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Messaggi - Phil

#1441
Tematiche Filosofiche / Re:L'origine del male e del bene
18 Settembre 2019, 23:01:09 PM
Citazione di: green demetr il 18 Settembre 2019, 18:19:13 PM
Non capirò mai a cosa serva tutto questa necessità di verità.
Condivido, allargando l'incomprensione anche al concetto di «bene», che infatti proponevo di congedare (post n. 47 e seguenti) in favore di altre ("faticose" e potenzialmente fallimentari) categorie; meno vaghe, meno strumentalizzabili e più "analitiche".

Citazione di: green demetr il 18 Settembre 2019, 18:19:13 PM
Per questo sostengo che sia il referente anzitutto da decidere sulla questione del bene e del male.
Fondamentale, ancora prima, è secondo me capire se si tratta di «decidere» (che implica già un significato/paradigma) oppure di «trovare» (che implica ontologia, parusia/trascendenza).
Concordo dunque sul fatto che:
Citazione di: green demetr il 18 Settembre 2019, 18:19:13 PM
Il referente, ossia l'oggetto (reale o immaginario che sia, perchè questo è una operazione successiva della filosofia) che costituisce la base per un discorso [...] è la base di una prima fase di critica.
Sarebbe per me interessante iniziare a vedere la questione del referente non come una fase di critica, quindi a posteriori, bensì di fondazione, quindi a priori (per quanto la deduzione metafisica abbia sensibilmente calcificato la forma mentis di noi continentali).

Citazione di: green demetr il 18 Settembre 2019, 18:19:13 PM
A me Phil pare che ben poni la questione del referente dell'oggetto principale da cui inizia l'indagine filosofica, ma poi blocchi la stessa indagine filosofica, sui concetti tautologici, ossia blocchi l'analisi a livello linguistico, definendo il simbolo stesso come indecidibile, quindi non solo bene e male, ma anche ethos.
Il simbolo di per sé non è indecidibile, è piuttosto il rapporto con il suo sedicente (sé-dicente) referente ad esserlo, essendo già predeterminato dal suo stesso dire (pensiamo mai ad un simbolo senza referente, o meglio, senza significato? Certo, potremmo farlo, volendo; tuttavia, seriamente, lo facciamo?). Il bene è indecidibile nel senso che nel porlo già lo definisco, più o meno esplicitamente, fondandolo sul suo discorso stesso. Lo hanno detto/posto gli antichi, lo diciamo/poniamo noi, ognuno nel suo contesto e con il suo linguaggio. Giro di giostra che ha come perno l'interpretazione esistenziale del reale; l'interpretazione fisica, scientifica, ha come "freno di emergenza" una certa falsificabilità che scongiura il decollo indiscriminato (con rischio di sconfinare nel cielo dell'estetica), freno a cui non hanno potuto far ricorso (per fortuna?) né Nietzsche, né Heidegger, né i decostruzionisti, né tanti altri, con le conseguenze letterarie che sappiamo (Rorty docet). Probabilmente Wittgenstein e altri (in ambito linguistico) sono riusciti a controllarsi meglio, senza perdere l'aderenza con il reale, disincantandolo dalla metafisica del senso che non sa di essere autoreferenziale (in questo l'etica è solo un'estetica che si prende sul serio, confondendo la serietà delle sue conseguenze con la serietà dei suoi fondamenti).


P.s.
Citazione di: green demetr il 18 Settembre 2019, 18:19:13 PM
Per questo forse ti interessava l'idea di ethos, come se questa potesse dire del referente qualcosa che superasse la tautologia.
Era la tesi che intravvedevo in Ipazia e, considerato il potenziale dell'effetto domino che ne sarebbe derivato, non potevo non cercare chiarimenti.
#1442
Tematiche Filosofiche / Re:L'origine del male e del bene
18 Settembre 2019, 22:21:35 PM
Citazione di: Lou il 18 Settembre 2019, 18:58:09 PM
Citazione di: viator il 18 Settembre 2019, 12:18:31 PM
Salve Lou. Ricitandoti : "Non secondo me, ma secondo i fatti. L'autoconservazione e la sopravvivenza e i soddisfacimenti dei bisogni fisiologici per alcuni non sono la base e i valori primari. Ciò che vale è altro.".
A quanto sembra (lo si era già capito) tu ne fai una questione di valori, perciò completamente soggettiva.
Ma Maslow non si occupava di valori, bensì delle connessioni causa-effetto tra bisogni, necessità e facoltà. Il percorso tra i livelli della sua piramide è del tutto neutro ed oggettivo, privo di ammiccamenti etici e valoriali. Ma la sensibilità femminile è restia a riconoscere la razionalità allo stato puro. Saluti.
No, è che se a livello oggettivo e razionale non si è in grado di riconoscere che a seconda di contesti socio/economico/culturali la scala dei bisogni non è questa, la scala non presenta quella oggettività e neutrità di cui parli. Non perchè Maslow non abbia sensibilità femminile ( che argomento! ), semplicemente propone una scala causa/effetto tra bisogni opinabile. I valori certo non sono neutri e perciò sono in grado di scardinare quel disegnino così lineare e rivisitare la scala, poco oggettiva, se non ne tiene conto.
Parlando del triangolo della piramide di Maslow (quindi non del suo uso metaforico in campo etico o altro), mi pare di notare che non ci sia rapporto causale (né di fondamento logico) fra i vari piani, dal basso verso l'alto: chi ha salute malmessa (supponiamo abbia problemi con elementi del primo livello dal basso: respirazione, sonno, sessualità o fosse persino in chemio) può comunque essere/sentirsi realizzato secondo i criteri della cima della piramide (moralità, accettazione, assenza di pregiudizi, etc.). Parimenti, un disoccupato (secondo livello dal basso), può giovarsi della realizzazione di amicizie e intimità sessuale (terzo livello), così come chi avesse un terzo livello disastroso (senza amici, famiglia e partner) può comunque avere buona autorealizzazione secondo la cima della piramide (moralità, creatività, spontaneità, etc.).
Non credo si tratti solo di eccezioni che confermano la regola, è piuttosto una questione fisio-logica: sono dimensioni differenti, comunicanti, ma non con un rapporto causale e tanto meno con vincoli di necessità (l'unica necessità che dà senso alla piramide è di riferirla ai vivi, ma non di essere in salute, come dimostra la vita di molti che lottano contro malattie più o meno gravi). 

Lo stesso Maslow afferma che la gerarchia è basata sul fatto che una persona, se costretta a scegliere, cercherà di soddisfare prima i bisogni più in basso (nella piramide), fermo restando che i martiri sceglieranno differentemente (pp. 52-53 del testo citato nel p.s.) ed ammette che c'è, nel soggetto, una compenetrazione verticale fra i piani, sbilanciandosi in una stima:
«In realtà, la maggior parte dei membri della nostra società che sono nella norma, sono al contempo parzialmente soddisfatti e insoddisfatti in tutti i loro bisogni di base. Una descrizione più realistica della gerarchia [la nostra piramide n.d.t.] sarebbe in termini di decrescente percentuale di soddisfazione man mano che saliamo nella gerarchia della predominanza. Ad esempio, se dovessi assegnare valori arbitrari per amor di illustrazione, è come se il cittadino medio fosse soddisfatto forse all'85% nei suoi bisogni fisiologici, al 70% nei bisogni di sicurezza, al 50% nei bisogni d'affetto [o appartenenza, n.d.t.], al 40% nei bisogni dell'autostima e al 10% nei bisogni di auto-realizzazione» (p. 54; traduzione mia).

