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Messaggi - Phil

#1426
Citazione di: odradek il 26 Aprile 2019, 01:21:49 AM
Il campo della AI è il campo in cui ha "realmente e concretamente" senso parlare di ontologia, in quanti poi si tratta di implementare in un codice macchina questa ontologia; incarnarla.
[quel «poi» è per me importante e lo ritroveremo in seguito]
Probabilmente, come accennavo, è solo una questione di (mio?) vocabolario: l'"ontologia" della robotica (tu stesso hai giustamente usato spesso le virgolette) mi suona come una metafora dell'ontologia filosofica (che non necessita di virgolette), che ha contenuti, temi e problemi che mi pare esulino dall'interazione di meccanismi automatizzati in uno spazio. L'ontologia filosofica ha per oggetto l'uomo (da Protagora in poi) nella sua relazione con ciò che esiste (compresi i robot), ma la relazione fra robot e mondo, e gli annessi fondamentali e specifici problemi di programmazione e realizzazione tecnica, credo non appartengano all'ontologia filosofica. Ad esempio, insegnare ad un sensore per auto a guida autonoma come distinguere un paletto da un essere umano, non credo possa ricevere aiuti significativi dalla riflessione filosofica.
Se però intendiamo come «ontologico» ogni discorso che si occupa di ciò che (pare) esiste(re), allora la filosofia diventa un tipo di discorso ontologico e non viceversa (rovesciando la "dialettica" fra tema e approccio).

Insisto sul significato dei termini perché serve a intendersi: ad esempio, se mi dici che stai scrivendo un articolo di ontologia, penso di default alla filosofia e te ne chiedo una copia; se poi mi ritrovo a leggere di interazioni fra robot, periferiche e comandi di programmazione, resto piuttosto spiazzato. Tutto qui.


Citazione di: odradek il 26 Aprile 2019, 01:21:49 AM
La AI riflette sulla filosofia il suo problema che a sua volta è quello della filosofia e che consiste:

intorno ad un tavolo con dieci fisici nucleari (uno per quantistica), quattro filosofi, due rabbini, sei gesuiti, due biologi, Foucalt e Lacan, ci si aspetterebbe che esca una definizione esatta -codificabile- di cosa sia una mela. Questo non è ancora successo.
Premesso che alcuni dei convocati credo abbiano poco da contribuire in merito (opinione personale), ho il sospetto che solo dopo la riunione (e quindi forse mai) verrà chiamato il tecnico esperto in AI per ricevere suggerimenti di come "aiutare" un programma a identificare "ontologicamente" degli oggetti, con cui poi (per far eco al «poi» della tua prima citazione) interagirà un robot. E il fatto che siano da tempo iniziati e progrediti esperimenti di AI, machine learning, etc. anche senza che sia finita la suddetta riunione, mi pare un fattore molto eloquente sulla differenza fra ontologia filosofica e "ontologia" robotica.


P.s.
Se, rileggendo il tuo post, sostituiamo opportunamente «ontologia» con «identificazione percettiva», il senso del discorso mi pare restare il medesimo. Se facessimo lo stesso in un post in cui si parla di ontologia filosofica, non sono sicuro il risultato sarebbe parimenti compatibile (per quanto l'identificazione percettiva sia indubbiamente uno dei temi pertinenti all'ontologia filosofica, nel momento in cui parte dalla gnoseologia che, tuttavia, è un'altra disciplina filosofica).
#1427
Citazione di: davintro il 25 Aprile 2019, 23:59:57 PM
Il "fai da te" è un atteggiamento mentale, che non riguarda il fatto di aderire a una metafisica classica oppure di negarla, non implica un determinato contenuto delle proprie tesi, è forma mentis, non contenuto.
Accostando il «fai-da-te» all'«amatoriale», ne facevo anche una questione qualitativa di contenuto: una metafisica vagliata e diffusa in ambito accademico (pubblicazioni, etc.) probabilmente e solitamente è qualitativamente più coerente e "verificata" di una postata sul proprio blog auto-referenziale o su un forum. Riprendendo l'esempio, probabilmente e solitamente l'idraulico aggiusterà il rubinetto meglio di me; il che non significa screditare il fai-da-te, anzi, ripeto, lo trovo personalmente uno degli sbocchi più fertili di un approccio debole (non assolutistico, non reverenziale, postmoderno, etc.) alla filosofia fuori dalle accademie.

Citazione di: davintro il 25 Aprile 2019, 23:59:57 PM
Che un pensiero sia o meno lineare con egemonie accedemiche, il suo valore teoretico resta nella capacità di mostrare la sua corrispondenza con la realtà sulla base delle argomentazioni.
Non intendo sostenere che la filosofia "seria" è fatta solo dalle accademie o dagli addetti ai lavori (vedi sopra), quanto piuttosto riconoscere che gli sviluppi di ricerca qualitativa è più probabile che accadano in quella sede, poi ciascuno può certamente redigere la sua filosofia e anche dal fai-da-te possono nascere spunti interessanti.
Partendo da questi presupposti: un fai-da-te metafisico mi lascia perplesso (ma non ostile) come mi lascerebbe perplesso chiunque utilizzasse, per aggiustare un rubinetto, uno strumento o una tecnica che gli idraulici stanno, a quanto pare, abbandonando.

Citazione di: davintro il 25 Aprile 2019, 23:59:57 PM
Fedeltà all'esperienza della vita, certamente, ma non fermandosi al momento immediato, bensì comprendente il momento analitico in cui il discorso sembra farsi più rarefatto, formale, astratto, ma in funzione di uno sguardo sulla vita più razionale e attento a evitare sovrapposizioni e confusioni concettuali. Che riesca più o meno bene, solo questo dovrebbe importare in sede teoretica.
Nel caso della metafisica va tuttavia considerato che si tratta spesso di impalcature deduttive, relativamente verificabili, per cui, pur avendo coerenza logica interna (v. Godel), «la corrispondenza alla realtà» è spesso una questione di interpretazione infalsificabile («essenza», «spirito», «eternità», etc sono per definizione concetti logicamente fruibili seppur infalsificabili); per questo talvolta si può parlare di paradigmi incommensuraibli.
#1428
Tematiche Filosofiche / Re:La biblioteca di Eco
25 Aprile 2019, 22:31:05 PM
Citazione di: Jean il 23 Aprile 2019, 22:14:32 PM
Delle molte discussioni talora molto articolate ed approfondite, dove ci  son stati confronti impegnati ed appassionati... cosa resta?

