08 PM
Citazione di: baylham il 30 Settembre 2019, 15:05:36 PM
La felicità non è la soddisfazione dei bisogni, che è appunto soddisfazione. La mancanza è un correlato del bisogno.
La felicità è un sentimento straordinario, che richiede la sorpresa, l'imprevedibilità, la mancanza di controllo, di pianificazione.
Se non sbaglio, una distinzione "manualistica" fra gioia e felicità è che la prima è un'emozione (primaria) che può essere legata ad eventi imprevisti, mentre la seconda è meno intensa, inserita in un desiderio d'attesa e potenzialmente più duratura della gioia. Se sorvoliamo su queste definizioni, sicuramente è il caso di distinguere comunque la felicità improvvisa e inattesa da quella cercata e attesa (la felicità di essere in una condizione che si desiderava, di raggiungere un certo traguardo, di avere ciò che si voleva, etc.).

P.s.
Al di là delle definizioni, concordo che quel che si attacca al cucchiaio di legno sia il meglio delle patate al rosmarino.
#1429
Tematiche Filosofiche / Re:La felicità
30 Settembre 2019, 12:33:16 PM
Citazione di: Ipazia il 30 Settembre 2019, 11:34:31 AM
Non va dimenticato, scendendo dai propri nirvana personali, che tale concetto nasce correlato alla soddisfazione dei bisogni materiali e al giusto mezzo conseguito, libero da ogni avidità, tra abbondanza e miseria, Poros e Penia, da cui nacque, non a caso, Eros.
Dubitando della mia memoria ho controllato e sembra proprio che Poros non sia "abbondanza" ma "espediente" anche nel senso di "ingegnosità": sia in amore che per la felicità (di cui l'amore è a suo modo declinazione), la condizione iniziale è Mancanza, ma tramite la sua congiunzione con Ingegno, si può arrivare alla mèta agognata (quindi l'avidità, intesa come brama, buddismo docet, ha un suo ruolo, nel bene e nel male...).
Questi due fattori, carenza e "macchinazione" (per ammiccare al ruolo della tecnica, mossa dall'ingegno), spiegano in sintesi tanto i moventi della storia dell'uomo come specie, quanto il percorso biografico dell'individuo: mosso dall'avvertire una mancanza (che può essere fisiologica, psicologica, innata, indotta, etc.), usa la sua ragione per procurarsi (in differenti modi, valutabili con differenti parametri) ciò di cui sente il bisogno (vari tipi di bisogno, alcuni propri della specie, altri decisamente più individuali).

Forse, in fondo, la felicità è come la carota legata al bastone: se sotto sotto vogliamo continuare a correre, dobbiamo guardarci dal raggiungerla (per quanto suoni apparentemente paradossale, parlando di felicità); se possiamo (e vogliamo) godercela senza correre, ci conviene mangiarla a piccoli morsi, per farla durare, poiché non è detto che, una volta terminata (Penia) saremo in grado (Poros) di trovarne altre (per quanto sia proprio la mancanza a dare il sapore alla soddisfazione in quanto non-più-mancanza).
#1430
Tematiche Filosofiche / Re:L'origine del male e del bene
27 Settembre 2019, 21:27:52 PM
Citazione di: green demetr il 27 Settembre 2019, 08:05:17 AM
Lascio per un attimo le questioni lasciate in sospeso da Phil, in effetti si potrebbe vedere il suo mettere in dubbio, il suo scetticismo generale, come un arte maieutica per tirare fuori qualcosa di positivo.
Lieto che tu l'abbia notato e, parlando di maieutica, ricorderei questo:
«Socrate – Oh, mio piacevole amico! e tu non hai sentito dire che io sono figliuolo d'una molto brava e vigorosa levatrice, di Fenàrete?
Teeteto – Questo sí, l'ho sentito dire.
Socrate – E che io esercito la stessa arte l'hai sentito dire?
Teeteto – No, mai!
Socrate – Sappi dunque che è così. Tu però non andarlo a dire agli altri. Non lo sanno, caro amico, che io possiedo quest'arte; e, non sapendolo, non dicono di me questo, bensì ch'io sono il piú stravagante degli uomini e che non faccio che seminar dubbi. Anche questo l'avrai sentito dire, è vero?
Teeteto – Sí. [...]
Socrate - Tu sai che nessuna donna, finché sia ella in stato di concepire e di generare, fa da levatrice alle altre donne; ma quelle soltanto che generare non possono più.
Teeteto – Sta bene.
Socrate – La causa di ciò dicono sia stata Artèmide, che ebbe in sorte di presiedere ai parti benché vergine. Ella dunque a donne sterili non concedette di fare da levatrici, essendo la natura umana troppo debole perché possa chiunque acquistare un'arte di cui non abbia avuto esperienza; ma assegnò codesto ufficio a quelle donne che per l'età loro non potevano piú generare, onorando in tal modo la somiglianza che esse avevano con lei. [...]
Socrate - Poiché questo ho di comune con le levatrici, che anch'io sono sterile ... di sapienza; e il biasimo che già tanti mi hanno fatto, che interrogo sì gli altri, ma non manifesto mai io stesso su nessuna questione il mio pensiero, ignorante come sono, è verissimo biasimo. E la ragione è appunto questa, che il dio mi costringe a fare da ostetrico, ma mi vietò di generare. Io sono dunque, in me, tutt'altro che sapiente, né da me è venuta fuori alcuna sapiente scoperta che sia generazione del mio animo [...]
Socrate - è chiaro che da me non hanno imparato nulla, bensì proprio e solo da se stessi molte cose e belle hanno trovato e generato [...]
Socrate - se poi, esaminando le tue risposte, io trovi che alcuna di esse è fantasma e non verità, e te la strappo di dosso e te la butto via, tu non sdegnarti meco come fanno per i lor figliuoli le donne di primo parto.»
(Platone, Teeteto, 149 a-151 d; corsivi miei)

Tanto il maieuta quanto l'ermeneuta, non si accostano all'altrui pensiero con la Verità già in spalla, né è rilevante per loro quale (e se) essa sia: per entrambi i "mestieri", la priorità (a suo modo "etica") è l'altrui "verità", nell'aiutare l'altro a collaudare e ottimizzare il suo stesso pensiero della sua verità (maieutica postmodernista) o nel cercare di comprenderla, addentrandovisi senza portar con sé troppo della propria prospettiva (che inficerebbe la comprensione, sebbene, finché restiamo umani, il circolo ermeneutico non sia totalmente disinnescabile tramite un'epochè fenomenologica, soprattutto su alcuni temi poco falsificabili).
Ne consegue che un presupposto che può agevolare sia il maieuta che l'ermeneuta è un tipo di pensiero "debole", come punto di partenza, un pensiero che non ha in sé una verità forte e quindi non può imporla all'altro (pilotando, più o meno consciamente, la maieutica) né gli risulta di intralcio o deformazione nel rintracciare il significato dell'altrui pensiero.
Non a caso, un tratto distintivo del pensatore debole (ancor più che del filosofo in generale) è l'uso della domanda: i pensatori forti, solitamente, ne fanno poche e retoriche (i dogmatici spesso non ne fanno affatto, avendo dogmi hanno già disponibili gran parte delle risposte). Invece, una maieutica e un'ermeneutica senza domande, praticamente non sono più tali. Certo, un pensatore forte, per "deformazione professionale", leggerà spesso tali domande deboli come retoriche; per sapere se lo sono davvero, basta semplicemente rispondere, che è il gesto basilare che ogni domanda, retorica e non, vorrebbe provocare.