Tuttavia non credo sia questo il (solo) motivo per cui abbiamo un triangolo una piramide e non un quadrato cubo. Secondo me, probabilmente, il ristringersi in verticale può indicare anche un diminuire di quantità dei soggetti umani che desiderano tali traguardi: in basso ci sono i bisogni comuni cercati da tutti in quanto esseri viventi (physis), in alto quelli meno necessari e meno condivisi universalmente: quanti percepiscono la creatività, l'assenza di pregiudizi e l'accettazione come bisogni necessari all'«autorealizzazione»? Non giurerei siano tutti quelli che ambiscono ad una buona salute.
L'autorealizzazione, a scanso di equivoci (@Ipazia), Maslow stesso l'ha messa in cima alla suddetta piramide (come da tua immagine linkata) intendendola riferita al singolo, essendo i suoi studi in merito focalizzati sulla motivazione, sulle pulsioni, sul comportamento, etc. non sull'etica. Da notare (di passaggio ma non troppo) che la ricerca della gratificazione dei bisogni più alti conduce per Maslow ad un individualismo più forte e radicato, nonostante ciò non escluda l'amore per il genere umano (p. 100).


P.s.
Per chi mastica l'inglese, ecco il link con il testo integrale:
http://s-f-walker.org.uk/pubsebooks/pdfs/Motivation_and_Personality-Maslow.pdf
#1443
Tematiche Filosofiche / Re:L'origine del male e del bene
18 Settembre 2019, 11:32:39 AM
[I fili del discorso mi arrivano piuttosto sfilacciati; semmai foste così curiosi da aver domande/osservazioni per me, citatemi esplicitamente, altrimenti, nella tombola ad estrazione di concetti e riferimenti, finirei per fare confusione. In questo green dà il buon esempio: ]
Citazione di: green demetr il 18 Settembre 2019, 01:40:28 AM
phyl non capisce, che il segno NON E' la physis.
Eppure giurerei d'aver insistito persino troppo sul referente (=physis) che non è né il significato (interpretato) né è il segno (medium di strutturazione dei paradigmi di significato; v. riferimento alla scrittura).
Oppure ho frainteso il ruolo di quella virgola?

P.s.
Simpatico il lapsus calami che sintetizza «Phil» e «physis» in «phyl».
#1444
Tematiche Filosofiche / Re:L'origine del male e del bene
17 Settembre 2019, 17:19:31 PM
Citazione di: Ipazia il 17 Settembre 2019, 15:16:37 PM
Citazione di: Phil il 17 Settembre 2019, 11:37:45 AM
Il buon Maslow ha tratteggiato una piramide per l'individuo, seppur in società, e in tale piramide «Fisiologia» è salute... comunque, essendo qui il tema l'etica, possiamo davvero usare la piramide, non dico come tavola di valori, ma come spunto etico nel rapporto con l'altro?
Mi concederai che, parafrasandoti, "la realizzazione della piramide possiamo assimilarla al concetto di bene" solo nella dimensione individuale.
Per nulla. La piramide dei bisogni riporta l'individuo dall'astrazione ideologica al suo ethos umano comune in cui solo egli ha senso metafisico e possibilità di sopravvivenza fisica. I bisogni hanno una caratteristica comune, sovraindividuale, e ce l'hanno quanto più ci si avvicina alla base della piramide che quindi può rendere conto delle sue pretese di universalità fondativa dell'ethos umano.
Per «dimensione individuale» intendo che la piramide si riferisce a ciascun individuo, nella sua singolarità: l'ultimo uomo sulla terra potrebbe fare i conti con la sua piramide, rilevare le carenze, etc. l'uso della piramide è una chiave di lettura individuale, pur contemplando fra gli items altri esseri umani. Non è un caso che in cima ci sia l'autorealizzazione, concetto che ha come referente ciascuna individualità (se non sbaglio).

Inoltre, non so se la piramide dei bisogni possa esimersi dal considerare la differenza fra physis ed etica: le esigenze della salute e della vita organica (sopravvivenza) sono ben differenti da quelle del benessere individuale in società (che non significa della società, che è ciò che affluisce all'etica). Notoriamente, le prime si basano su bisogni primari fisiologici, le seconde sono psicologiche, culturali, etc.
Detto in soldoni: l'universalità del bisogno di cibo (per restare vivi) non fonda, non dà seguito filosofico (non parlo di storia), ad una ipotetica universalità (che non rilevo) dei valori sociali, dell'autostima (che infatti ha dinamiche strettamente individuali), della moralità (figlia di tradizioni ed esperienze contingenti), etc.
L'universalità della base (bisogni primari) non arriva sino agli ultimi piani, altrimenti non avremmo la pluralità delle culture oppure potremmo falsificarle facendo comodamente appello alla natura (come da omonima fallacia).

Citazione di: Ipazia il 17 Settembre 2019, 15:16:37 PM
È vero che "più si sale verso la vetta, più la questione si fa interpretativa, soggettiva, filosofica e meno fisica" e gli Holzenwege si moltiplicano. Ma quello che a me preme teor-eticamente é ció che sta alla base per 1) la sua universalità e 2) per il suo incontrovertibile sequitur con la natura, a priori di ogni speculazione logica.
Il sequitur logico fondato sulla physis (se ho questa etica, allora esisto) credo non vada confuso con la sua versione rovesciata (se esisto, allora ho questa etica); distinzione ribadita dall'impossibilità di falsificare le etiche (al plurale), mentre l'ipotesi di un morto che abbia una sua etica è per ora piuttosto falsificata (in attesa della resurrezione e/o degli zombies).

Citazione di: Ipazia il 17 Settembre 2019, 15:16:37 PM
Sono queste due caratteristiche a rendere possibile un approccio razionale sintetico alla questione et(o-log)ica umana. Traducendo la piramide dai bisogni in (meta-)etica, ridurrei il tutto a tre stadi del bene in sequitur:

1) fisico (alimentazione, salute, attesa di vita)
2) sociale (lavoro, istruzione, diritti politici e civili)
3) estetico-culturale-ludico.
Secondo me questi tre "beni" (a loro volta non in sequitur fra loro), non ci parlano di etica, essendo strettamente individuali (nel senso spiegato all'inizio). Allora mi/ti chiedo: la piramide cosa ci dimostra spiega dell'etica? Che il singolo ha il bisogno individuale di sentirsi nel giusto (moralità)? Concordo appieno, tuttavia abbi pazienza, ma non vedo ancora né sequitur (fondazionali) fra physis ed etica, né «epistemologia dell'ethos» (cit.).