Del passaggio di molti utenti (alcuni davvero preparati) che han lasciato codesto Hotel Logos... cosa rimane?
Forse più che il «cosa», bisogna partire dal «per chi»: qualunque "cosa" resti, se/finché nessuno ci si imbatte, è come se tale "cosa" non ci fosse. Il resto è sempre tale per qualcuno ed è questo qualcuno a dargli un eventuale senso/valore, con buona pace (eterna?) di chi ha lasciato esposto il resto (e su questo distacco semantico tra il mittente e il destinatario, sull'auto-nomia semiotica del resto inviato/lasciato rispetto al mittente, molti autori hanno indagato a fondo; autori fra cui, ovviamente, Eco).

Così come l'eco non è il suono che lo origina, ma il suo rimbombare che gli sopravvive postumo, così il resto non è la transazione (semantica) stessa, ma solo ciò che è (ris)posto sul banco della conversazione (o del monologo). Rileggendo ciò che resta di una conversazione forumistica (ma non solo), ovvero la traccia scritta, non si trovano i vissuti originari di chi ha messo in atto quella conversazione, ma solo una trascrizione; trascrizione la cui lettura costituirà e innescherà altri vissuti, sicuramente differenti da quelli originari (proprio come il resto di una transazione potrà essere riusato per comprare qualunque "cosa" tranne, solitamente, ciò che è stato oggetto delle transazione di cui quel resto è tale).
Per chi è stato protagonista dell'esperienza che ha originato il resto, esso diviene spesso immediatamente estraneo (la trascrizione di una mia discussione può essere per me fonte di una "seconda navigazione", magari in cui non mi riconosco, tuttavia siamo già sul piano del rivisitare ciò che è rimasto, siamo già nell'a posteriori, come dei turisti) o inaccessibile (plausibilmente, Eco non può più accedere a ciò che ha lasciato).


Citazione di: Jean il 23 Aprile 2019, 22:14:32 PM
Informazioni, come i libri sugli scaffali della biblioteca di Eco.

Che al pari delle informazioni raccolte nel vecchio forum... al pari di tutte le informazioni prodotte direttamente od indirettamente dall'uomo (e dall'universo...) a cosa servono?
Ovviamente ogni resto di un evento comunicativo è sempre differente (e in differita) rispetto al vissuto dell'evento comunicativo; in ciò sta la differenza maggiore fra la comunicazione scritta e quella orale, il cui resto è solo mnemonico (salvo registrazioni, che sono comunque una forma di "scrittura") e quindi non rimane per il "pubblico". Se il resto scritto è un'informazione, quanto meno è in formato matematico, quanto più il suo essere differente dal vissuto da cui è scaturito produrrà un ulteriore senso (oltre a quello originario, forse irrecuperabile) e, a questo punto, ha senso chiedersi «a cosa serve» un'eredità di senso che produce altro senso?
Considerando i molteplici usi a cui il resto trovato possa servire, come fosse una moneta trovata per strada, quel caleidoscopico «a cosa servono?», per me, tende a diventare più uno scanzonato  «cosa importa del resto?», che non accoglie certo l'irresponsabilità verso ciò che si scrive, ma è invece proprio un pungolo a scrivere con assennatezza e poi lasciare il resto... mancia.
#1429
Citazione di: odradek il 25 Aprile 2019, 11:29:03 AM
Per quanto riguarda lo stato dell'arte, datosi che in fin dei conti quella era la domanda, questi due link dovrebbero grosso modo rappresentare il punto in cui gli addetti ai lavori pensano di essere giunti.

https://www.ontology.co/
https://journals.openedition.org/estetica/index.html  .
Grazie davvero per i link; a prima vista sembrano molto interessanti e spero possano aiutarmi a superare il (pre)giudizio secondo cui l'ontologia classica è ormai oggi declinata (in entrambi i sensi) in logica/gnoseologia (primo link) ed estetica (secondo link), al punto da diventare un appellativo che non descrive più un campo omogeneo di indagine bensì, conformemente alla crescente settorializzazione dei domini, ricorda perlopiù un'eredità storiografica (il tipo di approccio che ha animato molti dei convegni e dei testi pubblicati sull'ontologia nel nuovo millennio? Chiedo, non è una domanda retorica).

Non nascondo che alcuni nomi nello "schema degli ontologi" mi danno da riflettere su cosa si intenda per «ontologia»; ad esempio, la riflessione sull'AI (presente nello schema) è davvero ancora ontologia?
Indubbiamente intendere l'ontologia, proprio come la metafisica, in modo "continentale" più che "analitico", mi rende perplesso nell'accettare che venga usata come "tag" (superfluo?) in ambiti di per sè già circoscritti e specifici (ma questo è probabilmente un limite del mio dizionario filosofico fai-da-te).
#1430
Citazione di: davintro il 24 Aprile 2019, 17:32:49 PM
Quindi che una certa modalità della metafisica rischi oggi di limitarsi a esprimersi in approcci fai-da-te privi di un supporto accademico strutturale organizzato, perché gli orientamenti filosofici dominanti andrebbero in tutt'altra dimensione, non dice nulla sulla sua validità teoretica, che è la cosa che più mi interessa. In questo senso, noto con dispiacere un certo tono spregiativo nel parlare di "fai-da-te", quando invece questo approccio esprime proprio il coraggio intellettuale della razionalità, di chi resta fedele alla ragione e alla verità, alle proprie idee fintanto che continua a reputarle valide e ben fondate, senza lasciarsi condizionare dogmaticamente dal timore di restare isolato rispetto a un clima culturale che percorre nella sua quasi totalità strade del tutto diverso.
Sul "fai-da-te" mi pare emerga la basilare divergenza dei nostri paradigmi; hai rintracciato, in buona fede, un «tono spregiativo», partendo da una prospettiva metafisica, quando, partendo invece da una prospettiva postmoderna, personalmente non ci avevo "messo" nulla di sminuente, anzi: la mia stessa prospettiva è palesemente fai-da-te; in generale, l'abbandono di cornici metafisiche (gesto che, avrai ben intuito, mi vede consenziente) è propedeutico al fai-da-te; l'abbozzata ristrutturazione di un orizzonte di senso dopo la sua decostruzione, richiede spesso un fai-da-te.
Il paradosso con la metafisica è che la sua ambizione costitutiva, dentro e fuori le accademie (un pensatore debole non può certo esaltare le mode universitarie attuali, non trovi?), non si presta al fai-da-te; per cui il ritrovarsi perlopiù fuori dall'ambito accademico della ricerca (per continuare a primeggiare invece in quello della storiografia) è, almeno secondo me, un sintomo del suo spaesamento e della sua incapacità di progredire (in questi termini ho parlato di «lingua morta», che può essere tenuta viva solo come lingua "seconda" di parlanti che concordino di usarla).
Non è quindi il fai-da-te ad essere di per sè di poco valore o filosoficamente inopportuno, quanto piuttosto il fatto che sia proprio la metafisica, ovvero la nemesi storica del fai-da-te, a doversi sostentare con questo tipo di sviluppo amatoriale (dove anche «amatoriale» può suonare spregiativo per la metafisica, ma non per il postmoderno; questione di vocabolari).
Come dire, il fai-da-te di chi si improvvisa idraulico nel proprio bagno non è per me paragonabile al fai-da-te di chi si volesse improvvisare neurochirurgo (ovvero uno dei due ambiti è nettamente meno compatibile dell'altro con il fai-da-te).