A proposito di domande, su cosa può fondarsi la debolezza di un pensiero maieutico ed ermeneutico? Secondo me, la substruttura (piano spesso trascurato) su cui si edificano strutture veritative e, più in alto, sovrastrutture verificanti, è l'estrema "debolezza", extra-discorsiva ma per nulla mistica (non me ne voglia Wittgenstein) dei già citati saggi taoisti che arrivavano partivano dal «ritenere che le cose non esistessero»(cit.) e che ci interrogano domandandoci «ma vi sono veramente una completezza e un declino o non vi è né completezza, né declino?», con una domanda che segna il passaggio dal "nulla" (come assenza di identità concettuale, non di esistenza ontica) al qualcosa (concettualizzato, valutato, etc.), dal pre-senso al senso, dal fatto all'interpretazione, dalla substruttura alla struttura.
Una volta immessi (inevitabilmente) nel "gioco di società" delle strutture di senso culturali (quindi abbandonando, ma magari non scordando, la substruttura), ci si ritrova a potersi confrontare con problemi di senso (della vita, e non solo) come
Citazione di: Ipazia il 27 Settembre 2019, 10:26:04 AM
la (in)consistenza dei fondamenti etici cattolici, che stanno perdendo anche sull'eutanasia.
Effettivamente la cronaca recente ci ha fornito, con un buon tempismo (quasi un "buontempismo" goliardico, direi), un "case study" per i discorsi che abbiamo fatto sinora: la razionalità del suicidio (@viator), la vita e i bisogni primari come valori (@Ipazia) talvolta problematici e autoreferenziali (aggiungerei), la (bio)politica che legifera sull'etica e non viceversa (@green), etc.
#1431
Tematiche Filosofiche / Re:L'origine del male e del bene
25 Settembre 2019, 15:51:56 PM
Citazione di: Ipazia il 25 Settembre 2019, 10:05:47 AM
Citazione«Etica» al singolare?
Sì, intesa come sapere. Come prodotto dell'intelligenza storica collettiva. La pluralità riguarda semmai le applicazioni pratiche nei molteplici piani del reale. Le quali però derivano il loro "spirito" da una fonte tendenzialmente unificante.
Unificante nella sua "forma" in generale (se forziamo un po'), ma la storia la fanno le scelte concrete e i contenuti, fattuali e plurali (contraccolpo dell'eccessiva generalità: suggerire, in generale, di fare il bene, non aiuta a capire quale esso sia). Fare di tutte le culture una etica (o un sapere) è, a mio avviso, un "civettuolo" ("nottolico"?) librarsi sopra il reale, augurandosi di poterci poi riatterrare con qualcosa di fruibile per compiere scelte etiche (finché la loro urgenza ne ammette l'attesa).

Citazione di: Ipazia il 25 Settembre 2019, 10:05:47 AM
La sintesi storica a posteriori comporta anche una sintesi di paradigmi etici; una loro sintetica unificazione come avviene nel caso delle rivoluzioni scientifiche. [...] la bontà anche teoretica di un riferimento alla (comune) natura e la non peregrinità fondativa della teoria dei bisogni che produce la farina di cui tutti si alimentano. (alimenti ce ne sono molti, ma la necessità alimentare è unica e incontrovertibie)
Come ricordato, le scienze sono falsificabili proprio perché si occupano induttivamente dei propri referenti; la convergenza unitaria del pensiero scientifico (potrei sbagliarmi) viene meno quanto più il referente si fa impalpabile (quantistico, etc.). Mi pare che l'etica abbia tutta un'altra impostazione e un altro campo di applicazione che, sempre fino a prova contraria, non è riducibile a soddisfare i bisogni primari (che sono individuali). Unificare i paradigmi etici è talvolta come unificare i propri amici vegani invitandoli per una grigliata di maiale: sarebbe anche "bello", ma la realtà dei fatti è spesso spietatamente selettiva più che unificante.
Salvo tu intenda «unificante» nel senso che uno domina l'altro; infatti:
Citazione di: Ipazia il 25 Settembre 2019, 10:05:47 AM
che l'etica abbia un conatus unificante lo dimostra l'etica del conflitto: Odissea, etica cavalleresca, convenzione di Ginevra, regole d'ingaggio, DUDU. E mettiamoci pure la netiquette.
non sono esempi di unificazione etica, ma di come una etica si affermi scartando le altre possibili: ancora una volta si rischia di confondere il successo storico e demoscopico con la sintesi verso "il meglio". Come già detto, a posteriori l'etica dominante non può che guardare al passato che l'ha affermata come tale e dire: «è cosa buona e giusta» in un'autoreferenza che schiva le domande insidiose di ogni meta-etica.

Citazione di: Ipazia il 25 Settembre 2019, 10:05:47 AM
Citazione di: Phil il 24 Settembre 2019, 23:57:04 PM
Citazione di: Ipazia il 24 Settembre 2019, 22:03:37 PM
Il che mi spinge a caldeggiare l'unificazione degli assiomi e dei referenti fondativi.
Possiamo manipolare e unificare gli assiomi, ma davvero anche la pluralità dei referenti?
Dobbiamo. Questione di sopravvivenza della specie e di lieto vivere.
Un dovere etico che si scontra con un non-potere pragmatico; mi sa che anche qui puntiamo su cavalli diversi.

Citazione di: Ipazia il 25 Settembre 2019, 10:05:47 AM
La pluralità dei referenti non è questione etica, ma di gusto personale.
Pardon, la pluralità dei referenti è questione di "oggettività", "fattualità", etc. la pluralità dei significati è questione di gusto.

Citazione di: Ipazia il 25 Settembre 2019, 10:05:47 AM
Quando diventa questione etica nasce il conflitto, che esige almeno un'etica condivisa che si chiama tolleranza. Soluzione provvisoria in attesa di unificazioni più soddisfacenti. Con la farina a fare sempre da collante. E pure vaselina talvolta, quando l'animalità riscopre il suo senso.
Posso anche concordare con questa tua prospettiva etica (esigenza della tolleranza, etc.), almeno finché ne ricordiamo la contingenza; nel momento in cui la riteniamo necessaria e giusta, non potrà esserci né unificazione né sintesi dialettica con le prospettive divergenti, ma solo sotto-valutazione (gerarchica) o, in casi estremi, sotto-missione («mors tua...»).

Citazione di: Ipazia il 25 Settembre 2019, 10:05:47 AM
CitazioneProgresso etico? Secondo quali indicatori (di quale etica)?
Algoritmi di soddisfazione dei bisogni primari, salute, alfabetizzazione, tempo libero, diritti sociali e civili. Teoria dei bisogni: etica e politica sempre lì devono andare a parare. Fissando il tutto nel divenire delle tavole della legge.
«Bisogni primari, salute, alfabetizzazione, tempo libero» li lascerei a margine dell'etica (che non è il welfare); per affermare che diritti sociali e civili (e le tavole della legge che li contengono) progrediscano o regrediscano, avremmo bisogno di un paradigma interpretativo; ovviamente sceglieremo quello di casa nostra (di nuovo: posso concordare perché sono nella tua stessa cultura, ma la gerarchia è inevitabilmente autoreferenziale, non mi pare fondata su incontrovertibili sequitur etologici).

Citazione di: Ipazia il 25 Settembre 2019, 10:05:47 AM
L'invarianza etica intersoggettiva sta, fatta la tara del gusto e della varietà, nel cibo e nel bisogno di esso.
Se tolgo la parola «etica» la frase mantiene lo stesso senso; eppure quell'aggettivo non dovrebbe essere così irrilevante... il fatto che tutti abbiamo bisogno di cibo non è una questione in sé etica, ma fisiologica; l'etica può occuparsene nel gestire le scorte di cibo, ma è allora etico l'approccio al tema del cibo, non il bisogno in sé (anche i microbi hanno bisogno di cibo, ma non scomoderei l'etica per comprenderli). Ancora una volta, il referente (bisogno di cibo) non è il significato (questioni etiche riguardanti la gestione del cibo, etc.), in mezzo c'è un paradigma, anzi, dei paradigmi.

