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Messaggi - Sariputra

#1426
Tematiche Filosofiche / Re:Tempo ed eternità
12 Gennaio 2017, 09:19:24 AM
Citazione di: acquario69 il 12 Gennaio 2017, 04:47:53 AM
Citazione di: Sariputra il 12 Gennaio 2017, 00:01:26 AMEssere è quindi ciò che è presenza, permanente, sostanziale. Non-essere è ciò che diviene, che muta, che è assente.
secondo me le cose stanno un po al contrario.. nel Non-essere non può esserci manifestazione,quindi il divenire ("non essendo" cioè non manifestandosi) ..semmai e' l'essere il principio di tutta la manifestazione e del suo divenire.

Questo è un sistema atta... ;D
Il molteplice ( fenomeni) sono solo apparenza, manifestazione dell'Uno.
Un sistema anatta ritiene che non ci sia alcun Uno, ma solo i fenomeni.
Non-essere è diverso dal termine Nulla. Anatta è negazione di atta, negazione del sé, non dei fenomeni.
#1427
Tematiche Filosofiche / Re:Tempo ed eternità
12 Gennaio 2017, 09:03:39 AM
Citazione di: paul11 il 12 Gennaio 2017, 01:25:05 AMe molto prima del buddhismo c'è il kalpa, il giorno di Brahma e la cicilcità temporale,simile all'eone dello gnosticismo. I capi degli Anunnaki si radunavano con il simbolo dell'anello che sigillava la loro unione, L'anello è circolare come certe tavole, la corona è circolare, si bacia l'anello e il sigillo è nell'anello. Il cerchio, lìuroboro è il simbolo. I Veda degli Arya, o arii o ariani, quella razza caucasica bianca, "quella bestia bionda germanica" di Nietzsche che lega l'asse finnico-tibetano probabilemnte erano i mitici iperborei. Permettetimi un 'esercizio di sanscrito solo per riflettere. Atta= in alto o secco Atma= auto Atman= spirito Vadha= assassino Atman-vada= parlare dello spirito ma... atma-vadha= suicidio dravya=liquido spirituale ma seè aggettivo è un derivato dall'albero (l'albero come simbolo?) anatman= non spirtuale anitya= impermanente Non è un contraddittorio Sariputra, solo per riflettere i termini orignari

Sono d'accordo su tutto... ;D.
La mia fonte è "The central philosophy of buddhism" di T.R.V.Murti , trad. Fabrizio Pregadio 1983. Ci sono ovviamente leggere variazioni da traduzione a traduzione...
I termini atta e anatta però non sono Sanscrito. Sono termini in lingua Pali.
atta=Atman
anatta=anatman
Atta in sanscrito ha giustamente un altro significato.
Per es. Anitya in sanscrito (impermanente) diventa anicca in Pali...
Quindi una teoria atman (atta) riguarda lo Spirito, la Sostanza. Una teoria anatman (anatta) è la sua negazione.
Non avevo specificato che si trattava di Pali... :-[
Ho trovato un'interessante traduzione dei termini fatta da una giovane traduttrice che trovo molto brava, Genevienne Pecunia, che ha tradotto il Dhammapada per Feltrinelli( consigliato per i neofiti):
Atta (sanscrito:atman): il Sè. L'atman nella filosofia delle Upanishad è l'anima individuale. Il buddhismo, invece, non ammette alcuna anima individuale e atta, nelle strofe del Dhammapada (Dharmapada), ha principalmente il valore di pronome riflessivo ed è di volta in volta tradotto con "se stesso", "se stessi" e, quando ha funzione genitivale, con "suo" e "proprio".
In seguito questa parola compare nel composto negativo anatta (sansc:anatman), "privo di un sè", caratteristica di ogni fenomeno, insieme a impermanenza e dolore.
#1428
Tematiche Filosofiche / Re:Tempo ed eternità
12 Gennaio 2017, 00:01:26 AM
Citazione di: maral il 11 Gennaio 2017, 23:01:01 PMNon so, ma ci sento una differenza tra ciò di cui mi parli come Atta e ciò che noi occidentali chiamiamo Essere. Perché l'Essere, che è concepito come tale in Occidente da Parmenide nel suo poema (ed è da lì che nasce la filosofia dell'Occidente) è figura del Logos, mentre non mi pare che possa considerarsi così per Atta, per come me lo dici, esso infatti trascende in partenenza ogni possibilità del Logos. E' Parmenide infatti che facendo parlare la Dea (quindi, se si vuole, il pensiero mitico) le fa dire di non credere a ciò che essa dice perché lo dice, ma in virtù di un giudizio raziocinante, ossia del Logos e così dicendo la dea distrugge il pensiero mitico che incarna. Il pensiero orientale invece non mi sembra che abbia mai vissuto questa contrapposizione così escludente tra pensiero mitico e razionalità, nel pensiero orientale l'ancoraggio al mito resta e per questo l'essenza è non essenza, è del tutto inesprimibile, è illuminazione completamente paradossale a cui il pensiero logico che astrattamente e definitivamente separa Essere e Non essere (o anche Ente e Niente) non può giungere in alcun modo. Forse qualcosa di più simile che non l'Essere parmenideo, potrebbe essere l'Infinito (Apeiron) di Anassimandro. Nel frammento di Anassimandro c'è scritto che « principio degli esseri è l'infinito (ápeiron)....da dove infatti gli esseri hanno l'origine, lì hanno anche la distruzione secondo necessità, poiché essi pagano l'uno all'altro la pena e l'espiazione dell'ingiustizia secondo l'ordine del tempo. » Dove l'ingiustizia è proprio quella che commette ogni essere venendo a esistere, ossia separandosi dall'infinito e l'espiazione che ristabilisce la giustizia è il karma delle reincarnazioni.

Non conoscendo la filosofia occidentale dò per scontato che alcuni termini filosofici orientali abbiano esatta analogia con il significato che hanno nella nostra cultura... :(
Per chiarire meglio:
Sistema atta ( o atma-vada)  è la teoria secondo cui il reale è sostanza, permanente ed eterna, e ha una natura propria. L'atman si potrebbe tradurre con Sè, Anima, Sostanza.
Infatti è equiparato a dravya (sostanza), a nitya (permanente, eterno), a svabhava ( natura), a sara( essenza) e a vastu (reale).
Sistema anatta (tipico del buddhismo) ( o anatma-vada) è la teoria dell'assenza del sé (anima), per cui tutte le cose  sono prive di sostanza o di realtà permanente e identica;  tutto è impermanente, mutevole, momentaneo ( anitya), non-essere, negazione, assenza (abhava).
Essere è quindi ciò che è presenza, permanente, sostanziale. Non-essere è ciò che diviene, che muta, che è assente.