Citazione di: davintro il 24 Aprile 2019, 17:32:49 PM
Di nuovo, si ha la conferma che solo una metafisica può pretendere di contrapporsi a un'altra metafisica
Se si è animati dall'esigenza a priori di una metafisica, indubbiamente è così. Se invece si decide di non stare più al gioco della metafisica (nonostante l'estrema versatilità del termine non aiuti a fare chiarezza), alcuni pensatori hanno (di)mostrato che è possibile anche uscirne, persino ricorrendo al fai-da-te (non sono l'unico, nè l'esempio migliore).
Il richiedere di falsificare teoreticamente il pensiero metafisico usando il post-metafisico, e viceversa, rischia di diventare un pindarico esercizio filosofico sul teorema dell'indecidibilità di Godel (il secondo, se la memoria non mi inganna, in cui si dimostra che ogni sistema decide di tutto tranne che di tutti i propri assiomi fondanti); sebbene devo ammettere che questa visione di "tollerenza teoretica pluralistica", in cui il pensiero fondato su altri assiomi non è in quanto tale falso o da rimuovere, non si confaccia sempre alla metafisica classica (ma d'altronde ognuno tende a parlare la propria "lingua madre", no?).

P.s.
Credo che il rapporto fra «causa formale» (metafisica) e «struttura genetica» (fisica, in veste di biologia) possa dare alcuni spunti su ciò che intendo come sopravvivenza metaforico-estetica dei contenuti della ontologia metafisica classica nei confronti delle scienze naturali.
#1431
Citazione di: green demetr il 24 Aprile 2019, 00:08:12 AM
trovare un linguaggio simbolico che descriva il mondo, che mi pare il sogno tuo,
Non è sogno, piuttosto divertissement (à la Pascal); d'altronde la cultura e il linguaggio sono forse gli unici "giochi di società" in cui le regole possono venir cambiate dai giocatori stessi nel corso della propria partita; è forse proprio tale instabilità che spinge alcuni (ma non tutti) ad anelare a una (pre)supposta "regola aurea" che stabilizzi il gioco, rendendolo meno problematico e più automatico.
In fondo non dovrebbe stupire più di tanto che in questo "gioco" ci siano sofferenza, conflitto, soddisfazione, asimmetria, collaborazione, etc. i giocatori fanno le regole (e il gioco) inevitabilmente secondo la loro natura (che logicamente non può essere scelta, essendo un a priori della soggettività).

Citazione di: green demetr il 24 Aprile 2019, 00:08:12 AM
può servire fare distinzioni tra ontologia metafisica, e metafisica religiosa.
Ma questo servire in che orizzonte si pone?
Chiaramente, per me, in un orizzonte ermeneutico.
Rilancio: l'ermeneutica in che orizzonte "serve"?
«Fate il vostro gioco...».

Citazione di: green demetr il 24 Aprile 2019, 00:08:12 AM
E lo so che tu sei l'unico a capire questo passaggio, anche se finisce nell'aporia come risposta.  ;)
Il gettare lo sguardo sull'aporia serve per avere una coordinata-limite (così com'è "autoconservativo" non indugiarvi troppo), altrimenti si finisce ipnotizzati dal regresso ad infinitum della ragione e dei suoi "perchè?", da cui solo una «metafisica 1.0» (con il suo assoluto originario da postulare, la sua "matrix") può consentire di distogliere lo sguardo, per poterlo poi rivolgere al "nostro giardino da coltivare" (Voltaire) prima che vada in malora, "espropriato" dalla Natura.


P.s.
Aporia è anche il nome di una farfalla, che proprio come l'aporia, è difficile da raggiugnere e silenziosa (qual'è la voce delle farfalle?); e allora:
«Per tutto il giorno,
senza parole,
l'ombra di una farfalla
»
(Hosai)
#1432
Concordo con davintro sull'utilità argomentativa del distinguere metafisica e religione: la metafisica della/nella religione è teologia, che non è l'unico tipo di metafisica.
Ad esempio, che l'ontologia filosofica (pilastro della metafisica classica, anche se oggi non si può quasi più affermare) si stia eclissando dietro le scienze naturali, non è una questione che chiami in causa necessariamente il divino; che il pensiero antropologico abbia imparato(?) anche a svilupparsi in modo meno deduttivo-assolutistico e un po' più induttivo-contestualistico, non ha a che fare semplicemente con "la morte degli dei" (idealismi e ideologie non sono solo di matrice religiosa).

Credo che il "comune sentire" attuale abbia perlopiù (non sempre e non ovunque) introiettato la distinzione (e la possibile complementarietà) fra le proposte religiose-spirituali e le informazioni tecnico-scientifiche, metabolizzando e superando i dualismi escludenti e belligeranti del medioevo.

Come già accennato, la differenza fra la meta-fisica in senso etimologico e la metafisica in senso filosofico, pare si stia attenuando sempre più (questo topic credo lo dimostri) e ciò è probabilmente uno dei sintomi "popolari" del cambiamento storico-semantico che sta attraversando la metafisica come disciplina (che poi i suoi contenuti peculiari e il suo vocabolario stiano perdendo la presa sul mondo, per sopravvivere principalmente come metafore ed estetica esistenziale, è solo una mia personale e discutibile opinione, così come quella di non voler "inquinare" lo statuto della metafisica classica avallando il parlare di metafisica pur in assenza di contenuti essenzialmente metafisici, con il risultato di assimilare riduttivamente «metafisica» a «riflessione astrattiva»).