Citazione di: Ipazia il 25 Settembre 2019, 10:05:47 AM
se si considerano il bene e il male dei ferrivecchi da archiviare e si pone l'etica nell'esclusiva autonomia individuale finisce che ognuno si costruirà il suo rapporto "etico" con la natura, inclusa quella umana
Forse questo è il deleterio fraintendimento di base: quando propongo di accantonare «bene» e «male», non ho in mente un'autarchia individualista in una società di schegge rapsodiche e arroganti (che si arrogano la definizione di «bene» e «male», piuttosto che accantonarli). Rileggiamo il mio primo post del thread:
Citazione di: Phil il 07 Settembre 2019, 17:01:45 PM
L'alternativa è ingegnare nuove categorie più attuali (e possibilmente figlie fertili del nostro tempo) oppure, per farla più facile/difficile (dipende), andare a ripescare gli insuccessi storici di categorie inattuali al loro tempo, o di quelle soffocate dal coevo mainstream storico.
Se consideri che ho più volte sottolineato come il campo di gioco dell'etica sia la società e non l'individualità (vedi il mio ostracizzare Maslow in quanto invitato illegittimo) e ho più volte evidenziato come l'autoreferenza del paradigma etico sia culturale (non soggettiva) nel conflitto fra società (o addirittura continenti), puoi ben dedurre che la mia chiave di volta (e di lettura) non è che ognuno debba farsi un'etica a sua immagine e somiglianza (anche se resta possibile), ma piuttosto provare a pensare e analizzare i rapporti sociali con
Citazione di: Phil il 07 Settembre 2019, 17:01:45 PM
categorie meno vaghe e sbrigativamente sintetiche di "bene" e "male", magari declinandole (in entrambi i sensi) in altre categorie
Il conflitto fra paradigmi etici (siano essi, stavolta, sia individuali che collettivi) l'ho sempre inquadrato come criticità (risparmio altre autocitazioni) e come presupposto di fatto (cronaca, possibili referendum, etc.) il cui risvolto etico, secondo me, non è (come da caricatura "strawman" del relativismo) «ognuno si faccia il suo idolo e inizi la babelica bagarre planetaria!», quanto piuttosto una presa d'atto delle tautologie interne a ciascuna etica (in quanto tali) e delle aporie che nascono in assenza di una meta-etica risolutiva (che mi sembra piuttosto improbabile; per questo ho chiesto delucidazioni sull'eventuale sequitur ethos/etica; "piano b" altrettanto improbabile, da quel che ho capito).


P.s.
Se son "dovuto" ritornare al post di partenza, significa che il giro di giostra è finito e i successivi sarebbero perlopiù (ulteriori) ripetizioni; scendo, grazie della compagnia.
#1432
Tematiche Filosofiche / Re:L'origine del male e del bene
24 Settembre 2019, 23:57:04 PM
Citazione di: Ipazia il 24 Settembre 2019, 10:25:17 AM
Certamente: ethos techne vs. polis techne che a sua volta retroattivamente modifica l'ambiente (umano) e le sue tecniche di gestione, quindi l'etica (Platone, Machiavelli, illuminismo, socialismo,...). Mai negato tutto ciò. Semplicemente non eravamo arrivati a discuterlo, ma la con-fusione tra le due era evidente soprattutto nelle repliche "fattuali" di Phil.
Alludi a quando ho relazionato il successo storico di una prospettiva (politica o altro) con l'imprinting etico che ne è poi derivato (v. indicatori)? Oppure a quando ho ricordato che la politiche hanno la mano più pesante delle etiche (come ci insegnano gli "squali del capitalismo", etc.)?
Se politica ed etica prescindono dai "fatti", non diventano ancor più avulse ed autoreferenziali, pagando tale disimpegno con una mancata spendibilità in ambito sociale? Se pensiamo a sintesi dialettiche, ma poi la realtà ce le falsifica, significa che sbagliamo ad appellarci alla realtà oppure che è il nostro pensare che va un po' ricalibrato? Ci interessa un'etica e/o una politica che possano essere praticate (v. tesi su Feuerbach) o soltanto (de)scritte come "miglior mondo nel sol dell'avvenire"?

Citazione di: Ipazia il 24 Settembre 2019, 10:25:17 AM
Semmai è Phil convinto che si possa fare etica a partire dalla fisica
Tale "convinzione" risiede nel mio sbandierato non trovare un sequitur fra physis-ethos ed etica?
[Stai giocosamente "trollando" tutti i miei post in questa discussione o hai solo dimenticato di inserire un «non» prima di «convinto»?]

Citazione di: Ipazia il 24 Settembre 2019, 22:03:37 PM
Anche un mio Maestro, che certo non si faceva illusioni sugli "squali dell'imperialismo capitalista", ne riconosceva la funzione progressiva nella razionalizzazione del lavoro e dell'economia. Compresa una funzione etica di metabolizzazione di squali di più antica datazione.
«Etica» o «sociale»?

Citazione di: Ipazia il 24 Settembre 2019, 22:03:37 PM
Il paradigma a volo d'uccello appare come un serpentone unico, autoreferenziale nel suo volersi conservare in vita, per la qual cosa deve spendersi per il sequitur - poco presunto e reale - che il Maestro di cui sopra chiamava "ricambio organico uomo-natura"; la ricerca del cui equilibrio omeostatico è sempre una bella sfida per umani ed etiche di tutte le razze ed epoche.
L'etica non ha perlopiù altro campo d'applicazione rispetto all'equilibrio uomo/natura?

Citazione di: Ipazia il 24 Settembre 2019, 22:03:37 PM
Come in questa bellissima canzone di Battiato, il divino Eraclito ci spiega che il ciclo della vita è un paradigma tautologico nel quale tutto avviene al suo interno, laddove l'induzione passata ci permette di dedurre il futuro e l'etica funge da filo di Arianna che dobbiamo ritessere man mano che ci inoltriamo nel divenire. Ci facciamo guidare dall'etica del passato, laddove essa dimostra di continuare a funzionare, decostruendo e ricostruendo ciò che non funziona più.
[In entrambe le ricorrenze]«Etica» al singolare?

Citazione di: Ipazia il 24 Settembre 2019, 22:03:37 PM
La sintesi nasce dal conflitto. Dialettica hegeliana elementare.
Eppure, il buon Hegel si occupava di dialettica fra paradigmi etici o parlava di sintesi storica "a posteriori"? Intanto, nel qui ed ora del conflitto, quale dialettica scandisce l'etica (o meglio, le etiche)?

Citazione di: Ipazia il 24 Settembre 2019, 22:03:37 PM
Il che mi spinge a caldeggiare l'unificazione degli assiomi e dei referenti fondativi.
Possiamo manipolare e unificare gli assiomi, ma davvero anche la pluralità dei referenti?

Citazione di: Ipazia il 24 Settembre 2019, 22:03:37 PM
Il valore vita ha avuto anche risvolti differenti dalla piramide alimentare darwiniana. Abbiamo portato anche morte e distruzione, ma bisogna mettere tutto nel conto evolutivo. Nel quale solo il progresso etico e l'accuratezza dei suoi paradigmi ci può salvare.
Progresso etico? Secondo quali indicatori (di quale etica)?

Citazione di: Ipazia il 24 Settembre 2019, 22:03:37 PM
Benessere e felicità hanno loro algoritmi abbastanza rigorosi finchè si resta nel campo della soddisfazione dei bisogni condivisi. Con un grado si certezza maggiore quanto più ci si trova alla base della piramide di Maslow, cui corrisponde una invarianza etica alquanto incontestabile.
«Invarianza etica» dei bisogni primari? Il testo di Maslow (citato in precedenza) non aveva confermato che la piramide ha valenza individuale (così come sono vissuti individualmente i bisogni primari)?

Citazione di: Ipazia il 24 Settembre 2019, 22:03:37 PM
lo sviluppo socioeconomico e tecnologico travolgente dell'Asia è frutto di intelligenza collettiva. Sintetica, piuttosto che debitrice, del pensiero occidentale. Al punto che ci stanno già facendo scuola.
Lavoro collettivo, senza scendere nei dettagli della sua "eticità", significa intelligenza collettiva? Lo sviluppo è davvero anche «socio» oltre che «economico»?

