Il "caso Greta" può essere un buono spunto per riflettere sulle dinamiche simboliche della società contemporanea: passare rapidamente dall'anonimato di un'adolescente ad essere fenomeno mondiale che parla di fronte all'Onu, è un percorso che richiede... già, a cosa è dovuto questo (s)balzo simbolico-semantico, dall'insignificanza dell'ordinario alla significanza planetaria? Forza dell'ispirazione di un piccolo gesto (la sua prima assenza a scuola per "motivi ambientalistici"), forza dei media avidi di eroi e breaking news da far echeggiare nell'infosfera, forza di una portabandiera involontariamente perfetta per sostenere, suo malgrado, il greenwashing nel mercato globale, forza di contingenze propizie, forza di corsi e ricorsi storici (deja vu: Severn Cullis-Suzuki nel 1992)?
A ben vedere, la ragazza ha il profilo ideale del testimonial contemporaneo: giovane ma non troppo da essere infantile, donna ma non così femminile da distrarre o suscitare gelosie, caucasica ma proveniente da un territorio che non ha storia di discriminazione e noto per il suo grado di civiltà, etc. i suoi genitori, poiché comunque parliamo di una minorenne, mi pare vengano fatti restare nell'ombra per non rompere l'incanto mediatico: una famiglia che lotta per l'ambiente impatta meno l'opinione pubblica rispetto ad un'eroina introversa ma determinata (e, soprattutto, si evita anche di toccare il tema "famiglia", potenziale harakiri mediatico, o comunque a rischio di far perdere una fetta di "seguaci").
Sul piano della comunicazione, il suo «avete rubato i miei sogni» tocca un elemento retorico che scalda sempre i cuori della platea: il sogno; certo, non è esattamente come il ben noto «ho un sogno» (King), che non era solo una denuncia quanto piuttosto una visione, tuttavia è ingiusto paragonare un'adolescente con a cuore l'ambiente ad un leader politico e, soprattutto, temi e contesti ben differenti. Il linguaggio usato da Greta è infatti quello, giustamente ed inevitabilmente, delle proteste studentesche, se non fosse che lo rivolge ad un "interlocutore macroeconomico" a cui può far solo tenerezza (al netto del politicamente corretto). Ecco alcune frasi ricorrenti: «non siete abbastanza maturi» (giocando volutamente sul rovesciamento delle età fra lei e i politici), «come osate» (per richiamare provocatoriamente al mandato di fiducia popolare di cui i governanti dovrebbero farsi carico), «il cambiamento è in arrivo, che vi piaccia o meno» (come per rovesciare i rapporti di forza), «vi terremo d'occhio», «non vi perdoneremo mai» e persino «il vero potere appartiene alla gente» (citazione dell'intramontabile «power to the people»).
Cacciari ha già detto la sua in merito, ammonendo su come l'appello fatto «in termini ideologico-sentimental-patetico»(cit.) dovrebbe lasciare spazio a proposte e iniziative più scientifiche ed educative; Finkielkraut gli fa eco con considerazioni contestualmente simili. Secondo me, si può comunque cogliere un "chiasmo comunicativo", un incrocio fra le "direzioni" della comunicazione: Greta rimbrotta i potenti, tuttavia il suo appello, per le sue "tonalità", può far effetto sul popolo, non sui politici a cui si rivolge; lei si fa forza del «cambiamento in arrivo», ma le piazze degli adulti gilets gialli, ad esempio, hanno chiesto prezzi più bassi del carburante (non certo per usarlo di meno, come lei propone) e riguardo le piazze di studenti non so (con cinismo da adulto che per fortuna ancora le manca) se siano state più ricche di CO2 oppure di buone intenzioni ecologiste.
Di sicuro, ritornando alla domanda iniziale, se la ragazza è arrivata sino all'Onu dopo un solo anno di "attività politica", senza che fossero state equipes di scienziati o governi ad inviarcela (se non sbaglio), abbiamo qualcosa su cui riflettere (e di certo non possiamo biasimarne il suo impegnarsi in prima persona): il fascino e il feticismo della narrazione mediatica che forgia idoli dal nulla e permette traguardi persino "istituzionali"; l'effetto domino fra le piazze (a cui si auspica corrisponda un pari effetto domino nella mutazione di usi e costumi) da valutare per le conseguenze reali che avrà sul piano politico (per quanto il rapporto piazza/potere in occidente non sia, oggi, sempre "saldo" come a Hong Kong); l'appello all'emotività del «sinite parvulos venire» che scalza noiosi report statistici spiegati da esperti (esperti fra i quali non tutti sembrano particolarmente smaniosi di salire sul carro di Greta, anzi alcuni di loro hanno inviato documenti ufficiali controcorrente rispetto a lei; chiaramente, visti gli enormi interessi economici in gioco, per l'uomo della strada è quasi un atto di fede, o di comodo, scegliere di chi fidarsi).