Resta comunque in sospeso la domanda che testa e tasta il "polso fisico" della metafisica in quanto filosofia:
Citazione di: Phil il 13 Aprile 2019, 12:33:31 PM
qual'è lo "stato dell'arte" della ricerca metafisica, oggi, al di là delle sue analisi storicistiche e filologiche?
Se il fatto che le grandi correnti metafisiche sono oggi, se non erro, ridotte alla amatoriale metafisica fai-da-te (da forum o poco più) fa eco a quanto avviene spesso con la religione, ciò non giustifica comunque un'improvvida identificazione delle due.
Se le risposte alla domanda sono: i paralogismi di Severino (avulsi dalla vita esperenziale); l'esigenza psicologica di rimuovere ad ogni costo il nichilismo (capro espiatorio tanto remissivo quanto inconscio); l'anelito monistico ad un "punto zero" (postulato ed infalsificabile) che spieghi la "matematica del mondo" e/o il suo "senso"; l'astinenza da analgesica panacea per schizofrenie e paranoie della cultura che ci circonda (e qui la religione ha effettivamente liberato un po' di spazio), etc. allora, tutto ciò significa che le metafisiche (se proprio ci teniamo a chiamarle così) hanno ancora il loro alveo in cui scorrere, anche se, come è noto, non è più lo stesso fiume in cui si bagnarono Aristotele, Kant e Bontadini.
#1433
Segnalo questo link:
https://qz.com/1569158/neuroscientists-read-unconscious-brain-activity-to-predict-decisions/
in cui si parla (in inglese) di uno studio che ha indagato la prevedibilità neurologica delle scelte: se ho ben capito, un test ha rilevato che alcuni secondi prima di compiere coscientemente una scelta, il suo risultato è in realtà già (pre)determinato, deciso e "visibile" in reazioni cerebrali. Si tratta di uno scarto temporale, di per sé non sorprendente da un punto di vista logico, fra la causa (processo decisionale neurologico) e l'effetto (balenare della decisione nella coscienza), nel pieno rispetto della catena causale in cui un fenomeno, sia esso una decisione o un pensiero, non può nascere dal nulla e richiede inevitabilmente un lasso temporale per originare dalla rispettiva causa.
La "sede" del libero arbitrio, non escluso da alcuni dei ricercatori, slitterebbe dunque ad un livello sub-conscio e nondimeno (almeno in parte?) cerebrale.
#1434
Citazione di: davintro il 11 Aprile 2019, 20:01:46 PM
la domanda che vorrei fare é: ma una volta eliminata l'idea di una "meta-fisica" che senso ha occuparsi o interessarsi di filosofia [...]?
Mi pare che questa domanda trovi la sua ragion d'essere nell'identificazione fra le due; gesto esegetico squisitamente classicista (duemila anni fa la tassonomia dei saperi era differente), tuttavia se la metafisica fosse solo un ramo, anzi una radice (e forse non l'unica) della filosofia, tale perplessità probabilmente non si porrebbe.

Citazione di: davintro il 11 Aprile 2019, 20:01:46 PM
Se si ritiene che non ci sia nulla di "oltre", "meta" rispetto alla fisica, quale sarebbe il valore aggiunto della filosofia?
Cercare di proporre risposte infalsificabili/infalsificate teoreticamente e non falsificate fisicamente, ciascuna con una sua coerenza logica interna e una "spendibilità cognitiva"; d'altronde, il pluralismo prospettico è una lezione di base della storia della filosofia.
Tuttavia, si tratta di intendersi sul senso del «meta» della metafisica; infatti:
Citazione di: davintro il 11 Aprile 2019, 20:01:46 PM
Non sarebbe del tutto sufficiente fermarsi allo studio della fisica e delle sue derivate scienze naturalistiche sulla base epistemica dell'osservazione dei sensi, senza alcuna possibilità di concepire un contenuto altro da essi?
Non sono sicuro che la metafisica abbia di diritto l'uso esclusivo dell'astrazione (logica, non metafisica) e del concetto di «tutto»: non possiamo certo percepire tutti i corpi fisici e farne sincronicamente l'inventario, ma a questo punto ogni astrazione generalizzante sarebbe allora un'affermazione metafisica, dal classico «ogni uomo è mortale» (oggi decisamente meno meta-fisico che in passato) fino a «tutte le gatte non sterilizzate vanno in calore a febbraio» (almeno credo, ma spero il senso dell'esempio sia comunque chiaro).
La meta-fisica in senso etimologico non è la metafisica in senso filosofico, almeno stando a quanto si dice nelle facoltà e sui libri di filosofia (attualmente, non ai tempi di Aristotele). In fondo, anche una parte della fisica teorica non si basa su esperimenti fisicamente tangibili, eppure viene classificata come «fisica»; per cui non è solo una questione di prefissi ed etimologia.

Inoltre (e non mi riferisco più solo a te). se per «metafisico» intendiamo principalmente ciò che viene inferito per induzione e astrazione dal fisico, allora non rendiamo giustizia alla teoresi metafisica che non sempre ha diligentemente radicato le sue fondamenta sul piano fisico, ma si è  anche, spesso e volentieri, destreggiata sulla via deduttiva.

Soprattutto: se per «metafisico» intendiamo ciò che non è fisico ma astratto, questa definizione comporterebbe che la questione della "crisi/superamento/morte della metafisica", i dibattiti novecenteschi (e oltre) sulla postmetafisica, etc. si ridurrebbero alla insolita proposta di un pensiero non astratto o "differentemente astratto". Eppure i libri di storia della filosofia ci raccontano di questioni ben differenti, così come gli autori stessi che si sono cimentati nel dibattito, proponendo un tertium fra metafisica e fisica (ad esempio l'ermeneutica e l'epistemologia).
Anzi, se oggi per «metafisico» intendiamo semplicemente «inferito dal fisico», significa che si iniziano a scorgere i primi sintomi proprio del suddetto superamento della metafisica: se la metafisica non è più identificabile per i suoi contenuti (Essere, arché, Trascendentale, essenza, etc.) ma solo per la sua impostazione metodologica (eccedere il fisico), c'è da chiedersi: qual'è lo "stato dell'arte" della ricerca metafisica, oggi, al di là delle sue analisi storicistiche e filologiche?

Fino a che punto si può parlare di evoluzione semantica diacronica di un'identità (quella della metafisica), soprattutto se strabordante di storia, e quando si può invece parlare di dissimulato superamento? Ad esempio, se un giorno arivassimo a parlare di «religione» intendendo una ritualità condivisa, a prescindere dal tema contenutistico del divino, staremmo parlando ancora di «religione» o sarebbe solo un uso metaforico del termine?
Secondo me, la riappropriazione metaforica di filosofemi del passato è diagnosi della fatica (nostalgica) dell'elaborazione del loro sfaldarsi.