Apeiron, se gustando in eterno quella torta non provi noia, ma solo un piacere infinito, ecc...non puoi essere "tu" a gustartela, ma "qualcos'altro" che non è un Io come comunemente lo intendiamo!
Questo tentavo di dire. A parer mio è impossibile per l'Io umano  vivere un simile stato. E' come dire."Se fossi come un pesce proverei piacere a nuotare in eterno"...ma non lo siamo! L'Io, che è tempo( e che crea il suo tempo), non può vivere in una dimensione senza tempo.
Il problema, se di problema si può parlare, Apeiron è che tu non parti dall'esperienza per poi riflettere su di essa , ma ritieni che la riflessione in sé sia sufficiente a spiegare l'esperienza. Nella cultura indiana , dai Veda in poi, la filosofia è al servizio della pratica meditativa e i trattati filosofici sono sostanzialmente delle guide all'esperienza da vivere. In Occidente invece la filosofia è pura astrazione, non è richiesto ad un filosofo di vivere la sua convinzione o riflessione filosofica ( mi viene in mente Schopenhauer che amava la vita e le donne, "Chi non ama le donne il vino e il canto, è solo un matto e non un santo", e poi teorizzava l'ascetismo ...).  Per questo, riflettendo solo sui termini, non vedi differenze tra moksha e Nibbana, per es., che ti appaiono entrambi un bel Nulla.Si può spiegare dettagliamente all'infinito come si fa a pescare, ma se poi non provi l'esperienza del pescare, come puoi sapere se quella guida è corretta?... :)
Sicuramente hai letto , nel canone pali, l'esempio che fa il Buddha dell'uomo colpito da una freccia...
#1429
Tematiche Filosofiche / Re:Tempo ed eternità
11 Gennaio 2017, 21:57:27 PM
Citazione di: Apeiron il 11 Gennaio 2017, 17:20:27 PM@Sariputra Concordo che quello greco sia il più inconsistente dei "paradisi" perchè appunto si basa solo sulle nostre aspirazioni e sulle aspirazioni dei posteri. Inoltre se l'umanità si estingue l'eternità va a farsi friggere. L'eternità a mio giudizio diventa sopportabile se e solo se appunto tutto ciò che caratterizza la vita "terrena" cambia. Se anche rimanessi "io" non potrei sopportarmi all'infinito. Quindi a questo punto dovremo pensare che la presenza dell'eventuale Dio attiri per così dire la mia mente completamente, la svuoti da pensieri auto-referenziali e mi dia un senso di "pace infinita". Oppure questa eternità si risolve con l'abbandono dell'io. Se l'eternità non è così allora è disperazione pura! Concordo con te poi sulla questione dello spirito, del "vero io" che è oscurissima e per nulla evidente. Ad esempio se il vero io fosse la coscienza essa sarebbe diversa di quella di un neonato Quindi anche nel dopo-la-morte se incontrassi tale neonato come potrei parlargli, mi capirebbe? C'è ovviamente qualcosa di impreciso in tutto questo... Sulla questione di dukkha comunque non hai risposto :) pensa ad uno stato in cui puoi mangiare all'infinito una buonissima torta senza aver "problemi". In questo caso l'attaccamento non costituisce sofferenza. Costituisce sofferenza solo se ci si attacca ad un piacere che è di durata finita :)

Apeiron , se si potesse mangiare all'infinito una buonissima torta ( io preferirei dei cesti infiniti di cannoli siciliani... :P ) senza aver alcun problema di attaccamento e di glicemia...io farei il pasticcere ;D ! Ma siamo sicuri che, dopo  2 miliardi di anni di abbuffate, saremo felici di continuare a farlo?  A me sembra che l'io umano si stanchi velocemente di tutto e, curioso come una scimmia, si avventi sempre sulla novità, che spera dia una felicità ancora maggiore. Se ci fosse un "paradiso" per questo nostro io, dovrebbe per forza cambiare in continuazione, perché noi non siamo esseri capaci di stare in pace e soddisfatti. Noi vogliamo sempre qualcos'altro...ci stancheremmo persino di Dio stesso ! Nel caso del buddhismo è evidente che, se realmente esistesse uno stato di completa soddisfazione senza conseguenze spiacevoli, non ci sarebbe alcun Dharma e non sarebbe apparso alcun Buddha...


Maral, da quel che so Alain Danielou era un fervente shivaita , ossia adoratore del dio Shiva ( ex-Rudra), una divinità pre-vedica, ma che è poi diventata una delle principali divinità dela pantheon hindu. Shiva è una divinità che noi occidentali ( e hai perfettamente ragione sul fatto che noi non riusciamo veramente ad entrare nel significato hindu della spiritualità...) definiremmo "contraddittoria". Contradditoria per i nostri parametri e per il nostro bisogno di sviluppo logico anche della spiritualià. Shiva-Rudra a volte viene adorato come il disgregatore/distruttore del cosmo, ma poi diventa anche il rigeneratore ( il Lingam, simbolo fallico che rappresenta la fecondità rigenerativa di Shiva ne è il tipico simbolo). Nella sua danza cosmica nascita e morte vanno a braccetto e Shiva, scatenato danzatore nudo e sensuale tenta le mogli dei sacerdoti e degli asceti. Una divinità dal doppio volto, dissoluto ma nello stesso tempo signore di tutti gli yogin, il supremo asceta. Credo che abbia una trentina di nomi diversi che indicano altrettante qualità e attributi... :( ( non mi sono dato pena di studiarli tutti, lo confesso, e recito un cristiano e occidentale mea-culpa...).
Sul fatto che l'Induismo sia un sistema atta(cioè basato sull'idea del Braham assoluto, dell'Essere puro) credo ci siano pochi dubbi. Però, come nel buddhismo, c'è l'obiettivo spirituale della liberazione dal mondo, che si dissolve e si rigenera nella lila , nel gioco, di Brahman. Per ottenere questa Liberazione (moksha) è necessario l'annientamento totale del sé personale, ma l'annientamento avviene nella comprensione dell'unità dell'atman con il Brahman, l'Assoluto impersonale o sovrapersonale.
Cito, come sempre, il grande santo hindu Ramakrishna per spiegare questo concetto di Brahman:
L'Assoluto è l'Essere non condizionato da nulla; né dal tempo, né dallo spazio,né dalla causalità. Come potrebbero le parole riuscire ad esprimerlo? L' Assoluto è insondabile come l'oceano. Non se ne può predicare cosa alcuna. L'Essere al di là dei limiti della relatività, di ogni esistenza. L'ultimo e timido tentativo fatto per descriverlo è quello dei Veda, che lo chiamano Beatitudine ( ananda) eterna...
Brahman è senza attributi. E' immutabile, inalterabile e fermo come il Monte Meru. Il Suo nome è Intelligenza ( chinmaya). La Sua Dimora è Intelligenza e lui, il Signore, è tutto Intelligenza...ecc."
Direi che non ci sono dubbi che sia un sistema Atta ( quello che noi occidentali chiamiamo Essere...)
#1430
Tematiche Filosofiche / Re:Tempo ed eternità
11 Gennaio 2017, 16:04:39 PM
Citazione di: Apeiron il 11 Gennaio 2017, 12:35:17 PMSariputra, il problema che ho col buddismo è il seguente. Buddha dice in sostanza che ogni rinascita, perfino nei paradisi è impermanente cioè non è eterna. Buddha in sostanza ti dice: guarda per quanto ti possa andare bene arriverai in uno stato paradisiaco il quale è certamente pieno di gioia ma è in ultima analisi pericoloso perchè non è di durata infinita. Il buddismo "crolla" se ci fosse uno stato di eternità "gioiosa". E di fatto ci piazza "il suo", il Nirvana (so che tu mi dirai che il Nirvana non è una "vita eterna" e lo so anche io). Non mi puoi negare che dopotutto Buddha diceva che "la vita è sofferenza" per via dell'impermanenza, ossia che ad esempio gustarsi una buonissima torta è "dukkha" proprio perchè è "anicca". Infatti Buddha afferma chiaramente che il problema delle rinascite nel paradiso tra i deva è che gli stessi deva hanno una vita finita, ma lunghissima. Il vero problema che volevo porre è: se anche vivessimo in eterno (quindi assumendo se vogliamo una "rinascita in un mondo permanente e non soggetto a malattia, vecchiaia e morte") questa "vita eterna" sarebbe veramente soddisfacente per noi? A mio giudizio questo crea un "paradosso" (anzi a mio giudizio è il Mistero centrale della vita) che condiziona tutta la vita umana. Noi desideriamo l'eternità eppure non appena cominciamo ad immaginarcela seriamente questa ci terrorizza perchè ci sentiamo imprigionati. Come risolvere cio? O sperando che l'eternità non sia una prigione (sperando che l'eternità non è quello che riusciamo ad immaginarci...), o togliendoci il desiderio di vita oppure perdere l'identità. I greci speravano nella fama, per loro la vita eterna era anche l'essere ricordati tra i posteri. Forse che l'eternità come dice baylham è la memoria che imprimiamo sul mondo. Sì se il mondo fosse eterno...

