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Messaggi - Jacopus

#1456
https://www.youtube.com/watch?v=C9WuPPgLJ5c&t=653s

E' un intervento di Igor Sibaldi, sublime da molti punti di vista, che mi ha dato lo spunto per il topic. Per i dati, riporta alcuni dati che non sono riuscito a trovare su internet. Per il vocabolario attivo, ne parla dal minuto 11 in poi.
#1457
Opinione molto condivisibile e, come al solito, scritta benissimo. A mio parere il problema delle distinzioni delle carriere poteva avere senso quando in Italia vi era un sistema processuale inquisitorio, ma con la riforma del 1988, con le vaste e giuste tutele dell'accusato, il potere del pubblico ministero si è ridimensionato. La separazione delle carriere sarebbe un ulteriore attacco alla magistratura e alle sue funzioni.
In realtà si cercano capri espiatori  o aggiustamenti tecnici, laddove il funzionamento della giustizia è in grosso affanno. Ma questo grosso affanno ha specifiche motivazioni politiche. Far funzionare bene la giustizia, metterebbe a repentaglio tutta l'economia "arrangiata", quella che non prevede il rispetto delle leggi, che in Italia, dall'imbianchino al neurochirurgo, è fiorentissima.
Una piccola riforma la propongo qui. Molto meno mediatica è molto più fattibile. I giudici, nel loro primo anno di carriera, sono uditori. Ovvero non hanno funzioni giurisdizionali ma fanno pratica assistendo e frequentando i tribunali. Proporrei che in questo primo anno, i magistrati "debbano" prestare servizio per 15 giorni in un carcere, per 15 giorni in una caserma dei carabinieri, per 15 giorni in un Servizio sociale e per 15 giorni in una Rems. Resterebbero comunque dieci mesi di pratica in tribunale ma quelle esperienze sul campo potrebbero essere decisive per capire come la "legge" non è un testo sacro e il processo non è un luogo avulso dalla sua realtà sociale. Si possono fare le migliori leggi (e già sarebbe una buona cosa), ma l'applicazione delle leggi è una cosa molto differente e quelle esperienze potrebbero permetterci di avere, come giudici, più Fra Cristofori e meno don Ferranti.
#1458
Penso che l'Italia abbia una grande storia, oltre al periodo romano, come tu giustamente ricordi, anche il rinascimento ci vide (per l'ultima volta) all'apice della civiltà occidentale. Il declino fu deciso all'inizio del '500, allorquando Venezia, ricchissima dei commerci con l'Oriente, cercava di diventare una potenza territoriale nazionale, contemporaneamente a quanto accadeva in Francia, Spagna e Inghilterra. Venezia era riuscita ad unificare quasi tutto il triveneto, parte della Lombardia, la Romagna e possedeva alcuni porti in Puglia, oltre a Creta, Cipro e la Dalmazia. Fu la Chiesa cattolica, con la lega di Cambrai e la successiva sconfitta veneziana di Agnadello a sancire il declassamento dell'Italia, che diverrà preda di Francia e Spagna e poi dell'Austria, nei successivi 350 anni. La controriforma fu il primo passaggio, archetipico, che è in grado di spiegare molte situazioni della storia attuale  dell'Italia, compreso il disprezzo per la cultura e per il pensiero critico o per il pensiero applicato o per lo stesso pensiero riflessivo. La controriforma schiacciò gli italiani in una posizione "provinciale" e "sottomessa", dove al massimo, il servitore poteva cercare di fare "il furbo", magari destreggiandosi fra due padroni, come Arlecchino. E quando il padrone straniero se ne andò, Arlecchino continuò a fare il furbo contro il suo stesso stato, che spesso, continuò a fare il padrone straniero, pur non essendolo. In questa distanza fra servo e padrone, che fa sbiadire la fisionomia del "cittadino", sta lo stesso discorso del vocabolario attivo, perché, nonostante gli alti e bassi della storia, continua a strutturare il nostro divenire proprio questa differenza di tipo "feudale". I servi non hanno bisogno di un vocabolario complesso per farsi comandare. La conseguenza? 1) Tanti lavoretti in nero nel turismo e nell'edilizia. 2) possibilità infinite di manipolare una opinione pubblica priva di strumenti critici adeguati.