Forse la forbice si sta allargando sempre più: filofisica e metasofia hanno sempre meno da raccontarsi l'un l'altra (anche se può essere impopolare proporre un non-dialogo nell'epoca dei sincretismi concilianti), come ben si addice a due paradigmi incommensurabili per contenuti.

Nondimeno, se andiamo oltre il vocabolario della metafisica classica, resta comunque da ragionare sull'uomo, non (ancora?) totalmente destrutturato in limpidi processi neuro-bio-fisici, e con il suo urgente bisogno di guida sociale, impegno esistenziale, ipotesi in cui credere, etc. Non è poco, anzi, per molti è tutto.
Non si può nemmeno escludere che le altre scienze umane non gradiscano, di tanto in tanto, ascoltare anche ciò che ha da dire la vecchia e consolatoria "zia Filosofia", sempre pronta ad ammonire le discipline più giovani con qualche erudita citazione in "metafisichese".


P.s.
Voglio precisare che mi vedo come non-metafisico ma non anti-metafisico; ritengo che, come "lingua morta" (cioè inattuale, e non è un'offesa), la metafisica classica vada tutelata filologicamente in virtù del suo imprescindibile impatto sulla storia, anche odierna, dell'uomo. Mi pare che abbia tutto il diritto culturale di essere studiata e anche "parlata" (così come si può, volendo, parlare latino o greco antico con chi è disposto a farlo), ma senza per questo doverla mettere in competizione con i vocabolari aggiornati e "vivi" che da essa sono derivati.
#1435
Citazione di: Apeiron il 30 Dicembre 2018, 14:13:19 PMQuando ho scritto:
CitazioneAl massimo, tu puoi dire che la lettura relativista è una possibile lettura della contestualizzazione. Ma nei tuoi argomenti difficilmente trovo una vera dimostrazione che sia l'unica :)
Avrei dovuto scrivere che non trovo un'argomentazione che mi fa concludere che sia quella esatta.
Non la trovi, perché non è ciò che credo né che intendo argomentare  ;D
Che la lettura relativistica sia "esatta" è un non senso per il relativismo stesso (come ho spiegato in precedenza al post 135, confutando l'assolutizzazione del relativismo).

Citazione di: Apeiron il 30 Dicembre 2018, 12:35:32 PM
Per te è il fondamento del relativismo. Lo sapevo già. Per me no. Non vedo alcuna implicazione logica per cui contestualizzare implica il relativismo.
Certo, infatti per me contestualizzare non porta solo al relativismo (non credo di averlo mai affermato), ma il relativismo si basa sul contestualizzare (questo l'ho ripetuto forse troppo  :) ). 
Praticamente è la differenza fra (x=relativismo, y=contestualismo):
x->y; x;  ⊢ y (modus ponens; ovvero "se sono relativista allora sono contestualista", "sono relativista", dunque "sono contestualista")
e
x->y; -x;  -y (ovvero "se sono relativista allora sono contestualista", "non sono relativista", dunque "non sono contestualista") che è una fallacia logica detta «negazione dell'antecedente».
Quindi si può essere contestualisti senza essere relativisti (a memoria, non mi pare averlo negato), ma non si può essere relativisti senza essere contestualisti (e qui c'è il legame fra i due, basato su antropologia, storiografia, etc.).

Citazione di: Apeiron il 30 Dicembre 2018, 12:35:32 PM
Se accettiamo il relativismo, dunque, dobbiamo riconoscere che una società razzista ha le sue ragioni, magari è figlia del suo tempo e quindi non possiamo considerarla 'ingiusta'...a me onestamente, sembra una conclusione assurda.
«Assurda» sul piano (antropo)logico o su quello valoriale? Il relativismo (come l'assolutismo) è su un piano meta-valoriale.
Che il relativismo non sia un'etica l'ho già argomentato (v. post 151 con la domanda inevasa: chi ha un'etica relativista, che fa di fronte al vecchietto? Se non riusciamo a dirlo è perché equivale alla domanda: chi ha un'etica assolutistica che fa? Non c'è risposta perché siamo sul piano meta-etico, non etico).

Citazione di: Apeiron il 30 Dicembre 2018, 12:35:32 PM
Dovresti saper dimostrare che la lettura 'relativista' genera veramente la pace.
Come mai ancora questo «dovresti»? La mia tesi non è che il relativismo (com)porta sempre la pace, la pace è solo un mio personale «magari!» abbinato al relativismo (non immolarmi a "incarnazione umana del relativismo" solo perché non lo critico... distinguiamo i piani anche qui: diamo a Phil quello che è di Phil e al relativismo quello che è del relativismo  ;) )

Citazione di: Apeiron il 30 Dicembre 2018, 12:35:32 PM
In fin dei conti, dopo aver eliminato ogni 'autorità' (dove la parola 'autorità' va intesa sia in senso letterale che figurativo...) non rimangono che i gusti personali o delle singole società. Che sono arbitrari.
Più che «eliminato», semmai contestualizzato... non facciamo dei relativisti gli emuli dei rivoluzionari anarchici  ;D
Sul fatto che non siano qualunquisti (o menefreghisti), ne ho già parlato (perdona questi rimandi, ma capirai che sto ripetendo quello che ho già detto ad altri  :) ).

Citazione di: Apeiron il 30 Dicembre 2018, 12:35:32 PM
Citazione di: Apeiron il 28 Dicembre 2018, 15:14:29 PM
Se ci vuoi convincere della superiorità del relativismo,

PHIL
Non sono affatto qui per questo
:)
Punto discutibile. Visto che, secondo te, l'assolutismo produce etiche 'da gatto' e a quanto pare a te non piacciono  ;)
Constatare che l'assolutismo ha prodotto gatti e il relativismo in sé è roba da topi, è ben diverso dal gerarchizzare il relativismo mettendolo "sopra" l'assolutismo: il relativismo contestualizza, non valuta! Solita questione dei piani logici... ormai mi avete fatto diventare architetto  :)  
Che poi io possa soggettivamente valutare (preferendo i topi ai gatti), è la conferma che Phil non è il relativismo, ovvero che un essere umano non si riduce a una posizione meta-etica.

Citazione di: Apeiron il 30 Dicembre 2018, 12:35:32 PM
Il tuo 'relativismo' certamente è una chiave di lettura. Però, fare valutazioni è necessario e, quindi, in ultima analisi non vedo l'utilità del relativismo.
E vedi bene (sul piano dell'utilità): spesso viene demonizzato e individuato come "nemico di default", sopravvalutandone il valore e la portata esegetica... anche se fra un po' gli imputeremo persino l'estinzione dei dinosauri e la nascita dell'Hiv, per me resta solo una semplice chiave di lettura (da topo, non da gatto, quindi deludente per chi ha un animo felino).