Beh, quello di sperare nella fama e negli onori del mondo, come aspiravano i greci, mi sembra il più inconsistente dei "paradisi".  Dove sei per gustarti questa fama? Ridicolo...tra l'altro poi tutti quanti ti reinterpreteranno a loro uso e consumo e in base alle loro visioni del mondo...E quello che hai prodotto o lasciato ti rappresenta veramente? Quello che Sari, per es., scrive sul forum esaurisce Sari? ...
Per rispondere alla tua domanda, direi : se la vita eterna ( ma sarebbe più esatto dire "la vita perpetua" come ha fatto notare Donquixote nel topic di spiritualità...) significa che questo mio senso dell'Io-autonomo sopravvive alla trasformazione del corpo nella morte e finisce in altro luogo dove dura un tempo senza fine, non potrebbe gustare vera beatitudine perché l'Io è una creatura dell'attaccamento e che vive  e si nutre del senso di separazione da ciò che non è Io. Una vera beatitudine potrebbe manifestarsi solo nell'annullamento dell'Io personale nella totalità dell' eventuale divinità che ha creato il tutto. Annullandosi l'io personale però verrebbe a mancare il soggetto che può pensare."Ecco, sono beato come un riccio! ;D...che bella questa perpetua beatitudine!".
In realtà quello che le religioni teiste sostengono è che proprio questo Io personale, questo Sari di Sotto il Monte, con i suoi ricordi, con i suoi affetti e con la sua infinita collezione di peccati , legati per sempre dietro di lui come le lattine colorate alla marmitta dell'auto degli sposi, entra, dopo opportuna valutazione, in questo regno di gioia perpetua.
Il problema grosso, a mio modesto avviso, che qui si pone è quello di definire cos'è esattamente quell'Io personale, quel Sari di Sotto il Monte che eventualmente si presenta alle porte della dimora divina. Essendo il Sari, come qualunque cosa, un processo causato e condizionato in divenire, qual'è il "vero Sari" che merita di entrare nel convito dei santi?  Questo svela l'interpretazione lineare del tempo che ci immaginiamo come una linea con un inizio e una fine e con un processo di sviluppo che dovrebbe culminare con il "vero me stesso" . Osservando la vita però notiamo che così non è. Molti muoiono prima di sviluppare alcun senso di un Io-autonomo, altri prima ancora di vedere la Luce di questo mondo, altri perdono il loro senso dell'Io-autonomo nello sfacelo della demenza. Per ovviare al problema si è inventato lo "spirito"; ma nessuno sa quali sono gli attributi dello spirito, ossia quali sono gli attributi di una cosa non soggetta al divenire. la coscienza? Ma la coscienza non esiste intrinsecamente, è sempre coscienza di qualcosa, e quel qualcosa di cui si nutre la coscienza è sempre in divenire. Pertanto, se anche la coscienza sopravvive alla morte, ha sempre bisogno per essere di un oggetto di coscienza, ha bisogno di vedere "davanti a sé " qualcosa, ha bisogno di "vedersi" separata da Dio per riconoscerlo. Ma la coscienza non è memoria e quindi non saremmo "noi stessi" come comunemente ci intendiamo a gustare questa separazione e questa visione. Dovrebbe essere qualcosa di totalmente altro da "noi stessi". E l'Io-autonomo sarebbe spacciato lo stesso..."noi" saremmo ( io sostengo che siamo...) spacciati! ( il che non lo vedo come una maledizione, anzi...non mi potrei sopportare per l'eternità/perpetua...già faccio fatica adesso :-[). Perderemmo la nostra tanto amata identità, che è fatta di memoria e costruita sulla memoria...( e i peccati dove vanno? L'è dura da mandar giù questa idea, ha troppe ombre e poche luci...).

Su dukkha...il piacere non è sofferenza . E' l'attaccamento alle sensazioni di piacere che genera la sofferenza, perché ci spinge continuamente a reiterare questo attaccamento. Per questo si insegna a vedere anche il piacere come possibile fonte di sofferenza. Infatti viene detto che la gioia più vera è data dal non attaccarsi al desiderio di provare gioia... ;D ;D ;D
#1431
Citazione di: donquixote il 11 Gennaio 2017, 10:24:51 AM
Citazione di: Duc in altum! il 11 Gennaio 2017, 09:12:44 AMCerto, ma si potrebbe anche distinguere l'eterno come un susseguirsi infinito di attimi, più o meno quel che passa nel trascorrere della nostra esistenza: 40, 80 o 100 anni vissuti, anche se appare surreale, in realtà non sono altro che milioni d'istanti coscienti (inclusi i sogni e l'inconscio) ripetutosi fino alla morte. Quindi se nell'attimo dopo un infarto fulminante, cessasse tutto questo, non possiamo definire quel lapso di tempo, pervaso dal niente, dal buio e dal silenzio assoluti, che diverrebbe dopo. Mentre se, passato il dolore lacerante del cuore spezzato, si dovesse riconquistare un certo che di coscienza, penso, anzi immagino (visto che godo di questa grazia), anche perché ancora umano, che "forse" quegli istanti che si susseguirebbero, formando la vita eterna, non sarebbero poi tanto diversi da quelli sperimentati, assurdamente, nel pianeta terra.
Non per vis polemica, ma è importante non confondere l'eternità con un concetto condizionato dal tempo, altrimenti su certi argomenti ci si condanna inevitabilmente alla confusione assoluta. La serie di istanti (o di secondi, ore, giorni eccetera) che non finisce mai si indica con "perpetuità"; ciò che è perpetuo continua indefinitamente nel tempo, mentre ciò che è eterno è qualcosa che non è condizionato dal tempo e il suo manifestarsi non è misurabile in termini di istanti, giorni, secoli. La vita eterna quindi non ha niente a che fare con quella che sperimentiamo qui sulla terra, che se fosse come dici tu sarebbe perpetua, e non è per niente legata alla consapevolezza e alla coscienza così come siamo abituati a considerarla.