Citazione di: Ipazia il 17 Settembre 2019, 15:16:37 PM
Infatti a questo serve la ricerca dei fondativi etologici umani
Ben venga tale ricerca, soprattutto se poi fornisce dimostrazioni; intanto, concedimi la battutaccia: ti leggo, ti rispondo, ma ancora non ti sequitur...
#1445
Tematiche Filosofiche / Re:La scrittura
17 Settembre 2019, 12:52:29 PM
La scrittura mi sembra stia attraversando oggi una fase di "saturazione": probabilmente non c'è mai stato un tasso globale così alto di alfabetizzazione (e non credo il trend sia in calo), non è mai stato così facile scrivere ovunque ci si trovi (anche se non si usa tanto di più la penna, ma sempre più la tastiera, in tutte le sue forme) e non è mai stato così impermanente gran parte di ciò che scriviamo (gli antichi scrivevano su pietre che hanno sfidato e vinto i secoli, noi perlopiù su delicati fogli o supporti digitali, tanto capienti quanto fragili e facilmente cancellabili... i floppy disk sono già preistoria, i rispettivi lettori iniziano a scarseggiare e la smagnetizzazione incombe, oltre all'esser scritti in linguaggi informatici che, fra un secolo, richiederanno una provvidenziale stele di Rosetta, proprio come i geroglifici egizi).

Guardando al futuro, soprattutto per le nuove generazioni, la possibilità sempre più agevole di messaggi vocali, inizia a far riflettere sull'uso della scrittura e sui suoi limiti, almeno nel suo uso comunicativo familiare: la voce tutela il paraverbale, comunica meglio, ha una tonalità più personale e consente all'ascoltatore di fare altro in multi-tasking (gli audio libri sono ormai una realtà e i podcast da scaricare sono un fenomeno di cui sentiremo sempre più parlare). Anche il crescente ruolo della grafica (regno del simbolo più che del segno) sta gradualmente rubando spazio alla scrittura: a scuola, "una volta", si riempivano pagine di appunti (scrittura), oggi si fanno mappe concettuali (meno parole, più strutturazione logica) e file multimediali spiegano in un minuto pagine e pagine di testo. Anche in campo ricreativo, quelle che una volta erano barzellette, ora stanno diventando "meme", in cui poche parole innescano un significato incrociandosi con una necessaria immagine nota.
Non fraintendetemi, per adesso e per le generazioni demograficamente più diffuse, il ruolo chiave della scrittura come colonna portante della società occidentale (in Africa e altrove, non saprei) è ampiamente fuori discussione, tuttavia un'oralità supportata da potenti mezzi tecnologici potrebbe un giorno (per amor di profezia) rendere la scrittura un'arte praticata soprattutto da programmatori, intrattenitori e archivisti.

Tornando al presente, la trama omnipervasiva (grazie alla tecnologia) della scrittura, mi pare stia facendo in generale "collassare" le capacità elaborative del soggetto che, sovrastimolato da una infosfera sempre più "aggressiva" e ubiqua, tende a non leggere testi o articoli (o post) lunghi, preferendo leggerne tanti corti (twitter docet) e magari in tempi diversi (è sintomatico che il problema attuale non sia, come "una volta", reperire informazioni, ma piuttosto, nella loro selvaggia sovrabbondanza, filtrarle, selezionarle, verificarle).

Ad occhio direi che si scrive molto più che in passato: al di fuori delle attività lavorative, credo che sempre più persone (nel mondo occidentale) scrivano quotidianamente qualche messaggio, qualche mail, etc. mentre pochi decenni fa, ad eccezione della scrittura obbligata per lavoro, si scrivevano periodicamente solo la lista della spesa, cartoline dalle vacanze e biglietti sui regali (quantitativamente meno, scommetto). Si scrive di più e per più persone (a causa dei social) senza prendersene talvolta l'adeguata responsabilità (v. fake news, hate speech, etc.) 
Una prima vittima della tecnica di scrittura attuale è la grafia: la scrittura è sempre meno a mano (la grafia amanuense nella vita adulta, si è ormai quasi estinta, ridotta a firme e poco altro), con la conseguenza che il tratto individuale, quello caro alla grafologia, è stato scalzato dall'impersonalità del carattere da tastiera (per cui più che l'analisi grafologica, inizia ad essere rilevante l'analisi stilometrica). 
Ironicamente, anche le antiche incisioni su pietra non lasciavano traccia dell'identità dell'autore tramite una sua orto/calli/grafia; dopo la parentesi umanistica della scrittura a mano, stiamo tornando alla scrittura impersonale-strumentale "firmata" solo dal medium: dallo scalpello alla tastiera.
#1446
Tematiche Filosofiche / Re:L'origine del male e del bene
17 Settembre 2019, 11:37:45 AM
Citazione di: Ipazia il 17 Settembre 2019, 09:49:06 AM
Quello che vorrei dire a Phil et altri é che l'etologia umana si regge sulla formula:

ethos = physis + logos.
Difficile non concordare, almeno se anche la cultura e l'influsso sociale rientrano nel «logos»; ancor più difficile (almeno per me) non considerare quanto quel "+ logos" tagli i ponti (di sequitur, di fondazione, etc.) con ogni altro ethos animale, essendo sommariamente "+ logos = - istinto" (con a margine la divergenza per cui il logos umano, di cui la technè fa parte, è in crescita esponenziale mentre quello degli animali in genere, non dico sia = 0, per non deviare il discorso, ma, sorvolando sul suddetto tema della scrittura, appare comunque piuttosto statico).

Citazione di: Ipazia il 17 Settembre 2019, 09:49:06 AM
Logos é un'emergenza trascendentale rispetto a physis, con una sua relativa autonomia creativa e gestionale, ma il referente di ultima istanza rimane physis, perché   meta-fisicamente ancora prima che meta-eticamente l'essere (umano) per essere deve innanzitutto essere (vivo) e conservarsi tale. Nel miglior modo possibile: etica (ethos-techne).
Concordo, il referente è la physis; tuttavia parlando poi («poi» che non mi pare fondazionale) di «miglior mondo possibile», siamo già nei cieli del significato, con tutta l'interpretazione e gli annessi paradigmi (al plurale) che ciò comporta.

Citazione di: Ipazia il 17 Settembre 2019, 09:49:06 AM
Il "miglior modo possibile" é graficamente descritto dalla piramide di Maslow la cui realizzazione possiamo assimilare al concetto di bene. E col segno meno davanti di male.

Non è un caso se alla base della piramide ci sta physis.
Il buon Maslow ha tratteggiato una piramide per l'individuo, seppur in società, e in tale piramide «Fisiologia» è salute... comunque, essendo qui il tema l'etica, possiamo davvero usare la piramide, non dico come tavola di valori, ma come spunto etico nel rapporto con l'altro? Mi concederai che, parafrasandoti, "la realizzazione della piramide possiamo assimilarla al concetto di bene" solo nella dimensione individuale.
Quello piramidale è forse il "miglior mondo possibile" per l'individuo, il problema etico nasce quando la mia piramide (la mia isola?) si scontra con quella di un altro.
Al penultimo piano della piramide leggo «rispetto reciproco», all'ultimo «moralità»: in cosa essi consistano e su cosa si fondino (certo, materialmente sulla salute, ma filosoficamente?) è la questione etica par excellence, questione di cui uno psicologo può anche scegliere di non occuparsi, essendo per lui off topic (ma per noi, qui, no).