Citazione di: Apeiron il 30 Dicembre 2018, 12:35:32 PM
E come spieghi le analogie tra etiche prodotte in contesti differenti?
Perché il relativismo dovrebbe mal digerire il ripresentarsi di contesti e valori etici simili? Ad ogni contesto la sua analisi contestuale, non importa se è un dejà vu.
Chiedo di nuovo: conosciamo davvero il nostro "nemico"?

Citazione di: Apeiron il 30 Dicembre 2018, 12:35:32 PM
Ma ritenere che non ci siano cose che rimangono uguali nel tempo mi sembra abbastanza assurdo.
Ti riferisci a un mio post? Affermare l'ovvietà che i contesti (storici, culturali, etc.) cambiano, non comporta logicamente negare la possibilità che alcuni, mutatis mutandis, si ripresentino o magari mutino più lentamente o ci siano denominatori comuni transculturali (ho già parlato molto dei bisogni primari universali, etc. della distinzione natura/cultura, etc. che non mi sembra il relativismo etico voglia rinnegare, anzi, con la complicità delle già citate discipline, li usa piuttosto come basi delle proprie argomentazioni...).
So che il tentare (almeno ci provo!  ;D ) di essere rigorosi logicamente talvolta espone alla sbrigativa accusa di sofismo... tuttavia resto fiducioso che chi muova l'accusa riesca poi a spiegare in cosa consiste il sofismo, così da poter risolvere l'eventuale malinteso (altrimenti è come dire a qualcuno che si sbaglia, senza aiutarlo a capire "dove").

Citazione di: Apeiron il 30 Dicembre 2018, 12:35:32 PM
Ma appellarsi al mutamento dei contesti per dire che niente rimane uguale, mi sembra esagerato.
Non ti seguo: «niente rimane uguale» quando l'ho sostenuto? Cosa intendi per «niente»?

Sulla tua visione etica di valori e verità universali (quindi scendendo "giù" dal piano meta-etico), non ho nulla da obiettare: è la tua prospettiva e, essendo l'etica qualcosa di infalsificabile, ne prendo atto in quanto opinione comunque argomentata (pur non condividendola in toto).

Citazione di: Apeiron il 30 Dicembre 2018, 12:35:32 PM
Quindi, potrai avere un approccio 'distaccato' e dire che la tua è una chiave di 'lettura' anziché di valutazione. Ma, al tempo stesso, ritengo impossibile che si possa fare a meno di valutare. [...] non vedo come si possa riuscire a vivere senza dover fare valutazioni
Il relativismo è una chiave di lettura, ma io, in quanto uomo, ho ovviamente una prospettiva etica non di "sola lettura" ma valutativa (proprio come tu hai la tua, solo che la mia è differente e decisamente, ulteriormente, off topic  ;D ).
#1436
Citazione di: Ipazia il 29 Dicembre 2018, 15:52:32 PM
Citazione di: Phil il 28 Dicembre 2018, 16:26:14 PM
... dicevamo che il relativismo è solo una chiave di lettura, non di valutazione (Ipazia avrà ormai il mal di testa per tutte le volte che me l'ha sentito dire  ;D ).

Affermare la neutralità delle chiavi di lettura è assai poco relativistico  :P  ;D Il relativismo etico è una chiave a bias che apre anche porte etiche e ideologiche.
Il relativismo non è, secondo me, una chiave di lettura neutrale: il fatto che non sia valutativo, non implica sia neutrale, anzi, la neutralità sarebbe comunque una valutazione, quindi contraddittoria (sempre la solita questione dei livelli logici  ;) ). Il relativismo suggerisce che la valutazione è sempre immanente e interna ai criteri di ogni etica, non che «un'etica vale un'altra», né che un'etica non possa giudicare un'altra (pur potendolo fare solo inevitabilmente con i suoi propri criteri).

Citazione di: Ipazia il 29 Dicembre 2018, 15:52:32 PM
Il piano inclinato tra relativismo etico e etica relativistica purtroppo non è una fallacia logica.
Per me, è insensato parlare di «etica relativistica»: proprio come l'ateismo dichiara in cosa non crediamo, ma non in cosa crediamo, parimenti etica relativistica allude a ciò che non è il suo contenuto (valori assoluti, trascendenti, etc.), ma non a ciò che essa identificherebbe come «bene», «giusto», etc. che è un requisito indispensabile per poter essere definita come «etica».
Provo con un esempio: di fronte ad un vecchietto che esita ad attraversare la strada (tanto per essere originali  ;D ), chi ha un'etica utilitaristica magari cercherà di dargli una mano sperando in una ricompensa; chi ha un'etica di tipo religioso o umanistico si sentirà spinto ad aiutarlo senza sperare in una mancia; chi ha un'etica edonista lo riterrà una perdita di tempo e proseguirà oltre; chi ha un'etica relativistica... si limiterà a raggiungere l'anziano e sussurrargli "tutto è relativo"?  ;D 
La centralità della prassi (che conoscerai meglio di me) dimostra che non ha senso parlare di «etica relativistica», ma solo (su un altro livello logico) di relativismo etico.

Citazione di: Ipazia il 29 Dicembre 2018, 15:52:32 PM
Come osserva Apeiron, la Storia e l'Antropologia dimostrano che vi sono dei denominatori comuni etici che vale la pena di indagare perchè è su questi che si possono ampliare le coordinate della convivenza umana. Del resto lo si è sempre fatto altrimenti saremmo già estinti. Ma per questo prezioso compito filosofico una impostazione assolutamente - nel suo negazionismo - relativistica è del tutto inadatta.
Qui rispondo anche al vacanziero sgiombo: il fatto che tutte le comunità ripudino l'omicidio (pur rendendolo giustificato e legittimo in alcuni casi: guerra, pena di morte, legittima difesa, etc.) non è dovuto alla assolutezza etica del non-uccidere, ma solo dalla sua utilità (si tratta quindi di un'etica utilitaristica) per la stabilità del contesto sociale. La comprovata funzionalità di tale principio etico non lo rende retroattivamente assoluto ed universale, ovvero non universale come lo sono i bisogni primari. Si è già discusso su natura/cultura: è per arbitraria convenzione che uccidere è sbagliato (prima di essere legalmente «reato╗); il fondamento di tale etica è scritto sulla carta (o sulla tradizione orale, per coloro che non scrivono), non nella natura. Non si tratta quindi di un «imperativo etico derivante dalla natura umana» (cit. da sgiombo), bensì dalla cultura umana. Per quanto riguarda la biologia, non confonderei istinti gen-etici e valori etici (nonostante l'assonanza).
Non colgo perché il relativismo dovrebbe essere inadatto a rapportarsi a denominatori comuni interculturali; si tratta solo di un contesto più ampio (tanto per continuare con i motti dell'"apofatismo relativistico": il relativismo non è nazionalismo ;D ).