Credo che hai centrato il punto. In realtà, la concezione comune della vita oltre la morte, intende la vita come "perpetua" e non come "eterna", ossia svincolata dal tempo ( totalmente altra rispetto al tempo della coscienza).
#1432
Tematiche Filosofiche / Re:Tempo ed eternità
11 Gennaio 2017, 09:45:36 AM
"Ah! Se avessi tempo farei un bel viaggio"; ci diciamo spessso. "Se avessi un pò più di tempo risolverei quel problema che ho con mia moglie"..."Vorrei avere più tempo per seguire mio figlio"..."Mi manca il tempo per dedicarmi agli altri"...In noi c'è sempre questa fame di tempo; il tempo sembra non bastare mai. Questo desiderio di tempo diventa una sorta di contenitore illusorio dentro cui, ci immaginiamo, poter soddisfare gli inesauribili altri desideri. Purtroppo disponiamo di un tempo limitato: chi due anni, chi venti, chi cento, alcuni pochi giorni soltanto. "Era così giovane!" Esclamiamo davanti alla morte di un bimbo; oppure :"Aveva ancora così tanto da vivere!". Questo sentimento della durata è potentissimo in noi e mi sembra non sia distinguibile dal quel famoso primo sentire di esistere di cui parlava Maritain, che ho già citato. Nel momento in cui sentiamo di esistere come qualcosa in se stessa fondata, appare anche la sensazione della durata. Essere diventa così "essere nel tempo" o anche "durare nel tempo". In effetti sembra proprio che abbiamo bisogno di tempo per sentire d'essere o, per meglio dire, quando sentiamo di essere creiamo il nostro tempo. Quale durata di tempo crea un feto nell'utero materno, quando ancora non sa di essere e non sa di dover cessare d'essere? Non vi è alcun tempo psicologico, eppure c'è vita. Se il sentimento di essere ( o coscienza d'essere) è così inestricabilmente intrecciato con il sentimento della durata ( che è la costruzione psicologica di un tempo d'essere) ne consegue che è inconcepibile per l'Essere il sentimento della cessazione del tempo psicologico, da se stesso creato e che crea il proprio essere stesso. La morte, che è sostanzialmente la cessazione del proprio tempo psicologico e quindi del proprio "essere nella durata del tempo",  diventa non solo il Grande Nemico di questa creatura formatasi dalla coscienza di essere nella durata del tempo da se stessa creato, ma necessariamente la porta per un'ulteriore durata di tempo. Questa porta , immaginata sull'apoteosi di tutti i desideri dell'essere nel tempo ( e quindi "paradiso" in quanto ho finalmente tutto il tempo che mi serve), oltre che dimostrare il profondo attaccamento della sensazione d'essere alla propria durata, non apre solamente ma anche funge da barriera, da porta sbarrata davanti al pensiero di non-essere che l'osservazione e la ragione sembrano voler insinuare alla coscienza stessa. Se la ragione sussurra alla coscienza d'essere." Osserva la vita! Guarda come tutto si trasforma in continuazione da sempre. Perché non l'accetti? Perché ti opponi alla tua trasformazione?" Questa sensazione di essere in una durata di tempo chiude gli occhi ( metaforicamente parlando...) all'evidenza o si ribella a questo ineluttabile passare, a questa perdita del proprio tempo interiore e , prendendo la ragione sotto braccio, obietta:" Cara mia, tu vedi che tutto si trasforma, ma io non sono una parte di quel tutto che vedi. Io sono diversa, non ne faccio parte, io l'osservo soltanto questa trasformazione. Io sono lo spettatore che se ne sta seduto con i pop-corn in mano a guardare il film della trasformazione, così interessante"...
#1433
Tematiche Filosofiche / Re:Tempo ed eternità
10 Gennaio 2017, 15:46:20 PM
Citazione di: Angelo Cannata il 10 Gennaio 2017, 15:07:41 PM
Citazione di: Apeiron il 10 Gennaio 2017, 14:40:59 PMTrovo interessante questa tua posizione. In sostanza stai abbracciando un "finitismo" radicale, che per me come ti avevo già detto è nichilismo. Quindi secondo te il nostro desiderio di "trascendere" è un auto-inganno?
Secondo me una filosofia che voglia sforzarsi di essere buona filosofia deve sforzarsi di aderire per quanto è possibile all'esperienza umana fisica, materiale, irriflessa. La parola eternità mi sembra quanto di più lontano si possa immaginare dall'esperienza umana, è come parlare di asini che volano, pura, purissima immaginazione. Io mi ritengo nichilista e mi sembra che quanti accusano il nichilismo di essere troppo negativo, distruttivo, nullificante, in realtà ciò che temono annullato sono proprio concetti ultrateorici e ultraimmaginari come appunto quello di eternità, che essi invece considerano irrinunciabili.

Il termine "nichilismo" ( dal latino nihil, niente), non gode di buona reputazione perché viene comunemente , a torto ma anche a ragione, ritenuto evidenziare comportamenti rinunciatari, rivolti alla distruzione di qualsivoglia istituzione e di qualsiasi sistema di valori , sia sociali che morali. Dostoevskij, nei Dèmoni, ne trae  un'efficace ritratto nella figura di Nikolaj Stavrogin; un essere che appare impermeabile a qualsivoglia emozione, inumano, distaccato e distante, afflitto da una specie di noia esistenziale che lo spingerà ad uccidere, per vedere quello che si prova...infliggere sofferenza ( di solito all'altro... ;D) per dimostrare l'affrancamento da qualsiasi falsa ( ritenuta falsa dal nichilista...) morale. Personalmente lo vedo un sistema di pensiero dogmatico: è l'esatto contrario del Tutto-esiste, altro dogmatismo...
#1434
Tematiche Filosofiche / Re:Tempo ed eternità
10 Gennaio 2017, 15:00:07 PM
@ bluemax e Apeiron
Quando si parla di annientamento totale, s'intende annientamento totale dell'attaccamento alla falsa concezione di un sé immutabile, eterno e sostanziale.  Non deve intendersi come annientamento della vita e nemmeno come annientamento del sé convenzionale, empirico; quel sé necessario che tutti "noi" usiamo. Altrimenti il buddhismo sarebbe una forma di nichilismo...cosa che evidentemente non è.
Apeiron, c'è una differenza sostanziale tra il neti, neti ( né questo né quello) di matrice vedantina e la Vacuità buddhista. L'induismo è profondamente centrato sul concetto di Essere. In Brahman tutte le cose trovano la loro radice e unità; in questo senso il Brahman appare come il substrato di tutte le cose. Tutte le cose, nonostante le loro forme e nature differenti, hanno nell'Essere (Sat) la loro radice senza alcuna eccezione:
"Come tutti i raggi sono tenuti assieme dal mozzo e dal cerchione di una ruota, proprio così da questo Brahman, tutti gli esseri, tutti gli dei, tutti i mondi, tutte le creature respiranti, tutti questi io sono tenuti assieme..."
(Brhadaranyaka Upanishad)
"Tutte queste creature...hanno la loro radice nell'Essere. hanno l'Essere come loro dimora, L'Essere come loro supporto" (Chandokya Upanishad)
Le Upanishad sottilineano sempre la primaria importanza dell'Essere. L'Essere era al principio, è nel mezzo e si trova alla fine di ogni cosa. L'affermazione negativa concernente il nirguna brahman ( cioè il Brahman privo di attributi), suggerisce solo che il Brahman è non questo, non quello (neti,neti), ma non suggerisce che questo Brahman sia privo di un proprio essere o Io-autonomo.
La vacuità buddhista, al contrario, afferma sia l'aspetto non-è che quello non-c'è; ossia la Vacuità assoluta é, da una parte, non-questo e non-quello,e dall'altra non ha io-autonomo. E' essa stessa completamente vuota; non c'è assolutamente neppure un essere di qualche sorta ( se non come mera designazione mentale convenzionale...).
L'atman vedico è Puro Essere, mentre leggiamo cosa si spinge a dire Subhuti ( discepolo del Buddha) :
"...Io affermo che anche il Nirvana è simile a un sogno e a un'illusione magica".
Chiesero allora:" O Subhuti, stai davvero dicendo che persino il Nirvana è simile ad un sogno e a un'illusione magica?"
Subhuti rispose:" Miei cari, se ci fosse qualcosa di superiore persino al Nirvana, io direi ancora che tal cosa è simile a un sogno e a un'illusione magica. Miei cari, non esiste la benchè minima differenza tra il Nirvana e i sogni e le illusioni magiche".
La dottrina della Vacuità assoluta viene qui chiaramente pronunciata.
Subhuti non era un pazzo. Era un autentico discepolo di Siddharta al quale fu chiesto , una volta, se poteva condensare in una frase il sua Insegnamento. La risposta fu:
"Nulla a cui aggrapparsi". (Nemmeno quindi al concetto di Nirvana...)