#1459
Tematiche Culturali e Sociali / Vocabolario attivo
04 Giugno 2022, 12:17:53 PM
Il vocabolario attivo è l'insieme delle parole o lemmi che un soggetto "medio" parlante una lingua, padroneggia senza battere ciglio. È un ottimo indicatore non solo della cultura di un paese ma anche della sua ricchezza potenziale, che è sempre determinata dalla capacità di descrivere il mondo nel modo più accurato possibile. In questo senso, non conta che vi sia una élite colta e raffinata, poiché le attuali società di massa si fondano sullo sviluppo capillare di informazioni e abilità. Esempi per spiegare questo concetto sono innumerevoli. Basti pensare allo sfondamento di Caporetto, dovuto alla partecipazione dell'esercito tedesco, composto da personale competente. Infatti la guerra moderna non è solo fatta di violenza e baionette, ma di capacità di calcolo, e di conoscenza. Ciò già nella prima guerra mondiale. Figurarsi oggi. Il confronto con la Germania in questo senso è impietoso. Il vocabolario attivo di un tedesco medio è composto di 25.000 parole, mentre quello di un italiano medio è di 2.000 parole, dieci volte meno, ad essere generosi. Il vocabolario attivo di un americano medio è di 12.000 parole, meno dei tedeschi, ma ad una distanza siderale da noi. Ebbene questo indicatore non è una mera questione accademica ma si riflette sulla stessa struttura economica e sul funzionamento delle istituzioni democratiche. Ma migliorare quell'indicatore oltre ad essere costoso, rischia di spostare i rapporti di forza economico/politici, poiché l'ignoranza, la scarsa capacità di rielaborare le informazioni si connettono con una visione della società diversa da chi ha acquisito degli strumenti di comprensione più raffinati, e quindi in grado di smascherare i processi inevitabili di manipolazione ideologica.
#1460
"Si ode la voce che chiama all'ultimo appello. È giunta la fine di tutto ciò che vive: il Giudizio Universale. La terra trema, le tombe si spalancano, i morti risorgono in una processione senza fine. I grandi e i piccoli della terra, i re e i mendicanti, i giusti e i miscredenti sono tutti accalcati. L'invocazione alla misericordia e al perdono colpisce terribile le nostre orecchie. I gemiti aumentano, i sensi ci abbandonano, la coscienza viene meno all'approssimarsi dell'Eterno Spirito. S'ode l'ultimo appello, squillano le trombe dell'Apocalisse nel soprannaturale silenzio che segue possiamo avvertire appena il canto di un usignolo che da una immensa distanza ci invia un'ultima tremula eco della vita terrena. Lieve si diffonde il coro dei beati e delle schiere celesti. Allora si manifesta la gloria di Dio, tutto è pace, tutto è beatitudine.
Ed ecco non vi è più alcun giudizio, non vi sono nè peccatori nè giusti, non vi è nessuna pena e nessun premio. Un immenso sentimento d'amore pervade tutto il nostro essere. Sappiamo e siamo".
Presentazione scritta di G. Mahler per la rappresentazione a Dresda, nel 1901 della sua sinfonia n. 2, "Resurrezione".