Citazione di: Ipazia il 17 Settembre 2019, 09:49:06 AM
Phil affermerà che sono possibili anche altri disegni et(olog)ici.
Il problema del disegno, di ogni disegno di quel tipo, è il referente esterno dei termini coinvolti, il riempimento concreto di quei significati; più si sale verso la vetta, più la questione si fa interpretativa, soggettiva, filosofica e meno fisica (fermo restando che non è una piramide funebre, per il mondo dei morti).
Che ciascuna piramide abbia in cima «moralità», non è in sé un problema; la questione etica nasce quando due piramidi danno a tale espressione significati antagonisti... e allora o si ricorre ad una meta-etica (se esiste) risolutiva del conflitto, oppure anche nel "miglior mondo possibile" il conflitto fa la sua parte, nell'impopolare veste di "male tuo, bene mio" (sospendendo ogni etica basata sul valore della vita altrui, etc.).
#1447
Tematiche Filosofiche / Re:L'origine del male e del bene
16 Settembre 2019, 21:54:41 PM
Citazione di: Lou il 16 Settembre 2019, 20:54:17 PM
Da quale prospettiva discorsiva diciamo che pure gli altri animali sono discorsivi? [...] che ogni vivente non posssa esimersi dal comunicare è pacifico, ma che che ogni comunicazione sia un "discorrere" questo è da assodare, non penso siano sinonimi. Con lieve imbarazzo posso chiedere da quale prospettiva animale ci si "chiede" ciò?
Li intendevo come sinonimi (forse con troppa leggerezza?), interpretandoli inevitabilmente secondo la prospettiva umana.

Citazione di: Lou il 16 Settembre 2019, 20:54:17 PM
la scrittura è un carattere che ci rende stra-ordinari rispetto ai viventi. Quale scrittura? pure il cinghiale lascia un segno, un odore, una impronta, sul terreno e chissà che il cane non  "legga" quell'odore e che il cacciatore non "legga" quell'impronta. Tuttavia la scrittura è un linguaggio segnico sui generis: pienamente d'accordo.
Osservazione che ci porta ad un tema talvolta sottovalutato riguardo la scrittura: la conservazione del segno. La tecnica che incide il segno non garantisce di per sé l'accesso alla dimensione "storica" (sempre umanamente parlando) se tale segno non viene poi preso in carico da una tecnica di custodia, che lo rende segno fruibile per i "momentaneamente assenti". Talvolta tale tecnica è immanente al segno (tavoletta di marmo che può attraversare i secoli), talvolta è una tecnica accessoria (biblioteche, copiatura, etc.).
Giustamente osservi che alcuni animali segnano fisicamente il territorio, pur con segni non ancora linguistici (essendo fra l'altro privi di dimensione fonetica): più che un linguaggio, o meglio, più che una lingua, si tratta di una rudimentale comunicazione a distanza, che è nondimeno l'"essenza" della comunicazione scritta: il messaggio scritto parla in assenza (della voce) del parlante. Certo, oggi ci si può anche messaggiare con la scrittura stando faccia a faccia, ma non direi che ciò rappresenta la vera forza della comunicazione scritta, quanto piuttosto un suo "impiego di ripiego" (a discapito della comunicazione orale, resa magari impraticabile o non preferibile per contingenze contestuali).
Qui si potrebbe dunque innestare il tema della memoria che la scrittura rende possibile, fil rouge che lega il papiro a Gutenberg agli hard disk, tuttavia l'off topic incombe...
#1448
Tematiche Filosofiche / Re:L'origine del male e del bene
16 Settembre 2019, 19:42:42 PM
Citazione di: Lou il 16 Settembre 2019, 18:08:53 PM
Non c'è sequitur tra l'ethos animale e l'ethos umano, c'è un salto ( evoluzionistico?) che rende l'ethos umano stra-ordinario rispetto all'ethos animale. Questo è il punto? Per fondare l'etica sull'ethos occorrerebbe essere in  una prospettiva entro cui la discorsività non ha alcun peso, quando è proprio il fatto di discorrere l' elemento senza il quale non c'è etica. La discorsività è un ingrediente essenziale, per una etica.
Concordo sul salto, tuttavia propongo una postilla: anche gli animali, a loro modo, comunicano e discorrono (in questo mi ritrovo a fare le veci di Ipazia); la differenza più tranciante fra noi e loro, secondo me, l'ha segnata piuttosto l'avvento della scrittura: con essa l'uomo ha lasciato la preistoria e ha innescato la (sua) storia, ponendo le condizioni per evolvere l'ethos animale in etica (o meglio, etiche).


P.s.
@viator
La definizione di «razionalità» (che per comodità avevo linkato nel mio post) tratta dalla Treccani online è:
«razionalità s. f. [dal lat. tardo rationalĭtas -atis]. – La qualità di ciò che è razionale. In partic.: 1. Facoltà propria degli esseri dotati di ragione: la r. è l'essenza dell'uomo. 2. Fondamento, metodo, criterio razionale: r. di un giudizio, di una cura, di una ricerca scientifica; r. di un arredamento.»
Usando la sua ragione e i suoi criteri, analizzando la sua situazione, l'aspirante suicida perviene, in generale, alla conclusione ("razionalizzata", calcolata) che il suicidio sia la soluzione.
Mi sembra che anche usando la tua definizione, egli si comporti comunque razionalmente poiché valuta e prevede le conseguenze della sua scelta in modo «logico e speculativo», optando in conclusione per il gesto finale.
#1449
Tematiche Filosofiche / Re:L'origine del male e del bene
16 Settembre 2019, 14:15:35 PM
Citazione di: viator il 16 Settembre 2019, 13:04:09 PMRazionale qui risulta la scelta e l'utilizzo degli strumenti, non la decisione di raggiugere lo scopo.
La scelta del suicidio in generale (senza poter qui distinguere caso per caso) mi pare razionale perché si basa su un motivo: l'uomo, in genere, non si uccide per istinto, ma perché ha una ragione (in entrambi i sensi) per farlo; se non sbaglio, il movente è solitamente frutto di un ragionamento razionale (almeno viene letto come tale da chi ne trae quella conclusione). 
L'esempio più classico è che, fatto un bilancio della propria situazione esistenziale, economica o altro, si decide di farla finita; la razionalità di tale scelta è spesso quella che si trova scritta nel messaggio di addio. Chiaramente può non essere condivisibile, ma è una razionalità comunque umana, quindi necessariamente interpretativa, non asetticamente matematica.
#1450
Tematiche Filosofiche / Re:L'origine del male e del bene
16 Settembre 2019, 10:52:40 AM
Citazione di: green demetr il 16 Settembre 2019, 01:16:24 AM
Temo di aver perso il filo delle vostre elucubrazioni mentali.
Ammetto che non sei l'unico: Ipazia mi ha ormai "seminato" nel dedalo degli Holzwege.

Citazione di: green demetr il 16 Settembre 2019, 01:16:24 AM
Non capisco più che altro i tuoi rilanci Phil.