P.S. Questa discussione forse era più opportuno inserirla nelle tematiche spirituali. Perché abbiamo abbandonato l'aspetto puramente filosofico per approfondire le differenze filosofiche delle varie religioni... :-\
#1435
Mi chiedo se il problema non risieda principalmente nel fatto che la società umana non concepisce la diversità se non classificandola come malattia.  Se tutti ti considerano malato, tu finirai inevitabilmente per convincerti di esserlo! Migliaia di anni fa c'erano molti individui che preferivano vivere da soli dentro una caverna, magari in compagnia di qualche animale, che mischiarsi con gli altri esseri umani. Spesso venivamo stimati come dei santi, delle persone altamente spirituali, o come dei saggi. Oggi si farebbe su di loro una diagnosi differenziata ( Aspeger con sintomi schizoidi, schizoide con vaghi accenni ossessivo compulsivi, nevrotico disadattato, autista ma solo vagamente e con mancanza di segni autistici, ecc. ;D ). Non sarebbe più semplice apprezzare la diversità e permettere che , per chi la vive, non si trasformi in una malattia e in una fonte di sofferenza?
Tra l'altro, come testimonia Arianna, oltre all'evanescenza della diagnosi psichiatrica, non si dispone di cure efficaci ( come praticamente per il 99% di questi disturbi o vere malattie) per risolvere la situazione.
Mi viene in mente che , un tempo non molto lontano, per far vincere la timidezza ai giovani maschi li si buttava, a viva forza ;D, tra le braccia di qualche "signorina" che , in questi casi, esercitava la funzione del psicologo. I risultati erano rapidi ed evidenti... 8)
Oggigiorno li si porta da qualche psicologo con risultati nulli o quasi e spendendo cifre impossibili...
C'è qualcosa che non mi torna... ???
#1436
Tematiche Filosofiche / Re:Tempo ed eternità
10 Gennaio 2017, 01:03:45 AM
@ Apeiron scrive:

Però mi fai notare una cosa interessante: "noi siamo il tempo".  O forse: la vita è il tempo! Che l'eternità sia il tempo (d'altronde si può parlare di "temporalità del tempo" ?  ). Il tempo d'altronde è l'unica cosa a-temporale. Esso crea e distrugge senza nessuna malizia, in modo imparziale. Che la soluzione sia abbandonarsi al tempo?