https://youtu.be/4MPuoOj5TIw


#1461
Ancora una volta sono d'accordo con Inverno. Il problema non è il liberalismo o il capitalismo ma un certo tipo di liberalismo che oggi è quello imperante. Feci un corso, in gioventù, di gestione di piccole e medie imprese. Già allora, negli anni 90, un docente sottolineava la differenza fra un imprenditore tedesco e  uno italiano. L'imprenditore tedesco "medio" avrebbe vissuto con vergogna e dolore il licenziamento di uno solo dei suoi dipendenti. Idem in Giappone. Ora non so se si trattava già allora di agiografia ma sicuramente, l'affermazione di un modello estremamente competitivo, contestuale alla fine del socialismo reale, ha modificato la cultura del mercato, probabilmente anche in Germania. La globalizzazione ha reso più difficile continuare a giocare con due pesi e due misure e il successivo "liberi tutti" ha reso più fragili i legami sociali, quelli cui fa cenno Inverno. Parlare di razionalità economica non ha senso. Anche il marxismo è stato definito per decenni "materialismo scientifico", salvo affondare a causa di valori e dinamiche impreviste. Il capitalismo attuale, a mio parere, può continuare a comportarsi in questo modo indegno ma senza rifilarci alcuna tavoletta sulla necessità, sulle evidenze o sulla razionalità. Una società crea benessere solo se c'è solidarietà e condivisione. Il capitalismo attuale pensa gli "altri" solo in senso "oggettivo", cioè come oggetti da usare e questa cultura è ormai talmente diffusa, che non è neppure più la cultura del capitalismo ma la cultura dello stesso Occidente, a cui si oppongono sparute forze, considerare retaggio del passato.
#1462
Ci mancherebbe Viator, fai tutti i discorsi che vuoi. Mica limito la tua libertà di espressione. Ti facevo solo notare che continuare il ritornello liberalismo contro comunismo ha un po' il fiato corto, specialmente, con chi come me, non "crede" nè nel Vangelo canonico nè in altri tipi di vangeli politici. Il liberalismo attuale è inguardabile. In altri momenti, quando è dovuto scendere a compromessi per ragioni geopolitiche, si sono date condizioni di vita migliori di quelle attuali. Il liberalismo odierno è molto simile (per certi versi, per altri è completamente diverso) a quello ottocentesco e non a caso il marxismo è proprio nato in quel periodo e per contrastarlo, anche le teorie autoritarie di segno opposto. Insomma dei liberali un po' lungimiranti qualche domanda dovrebbero iniziare a porsela, a meno che non vogliano  ripetere errori già fatti.
#1463
 Viator. Credo che sia molto comodo pensare che oltre al liberalismo vi sia solo la dittatura e il totalitarismo. In realtà, di liberalismi ve ne sono di molti tipi ed anche di totalitarismi. Nessun comunismo o fascismo mi ha mai convinto ma questo non significa che dobbiamo mangiare per forza questa minestra indigesta. Ripeto, dovrebbe essere una esigenza della classe dominante attuale evitare questa polarizzazione. Ma l'umanità è spesso avida e non sa darsi dei limiti e le classi sociali non fanno eccezioni. Eviterei pertanto il dualismo liberalismo/totalitarismo, perché o è ingenuo o è manipolatorio.
#1464
Io penso che non sia un problema di conflittualità sociale, altrimenti dovremmo essere molto piu efficienti della Francia, dove gli scioperi durano settimane. Se ci limitiamo all'Italia, vi sono due recenti notizie solo apparentemente scollegate. Lo scandalo dei concorsi universitari e le resistenze ad applicare la riforma degli appalti dei siti balneari. In entrambi i casi è evidente come l'applicazione del liberalismo in Italia sia debole, perché bloccato da una mentalità da "rendita". Non si premia il merito, come dovrebbe essere secondo lo stesso paradigma liberale, ma le posizioni acquisite che diventano inscalfibili. Si immaginiquesta mentalità applicata al mondo produttivo e si possono comprendere le difficoltà del sistema produttivo italiano, che ancora regge grazie ad alcune produzioni di nicchia e all'inserimento nel sistema produttivo tedesco (ed europeo, in seconda battuta). La fragilità del pensiero liberale e borghese in Italia è ampiamente documentato. Forse, se vi fosse più pensiero liberale , invece di questo mix di animal spirits + feudalesimo, allora potrebbero esserci dei miglioramenti localizzabili in Italia.