Sono d'accordo che posare una etica senza aver prima fatto i conti con il suo linguaggio, sia un rischio notevole, e senza fondamento.

Ma perchè a questo punto rilanciare la cosa con l'ethos?
Non rilancio con l'ethos, che per me è ben distinto dall'etica, ma su l'ethos: rilanciavo l'interesse per la prospettiva di Ipazia in cui, se non l'ho fraintesa, l'ethos è fondante l'etica, addirittura coinvolgendo una certa epistemologia.

Citazione di: green demetr il 16 Settembre 2019, 01:16:24 AM
Certo posso ragionare sulla prassi come evento linguistico, ma questo evento linguistico è precedente o succedente l'evento in sè, quello fenomenologico (lasciamo stare la questione naturale).

Di fatto la filosofia continua a girare a vuoto ogni volta che vuole pensare l'evento come evento linguistico, quell'evento linguistico che viene prima dell'evento che descrive, e che comporta un altro evento linguistico.
Proprio per questo insistevo (ai limiti del pudore) sulla differenza fra referente e significato, fra evento ed etica, fra "moneta" e "caffè", etc.

Citazione di: green demetr il 16 Settembre 2019, 01:16:24 AM
Ma questo è una petitio principi, senza alcun fondamento!
Certo; ho infatti rimarcato spesso ed esplicitamente il fulcro ricorrente e scomodo del tautologico.

Citazione di: green demetr il 16 Settembre 2019, 01:16:24 AM
Che poi il simbolo sia legato al nanturale è solo una cosa secondaria rispetto alle tue problematiche!
Era invece di primario interesse capire come potesse l'ethos essere fondante per l'etica (sempre se non ho frainteso Ipazia); tuttavia, l'incommensurabilità emersa fra le nostre prospettive (operazione filosoficamente comunque molto utile) mi impedisce di capire esattamente tale fondamento e il discorso che lo indica (nonostante la pazienza del mio interlocutore).



P.s.
Citazione di: viator il 15 Settembre 2019, 18:47:34 PM
Salve Phil. Citando dal tuo intervento nr.93 qui sopra: "suicidio che è quindi scelta razionale (contro-istintiva)".
Mai il suicidio , ripeto, potrà risultare conseguenza di scelta razionale (volevi forse dire "volontaria", cioè cosa ben diversa che tuttavia potrà anche essere contro-istintiva).
Intendevo scelta razionale (riferendomi alla definizione classica) in opposizione a scelta istintiva, ma anche riferendomi a come la razionalità sia coinvolta nel suicidio che, pur con differenti sfumature, va organizzato, ragionato ed eseguito. Senza capacità razionali sarebbe difficile persino capire cosa possa ucciderci, decidere fra le varie possibilità e poi preparare adeguatamente tutto il necessario in modo che funzioni. Fosse anche scegliere di buttarsi dalla finestra o sui binari, bisogna comunque pianificarlo e restare razionali nell'esecuzione del piano, fino all'ultimo gesto necessario (saltare giù o su, premere il grilletto, etc.).

Citazione di: viator il 15 Settembre 2019, 18:47:34 PM
La razionalità evita sempre le soluzioni irreversibili. In ciò risultando perfettamente d'accordo con l'istinto.
Motto a mio avviso un po' discutibile, proprio perché, ad esempio, la scelta di uccidere (se stessi o altri) ha spesso una sua razionalità (vedi sopra).
Per quanto riguarda poi gli altri termini che coinvolgi nel tuo post, come «volontà», «psiche», «mente», «coscienza», etc. sono temi sconfinati (e straripanti di storia) con i quali preferisco non misurarmi in questa sede.
#1451
Tematiche Filosofiche / Re:L'origine del male e del bene
16 Settembre 2019, 00:50:29 AM
Citazione di: Ipazia il 15 Settembre 2019, 23:07:21 PM
Chiamare metafore estetico-narrative fatti tratti dal mondo naturale evidenzia tutta l'ideologica autonomia del linguaggio e nulla più.
Per amor di brevità, non ho esplicitato; mancanza mia; non mi riferivo agli animali dell'antropologo (che non sono metafore, né sono estetici), ma ad Antigone; ora anche a
Citazione di: Ipazia il 15 Settembre 2019, 23:07:21 PM
Giorgio Celli, etologo amante dei gatti, riveló di essere perennemente in dubbio su chi tra lui e i suoi gatti avesse adottato l'animale di specie diversa.
simpatica battuta in risposta ad una domanda che parlava di un supposto "accesso degli animali all'etica umana" e di fondamenti (teor)etici.

Citazione di: Ipazia il 15 Settembre 2019, 23:07:21 PM
Questo non esclude una vita psichica capace di comunicare.
Non la escludo affatto, ma non ne colgo la pertinenza con il discorso; se vuoi cambiare tema (la comunicazione negli animali o altro), non insisto oltre sulla questione del sequitur etico.

Citazione di: Ipazia il 15 Settembre 2019, 23:07:21 PM
CitazioneQuindi in un referendum sulla bioetica o dovendo scegliere il miglior programma politico, mi suggerisci di «lasciar parlare la natura»? .... il sequitur fra uomo e natura di cui parlavamo è quello etico, giusto? Non colgo dunque la pertinenza di terremoti e ascese in vetta.
Certamente, solo la conoscenza accurata della natura può sbufalare certe posizioni ideologiche che raccolgono firme per dei referendum e un'occhiata al cielo da vicino può falsificare superstizioni infondate. Anche l'ethos ha la sua epistemologia che si assevera o falsifica interrogando senza pregiudizi la natura. Tralascio per brevità l'abbondante esemplificazione.
Temo si stiano confondendo di nuovo le informazioni-nozioni con le conseguenti decisioni-valutazioni, glissando sul meccanismo etico interpretativo che le elabora (se stiamo ancora parlando di etica...). Qualche esempio di come l'"epistemologia dell'ethos"(?), «interrogando senza pregiudizi la natura», possa instradarmi verso scelte etiche verificate (oltre a darmi informazioni su cui basare tali scelte, attività ben differente), probabilmente mi gioverebbe a seguirti meglio.

Citazione di: Ipazia il 15 Settembre 2019, 23:07:21 PM
CitazioneNon capisco: paragonare un selvaggio umano a un cane addomesticato depone a favore del sequitur fra la società umana e l'ethos naturale?
Sí, nei suoi meccanismi cognitivi di base.
Il problema (e il tema) non è tuttavia la base: che anche l'uomo sia un animale è ben noto; la questione è l'altezza, la verticalità della ratio con cui l'uomo si allontana dalla base (restando comunque un animale, chiaramente). Il sequitur etico, in quanto tale, non sarebbe infatti da cercare fra l'ethos dell'uomo selvaggio e l'ethos dell'animale allo stato brado (due ethos), quanto piuttosto fra l'etica dell'uomo civilizzato e l'ethos del "mondo animale" (almeno questa era la tua tesi iniziale che mi ha incuriosito: il legame fondante fra ethos ed etica).