Citazione di: Ipazia il 29 Dicembre 2018, 15:52:32 PM
I meltingpot culturali sono la critica vivente dell'impostazione teorica relativistica: le figli islamiche sgozzate dai padri ne sono la più evidente, e dolorosa, falsificazione. Immagino che il topo relativista avrà le sue belle gatte teoretiche da pelare di fronte a simili eventi. Ma può sempre derubricarli a errore sperimentale e continuare la sua sterile, e sterilizzata, ricerca.
Au contraire, mon amie... proprio nell'incontro fra paradigmi culturali differenti, il relativismo può essere strumento fruibile (ma non l'unico possibile, come dimostrano gli integralismi, i conflitti ideologici, etc.).
Di fronte a un padre che uccide la figlia, lo sfidante "lavoro" del relativista (solo il suo?) è di calibrare le coordinate del contesto del gesto: l'ha uccisa perché lo prescrive la legge di quel popolo? L'ha uccisa perché è un criminale? L'ha uccisa per quali moventi? Qui l'antropologo, lo storico e gli altri "migliori amici del relativista", possono anche uscire con lui dalla biblioteca, indagare (ci vuole pazienza, dote in estinzione) e tratteggiare il quadro dell'evento (forse anche prima che qualcuno da fuori contesto reclami istintivamente di uccidere il padre per "pareggiare i conti").
Al relativista (almeno per come lo dipingo io) interessa più comprendere e contestualizzare adeguatamente un gesto, piuttosto che giudicarlo «giusto» o «sbagliato».
#1437
Citazione di: Ipazia il 29 Dicembre 2018, 14:46:14 PM
Citazione di: Phil il 28 Dicembre 2018, 21:49:36 PM

La domanda (ormai così vecchia da essere in prescrizione  ;) ) è su cosa si fonda/fonderebbe il relativismo etico, non l'etica.


Su un sollazzevole perditempo visto che ...
[...]
... ci sono i piani, ma manca il tetto.
Grazie per la pregnante e arguta risposta  :)

Citazione di: Ipazia il 29 Dicembre 2018, 14:46:14 PM
Un critico cinematografico è un tizio che passa molto tempo in biblioteca al cinema e il frutto di tale attività sono le recensioni dei film. Dall'alto della sua conoscenza specialistica egli giudica seguendo criteri abbastanza oggettivi e condivisibili: bravura degli interpreti, originalità della trama, scenografia, musica, abilità registica nel combinare il tutto. Alla fine trae le conclusioni e ci mette le stelline. Di un critico relativista che non sa mettere le stelline decisamente non so che farmene.
D'altronde, il lavoro di storiografi, antropologi ed ermeneuti è mettere le stelline?
Nel mio piccolo, so cosa farmene, «non ti curar di loro» e... lasciali pure a me  ;)

Di questo passo nascerà un Tripadvisor per la filosofia: tutti che recensiscono, tutti giudici senza toga, orientati al voto rapido da opinionista e non all'approfondimento della comprensione (dalla filosofia alla filodoxia?), possibilmente senza diseguaglianze (nemmeno fra i piani logici... e il tetto ci sarebbe anche, purtroppo dal "primo piano" non sempre si vede :) ).
Chissà, alla fine magari il capitalismo verrà sovvertito e superato dallo "stellinismo"  ;D
#1438
Citazione di: Ipazia il 28 Dicembre 2018, 20:08:25 PM
Te l'ho già detto su cosa si fonda e l'ha detto anche sgiompo tra (). Si fonda sui denominatori comuni che da Mosè e Hammurabi fino alla DUDU l'umanità si è data.
La domanda (ormai così vecchia da essere in prescrizione  ;) ) è su cosa si fonda/fonderebbe il relativismo etico, non l'etica.

Citazione di: Ipazia il 28 Dicembre 2018, 20:08:25 PM
Un'etica relativistica (che esiste sotto mentite meta-spoglie ed è assai gradita a chi sta alla plancia di comando)
Se fossimo al «gioco dell'Oca» ti direi di tornare indietro di 10 caselle (circa al post #118), a quando si è iniziato ad argomentare sulla differenza fra «relativismo etico» ed «etica relativistica», sulla necessità logica di distinguere i piani, sul topo a cui si rimprovera di non essere gatto, etc.

Citazione di: Ipazia il 28 Dicembre 2018, 20:08:25 PM
può limitarsi a dire: me ne frego.
Quando suggerivo che il «relativismo» non è «qualunquismo» non mi aspettavo un risvolto addirittura "menefreghista"... è davvero il bello della diretta  ;D  (ma Sun Tzu ne resta piuttosto deluso...).
#1439
Citazione di: Sariputra il 28 Dicembre 2018, 17:09:53 PM
Ma se è solo una chiave di lettura e non di valutazione perchè allora è preferibile all'assolutismo o all'idealismo? Tu dirai che infatti non lo è...( perchè se dici che lo è fai già una valutazione...) ma pur lo difendi a spada tratta! ;D
Secondo me, non è infatti preferibile ad altre prospettive.
Altrove (tu che sei veterano del forum te ne ricorderai  ;) ) ho difeso a spada tratta che l'Islam fosse una religione; per lo stesso motivo qui cerco di "dare al relativismo quel che è del relativismo"; Confucio lo chiamava «rettifica dei nomi» (altrove si chiama «non prendere fischi per fiaschi»  ;D ).

Citazione di: Sariputra il 28 Dicembre 2018, 17:09:53 PM
Spesso scrivi che così non vengono generate guerre e conflitti. E non è una valutazione etica questa?
Sarebbe anomalo se dicessi che secondo il relativismo ciò è un bene o un male (ovviamente quando dico «magari», non lo dico in nome del relativismo, ma del mio personale punto di vista; sono un tipo pacifico  :) ).