L'altro punto critico però è la grande disparità che si è prodotta negli ultimi 50 anni. Ci stiamo avviando verso una società con una classe media sempre più ridotta. Società liberale era quella del primo dopoguerra e società liberale è quella di oggi. Ma le società liberali cambiano. Il problema è, a mio parere, che il cambiamento attuale è predittivo di una società molto ingiusta, secondo modalità diverse dall'ingiustizia dei sistemi totalitari, ma che comunque comporta delle inevitabili patologizzazioni. Se un Ceo guadagna centomila volte di più di un operaio, non siamo più nel campo del giusto riconoscimento del merito ma nel campo del non riconoscimento di far parte della stessa specie, con tutto ciò che ne consegue in termini di disprezzo, di darwinismo sociale, di competitività estrema. La conflittualità nasce da queste dinamiche. Sarebbe interesse della stessa classe dominante, mitigarle ma a quanto pare, al momento, non è in grado di farlo.
#1465
Analisi che condivido Inverno. Proprio oggi guardavo un documentario sul terzo Reich. È un po' straniante con la nostra mentalità da III millennio, osservare queste folle straripanti acclamare il potere politico. Al di là dell'idea più o meno accettabile, furono le idee a far muovere le persone, ad agitarle, a farle credere di poter trovare una soluzione. Oggi invece siamo in immersi in una "narcocrazia", dove tutto sembra immodificabile. Viviamo in un grande alveare con logiche predeterminate, cibernetiche. Dopo il '68, tutto è stato fagocitato dal "Sistema", anche le proteste. È sufficiente ammansirci, o farci credere che per la nostra coscienza politica, per essere morale, è sufficiente condividere un post. Sul tema della discussione, ripeto ciò che ho detto altrove. L'uguaglianza non mi trova d'accordo, neppure quella economica o di rango. Io non sono come Niko o come Viator e ci tengo alla mia individualità. Dare a tutti lo stesso reddito, lo vedo più come un incubo che come un sogno. Ma nella "misura" è il segreto di tutte le cose. Ed ora il nostro modello sociale è smisurato. La miopia della èlite consiste nel non considerare questa smisuratezza come una enorme fragilità.
Probabilmente hanno fiducia nel "too big to fail", applicabile anche al sistema capitalistico nella sua totalità. Ma, o per via antropica (rivolte, aumento della violenza) o per via ambientale (pandemie, climate change), l'attuale sistema dominante democratico/capitalista, deve affrontare delle sfide molto serie e non mi sembra molto attrezzato. Alternative all'orizzonte non se ne vedono, se non la riesumazione di ideologie totalitarie, che oltre ad escludere l'egalitarismo garantirà anche l'esclusione della libertà.
#1466
I problemi a cui, a breve, dovranno rispondere i padroni del vapore sono tali, che quello sulla disuguaglianza scenderà in fretta nella classifica delle priorità. Detto questo, l'ineguaglianza come oggi si è strutturata è di una tale mostruosità da potersi definire immorale o antietica (decidete voi :))). Se una persona, qualsiasi lavoro faccia guadagna 100.000 euro al mese (e mi tengo basso), cosa può pensare di un'altra persona che ne guadagna 1.000? Le stessa cosa che quella persona che ne guadagna mille, potrebbe pensare di un ipotetico percettore di 10 euro al mese. Visto che esistono tutte e tre le categorie di reddito, direi che una ragionevole visione dovrebbe limitare questa disparità. Ma questa disparità è stata limitata solo quando i padroni del vapore, avevano un antagonista con il colbacco o con il libretto rosso. Ora che il dio Denaro non ha più concorrenti, perchè dovrebbero esserci dei limiti? E limiti imposti come? Con leggi che impongano un tetto ai contratti dei calciatori? Li vedo già i contratti in nero.