Citazione di: Ipazia il 15 Settembre 2019, 23:07:21 PM
CitazioneCercavo una dimostrazione, pur nel contesto letterario; la trasvalutazione storico-narrativa del suo gesto, per quanto allettante, non dimostra alcun sequitur, così come accade per altri testi (la Bibbia, tanto per citarne uno...). Si tratta ancora di distinguere il piano logico-argomentativo da quello storico-narrativo, meta-etica da etica, etc.
Esiste forse qualcosa che piú dei miti possa spiegare al meta-ermenauta il senso più profondo delle sue radici ? Etologia umana al calore bianco.
Come detto, «cercavo una dimostrazione»(autocit.), argomentazioni logiche, poiché sul piano estetico-narrativo non c'è epistemologia che fondi paradigmi falsificabili, ma piuttosto letteratura, tradizione, cultura, etc. possiamo risalire fino agli archetipi transculturali, ma la domanda «perché ci sarebbe sequitur fra etica umana ed ethos animale?» richiede, per me, ben altro fondamento (e se non c'è, nessun problema).
#1452
Tematiche Filosofiche / Re:L'origine del male e del bene
15 Settembre 2019, 18:48:39 PM
@Ipazia
Posso sbagliarmi, come sempre, ma mi pare che si sia passati dal «contrattacco» alla «reattanza»/«psicologia inversa»: obiettare a prescindere dal contesto e in assenza di argomentazioni appoggiarsi a metafore estetico-narrative; faccio quindi un po' fatica a seguire il filo del discorso (almeno la parte che mi interessava), comunque ci provo, cercando di essere sintetico e facendo qualche domanda per avere chiarimenti.

Citazione di: Ipazia il 15 Settembre 2019, 16:18:05 PM
Citazione di: Phil il 15 Settembre 2019, 11:43:11 AM
Ethos è intermedio fra physis e nomos, ma fra ethos animale e nomos umano non c'è forse la suddetta razionalità (ratio)? Tale razionalità non ci separa dall'ethos animale, recidendo il sequitur del cordone ombelicale che ci lega all'istinto del comportamento adattativo di base?

No, [...] Ci differenzia l'aver formalizzato i processi logici e la loro comunicabilità.
Questo a me sembra un "sì" dissimulato, il "sì" che rende la mia domanda una domanda retorica: senza la graduale formalizzazione dei processi logici e senza la loro crescente comunicabilità, la ratio umana di oggi non esisterebbe. Gli altri animali non possono dire (e, per ora, fare) altrettanto, non hanno ancora tagliato il cordone con il gesto della scrittura (questa la lascio qui, così...).

Citazione di: Ipazia il 15 Settembre 2019, 16:18:05 PM
Ma questo non legittima etiche nate sotto un cavolo che nel duro impatto col principio di realtà franano, mostrando tutta l'illusionalità della loro arbitraria autonomia.
Curiosità: ci sono etiche del genere? Intendo incompatibili con il principio di realtà (ormai, in campo etico, non mi stupisce più nulla...).

Citazione di: Ipazia il 15 Settembre 2019, 16:18:05 PM
CitazioneNon ho ancora capito la risposta: considerando quella lista di questioni squisitamente umane e pratiche (politiche, bioetiche, etc.) come si può decidere secondo ragione ma restando ancora in sequitur con la natura (magari sventando ogni opinabilità interpretativa)?

Semplicemente lasciando parlare la natura. Posso costruire nelle golene o col cemento della mafia e popolare di numi legiferanti il monte Olimpo, ma basta un nubifragio, terremoto o ascensione sull'Olimpo per ripristinare il giusto sequitur tra uomo e natura.
Quindi in un referendum sulla bioetica o dovendo scegliere il miglior programma politico, mi suggerisci di «lasciar parlare la natura»? Perdona la futile battuta, ma il passo successivo non sarà mica «ascolta il tuo cuore»? Scherzi a parte, il sequitur fra uomo e natura di cui parlavamo è quello etico, giusto? Non colgo dunque la pertinenza di terremoti e ascese in vetta (intendi «il cielo stellato sopra di me etc.»? Anche lì il sequitur mi pare manchi, perché oggi sappiamo che quell'«in me» non è soave scintilla divina, ma bios pronto a ricevere gli input del mondo esterno).

Citazione di: Ipazia il 15 Settembre 2019, 16:18:05 PM
E' solo questione di comunicazione e conoscenza. Tra un selvaggio umano e un cane abituato ad andare dal veterinario non so chi reagirebbe più "razionalmente" in simile frangente. Probabilmente il cane.
Non capisco: paragonare un selvaggio umano a un cane addomesticato depone a favore del sequitur fra la società umana e l'ethos naturale?

Citazione di: Ipazia il 15 Settembre 2019, 16:18:05 PM
CitazioneBel discorso, ma davvero il fatto che lei lo affermi è dimostrazione di una fondazione sull'ethos? Mi concederai che è un po' poco come collaudo filosofico.
Cosí poco che lei ci ha messo sopra la sua vita ! E quel che più importa: quel conflitto l'ha trasformata in simbolo fondativo di un conflitto etico tra ethos e nomos ancora assolutamente attuale. Fin troppo collaudato, viste le caricaturali recenti attribuzioni.
Cercavo una dimostrazione, pur nel contesto letterario; la trasvalutazione storico-narrativa del suo gesto, per quanto allettante, non dimostra alcun sequitur, così come accade per altri testi (la Bibbia, tanto per citarne uno...). Si tratta ancora di distinguere il piano logico-argomentativo da quello storico-narrativo, meta-etica da etica, etc.

Citazione di: Ipazia il 15 Settembre 2019, 16:18:05 PM
Citazione
Mi pare che la complicazione nel passaggio dall'ethos animale a quello umano sia proprio il sequitur interruptus (dal non sequitur in ivg fino ai metodi di natalità): nel momento in cui edifichiamo etiche e culture a cui gli animali non possono cognitivamente (prima, tecnicamente poi) accedere, non possiamo più dire che c'è continuità con il loro ethos, che ha certo una sua complessità, ma, passaggio cruciale, tale complessità diverge dalla nostra, non la fonda.

Opinabile. Etologi e chi ha pratica di animali domestici la pensano diversamente.
Davvero gli etologi pensano che gli animali possano accedere alla nostra cultura e alla nostra etica (come scritto)? Davvero ritengono «opinabile» che, riguardo gli animali, la loro «complessità diverge dalla nostra, non la fonda»(cit.)?
Lo chiedo perché non ne frequento.