Citazione di: Ipazia il 24 Settembre 2019, 22:03:37 PM
Sotto il Mediterraneo manca. E infatti se la vengono a prendere in Europa.
Davvero è l'intelligenza collettiva ciò che (ap)prendono (provenendo dai paesi dell'ubuntu)?
#1433
Tematiche Filosofiche / Re:L'origine del male e del bene
23 Settembre 2019, 22:21:58 PM
Citazione di: Ipazia il 23 Settembre 2019, 19:47:38 PM
Abbiamo difficoltà a distinguere la Germania nazista dalla Germania democratica ? Torquamada da Voltaire ? Tanto difficile e opinabile un paradigma a proposito ? Ne girano parecchi: indicatori di sviluppo, qualità della vita e persino di felicità
La distinzione (del referente "fattuale") la vedono sia il nazista che il democratico, sia gli inquisitori che gli illuministi; sul valore (significato) della differenza, temo non siano perfettamente concordi (come già ricordato da Jacopus). Chiaramente qualcuno viene sconfitto nel corso della storia; ma davvero capita solo ai "cattivi"? O sono i vincitori a fare l'etica più di quanto la facciano i presunti sequitur? Forse non ne avremo mai la controprova; tuttavia, riflettendo sulle categorie (e sulla compilazione degli indicatori) attuali non è difficile intuire che esse siano figlie della storia più di quanto siano formalizzazioni di valori assoluti e meta-storici (se riusciamo a riconoscere la loro genesi terrestre: contingente, non necessaria). Ad esempio, il successo storico degli "squali dell'imperialismo capitalista" quanto condiziona il "segno +" dei nostri «indicatori di sviluppo, qualità della vita e persino di felicità»(cit.)? Autoreferenza dei paradigmi, dicevamo.

Citazione di: Ipazia il 23 Settembre 2019, 19:47:38 PM
Chi decide la "normatività" etica ? Un assioma idealistico assoluto o storicamente determinato ? La falsificabilità la misurano le varie Stalingrado sociali e morali che hanno segnato la storia. L'oggettività incontrovertibile meglio lasciarla ai metafisici e ai matematici. Per la vita reale basta un'etica laica, capace di demarcare diritti e doveri nello spirito e materialità dei tempi.
La normatività è solitamente implicita nell'etica, non fuori (per questo ammonivo sul ricordare cosa ci aspettiamo dall'etica). L'etica deve guidarci o noi dobbiamo guidare l'etica? Sarebbe bella una salomonica dialettica fra le due, ma se intanto, in concreto, dobbiamo decidere una questione etica, come quelle che ho citato in precedenza, non possiamo che far appello all'etica che abbiamo: "per vedere l'effetto che fa" o perché la riteniamo giusta? La risposta rivela il peso della distinzione fra induzione e deduzione, fra falsificabilità e paradigma tautologico, etc.

Citazione di: Ipazia il 23 Settembre 2019, 19:47:38 PM
Seminari e conventi languono e "un pane per grazia di Dio" scandisce penosamente i nuovi reclutamenti. Che invece abbondano nelle kermesse socio-filosofiche. A prova di snobbismo iniziatico: ogni epoca ha il suo logos, e che si sia proletarizzato un po', alfabetizzando le masse, non guasta.
Direi che non guasta affatto; una volta distinto lo snobbismo dalla competenza, sai che sono fautore del fai-da-te filosofico (essendone esempio), della già citata popsophia e del "bricolage del pensiero", soprattutto finché hanno la consapevolezza e l'umiltà di esser tali (le istruzioni dei mobili Ikea sono per tutti, quelle per costruire l'Amerigo Vespucci sono un po' più selettive).

Citazione di: Ipazia il 23 Settembre 2019, 19:47:38 PM
Stiamo parlando di un'etica che acquisisce senso in una circolarità planitaria, di specie. E che se ne incontra un'altra non nasce aporia, ma necessità di sintesi, perchè la dialettica è ormai globale.
Eppure, su scala globale, i "fatti" ci parlano più di conflitti che di sintesi; più di incompatibilità paradigmatica che di dialettica. Dove le talpe notano sgambetti e colpi bassi, le nottole, dall'alto, vedono un laborioso formicaio; come sempre, ognuno scorge ciò che la sua prospettiva gli consente.

Citazione di: Ipazia il 23 Settembre 2019, 19:47:38 PM
Anche perchè pure le interpretazioni sono fatti. E producono fatti il cui sfondo incontrovertibile, in assenza di dei, diventa la natura, ivi compresa quella natura particolare che è la natura umana. In cui i significati non sono, ma si danno. E sopravvivono in base alla loro capacità di produrre più benessere e felicità.
Selezione "naturale" fra i significati in vista di maggior benessere e felicità? Come dissi pagine addietro, è un alibi ben noto a noi occidentali, dai tempi delle crociate sino all'esportazione della democrazia (cito, non valuto); gli squali di cui sopra ne sarebbero fieri, i pesci piccoli e martirizzati un po' meno; tuttavia se questa è la sintesi dialettica "giusta" che la storia ci propone, le sorti della vita dei pesci piccoli sono la conferma dell'ethos del «mors tua, vita mea»; tutto piuttosto "naturale" (la vita ha di certo un suo "valore" nell'economia della piramide... non di Maslow, ma quella alimentare).

Citazione di: Ipazia il 23 Settembre 2019, 19:47:38 PM
capacità di produrre più benessere e felicità. Concetti non incontrovertibili, ma solidi abbastanza da poter essere assiomatizzati con la consapevolezza dei loro limiti.
Assiomatizzare «benessere e felicità» non è forse il primo passo per chiudere impostare un paradigma etico sull'interpretazione del significato di quei due termini? In un gesto solo ecco spiegati l'autoreferenza del fondamento etico e la pluralità delle etiche.

Citazione di: Ipazia il 23 Settembre 2019, 19:47:38 PM
E' la lezione di Nietzsche: interrogare il proprio destino (evolutivo) e cercare di assecondarlo al meglio possibile. Ovvero, aggiungo io (anche se FN non sarebbe d'accordo) vagliandolo con lo strumento più oggettivo di cui disponiamo: l'intelligenza collettiva.
Sbaglierò, ma qui rilevo un ingombrante occidente-centrismo: al di là degli Urali e al di sotto del Mediterraneo, l'intelligenza collettiva/connettiva non va troppo di moda, o forse è così "pensiero laterale" che la fraintendiamo?
#1434
Tematiche Filosofiche / Re:La scrittura
23 Settembre 2019, 16:59:31 PM
Citazione di: paul11 il 23 Settembre 2019, 00:47:45 AM
Il sacro (non necessariamente inteso come termine teologico o "deistico") nacque come inviolabilità per creare una "remora", una dissuasione a percorrere certi metodi che oggi definiremmo da furbi.
Oggi lo vedo più o meno velocemente sparire spacciandola per libertà
[...]Il sacro può anche essere inteso (ma non solo) come esigenza di tenere unita una comunità .
Concordo; in ciò la funzione del sacro mi pare quasi insostituibile: a prescindere dal suo fondamento, il sacro fonda una dimensione linguistica in cui il meccanismo (morale, psicologico, etc.) della «remora» ("peccato", etc.) cerca di mantenere la parola aderente al reale, riducendo le contraffazioni semantiche. Si tratta di una funzione che mi sembra permanere tuttora anche nel dna culturale del laico, per quanto indebolita e scollata dai suoi fondamenti originari e non so se tale istanza del «non mentire», nella sua estrema funzionalità sociale, potrà mai essere fagocitata da usi strumentali del linguaggio; probabilmente la sua utilità è così imprescindibile che manterrà sempre un ruolo normativo (per quanto, come si suol dire, «fatta la legge, ...»).

Citazione di: paul11 il 23 Settembre 2019, 00:47:45 AM
Tutto è manipolabile da parte degli umani, l'oralità o la scrittura sono sempre manipolabili, non è questa la discriminante. Il testo scritto è divenuto fondamentale nelle scienze giuridiche, negli iter processuali ,in criminologia come probante. Ma è tanto più probante tanto più non trasmette conoscenza, dice il "fatto".
Qui concordo meno: manipolare un racconto orale mi pare molto più facile che manipolare uno scritto e, fuori dai tribunali, ci sono scritti che trasmettono conoscenza, non solo fatti o codici; gli scritti più antichi si occupavano tanto di conoscenza (filosofia, religioni, etc.) quanto di fatti; il "descrizionismo" si è intensificato con la storia (per quanto la storio-grafia sia antichissima) e con il miglioramento delle tecnologie di scrittura.