Se noi siamo il tempo e il tempo è (anche) noi, l'eternità del tempo che è l'eternità del divenire è pure la nostra (anche la nostra) eternità. Noi, essendo parte del tempo/divenire, partecipiamo dell'eternità del tempo/divenire. Possiamo definirci un "meccanismo" dell'eternità ? Quando diciamo "noi" però lo usiamo in senso convenzionale, nel senso cioè della verità convenzionale, che non è falsa ma non è nemmeno la verità ultima. Se togliamo quel "noi" in cui ci identifichiamo come esseri sostanziali ( esseri in sé) tutto ciò che ci compone è diverso dal tempo/divenire? Se siamo solo una goccia del fiume che scorre in divenire, non siamo anche noi quel fiume? Forse è perché riteniamo erroneamente che non-siamo una goccia del fiume, ma bensì una cosa in sé, distinta dal fiume del divenire, cha aspiriamo a qualcosa di irrealistico che chiamiamo eternità-del-nostro-essere-un'entità-in sé?  La sensazione di essere un'entità in sé è molto profonda, forse la natura stessa della coscienza( e dell'attaccamento). Se dico 'Apeiron è" esprimo con forza una sensazione di essere in sé di Apeiron;  se dico invece "Apeiron è giovane" parlo della realtà esistenziale di Apeiron. Maritain scriveva:
Così, la primordiale intuizione di essere è l'intuizione della solidità e inesorabilità dell'esistenza...E' un ragionare senza parole, che non può essere espresso in modo articolato senza sacrificare la sua vitale concentrazione. Qui ogni cosa dipende dalla naturale intuizione dell'essere-dall'intuizione di quell'atto di esistere che è l'atto di ogni atto e la perfezione di ogni perfezione..."
Questa sensazione però non ci dice niente sull'esistenza. E' semplicemente la diretta e vivida esperienza di vivere prima del sorgere degli attributi della vita stessa; forse prima della spaccatura soggetto-oggetto. Nelle Upanishad abbiamo così la formula:
Essenza= pura esistenza=la realtà di una cosa= l'atto di esistere= fondamento divino= substrato universale= Brahman= Essere di esseri.
La presa di posizione buddhista nei confronti di questa sensazione intuitiva dell'Essere, ossia dell'essenza, è diametralmente opposta. Invece di glorificarla e di argomentare i suoi significati a livello teologico e soteriologico, il Buddhismo ritiene che tale intuitiva comprensione dell'essere non è altro che una espressione del profondo legame e attaccamento degli uomini. Essa è la vera radice di tutte le sofferenze e di tutte le illusioni umane. La Liberazione ( ossia l'Illuminazione) è il risultato di un annientamento totale di tale innato, radicato attaccamento all'"essenza".
Questo è il motivo per cui la Vacuità ( vuoto di essenza) ha un ruolo così importante , decisivo nel pensiero e nella pratica buddhista.
L'intuizione primordiale di essere è priva di attributi, però l'attaccamento a questa intuizione proietta su di essa attributi nati dal desiderio: desiderio di durare, desiderio di significato, desiderio di non-essere nel divenire.
#1437
Tematiche Filosofiche / Re:Tempo ed eternità
09 Gennaio 2017, 16:42:40 PM
Citazione di: Apeiron il 09 Gennaio 2017, 14:23:37 PMForse l'impulso "basico" che ci spinge più di ogni altro a ricercare le risposte esistenziali è quello di fuggire dalla morte. Non c'è davvero nessuna filosofia o religione "seria" che guarda positivamente alla morte e al cambiamento. Perchè? Semplice: tutti gli esseri viventi mirano alla conservazione del proprio essere e purtroppo ben sappiamo che questo nostro desiderio non potrà venire soddisfatto. Il problema è che mentre per gli animali tutto ciò avviene nella loro inconsapevolezza (o almeno credo...) nell'uomo che è dotato di auto-coscienza la cosa è molto più penosa. Ognuno di noi è infatti una sorta di "microcosmo", tuttavia è un microcosmo transiente. Prima o poi quello che avverrà è che si disgregherà. Ma a ben guardare la disgregazione e la morte sono ben connaturate al tempo, o meglio al suo cosiddetto "scorrere". Ogni momento che passa in sostanza non è altro che: una morte del passato e una nascita effimera di un nuovo istante il quale soccomberà a sua volta. Capito ciò ci rendiamo conto per cosa nasce questo nostro anelito alla ricerca del permanente e dell'eterno. Questa incostanza della vita è dunque la natura del tempo, è la natura di questo nostro mondo. E per la nostra conformazione quello che facciamo è cercare un attaccamento: ma questo attaccamento lo dirigiamo continuamente alle "cose incostanti di questo mondo". E dunque continuiamo ad etichettare con termini "mio", "me stesso" e così via cose che sono destinate a "disgregarsi". Nelle forme più estreme si arriva a schiavizzare l'altro essere umano a noi e da qui notiamo come ogni religione seria ci consiglia di "lasciar andare". Dunque se la morte, la disgregazione ci spaventano lo fanno per la loro irreversibilità. Eppure se questo mondo fosse ciclico e quindi noi fossimo "eterni" il tutto ci apparirebbe come una prigione. Allo stesso modo ci appare problematica vita di durata infinita come quella che svolgiamo qua una prigione perchè sicuramente ad un certo punto ci sentiremmo intrappolati. Tutto questo "preambolo" per dire che a mio giudizio noi non abbiamo idea di cosa questa "eternità" che aneliamo dovrebbe essere. Atemporalità? Ma allora saremmo come dire "congelati". Durata infinita della vita? SI rivela essere una prigione! Eterno ciclo? Altra prigione. D'altro canto la nostra vita finita è "dukkha": il tempo, il suo continuo scorrere è una tragedia proprio perchè come ho già detto "flusso del tempo=continua morte". Dunque secondo voi cos'è l'eternità? E la desiderate? Una qualsiasi vita eterna secondo me deve essere una vita in cui non c'è passaggio nel tempo ma a differenza dell'atemporalità in qualche modo quel "congelamento" deve essere qualcosa di piacevole. Secondo me il tempo è il segno dell'imperfezione della nostra esistenza, della sua non completa realtà, il tempo è una sorta di "caduta". Per questo motivo la natura temporale è di per sé insoddisfacente. Secondo voi c'è qualcuno che davvero non desidera l'eternità? Ma questa eternità noi non possiamo comprenderla e per questo motivo ogni nostra concezione di eternità ci spaventa e questa paura per così dire è una "tentazione" di questa nostra esistenza, un ostacolo alla ricerca della perfezione.

Apeiron, può esserci vita senza tempo? Qualunque cosa abbia vita ha bisogno del tempo per dispiegarsi, giungere a maturazione e poi dissolversi. E' il nostro sentirci separati da questo divenire che causa sofferenza e paura. Sofferenza comune a tutte le forme di vita in questo universo in divenire ( o che appare in divenire...il che non cambia il problema visto che solo di quel divenire facciamo esperienza con i nostri sensi e con il senso interno, definito coscienza). Persino per aver timore della fine, della disgregazione abbiamo bisogno della disgregazione stessa, del tempo. Noi siamo il tempo e il tempo è (anche) noi. Con i nostri sensi e con il pensiero non siamo in grado di percepirlo, ma noi cambiamo attimo dopo attimo. Osservi una vecchia foto e , sbigottito, esclami:" Mio Dio, come sono diventato?" Ti sforzi di ricordare gli attimi vissuti, ma la maggior parte sono già andati, morti e qualche altro lo devi ridipingere per fermarlo, illudendosi che possa, in questo modo, sfuggire almeno lui alla disgregazione. Niente dura, né esteriormente né  interiormente. E siccome tutto passa e si disgrega, cosa può sostenere questo se non un grande Vuoto? Proprio perché sono vuote di sostanza propria tutte le cose passano, si trasformano continuamente seguendo la loro natura vuota. Se le cose disponessero di una realtà propria ( di una sostanza intrinseca al loro esserci) come potrebbero cambiare restando se stesse?  Sarebbe contradditorio in termini. Anche postulando un sé mutevole, per aggirare la contraddizione, creeremmo un'ulteriore contraddizione. Come può una cosa che è se stessa mutare in un'altra? Poiché tutte le cose sono vuote nel loro proprio essere, possono tutte esistere. Se possedessero un proprio essere, nessuna di esse esisterebbe. A tutta  prima tutto ciò suona assurdo, però... Parmenide non poteva accettare il non-essere; pertanto non poteva accettare il cambiamento. Ma il vuoto non è nulla, non più di quanto lo sia il numero zero. Poiché lo zero non contiene nulla, può denotare qualsiasi cosa. Per es., se diciamo che un uomo vale sei cifre, non ci impegniamo a definire esattamente il suo conto in banca. La somma di sei cifre, rappresentata da sei zeri, è assai flessibile, estremamente non-essere ( non-svabhava si direbbe nella filosofia buddhista...), così che qualunque numero esatto può essere ad esse sostituito( Come 753.128 Euro per es.). Poichè zero è non-essere, ha enormi possibilità; può diventare ( ovvero funzionare) come un qualsiasi essere. Allo stesso modo, poiché tutte le cose sono prive di sostanza autonoma ( Io-autonomo) , sono dinamiche e piene di possibilità di cambiare, di divenire per l'appunto. La vacuità di sostanza intrinseca, pertanto, non distrugge o demolisce la realtà delle cose; al contrario, a mio parere, è il fattore che rende stabili tutte le cose. 
L'unica cosa che distrugge, nella sua comprensione, sono i desideri e gli attaccamenti degli uomini per una vita eterna, per l'illusorio concetto di eternità nato dal considerare le cose, come giustamente scrivi, fisse e dotate di una propria esistenza intrinseca.