Citazione di: Ipazia il 15 Settembre 2019, 16:39:28 PM
Non intendo rubare la replica a Jacopus, ma esiste anche un'evoluzione et(olog)ica che risolve i conflitti e unifica i valori. Riscrivendo i paradigmi al pari delle rivoluzioni scientifiche.
Per non scomodare sempre l'Oriente, basta uno sguardo al di là del Mediterraneo per osservare che l'"unificazione dei valori" e la "riscrittura dei paradigmi" non riguardano esattamente le culture di tutto il globo e mi pare sia proprio così che nascono i conflitti più seri, oggi, quelli che testano le etiche sul campo, non nei convegni.
Nondimeno ammetto che non sia "grave" essere tendenzialmente selettivi nel parlare di «cultura» e pensare, da bravi discendenti dei romani, che fuori dalla nostra cultura occidentale «hic sunt leones».
#1453
Tematiche Filosofiche / Re:L'origine del male e del bene
15 Settembre 2019, 15:32:51 PM
Citazione di: Jacopus il 15 Settembre 2019, 12:19:34 PM
1. Physis (l'ossitocina ad esempio ci suggerisce che il bieco egoismo alla Hobbes non rientra nei piani della natura).
Da quel poco che ho visto fugacemente su wikipedia (non essendo pratico in materia) l'ossitocina fa parte di una physis particolare, quella che lega mamma e bambino, legame istintivo a cui non credo Hobbes si riferisse con la storia dei lupi, sicuramente non io quando cito «mors tua, vita mea».

Citazione di: Jacopus il 15 Settembre 2019, 12:19:34 PM
2. Condivisione culturale dei valori attraverso un pubblico confronto (ogni epoca e ogni cultura ha la sua etica e solo accettando la possibilità della coesistenza di etiche diverse ma ugualmente dignitose, possiamo accettare lo scambio e l'accettazione degli altri).
La «coesistenza di etiche diverse»(cit.) è una constatazione, l'«ugualmente dignitose»(cit.) presuppone, a mio avviso, un approccio decisamente "debole" al concetto di «bene» della propria etica: se volessi riconoscere pari dignità anche all'etica che sostiene il contrario di ciò che afferma la mia, dovrei riconoscere che la mia mi appare (non «è») migliore soprattutto per contingenze "biografiche" e di storia individuale. Concessione che può causare un infarto al cuore di molte prospettive etiche (che tale infarto sia "bypassabile" con un po' di relativismo culturale, mi sembra ormai noto).
La domanda ora è: dobbiamo riconoscere pari dignità alle altre etiche? Questo "dovere", se viene avvertito (non è per tutti, quindi), su cosa si fonda? Se il «bene» è prodotto biografico-culturale quale può essere la sua dialettica con la biografia-cultura del prossimo che nega ciò che la mia etica afferma?
L'etica dei «teschi sulle divise» la condanniamo eticamente come condanniamo eticamente l'Isis pur sapendo ipotizzando che ai loro occhi compiono "il giusto"?
Questione di gerarchie culturali (oltre che di rapporti di forza politico-economica etc.), per cui finché ognuno resta a casa sua, professiamo agevolmente che ogni etica abbia un suo recinto di legittimità, ma quando io e l'altro ci in(s)contriamo, che sia in casa o fuori casa, e la tolleranza etica diventerebbe medium fondamentale, la legittimità dell'altrui etica si rivela in concreto spesso secondaria rispetto alla gerarchizzazione degli interessi, miei contro altrui (e qui sì che il valore della vita si conferma decisivo: in assenza di mediazione diplomatica, scatta, in generale, prontamente il «mors tua, vita mea»).

Quando due etiche confliggono e non si tratta di un conflitto sui libri, ma sul "campo di battaglia" (sia esso bellico o economico o politico o altro), a quel punto ognuno vedrà probabilmente le sue ragioni valere di più di quelle dell'altro, anche se un attimo prima le definiva «ugualmente dignitose».
La rimozione "etica" del polemos della guerra, in favore di un gaio pensarsi tutti fratelli sotto lo stesso cielo, al di qua dell'innegabile fascino estetico, cozza con le "materiali" necessità storiche di risolvere "dialoghi impossibili" (per quanto tale espressione possa suonare male ad una cultura cresciuta a "brioches" e umanesimo).
Per questo, secondo me, se si ammette davvero pari dignità fra le etiche, ne consegue che bisogna poi ammettere anche, con buona pace della retorica umanistico-universalistica, che alcuni conflitti fra alcune etiche, in assenza di una meta-etica decisiva e "super partes", possono anche risolversi, talvolta inevitabilmente, con la sopraffazione del prossimo (per dirla senza edulcoranti), in contesti in cui la norma etica finisce con il cedere il passo alla legge marziale. A giudicare tale sopraffazione «giusta» o «ingiusta» sarà poi ogni singola etica: i soldati dell'Isis (è un esempio, prendetelo con tutta la banalità del caso) diranno che è ingiusta la nostra società, noi diremo che è ingiusta la loro, etc. e lo stesso vale per conflitti economici o politici.

Sarebbe infatti, secondo me, un errore logico pensare che il relativismo culturale debba necessariamente essere letto come foriero solo di un pacifico girotondo globale; questa è una possibilità (utopia per utopia, è quella che preferirei, ma ciò qui non conta). Tuttavia la sua antitesi, ovvero che ogni conflitto fra etiche divergenti (non essendoci una meta-etica risolutiva...), non possa che essere risolta "con le cattive", è una possibilità che la storia chiama quotidianamente «realtà» e non si può non tenerne conto: si è passati dall'imperialismo dei colpi di cannone a quello dei colpi di stato pilotati a quello dei colpi del mercato globale. Probabilmente è magra consolazione il poter parlare sempre meno di guerre in Europa, sottovalutando che i colpi del mercato possono fare più vittime (se questo è il criterio etico) di quelli di cannone (oltre che più lontano e sicuramente in modo più silenzioso).
Certo, resta lecito prefigurarsi un altro mondo, con altri uomini e altre storie, ma è comunque un'attività onirico-utopica che, magari sbaglio, nei dettagli si basa guarda caso sulla propria etica e/o sulla legge di casa propria (oikos-nomos) eletta a norma universale, come da copione ben noto.

Citazione di: Jacopus il 15 Settembre 2019, 12:19:34 PM
3. Affinché il punto 2 non sia la riedizione del relativismo culturale con legittimazione dei vari teschi come effige sulle divise, occorre che la cultura, in tutte le sue forme [...] sia sempre più tutelata e diffusa.
La cultura o le culture? Quanto più ci si radica (con studi etc.) nella cultura di casa propria, quanto più la si tutela, tanto più si rischia di diventare impermeabili alle culture altrui (v. nazionalismi, etc.), il che rende poi difficile riconoscerle «ugualmente dignitose», salvo muoversi sin dall'inizio nell'orizzonte del relativismo culturale pacifista (nell'altro, quello più "natural-nichilista", nemmeno si pone il problema della differente dignità).
Se intendevi «la cultura» in generale, globale, resta a mio avviso "esegeticamente pericoloso" usare il singolare: quanto più una cultura è identificata come differente dalle altre, quanto più è facile tutelarla (è questo che proponevi, giusto?); quanto più si parla di unica cultura mondiale, tanto più se qualcuna sparisce e non risponde all'appello, non ce ne accorgiamo.