La questione di Greta è, secondo me, una "cartina al tornasole" sulla comunicazione globale forse più di quanto lo sia sul clima; sicuramente, eroi bambini si addicono molto al nostro "bambino interiore" e per quanto già l'analisi transazionale di Bernstein ci abbia messo in guardia dal dargli troppo retta, bisogna riconoscere che come testimonial "funzionano" molto bene.
A ben vedere, la ragazza ha il profilo ideale del testimonial contemporaneo: giovane ma non troppo da essere infantile, donna ma non così femminile da distrarre o suscitare gelosie, caucasica ma proveniente da un territorio che non ha storia di discriminazione e noto per il suo grado di civiltà, etc. i suoi genitori, poiché comunque parliamo di una minorenne, mi pare vengano fatti restare nell'ombra per non rompere l'incanto mediatico: una famiglia che lotta per l'ambiente impatta meno l'opinione pubblica rispetto ad un'eroina introversa ma determinata (e, soprattutto, si evita anche di toccare il tema "famiglia", potenziale harakiri mediatico, o comunque a rischio di far perdere una fetta di "seguaci").
Sul piano della comunicazione, il suo «avete rubato i miei sogni» tocca un elemento retorico che scalda sempre i cuori della platea: il sogno; certo, non è esattamente come il ben noto «ho un sogno» (King), che non era solo una denuncia quanto piuttosto una visione, tuttavia è ingiusto paragonare un'adolescente con a cuore l'ambiente ad un leader politico e, soprattutto, temi e contesti ben differenti. Il linguaggio usato da Greta è infatti quello, giustamente ed inevitabilmente, delle proteste studentesche, se non fosse che lo rivolge ad un "interlocutore macroeconomico" a cui può far solo tenerezza (al netto del politicamente corretto). Ecco alcune frasi ricorrenti: «non siete abbastanza maturi» (giocando volutamente sul rovesciamento delle età fra lei e i politici), «come osate» (per richiamare provocatoriamente al mandato di fiducia popolare di cui i governanti dovrebbero farsi carico), «il cambiamento è in arrivo, che vi piaccia o meno» (come per rovesciare i rapporti di forza), «vi terremo d'occhio», «non vi perdoneremo mai» e persino «il vero potere appartiene alla gente» (citazione dell'intramontabile «power to the people»).
Cacciari ha già detto la sua in merito, ammonendo su come l'appello fatto «in termini ideologico-sentimental-patetico»(cit.) dovrebbe lasciare spazio a proposte e iniziative più scientifiche ed educative; Finkielkraut gli fa eco con considerazioni contestualmente simili. Secondo me, si può comunque cogliere un "chiasmo comunicativo", un incrocio fra le "direzioni" della comunicazione: Greta rimbrotta i potenti, tuttavia il suo appello, per le sue "tonalità", può far effetto sul popolo, non sui politici a cui si rivolge; lei si fa forza del «cambiamento in arrivo», ma le piazze degli adulti gilets gialli, ad esempio, hanno chiesto prezzi più bassi del carburante (non certo per usarlo di meno, come lei propone) e riguardo le piazze di studenti non so (con cinismo da adulto che per fortuna ancora le manca) se siano state più ricche di CO2 oppure di buone intenzioni ecologiste.
Di sicuro, ritornando alla domanda iniziale, se la ragazza è arrivata sino all'Onu dopo un solo anno di "attività politica", senza che fossero state equipes di scienziati o governi ad inviarcela (se non sbaglio), abbiamo qualcosa su cui riflettere (e di certo non possiamo biasimarne il suo impegnarsi in prima persona): il fascino e il feticismo della narrazione mediatica che forgia idoli dal nulla e permette traguardi persino "istituzionali"; l'effetto domino fra le piazze (a cui si auspica corrisponda un pari effetto domino nella mutazione di usi e costumi) da valutare per le conseguenze reali che avrà sul piano politico (per quanto il rapporto piazza/potere in occidente non sia, oggi, sempre "saldo" come a Hong Kong); l'appello all'emotività del «sinite parvulos venire» che scalza noiosi report statistici spiegati da esperti (esperti fra i quali non tutti sembrano particolarmente smaniosi di salire sul carro di Greta, anzi alcuni di loro hanno inviato documenti ufficiali controcorrente rispetto a lei; chiaramente, visti gli enormi interessi economici in gioco, per l'uomo della strada è quasi un atto di fede, o di comodo, scegliere di chi fidarsi).
La questione di Greta è, secondo me, una "cartina al tornasole" sulla comunicazione globale forse più di quanto lo sia sul clima; sicuramente, eroi bambini si addicono molto al nostro "bambino interiore" e per quanto già l'analisi transazionale di Bernstein ci abbia messo in guardia dal dargli troppo retta, bisogna riconoscere che come testimonial "funzionano" molto bene.