I due modi di pensare:

Il modo svabhava ( essere)                                                  Il modo Nihsvabhava ( non-essere , vacuità)
___________________________________________________________________________________________________________________________
Indipendente                                                                      Interdipendente
unitario                                                                              strutturale
entità-sostanza                                                                   eventi e azioni
statico                                                                                dinamico
fisso                                                                                   fluido
limitato                                                                               libero
definitamente restrittivo                                                       infinite possibilità
costrizione e attaccamento                                                  liberazione e distacco
essere                                                                               non-essere
medesimezza                                                                     sicceità
(da Garma C.C. Chang-filosofia Hwa yen)
Il primo è l'approccio "Aristotelico", il secondo trova qualcosa di simile in occidente nella semantica generale di Korzybski.
Ma , vuoto o non vuoto di esistenza intrinseca, alla sera, Apeiron, il cuore "muore d'amore" :'( ...
#1438
Tematiche Spirituali / Re:ESTASI
09 Gennaio 2017, 11:27:03 AM
Citazione di: altamarea il 09 Gennaio 2017, 08:42:08 AMSari, complimenti per il contributo. Dici che l'estasi non ha nulla a che vedere con l'erotismo, non ha nulla a che vedere con le visioni, non è appannaggio di un particolare credo religioso, ma è uno stato naturale della mente di tipo meditativo con il distacco dalla realtà. Ed io concordo. Ma sai bene che il nostro sapere è anche condizionato dalla cultura cristiana, sia morale sia religiosa. E questa penso, ha suscitato le mie risposte e quella di Sebastian, collegandoci con la Bibbia o, nel mio specifico caso, alle estasi delle monache carmelitane Teresa d'Avila ed Anna La Longa, conosciuta come "suor Teresa di San Geronimo". Citando queste, bisogna per forza parlare dell'estasi dal punto di vista cristiano, non conoscendo io quelle collegate con le culture orientali. Penso al filosofo neoplatonico Plotino, secondo il quale l'estasi è autocoscienza che desidera congiungersi con Dio. Tramite l'ascesi e la catarsi, la ragione si compenetra con l'Uno. Per Plotino l'estasi non è un dono della divinità ma una possibilità naturale dell'anima, è un percorso verso la trascendenza. E' uno stato psichico non descrivibile a parole. La teologia di Plotino fu usata da quella cristiana e l'estasi venne da questa considerata non solo contemplazione fine a se stessa ma funzionale all'azione sia verso Dio sia verso il mondo. Penso che l'estasi funzionale all'azione e non alla sola contemplazione abbia suscitato in Mariano la domanda nel suo post iniziale. E col senno del poi, il non detto da Mariano m'induce ad ipotizzare che egli sia un fervente cristiano che sa la risposta ma ha voluto conoscere le nostre.

La concezione cristiana dell'estasi,  altamarea, è una distorsione "a posteriore" dell'esperienza stessa. E' il concettualizzare secondo la ragione ciò che per sua natura non è ragionevole. Dopo l'"emersione" dallo stato estatico il soggetto tende a dare una spiegazione dell'avvenuto e lo fa secondo i criteri di fede in cui il suo Io illusorio si identifica. Intanto bisogna sottolineare che le famose "visioni" di paradisi, inferni, esseri soprannaturali, voci di Dio, ecc. non sono estasi,  ma la realizzazione sognante dell'intenso desiderio di visione del soggetto. Sono della stessa natura dei sogni e sfumano vaporizzandosi se il soggetto ha controllo meditativo consapevole del momento. Sono caratteristici di personalità estremamente sensibili ed emotive; soggetti per i quali l'amore deve assumere un nome e una forma. Concordo con te che, convenzionalmente, vengono definite estasi in ambito cristiano e vengono viste come un dono di Dio all'anima adorante. Questo , come in tutta la concezione cristiana della spiritualità, toglie merito e libertà al soggetto che s'inerpica sul monte dell'esperienza diretta. Questi stati sono però perfettamente alla portata di tecniche meditative adeguate e in soggetti con particolare predisposizione e forza di concentrazione. Erano abbastanza comuni nell'antichità e molto rari oggigiorno, in quanto la mente umana sta perdendo la capacità di introiettarsi all'interno, continuamente attratta e aggrappata a ciò che la condiziona incessantemente.
Fai una prova: mangia pochissimo per giorni e giorni, prega il tuo Dio  ( magari con la testa d'elefante...) instancabilmente tutto il giorno, tenta di sopprimere come riprovevole ogni palpito di desiderio che sorge durante la preghiera, visualizza incessantemente l'immagine del Dio o dell'essere spirituale che stai pregando. La mente in breve collasserà e per rilasciare l'enorme tensione e desiderio interiore accumulato, produrrà uno stato simile all'estasi autentica, ma che si differenzia da questa per l'irruzione di visioni sognanti ( e molto probabilmente vedrai proprio una divinità con la testa d'elefante che ti parlerà, opportunamente rielaborata anche dall'inconscio...). Non c'è molta differenza  da quello che tutti noi sperimentiamo quotidianamente nel sogno, dove affiorano dall'inconscio tutti i desideri e le paure coltivate o rimosse dalla coscienza durante lo stato di veglia.
In questi casi di false estasi troviamo certamente un'azione susseguente il fatto visionario interpretato come una "visita" nell'anima della divinità adorata. Il soggetto tende a raccontarlo, a scriverci sopra un trattato mistico, ecc. Si arriva  a casi in cui ci si identifica talmente con queste visioni da costringere il corpo stesso ad adeguarsi e prendere una forma consona allo stato spirituale ritenuto raggiunto.
Deve però far riflettere il fatto che queste "visioni estatiche" , presenti in tutte le religioni, prendono sempre la forma del particolare credo che si segue. La vera estasi è "priva di segni" ( e come potrebbe averli?...)
Ancora Ramakrishna ( uno che se ne intendeva... ;D):
-Quando fu chiesto al Maestro se durante il samadhi egli fosse cosciente di questo mondo, rispose: " In fondo all'oceano vi sono colline e montagne, gole e vallate, ma dalla superficie dell'acqua non si possono vedere. Similmente, nello stato di samadhi non si scorge che la grande distesa  di 'Satchitananda', e la coscienza individuale resta latente in noi".
Anche in questo passo notiamo come , nonostante l'esperienza in stato di coscienza latente, al riemergere il Maestro non resiste alla tentazione di definirla secondo la sua visione e convinzione spirituale, e perciò la chiama "satchitananda", ma forse avrebbe potuto chiamarla anche "tantobenetantomale", sono solo nomi per qualcosa che non ha un nome...
#1439
Tematiche Spirituali / Re:ESTASI
09 Gennaio 2017, 00:08:49 AM
Leggendo quello che avete scritto mi viene spontanea una considerazione, un'evidenza:  sicuramente non avete mai sperimentato uno stato simile!  :D :D  
Se lo aveste fatto non scrivereste le considerazioni che avete scritto...
Come si fa a definire l'estasi che è esattamente all'opposto del pensiero discorsivo e di conseguenza del linguaggio? Come per le definizioni su Dio, se ne può parlare solo per dire quello che non è.
Per prima cosa non ha nulla a che vedere con l'erotismo. L'uso del linguaggio e dei termini a volte può suscitare questa idea, ma è dovuto sostanzialmente all'incomunicabiltà dll'esperienza e quindi all'obbligo di utilizzare uno strumento inadeguato, qual'è il linguaggio, per tentare di comunicarla. Non ha nulla a che vedere con le visioni , anche se possono apparire visioni prima del completo "rapimento" o immersione nell'assorbimento meditativo estatico, in quanto lo stato estatico comporta la cessazione di nome e forma. Non è appannaggio di un particolare credo religioso in quanto trasversale alle varie forme di spiritualità e conosciuta già in epoca antichissima e poi nella civiltà greca.
Si potrebbe forse definirla come uno stato della mente senza forma (o immateriale). Uno stato che designa in modo particolare quello stato meditativo che più radicalmente si distingue dalla coscienza "ordinaria" per il profondo distacco introverso dagli stimoli esterni.
Ci si chiede a cosa serve "per il mondo" l'estasi : a nulla, non serve assolutamente a nulla! Proprio perchè non serve a nulla è estremamente rara e preziosa. L'estasi è la cosa più inutile di tutte per il mondo e tuttavia è lo stato naturale della mente, quando non si perde nel mondo di nome-forma, ossia quando non "esce" da se stessa per aggrapparsi , attraverso la coscienza ( vinnana) , agli oggetti dei sensi.
Psichicamente è caratterizzata dall'arresto di ogni attività dell'emisfero cerebrale sinistro (ossia  noto come quello della razionalità discorsiva) permettendo all'emisfero destro di attivarsi nella sua modalità emotiva ( passiva).Questa però è solo la manifestazione fisiologica e non l'esperienza in sé ( Sgiombo docet). E' uno stato indotto dall'enorme capacità di concentrazione mentale su di un unico punto focale ( nello yoga e nel buddhismo è generalmente la concentrazione sul respiro). Questo permette il "riassorbimento" della coscienza in se stessa ( non saprei come definirlo in modo più esatto...), un passare dall'esperienza della molteplicità ( delle sensazioni, dei pensieri, ecc.) all'Uno privo di distinzioni ( di nome e di forma) . Generalmente è accompagnata da sentimenti di beatitudine, di commozione, di "rapimento"( sono solo termini convenzionali del linguaggio, intendiamoci bene su questo punto, l'esperienza è altra cosa dalla designazione e dai paragoni fatti tramite il linguaggio...) e dalla soppressione di qualunque sensazione corporea. Non è raro anche l'arresto del respiro e dell'attività cardiaca ( anche se probabilmente c'è una ridottissima attività respiratoria, innavvertibile e in parte demandata alla traspirazione). In pratica il corpo è "quasi morto" ( se appare all'improvviso bisogna sostenere la persona, che può cadere facendosi molto male...) mentre la mente "esplode" cogliendo il presente ( la presenza mentale) e non più dividendosi in passato-futuro.
La totale alterità tra questa esperienza e lo stato di coscienza "ordinario" induce moltissimi a ritenerla  come la fusione con il Dio adorato, o la manifestazione di questi, o uno stato di fusione in questi. La cosa è perfettamente comprensibile. Si potrebbe definirla come una Dimora Divina della mente. Dimora , purtroppo, non abitabile a lungo ma visitabile  con sempre maggior frequenza quando ci si impadronisce della capacità di suscitarla. Si dovrebbe però, ottenuto questo stato della mente, utilizzare la sua purezza  tagliente come una lama affilatissima per l'osservazione del carattere impermanente di ogni cosa, compreso lo stato d'estasi stesso ( osservare la mente con la mente...)
Mi sembra di ricordare un aneddoto raccontato dal grande maestro di meditazione buddhista birmano Mahasi Sayadaw. Gli capitò diverse volte che alcuni monaci corressero da lui dicendogli che il tal monaco o il tal altro , immersi nell'estasi del samadhi, si stavano staccando da terra ( levitazione). Al che Sayadaw , ridendo, replicava: "Prendeteli per i piedi e tirateli giù!"
Ma , nell'induismo per esempio, troviamo ben altra considerazione:
Vi è uno stato nel quale il molteplice sparisce e nemmeno l'Uno esiste, poiché l'unità presuppone la dualità. Che cosa si prova durante il samadhi (estasi in questo contesto) ? La stessa gioia che prova il pesce ancor vivo gettato di nuovo nell'acqua, dopo esserne stato tratto per qualche tempo. E' un luogo pieno di mistero quello in cui non esistono più né l'istruttore nè il discepolo. E' quello stato misterioso di unità...
(Sri Ramakrishna-Alla ricerca di Dio)
#1440
Tematiche Spirituali / Re:ESTASI
08 Gennaio 2017, 14:15:26 PM
In questi giorni non sto molto bene e quindi mi risulta faticoso sviluppare questo tema affascinante e importantissimo per quella che viene definita come "spiritualità". L'estasi ha significati molto diversi nelle varie tradizioni religiose. In ambito cattolico , ma anche cristiano in genere, è spesso caratterizzata dal fenomeno delle "visioni" ( principalmente mariane o di santi...).
Riporto un mio vecchio scritto sul tema, datato qualche anno fa, che tenta di riflettere sul fenomeno estasi da un'altra angolatura:


E' vero, le parole beatitudine, estasi, illuminazione, non andrebbero usate con leggerezza perché facilmente interpretabili e piegabili ai fini che la mente si prefigge.
Tuttavia non è neppure giusto ignorare qualcosa che avviene, esiste nell'esperienza del vivere.
Si deve solo usare estrema prudenza, come ho scritto sopra, e non saltare subito alle conclusioni non appena qualcosa di inaspettato si rivela al nostro essere.
Infatti viene insegnato ad osservare questi stati come osserviamo gli altri processi mentali, che nascono, si rendono palesi alla coscienza e poi svaniscono.
Lasciando da parte l'Illuminazione, che Non è uno stato estatico, dovremmo solo valutarli alla luce dei tre sigilli che ogni cosa porta con sé.
E cioè: 1. Sono impermanenti e transitori? Sì, lo sono.
2. Sono dolorosi? Non lo sono, anche se portano il sottile desiderio di poterli rivivere e ripetere (nostalgia).
3. Sono privi di un sé? Si, lo sono.
Quindi direi due sigilli sicuri e un terzo incerto ( non sono affatto sicuro che si riesca a non desiderare di ripeterli finendo per attaccarsi a queste sensazioni).
Uso volutamente un tono asettico per evitare che l'enfasi eccessiva per questi termini faccia sorgere quel tipo di misticismo esangue e malato, causa del proliferare in ogni dove di déi, apparizioni, messaggi, avatar e chi più ne ha più ne metta...
Alla luce di cui sopra appaiono, per me, come fenomeni mentali limite. Fuoriescono dal raggio d'azione dell'Io e del pensiero. Oltrepassano il confine della dualità. Rivelano la natura altra del reale.
Ma non c'è ancora liberazione e non c'è Nibbana. Sono un passo verso la cima del monte che stiamo scalando.
Nell'Insegnamento vengono analizzati, direi quasi vivisezionati, con fredda precisione.
Erano ben conosciuti. Più volte il Buddha esorta i monaci a non attaccarsi pericolosamente a questi stati. Ad osservarli semplicemente nel loro nascere e morire. A gustare con semplicità il frutto della pace che portano, senza desiderare il ripeterli.
Proprio perché la purezza che c'è in loro, seppur soggetti come ogni cosa al sorgere e svanire, non venga contaminata dal desiderio del nostro costruttore di sofferenza.
Sperando di esserti stato un pò d'aiuto...
Un caro saluto.
 Sari