Citazione di: paul11 il 23 Settembre 2019, 00:47:45 AM
La mole di scrittura negli ultimi decenni, se aggiungiamo il "net" penso che da sola conti più che l'intera storia dell'umanità precedente messa insieme.
Il concetto dirimente è che la scrittura non ha portato di per sé maggiore conoscenza, semmai maggiori curiosità, ma frastornati e l'informazione è parecchio "fake".
La scrittura porta (tutta?) la conoscenza della sua epoca; il "net" rende la rete della conoscenza accessibile oltre i confini spaziali (che anticamente erano spesso invalicabili); che poi la qualità dell'informazione sia nel complesso scadente e inflazionata, dipende da quanti producono informazioni: la quantità non può andare a braccetto con la qualità perché pochi hanno competenze specifiche (per definizione, direi). Esempio banale: se tutti corressimo la maratona di New York, solo perché è aperta a tutti (poniamo), il tempo medio sarà altissimo; se la corrono solo i professionisti, il tempo medio sarà inaccessibile persino ad altri professionisti (con la comunicazione è lo stesso, al netto di interessi in gioco ed ingerenze varie).

Citazione di: paul11 il 23 Settembre 2019, 00:47:45 AM
Personalmente dò parecchia importanza a "chi dice" prima ancora a "cosa dice", ribadisco che la fiducia e la credibilità di una trasmissione orale è più fiduciaria rispetto ad un asettico, almeno apparentemente, scritto.
La fiducia è proprio il fattore chiave del problema del filtro a cui accennavo; tuttavia, la fiducia può essere anche concessa a un testo scritto di una persona di cui mi fido, pur senza aver mai visto la sua faccia; poiché, credo concorderai, la faccia sa ingannare tanto quanto la voce e tanto quanto la penna.

Citazione di: paul11 il 23 Settembre 2019, 00:47:45 AM
Non c'è alcun archivio di senso, una verità si cerca sempre e comunque e nemmeno la più immane biblioteca può indicare lei ciò che devi trovare ciascuno di noi E tanto più un problema è grave, una conoscenza è difficile e tanto più abbiamo necessità di un faccia a faccia.
L'«archivio di senso» va distinto dall'"archivio della Verità": nel momento in cui ci confrontiamo con un testo, sia esso un tomo antico o un post su facebook, attingiamo inevitabilmente un po' di senso, riceviamo un input semantico. Vero o falso? Qualunque sia la risposta, non cancella l'evento del confronto con quell'input di senso.
Non intendo quindi l'«archivio di senso» come Verità che redime la dialettica io/altro, soggetto/oggetto, etc. ma solo come "tertium", più o meno rilevante, che ha un suo ruolo in tale dialettica (almeno nelle culture alfabetizzate).
#1435
Tematiche Filosofiche / Re:L'origine del male e del bene
23 Settembre 2019, 16:24:48 PM
Citazione di: Ipazia il 23 Settembre 2019, 08:43:16 AM
Dal cielo, tutti o quasi, vedono il brulicare della vita. Da terra ci si chiede come regolarla al meglio. La risposta (storica) incontrovertibile è che alcune ricette funzionano meglio di altre.
Il «meglio» è esattamente il problema (valutativo, direi). Che la strada dell'uomo proceda pian piano verso il meglio, possono dirlo Darwin e Leibniz (e altri, suppongo), ognuno con le sue ragioni; ci sono tuttavia anche altre ragioni che, su altri piani, decostruiscono persino la categoria di «meglio», relegandola al rispettivo paradigma (questione di interpretazioni e di fondamenti).

Citazione di: Ipazia il 23 Settembre 2019, 08:43:16 AM
L'assiomatica a priori è un delirio metifisico che ha già fatto infiniti danni. Persino nella "razionalità pura" scientifica gli assiomi nascono da induzioni continue, soggette a falsificazione, e deduzioni a posteriori. Nell'universo antropologico funziona uguale: l'assioma va sempre ricercato nell'esperienza ed è soggetto a continue revisione che lo adeguino ad un ethos in costante evoluzione. Come nella scienza, l'unica autorità assiomatica è il pear review dell'intelligenza collettiva che, col senno di poi (sempre a posteriori), può rivelarsi anche poco intelligente, ma che avendo essa scritto la storia chiede comunque di essere presa sul serio, generando un punto assiomatico da cui ripartire per fare eventualmente tutto il contrario.
Tutto condivisibile; almeno finché non parliamo di etica, che non credo possa procedere "per tentativi ed errori"; non perché non ci sia la pazienza per farlo, ma perché un'etica induttiva, che sperimenta, prende nota e poi si corregge, non avrebbe la normatività che le si richiede (non dimentichiamoci cosa ci aspettiamo da un'etica...), né ha, essendo basata su interpretazioni di significato, una falsificabilità fruibile per riorientarsi al meglio (sempre in attesa che si scopra/inventi un sequitur incontrovertibile e oggettivo per risolvere definitivamente le questioni etiche, rendendole mere operazioni epistemologiche).

Citazione di: Ipazia il 23 Settembre 2019, 08:43:16 AM
La filosofia fa da moderatore quando qualcuno la fa fuori dal vaso trasformando quattro dati sperimentali in metafisiche di bassa lega. Non si tratta di "raccordare i saperi", ma di trarre da essi elementi nutritivi per il proprio sapere (filosofico) che pare non andare mai in pensione visto la debordante "richiesta di significato" che popola di folle umane ogni sagra turistico-filosofica che neppure l'armata di Bergoglio e la pietra nera riescono a reggere la concorrenza.
Magari sbaglio, ma direi che il paragone numerico sia piuttosto impietoso a favore della concorrenza con la tunica (inevitabilmente, a parer mio) e, soprattutto, la «richiesta di significato» di oggi mi appare piuttosto consumistica, nozionistica, fumettistica, presenzialistica e populistica (e ben venga la "popsophia"), proprio per colmare il vuoto lasciato, loro malgrado, da quelli con la tunica e non ancora conquistato dagli psicologi. Questo, a suo modo, è il compimento del declino della metafisica tramite volgarizzazione a livello popolare e mutamento in "letteratura d'ispirazione" (ogni piano ha i suoi tempi e la sua voracità). Quando parlo del "vecchietto senza cantiere", intendo questo:«una volta sì che si sapeva come tirar su una metafisica fatta bene» direbbe il suddetto vegliardo guardando alla teoresi di oggi.

Citazione di: Ipazia il 23 Settembre 2019, 08:43:16 AM
Che i bisogni materiali muovano la Lebenswelt ha tutti i crismi dell'assioma correttamente relazionato al referente reale in tutto l'arco non virtuale che va dai boat people a Wall Street. [...] Per tutti gli animali terrestri l'assioma regge.
Certo, assioma fisico; per diventare etico deve purtroppo spogliarsi della sua incontrovertibilità, aprendo il referente (physis, bios) ad un senso che si fa sempre più imposto alla vita in sé (dall'ethos all'etica). Solo a seguito di tale spogliarsi, ogni etica acquisisce senso (se lo avesse prima, non staremo qui a parlarne) e si fonda nella sua tautologica circolarità (che diventa aporia ogni volta che ne incontra un'altra).