Purtroppo l'umanità ha fatto grandi passi "tecnologici" e piccoli passi "morali" e nella maggioranza dei casi, accetta opzioni morali solo se c'è un tizio con la pistola che lo incoraggia a prendere quella decisione morale. Le persone con senso morale sono una minoranza, che spesso fa delle scelte individuali, crea un fondo, si impegna in una ONG, diventa volontario, ma i politici, i detentori del potere economico e sociale rispondono alla loro platea di elettori/clienti/followers. Ed è qui la massa delle società, quella che non si sposta tanto facilmente se ha preso una direzione, e l'attuale direzione è, purtroppo, estremamente patologica, se anche a Davos chiedono di aumentare le tasse.
#1467
Vorrei sottolineare che "sacro" non va confuso con "valori", che effettivamente organizzano la vita di tutti, individui, società, istituzioni, gruppi. Il problema del sacro è il problema del limite. Sacer, nel diritto romano, era colui che avendo violato gravemente regole religiose o di stato, veniva abbandonato nella foresta e non si poteva più avere rapporti con lui. Colui che aveva oltrepassato il limite, diventava sacro. La comunità si compattava nel rispetto di quel limite. La società odierna, da un polo all'altro, non solo non riconosce il limite ma lo considera un impaccio. Elon Musk, con i suoi pensieri visionari, il suo turismo astronautico è l'estrema sintesi di un processo secolare. La rottura dei "limiti" della tradizione, ci ha dato il benessere, la libertà, la sicurezza, come mai accaduto nella storia dell'Occidente. Ma oggi riemerge il bisogno di riconoscere quei limiti, che non sono più inseribili in una narrazione teologica, ma in una narrazione prettamente antropologica. Solo in questo modo è possibile attualizzare il retaggio del l'illuminismo, Dio bifronte, che da un lato produce schiavi e consumatori e dall'altro uomini padroni del loro destino.
In questo sono molto in sintonia con l'idea di costruire chiese di riflessione comune, fondate sul bisogno di una ricerca umana, non basate sul dogma ma sul riconoscimento della nostra finitudine, della nostra debolezza.
#1468
Bè, oltre all'ironia, Dostoevskij è lo scrittore del sacro. Applicato all'epoca moderna. E qui sta tutta la sua grandezza.
#1469
Viator. L'intelligenza emotiva esiste eccome. Dai una occhiata preliminare alla voce di Wikipedia in merito (per non parlare degli studi di Damasio sull'argomento, ma in questo caso servono basi importanti per entrare in quel discorso). Qui come altrove, sei preda delle tue asserzioni che più che individuali definirei solipsistiche, prive di ogni collegamento con quanto, su un certo argomento, è stato già detto. Per te la storia della cultura, poiché non hai intenzione di dargli un'occhiata, inizia ogni mattina sulla base delle tue osservazioni personali. A me quello che impressiona in tutto ciò è la mancanza assoluta della misura, della assenza di un minimo di modestia, magari asserendo una certa teoria ma nello stesso tempo ammettendo di non averne approfondito la conoscenza. Sei in questo, una raffigurazione potente dello spirito dei nostri tempi.
#1470
Viator@. Hai perfettamente ragione. Infatti Lenin chiamò la rivoluzione soviet più elettrificazione. Si tratta di un tema molto dibattuto dal pensiero marxista, almeno in Occidente, della difficoltà a compensare lo sviluppo e il rispetto per l'ambiente. Del resto Marx, come Weber o Kant o Freud non sono divinità e a loro non è stato applicata (fortunatamente) la formula dell'ipse dixit, come toccò al più scalognato Aristotele. Pertanto il marxismo, dinamicamente deve confrontarsi con altri problemi, stante che resta vera però, ed oggi molto vera, la legge dello sfruttamento dell'uomo sull'uomo e l'applicazione del teorema dei due pesi e delle due misure. Basta guardarsi intorno. Con questo vorrei anche che sia chiaro, per quanto di scarsa importanza, che io, personalmente non sono marxista, proprio a causa di quell'odore di incenso laico che proveniva dalle case del popolo. Mi riconosco più in uno stato di diritto democratico con grandi aperture verso lo stato sociale, ma grandi e reali, come la tassazione pesantissima sulle eredità.