P.s.
Anche in queste osservazioni, come in quelle con Ipazia, non mi interessa tanto cosa è giusto o cosa è sbagliato, se è giusta la pace nel mondo o è giusto sterminare i propri oppositori, se quelli dell'Isis credono davvero di fare il bene, se l'umanesimo sia la "redenzione" della nostra epoca dalle "barbarie" di quelle precedenti, etc.; il mio focus d'interesse è piuttosto capire i meccanismi del dispositivo etico, lasciando in sospeso i giudizi di valore sulle sue applicazioni di volta in volta possibili.
#1454
Tematiche Filosofiche / Re:L'origine del male e del bene
15 Settembre 2019, 11:43:11 AM
Citazione di: Ipazia il 15 Settembre 2019, 08:19:54 AM
L'obiezione di viator mi pare fondata ed evidenzia un punto cruciale del dissenso: ethos é un intermedio tra physis e nomos che Phil riduce totalmente al primo, negandone la complessità.
Ethos è intermedio fra physis e nomos, ma fra ethos animale e nomos umano non c'è forse la suddetta razionalità (ratio)? Tale razionalità non ci separa dall'ethos animale, recidendo il sequitur del cordone ombelicale che ci lega all'istinto del comportamento adattativo di base?
Non ho ancora capito la risposta: considerando quella lista di questioni squisitamente umane e pratiche (politiche, bioetiche, etc.) come si può decidere secondo ragione ma restando ancora in sequitur con la natura (magari sventando ogni opinabilità interpretativa)?

Citazione di: Ipazia il 15 Settembre 2019, 08:19:54 AM
Che si assevera anche in ambito extraumano quando un animale preso nella tagliola recide l'arto intrappolato per guadagnare la libertà  compiendo un gesto psicologico apparentemente in contrasto con una ipostatizzata logica naturale.
Non capisco la «ipostatizzata logica naturale»; riesco solo a connettere la logica alla razionalità e quindi all'umanità, emancipata dall'istinto che ci farebbe sempre correre via quando abbiamo una gamba presa in una trappola, lasciandoci storpi o, meno cruentemente, renderebbe impossibile farsi fare una puntura perché o fuggiremmo o aggrediremmo chi ci provoca dolore.

Citazione di: Ipazia il 15 Settembre 2019, 09:55:44 AM
Citazione di: Phil il 14 Settembre 2019, 23:30:24 PM
Se l'ethos di matrice naturale (quello di cui si è parlato sinora, se non sbaglio) non prevede il suicidio per istinto, suicidio che è quindi scelta razionale (contro-istintiva), per capire meglio, provo con una domanda secca: perché l'etica di Antigone è fondata sull'ethos?

Lo dice lei stessa a Creonte: "Neppure pensavo i tuoi decreti avere tanta forza che tu uomo potessi calpestare le leggi degli dèi, quelle leggi non scritte e indistruttibili. Non soltanto da oggi  né da ieri, ma da sempre esse vivono, da sempre: nessuno sa da quando sono apparse"
Bel discorso, ma davvero il fatto che lei lo affermi è dimostrazione di una fondazione sull'ethos? Mi concederai che è un po' poco come collaudo filosofico.

Citazione di: Ipazia il 15 Settembre 2019, 09:55:44 AM
La tua premessa sbaglia per il motivo che ho detto sopra. L'ethos umano é  physis + psiche (+ logos).  Ma anche nel mondo animale l'etologia rivela la complessità dei comportamenti, particolarmente nei contesti sociali.
[...]
PS. l'ulteriore complicazione é data e va navigata.
Mi pare che la complicazione nel passaggio dall'ethos animale a quello umano sia proprio il sequitur interruptus (dal non sequitur in ivg fino ai metodi di natalità): nel momento in cui edifichiamo etiche e culture a cui gli animali non possono cognitivamente (prima, tecnicamente poi) accedere, non possiamo più dire che c'è continuità con il loro ethos, che ha certo una sua complessità, ma, passaggio cruciale, tale complessità diverge dalla nostra, non la fonda.
#1455
Tematiche Filosofiche / Re:L'origine del male e del bene
14 Settembre 2019, 23:30:24 PM
Citazione di: Ipazia il 14 Settembre 2019, 21:46:28 PM
Mentre il relativismo cerca assiomi e paradigmi, l'ethos li scrive sulla carne e quel segno é assai più potente del segno logico.
Assiomi e paradigmi, correggimi sempre se sbaglio, li cercano le discipline, prima ancora delle rispettive correnti; li cerca la logica, l'ermeneutica, l'etica (inconsapevolmente, a quanto pare) e direi persino l'arte. Sul relativismo come capro espiatorio che accomuna papi e nietzschiani, comunisti e fascisti, playboy e femministe (non parlo di te), non ho nulla di nuovo da aggiungere, vostro onore: come scritto sopra, mi interessa piuttosto capire un potenziale "novum" (sotto forma di inatteso sequitur), un passaggio che sfaterebbe l'aura del pensiero debole e mi darebbe molto da riflettere.

Citazione di: Ipazia il 14 Settembre 2019, 21:46:28 PM
Antigone ne é consapevole e va fino in fondo, conquistando la vita eterna in quell'ethos di cui si era eletta testimone sapendo perfettamente cosa si stava giocando. Il sequitur ethos-etica qui é immediato.
Se l'ethos di matrice naturale (quello di cui si è parlato sinora, se non sbaglio) non prevede il suicidio per istinto, suicidio che è quindi scelta razionale (contro-istintiva), per capire meglio, provo con una domanda secca: perché l'etica di Antigone è fondata sull'ethos?

Citazione di: Ipazia il 14 Settembre 2019, 21:46:28 PM
In condizioni di buona salute fisica e sociale il valore vita si afferma positivamente senza meta-etica alcuna.
Decisamente sì; come dicevo, per l'etica in quanto tale bastano infatti la tradizione, l'educazione, etc. per la meta-etica basta la curiosità filosofica del bambino che chiede «perché?» (v. domanda sopra). Domanda spesso ritenuta superflua e impertinente dai più e a cui, per fortuna, si può anche non rispondere, senza perdere nulla in termini di "funzionalità" del proprio punto di vista.

Citazione di: Ipazia il 14 Settembre 2019, 21:46:28 PM
Che il bene e il male non siano intercambiabili in uno schematismo relativista lo dimostra pure il fatto empirico che chi fa il male non ama subirlo.
Davvero c'è un relativismo che propone tale "schematismo"? Di nuovo: senza riflessione meta-etica, si finisce dritti al giudizio di valore, questo sì per nulla meta-etico: «questo è giusto»/«quello è sbagliato», senza passare per la comprensione, che richiederebbe di aprire il famigerato dispositivo di erogazione, svelare il sancta sanctorum dell'etica... tuttavia non è un gesto necessario: in fondo, se il distributore funziona, perché aprirlo? Eppure questo non è il "perché" del bambino-filosofo.


@viator
Parlando di Antigone e non dei suicidi della cronaca reale (premessa piuttosto necessaria), intendevo che tale suicidio rivendica l'indipendenza della razionalità poiché è una scelta (non approfondisco) che va contro l'istinto di conservazione. Ovviamente, per essere comprensibile, tale mia osservazione va contestualizzata nel colloquio con Ipazia, che più di una volta si è appellata alla razionalità dell'etica collegandola ad un suo sequitur da ethos e physis (da qui il mio commento volto a rilevare il non sequitur fra etica razionale e ethos spontaneo-animale; se per «ethos» intendiamo invece la morale, il problema del non sequitur forse "guadagna" un ulteriore gradino di complicazione).