Citazione di: Ipazia il 23 Settembre 2019, 08:43:16 AM
filosofia [...] il suo campo operativo è una semantica in cui nessuna "scienza umana" è stata finora capace di prenderne il posto.
Concordo, e come ogni semantica è infatti arbitraria, autoreferenziale, etc. volerlo evitare comporterebbe un ritorno ai fondamenti celesti, gli unici che oltre ad essere referenti "incontrovertibili" avevano in omaggio anche dei significati parimenti incontrovertibili (per quello potevano e dovevano negare che, anche nell'etica, non ci fossero fatti ma solo interpretazioni... oggi per noi è forse un po' più difficile).
#1436
Tematiche Filosofiche / Re:La scrittura
22 Settembre 2019, 15:50:31 PM
Citazione di: paul11 il 19 Settembre 2019, 20:39:14 PM
L'ìipocrisia, perchè questo è la menzogna, è il tipico atteggiamento che mira alla funzionalità e utilità individuale, tipico della cultura occidentale moderna e postmoderna relativista. dove la parola "è gioco di parole" per l'arte della persuasione e del contendere.
Eppure i sofisti e i retori esistono da abbastanza prima dell'età moderna e postmoderna, che non credo abbiano di tipico l'uso disinibito e strumentale del linguaggio (o almeno non credo le ricorderemo per questo, essendo un uso nato con il linguaggio stesso). Da notare inoltre che i bambini sono d'istinto affascinati dai giochi di parole (filastrocche, etc.) e imparano spontaneamente a servirsi astutamente del linguaggio; c'è forse qualcosa di più profondo, nell'uso giocoso e furbo del linguaggio, ben oltre la malizia (post)moderna.

Citazione di: paul11 il 19 Settembre 2019, 20:39:14 PM
Quando una cultura perde la sacralità della parola data , in una stretta di mano, si entra nell'epoca del "nulla",questo è il vero nichilismo.
Mi pare non sia un caso se mentire è forse da sempre e pressoché ovunque considerato «peccato»; quindi la sacralità è da sempre insidiata dalla sua profanazione; se questo è nichilismo, secondo me è congenito tanto alla parola quanto alla stretta di mano, oltre che alla scrittura, con tutte le differenze di verificabilità e di tutela storica che intercorrono fra fonte orale e fonte scritta. Se infatti racconto ciò che la mia famiglia tramanda da generazioni, come controllare che ciò che dico sia identico a ciò che che diceva mio padre (a sua volta impeccabile ripetitore di mio nonno, etc.)? Il "gioco del telefono senza fili", nella sua voluta spensieratezza, è eloquente al riguardo. Un tratto saliente dello scrivere è infatti la possibilità di creare fonti di riferimento non facilmente manipolabili, al punto che piuttosto che modificare i testi (la cui manomissione sarebbe stata palese) spesso si è preferito bruciarli (oggi che sono testi sempre più virtuali, la questione è ben più infida...). Nella tradizione orale, quanto più sono l'unico a tramandare qualcosa, quanto più posso disporne a piacimento, orientandone l'impatto sull'uditore, senza possibilità di smentita (eventualmente, sarà "la mia parola contro la sua"; "il mio scritto contro il suo" è invece sempre meno probabile, almeno dall'invenzione della stampa fino alla legge sul deposito obbligatorio dei testi).

Storicamente, l'impulso che la scrittura ha dato alla (in)formazione delle genti, spingendole ad acquisire almeno un'alfabetizzazione di base, è in fondo una delle molle della burocrazia (nel bene e nel male), della conoscenza della cultura generale e dell'attualità (v. giornalismo), oltre che, ultima ma non per importanza, della benemerita partecipazione attiva alla vita politica democratica (basti pensare alla segretezza del voto che, senza offesa per l'oralità e le tecniche di votazione del senato romano, richiede comunque un minimo di lettura della scheda e capacità di firma). Se poi tutto ciò sia un bene o un male o semplicemente l'ennesimo problema da affrontare per l'uomo, dipende dalla visione più o meno "esoterica" della società; hai ricordato «le perle ai porci» che è, per me, una questione che anche oggi ha una sua criticità (sorvolando su chi dà la colpa alla Circe di turno per il suo esser-maiale), ovvero: quali informazioni sono da condividere? Quando una totale "trasparenza" (semmai umanamente possibile) diventa "oscena"? Un tutorial per costruire la bomba atomica è pregevole indice di elevata libertà di espressione? I controllati devono sapere i trucchi dei controllori? Chi controlla i controllori della comunicazione? Moltiplicare i canali di comunicazione e i comunicatori, moltiplica anche le esigenze di filtri? Etc.

Rispetto alla oralità, la scrittura consente una relazione più permanente e differita (nel tempo e nello spazio) con i propri simili, introducendo un terzo polo fra «soggetto» e «oggetto», fra «io» e «altro», fra «parlare» e «ascoltare»: un archivio di senso consultabile e condivisibile, che può istigare alla sua modifica, riproduzione e disseminazione, ma anche a rivalutare l'"utilità" e il "senso" dell'impermanenza, del non lasciar traccia e persino del non tracciabile (l'indescrivibile dell'esperienza viva), anche questa rivalutazione affiora, seppur via negationis, dai testi della scrittura.
#1437
Tematiche Filosofiche / Re:L'origine del male e del bene
20 Settembre 2019, 21:54:05 PM
Citazione di: Ipazia il 20 Settembre 2019, 17:30:59 PM
La nottola vola alto per vedere la luna oltre le cortine fumogene dei cacciatori; ma per indagare le microscopiche miserie dei loro fondamenti e l'inconsistenza delle loro radici é senz'altro meglio un animale per molti versi ad essa complementare, la talpa.
Eppure, come dicevo, se la nottola vuole nutrirsi dovrebbe scendere di quota, persino fino a terra se preferisce prede sostanziose (magari piccole talpe sprovvedute, perché no?); ovvero: se la filosofia (o l'etica), vuole fare davvero i conti con il reale, dovrebbe abbandonare le rotte aeree dello Spirito (seppur hegeliano) che, come hai condivisibilmente notato, servono più a guardare il cielo che a capire le dinamiche della terra toccandole con mano. Ricordo sempre volentieri che Talete non è solo il filosofo della buca, ma anche quello dei frantoi (da far scuola a Bezos) e oggi, a parer mio, più che in passato alla filosofia si chiede di stare con i piedi per terra (l'epistemologia è infatti roba da talpe).
Dal cielo, tutti (o quasi) vedono la sacralità della vita, ma intanto sulla terra ci si chiede: è a priori "sbagliata" qualunque guerra poiché elimina la vita altrui? La vita nasce con la fecondazione? La vita è tale anche quando si vive nel sonno grazie a macchinari elettrici? Quanto possiamo dobbiamo limitare la vita del singolo contro la sua volontà, ma per il bene presunto della vita della comunità? Etc.
Queste sono domande etiche a cui il macroscopico comandamento «non uccidere» (che arrivi dalla "voce rivelata" del Cielo o dal calcolo social-razionale) può dare poche direttive pratiche e, come insegna la storia della terra, ciascuno le interpreterà comunque a modo suo (ricordo ancora una volta la pluri-vocità dei dibattiti su questi e altri temi, a cui mi risulta manchi una soluzione incontrovertibile, oppure bisognerà andargliela a dimostrare...).

Citazione di: Ipazia il 20 Settembre 2019, 17:30:59 PM
Forse sì, perché se il referente é unico (l'universo antropologico naturalmente immanente e culturalmente trascendentale), ogni disciplina lo analizzerà dalla sua prospettiva gnoseologica lasciando alla filosofia la sintesi etica dei risultati. Eventualmente criticandoli e chiedendo ulteriori approfondimenti. Quindi nessuna superficialità, ma collegialità d'indagine.
Ammetto che questo ruolo aulico non mi ha mai convinto totalmente; la filosofia che raccorda i saperi, che fa da moderatore nel dibattito interdisciplinare, controlla e dirige i lavori altrui quasi fosse l'intellettuale-architetto che istruisce i tecnici (più spesso mi pare ormai sia il vecchietto che guarda gli operai in cantiere... perché lui un cantiere non ce l'ha più, c'è turn over anche fra i saperi e la filosofia mi pare abbia fatto "quota 100" da un pezzo). Potrei chiedere esempi concreti in cui la filosofia, oggi, tiene davvero le redini di discorsi interdisciplinari (più di quanto ne sia a sua volta imbrigliata), ma sarebbe off topic (a ciascuno lo sfizio di rispondere fra "se" e sé). D'altronde, se il sequitur c'è, lo si chiama per nome (e chiamarlo «struttura-sovrastruttura» è quasi come chiamarlo "derivazione": pseudo-tautologia di sinonimi che lascia trasparire... autoreferenzialità), altrimenti mi resta il sospetto che convocare le altre discipline sia una ricerca di appoggio superficiale (di superficie) che denota, manco a dirlo, un fondamento inadeguato o instabile (o autoreferenziale, ma non insisto).
Quello che, secondo me, ha da dire una filosofia ancora pensante, non è spiegare agli altri saperi come dialettizzarsi (non me ne voglia Hegel) quasi fosse davvero la "scienza prima" (non me ne voglia Aristotele), quanto piuttosto dare il suo apporto con i suoi "mezzi", talvolta non richiesti, talvolta fuorvianti, talvolta d'ispirazione, talvolta semplicemente non pertinenti.