Citazione di: Sariputra il 28 Dicembre 2018, 17:09:53 PM
Può però essere vero anche il contrario: ogni società umana è relativa e immanente, ma non l'etica che potrebbe invece essere assoluta (senza limitazioni o imperfezioni) a cui si "ascende" gradualmente con la consapevolezza (Theilhard de Chardin... ;D ). Pertanto ogni società relativa e immanente diventa un gradino di questa scala e così, ogni conquista etica di queste società relative e immanenti, mantiene intatto il suo 'valore'...[/font][/size][/color]
Tra l'altro questa teoria sarebbe supportata anche dall'evidente diminuzione di violenza ( o aumento della riprovazione morale..) che progressivamente si sta ampliando in popoli di ex culture (ormai) lontane...
Non è da escludere, è infatti una teoria relativamente sensata ;)
Onestamente, non so cosa ne pensano storici e antropologi (non sono fra loro).
#1440
Citazione di: Apeiron il 28 Dicembre 2018, 15:14:29 PM
Se mi permetti l'intrusione, la contestualizzazione non inficia  la 'validità universale' di una proposizione.
Voglio dire...se, per esempio, ritengo che in un certo contesto fare l'azione X sia qualcosa di 'giusto' faccio comunque un giudizio di valore. In pratica invece di dire "l'azione X è giusta" dico "l'azione X è giusta in questo contesto" - nel secondo caso, introduco una qualificazione ma questo non mi fa concludere che ritengo tale giudizio valore vero solo per me. Contestualizzare non implica il relativismo. Anzi.
Per me è invece il fondamento del relativismo: se dico che «fare x è giusto», allora «chi non fa x, o fa non-x, sbaglia» (a prescindere da latitudine ed epoca); se invece dico che «fare x è giusto solo nel contesto y», significa che «non fare x nel contesto k, non è sbagliato».
Ciò che si "perde" passando dall'una all'altra è l'universalità, l'assolutismo, l'assiomaticità (e non mi pare cambiamento da poco  ;) ). La conseguenza è che non avrò motivi assoluti né alibi etici per fare guerra contro chi «non fa x», o «fa non-x» (e si ritorna al suddetto «magari» di Sariputra).

Citazione di: Apeiron il 28 Dicembre 2018, 15:14:29 PM
L'etica relativista non esiste. Se esistesse, si dovrebbe introdurre una meta-prospettiva etica che giudica tutte le altre.
Lieto di essermi fatto comprendere  :)

Citazione di: Apeiron il 28 Dicembre 2018, 15:14:29 PM
E perché mai dovrebbe essere 'relativismo' un approccio fondato su storia ed antropologia? Semmai, assomiglia ad un approccio 'a tentativi ed errori'. Ma di relativismo qui non c'è traccia.
Perché nel momento in cui la storia non ha ancora trovato il sacro Graal del fondamento etico definitivo e infalsificabile, e finché l'antropologia spiega e analizza i differenti contesti sociali e culturali, il relativismo ha i suoi fondamenti (altrimenti, come chiedevo senza successo ad Ipazia: su cosa si fonda?).
Il riferimenti «a tentativi ed errori» va contro tali constatazioni poiché esprime già un giudizio di valore, e quindi presuppone un meta-criterio valutativo (che farà parte di storia e antropologia, essendo contestualizzato, e il cerchio si chiude  ;) ).

Citazione di: Apeiron il 28 Dicembre 2018, 15:14:29 PM
Se ci vuoi convincere della superiorità del relativismo,
Non sono affatto qui per questo :)

Citazione di: Apeiron il 28 Dicembre 2018, 15:14:29 PM
devi parlarci delle sue qualità e dirci perché sono migliori delle altre. Ma se introduci un tale giudizio di valore, non rientri più nell'ambito del relativismo.
Infatti dicevamo che il relativismo è solo una chiave di lettura, non di valutazione (Ipazia avrà ormai il mal di testa per tutte le volte che me l'ha sentito dire  ;D ).

Citazione di: Apeiron il 28 Dicembre 2018, 15:14:29 PM
Inoltre, ci sono anche molte somiglianze tra le 'etiche' dell'antichità (oltre ad innegabili differenze) quindi non vedo come la Storia e l'Antropologia possano dare molti argomenti a favore al relativismo.
La storia e l'antropologia raccontano che ogni etica è relativa, immanente, legata alla propria società ed epoca di riferimento, ma fuori da queste coordinata non ha valore, non è quindi assoluta. Questo è relativismo (re-latus, ri-portato al suo proprio contesto).

Citazione di: Apeiron il 28 Dicembre 2018, 15:14:29 PM
'Relativismo' significa che non ci sono verità universali.
Questa è una definizione basata su una lettura assolutistica del relativismo, ovvero si cerca di rintracciare un assoluto nel relativismo (gesto che i relativisti non hanno motivo di fare  ;) ). Il relativismo dice semmai che anche questa affermazione è relativa al contesto di riferimento e quindi non è universale (ma vale solo qui ed ora) e, soprattutto, non è in conflitto con chi dice (sempre qui ed ora) che ci sono verità universali, trattandosi di due prospettive ognuna relativa, fondata e coerente con i propri assiomi di partenza (come saprai meglio di me  ;) ).
Per come lo leggo io, in chiave anche etimologica (come accennavo sopra), il relativismo non ha motti assolutistici, ma si limita a ri-portare (re-ferre da cui re-latus) ogni giudizio (di valore, di verità o altro) al suo relativo contesto.

Citazione di: Apeiron il 28 Dicembre 2018, 15:14:29 PM
Se così fosse vero, non potremmo dire, ad esempio, che i totalitarismi del novecento di destra e di sinistra (o di matrice religiosa, di matrice laica o quant'altro) erano veramente ingiusti
Non possiamo dirlo senza usare una prospettiva etica; si tratta di una prospettiva relativa al nostro punto di vista oppure è assoluta? Parliamo di opinioni figlie del loro tempo o di Verità?

Citazione di: Apeiron il 28 Dicembre 2018, 15:14:29 PM
Togliere 'gerarchie' di qualsiasi tipo tra le varie prospettiva è relativismo. Ma la semplice contestualizzazione non implica affatto il relativismo  :)
Infatti il relativismo si basa sulla contestualizzazione, non coincide con essa.



P.s.
Citazione di: Sariputra il 28 Dicembre 2018, 16:01:57 PM
E' una forma di 'passivismo' a questo punto...
«Attivismo» e «passivismo» sarebbero pertinenti se stessimo parlando di un'etica. Se parliamo invece di una chiave di lettura (non di azione, di mutamento, di intervento, etc.), non ha senso parlare di attività/passività. Lo storiografo che studia le sue fonti antiche o l'antropologo che osserva e indaga, sono passivi nei confronti del raggiungimento di un mondo migliore, o fanno il loro lavoro di analisi, i cui risultati forse impatteranno il mondo?
Vogliamo rimproverare ai medici di non andare pure a spegnere gli incendi? A ciascuno il suo  ;D