Citazione di: Ipazia il 20 Settembre 2019, 21:34:31 PM
Autoreferenzialità rispetto a cosa ? Ad un assioma del tutto arbitrario che qualche camarilla si inventa ?
Autoreferenzialità rispetto ai suoi stessi assiomi (Godel docet), il che non significa che qualunque asserzione possa diventare un assioma (questo non lo direbbe nessuno, credo; di certo né io né Protagora).


P.s.
Citazione di: Ipazia il 20 Settembre 2019, 17:30:59 PM
PS. Bella la citazione del Tao sui vari stadi dell'evoluzione metafisica e meritevole di riflessione. Interessanti anche le tue deduzioni, visibili però solo in "struttura" del post.
Dovrebbero essere visibili anche tenendo premuto il tasto sinistro del mouse e scorrendo verso il basso, passandolo sopra la citazione, come se si dovesse selezionare il testo (sul mio pc funziona...).
#1438
Tematiche Filosofiche / Re:L'origine del male e del bene
20 Settembre 2019, 13:22:29 PM
Citazione di: Sariputra il 20 Settembre 2019, 09:48:53 AM
L'etica sarà sempre un processo di crescita personale, un discernere continuo con il cuore tra gli eventi che ci capitano nella vita.
Parlando con Ipazia della complessità delle questioni etiche attuali, mi concessi una battuta riguardo al "cuore":
Citazione di: Phil il 15 Settembre 2019, 18:48:39 PM
Quindi in un referendum sulla bioetica o dovendo scegliere il miglior programma politico, mi suggerisci di «lasciar parlare la natura»? Perdona la futile battuta, ma il passo successivo non sarà mica «ascolta il tuo cuore»?
Al di là del motto (eravamo in un contesto meno poetico e un po' più epistemologico), bisogna comunque riconoscere come sia proprio il "cuore" a differenziarci da un calcolatore:
Citazione di: Phil il 12 Settembre 2019, 16:29:17 PM
un elaboratore che, analizzando tutti i dati antropici, ci spiega che razionalmente dovremmo smetterla di procreare e persino di curarci perché il pianeta è sovraffollato, l'impronta ecologica è drammatica, etc. tuttavia se possiamo intimargli di tacere è perché lui non ha un cuore e, come noto solo agli umani, «il cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce...».
Se è vero che tutti abbiamo un "cuore", è anche vero che
Citazione di: Sariputra il 20 Settembre 2019, 09:48:53 AM
La differenza nel sentire fa sì che, già all'inizio, c'era l'uomo che abbandonava il figlio in pasto al leone, dandosela a gambe, e quello che per salvare il figlio si faceva sbranare dal leone. C'era chi tradiva il gruppo per l'interesse personale e chi moriva per l'interesse del gruppo...Tutto questo agli albori, prima di ogni cultura sviluppata, come la intendiamo oggi....Sostanzialmente le cose non sono cambiate.
Concordo sul fatto che i cuori degli umani (e i rispettivi "sentire") siano differenti, che ognuno abbia le sue pulsioni.

Citazione di: Sariputra il 20 Settembre 2019, 09:48:53 AM
Consapevolezza e compassione sono i cardini dell'etica. E non si può o non si riesce ad imporre a nessuno di essere consapevole o compassionevole...
Possiamo tuttavia essere educati alla compassione e alla consapevolezza: om mani padme hum (mi piace ricordare la spiegazione del Dalai Lama: om = aum, tre lettere che rappresentano corpo-mente-parola; mani = gioiello-compassione; padme = loto-consapevolezza; hum = unione). Questo almeno sbirciando dentro il "cuore" del buddismo, tuttavia, abbiamo appena ricordato che ci sono tanti "cuori", sia intesi come uomini che, allargando il discorso alle comunità, come tradizioni (per alcune siamo tutti fratelli, per altre al massimo cugini; dimostrazione che i cuori fisiologici funzionano tutti allo stesso modo, ma quelli metaforici non sempre, e parlare della loro "salute" o "malattia" prevede spesso una discreta discriminazione, fondata su valori "autofondanti", etc.).

Citazione di: Sariputra il 20 Settembre 2019, 09:48:53 AM
L'etica ha più a che fare con la virtù, quindi con qualcosa di interiore e personale, che 'eleva', mentre la morale è l'abito esteriore, fatto di imposizioni o di adeguamenti che mutano nel tempo . Si può dire che, in assenza di virtù, sorge la morale e quindi la Legge
Questa frase, in cui la morale rimpiazza la virtù (pur intendendo poi tu la virtù in modo "greco" come «la disposizione d'animo a compiere il bene per se stesso») mi ha fatto venire in mente l'affinità con il pensiero taoista; ad esempio questo passo:
«La conoscenza degli antichi si spingeva lontano.
(Mitica età passata, tipico espediente per sostenere che non è utopia poiché è già successo realmente)
Fin dove si spingeva? Fino a ritenere che le cose non esistessero.
(qui la differenza fra "nichilismo" ontologico-occidentale/concettuale-orientale)
Questa è la conoscenza suprema, a cui non vi è nulla da aggiungere.
(la spoglia ma enfatica completezza tipica dei pensieri arcaici)
Poi vennero coloro che credevano all'esistenza delle cose,
ma non tracciavano confini fra di esse.
(concettualizzazione senza individuazione?)
Poi vennero coloro che tracciavano confini fra le cose,
ma non riconoscevano l'esistenza del giusto e dello sbagliato.
(individuazione secondo principio di identità ma senza annesso giudizio)
Quando sorsero il giusto e lo sbagliato, il Dao cominciò a declinare.
(la virtuosa spontaneità viene meno, si acuisce la ratio con le sue dicotomie valutative)
Quando il Dao cominciò a declinare, l'attaccamento divenne completo.
(attaccamento alle "cose", ormai distinte, quindi classificate, quindi con valore differente)
Ma vi sono veramente una completezza e un declino
(completezza e declino sono "cose" che esistono davvero?)
o non vi è né completezza, né declino?»
(come direbbero gli antichi di cui sopra)
(Chuang Tzu, 2, "Sull'uguaglianza di tutte le cose")

Selezionando la citazione con il mouse, fra le righe (se non ho impostato male il testo) sono leggibili i miei commenti, che ho preferito segnalare in un secondo momento per non "sporcare" la prima fruizione del testo originale.



P.s.
@Ipazia
Effettivamente la parola «grossolano» suona ambigua; non la intendevo come sinonimo di «volgare» o «di poco valore», ma piuttosto (etimologicamente) come macroscpico, evidente, palese (l'ho usata in modo descrittivo, non valutativo).
Nel link si dice che in Russia sia proibito girare con l'auto sporca, in Colorado niente auto nere di domenica, in Austria le infrazioni oltre i 30km/h vengono rilevate ad occhio, etc. non vedo come ciò sia fondato (e non semplicemente accostato) sul rispetto del valore della vita umana che, come ho già premesso, accomuna tutti i codici della strada (seppur, a considerare i differenti limiti sulle autostrade...). Differenze trascurabili, pur facendo parte di un nomos e non di altri? Certo, era solo un esempio, anzi una metafora, tuttavia... temo che la nottola preferisca volar (troppo?) in alto per mettersi al riparo dai cacciatori, con il risultato che, più va in alto, più si scorgono sono le questioni... macroscopiche (e, almeno che la nottola non voglia cibarsi di elefanti, dalla sua quota siderale non riuscirà a scorgere alcuna preda delle dimensioni adeguate per potersene cibare).
Se il sequitur è infatti quello del «rapporto struttura-sovrastruttura indagato da storici, filosofi, sociologi, psicologi, economisti»(cit.) mi pare che andiamo ben oltre l'autoreferenza di ogni disciplina, oltre la tautologia assiomatica, oltre il relativismo ermeneutico (interpretazioni di interpretazioni), siamo davvero così "in alta quota" da vedere solo la superficie globale dello scibile umano. Quindi temo che, data la superficialità della prospettiva, l'«incontrovertibilità del fondamento» sia, almeno per adesso, da accantonare fra i presupposti dell'etica, non fra i risultati di argomentazioni/dimostrazioni fondanti (ma forse m'inganno).
#1439
Tematiche Filosofiche / Re:L'origine del male e del bene
19 Settembre 2019, 17:10:08 PM
Citazione di: Ipazia il 19 Settembre 2019, 15:57:47 PM
La risposta te la sei data da solo. Arbitrario può essere il senso di marcia, il colore dei semafori e i simboli della segnaletica, ma non è arbitrario il loro significato che rimanda al referente umano da salvaguardare mediante tali dispositivi teorici e tecnici resi vigenti e noti universalmente.
Se non erro ho citato (usando quel link per brevità) anche le differenze di regole, quindi di nomos che dà significato alle azioni.
Sulla tutela della vita (referente-presupposto), come dicevo,
Citazione di: Phil il 19 Settembre 2019, 14:04:50 PM
ogni etica probabilmente proibirà di uccidere per il puro piacere di farlo (sarebbe difficile organizzarsi in società); tuttavia non mi sembra che le questioni etiche importanti per l'uomo (attuale e non) siano di questa "grossolanità", per la quale, concordo, probabilmente basta l'ethos animale.

Riguardo al famigerato sequitur, come si dice in altri contesti, l'onere della prova spetterebbe a chi afferma... e per prova si intende solitamente una dimostrazione, non una mera affermazione (ammetto che tra macchinette del caffè, animali e codici della strada, ti ho probabilmente distratta... sono ancora in attesa di sapere qual'è il sequitur, in "cosa" consiste).

Che le etiche siano molteplici, che spesso non ci sia falsificazione razionale fra etiche divergenti (v. scontro fra culture), che questioni etiche "evolute" (fuori dalle grotte) non siano risolvibili oggettivamente chiedendo all'ethos o alla physis, etc. credo siano ormai assodati dati di fatto (fino a prova contraria); il resto sono piacevoli interpretazioni (e su quella che è la loro circolarità, almeno secondo me, ti ho intrattenuta a sufficienza).
#1440
Tematiche Filosofiche / Re:L'origine del male e del bene
19 Settembre 2019, 14:04:50 PM
Citazione di: Ipazia il 19 Settembre 2019, 11:35:32 AM
Citazione di: Phil il 18 Settembre 2019, 23:01:09 PM
metafisica del senso che non sa di essere autoreferenziale (in questo l'etica è solo un'estetica che si prende sul serio, confondendo la serietà delle sue conseguenze con la serietà dei suoi fondamenti).

Possiamo anche intenderla così: in effetti guerra, pestilenza, malattia, miseria, ignoranza sono anche brutti referenti e possono benissimo afferire ad un universo semantico non-etico, che l'etica cerca tecnicamente di superare.
Non è esattamente quello che intendevo (v. cross-dressing fra etica ed estetica); quell'«in questo»(autocit.) è l'innesco fondamentale del senso del discorso, ovvero, parafrasando: «per quanto riguarda la consapevolezza di essere autoreferenziale, in questo l'etica è solo... etc.». Sarebbe a dire che l'estetica sa (e ammette) di essere autoreferenziale, mentre l'etica spesso se lo dimentica, anche a causa della sua eredità teologica (il cui universalismo viene fatto uscire dalla porta dalla laicità, ma viene poi talvolta fatto rientrare dalla finestra dal bisogno, psicologico prima che logico, di non scoprirsi "pensiero debole", che pare sia il vero Male per noi del vecchio continente; orfani delle teologie, mentre si aspetta che la scienza ci dia ulteriori risposte, bisogna pur aver un nemico, no? Ironicamente è lo stesso da cui mettevano e mettono in guardia le chiese...).

Citazione di: Ipazia il 19 Settembre 2019, 11:35:32 AM
Questione del tutto sovraindividuale, sociale. Fuori portata dalla interpretazione dell'etica a fenomeno totalmente individuale.
Senza dubbio; credo infatti d'aver insistito molto sul fatto che l'etica si pone soprattutto quando "si esce da casa propria", quando "le piramidi si scontrano", quando "i paradigmi sono divergenti", etc. e per questo ritengo l'appello a Maslow non pertinente (hai infatti chiarito che ti serviva solo come spunto tassonomico).

Citazione di: Ipazia il 19 Settembre 2019, 11:35:32 AM
Se neghiamo aprioristicamente la componente physis di ethos riducendola a concetto senza referente è inevitabile che il logos ricada in se stesso, perdendosi in fenomenologico un-sinnig.
Parlando di ethos, la componente physis non credo possa essere negata; per quanto Lou, scrutando la zona dei confini della teoresi antropocentrica (la stessa zona che mi ispira nel parlare di tautologia del senso, anche con green), ricordava giustamente che anche la physis è un concetto posto, un significato, ma qui, per non sfilacciare troppo il discorso, credo convenga restare a distanza di sicurezza da quei confini e prenderla per buona come se non fosse un concetto anch'essa (noumeno kantiano filtrato dal neopositivismo logico).
Che la physis sia una componente, anzi la prima componente che rende possibile il discorso etico (niente etica fra i morti, dicevamo), tramite il passaggio nell'ethos, mi pare non implichi che possa anche fungere da fondamento della normatività di tale discorso. Come dire: senza automobili non si dà codice della strada, ma i paradigmi normativi del codice della strada non sono fondati solamente sull'esser-auto di una automobile. Certo, il codice stradale tiene presente che le auto non volano, sono fatte di metallo, portano persone a bordo, etc. proprio come l'etica tiene presente che le persone hanno una loro physis, sono mortali, hanno differenti pulsioni, etc. Tuttavia il ruolo e l'utilità sociale del codice stradale (dell'etica) non è ricordarci cos'è un'auto (qual'è la physis di un uomo), quanto piuttosto regolamentarne la circolazione (la vita sociale). Qui entra in gioco l'arbitrarietà dei codici (della strada ed etici) proprio perché esulano da un fondamento incontrovertibile (capace di falsificare eventuali proposte indebite) che non sia la loro stessa convenzione. Si deve guidare a destra o a sinistra? Il limite in autostrada è 130, 150, o ad libitum? Quanto sanzionare una determinata infrazione? Le infrazioni sono uguali ovunque? Qui altri esempi (con il beneficio del dubbio sulla fonte). Le risposte a queste domande non sono fondata razionalmente su cosa è un'auto (presupposto del codice stesso), ma piuttosto su convenzioni (culture) e punti di vista dei legislatori (piuttosto differenti, come stigmatizzato nel link).
Plausibilmente ogni codice proibirà l'entrare in una strada contromano (data l'alta possibilità di causare un'incidente grave), così come ogni etica probabilmente proibirà di uccidere per il puro piacere di farlo (sarebbe difficile organizzarsi in società); tuttavia non mi sembra che le questioni etiche importanti per l'uomo (attuale e non) siano di questa "grossolanità", per la quale, concordo, probabilmente basta l'ethos animale.


P.s.
Una differenza pratica strada/etica è che il codice stradale ha appositi controllori e tecnologie (pattuglie, autovelox, telecamere, etc.) mentre l'etica, per la parte non normata dal diritto, non ha arbitri ma arbitrio (sulla cui libertà non voglio squarciare il velo di Maya scoperchiare il vaso di Pandora); considerando come "il tribunale della ragione" abbia i suoi circoli viziosi e non sappia suo malgrado trascendere la cultura su cui si è edificato, e data l'indecidibilità di una meta-etica, pare non ci siano vigili e giudici per l'etica... almeno non in questa vita, direbbe qualcuno.