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Messaggi - Jacopus

#1456
CitazioneLa scienza esercita di fatto nella modernità un'egemonia spirituale.Il suo realismo implicito dice in sostanza che solo la scienza è in grado di dire come stanno le cose, com'è la realtà, l'unica realtà.Alla base di questo atteggiamento, come ho già spiegato, c'è un errore filosofico, ma non è questo l'aspetto preoccupante, il problema sta nel fatto che a partire da un punto di vista basato su un errore filosofico si produce una riduzione a discorso inefficace di tutto ciò che non è scienza.Inutile poi mettersi a tavolino a compilare nuove etiche quando esse già in partenza non hanno forza se mancano dell'appoggio della scienza. E così ci si ritrova costretti a dedurre principi etici da biologia e neuroscienza. In realtà si tratta di una ritraduzione pseudoscientifica di questioni tradizionali.L'esempio dei neurotrasmettitori è plateale: sapere che quando sono felice viene rilasciata una certa sostanza nel mio organismo non spiega la mia felicità, ne la felicità in generale. In realtà si tratta di una conoscenza utilissima alla manipolazione di cervelli malandati.Perché è appunto questa l'anima della scienza e la sua enorme utilità: il potere di manipolare la materia.


@Kobayashi. La scienza non è un monolite. Esistono molte correnti scientifiche che considerano la dialettica fra scienza e altre discipline come necessario ed imprescindibile. Nel campo della psicologia/pedagogia/psichiatria arrivando fino alle neuroscienze, non è possibile avere un approccio scientifico nel senso classico del termine (come distinzione fra hard e soft sciences).
E' vero che vi sono stati molti tentativi in questo senso, basti pensare all'enorme influenza del comportamentismo oppure anche all'approccio classico della psicoanalisi, laddove il terapeuta doveva essere quasi un soggetto "freddo", impossibilitato a entrare in empatia con il paziente, perchè altrimenti sarebbe stata a rischio la terapia, fondata su una interpretazione ex-cathedra risolutiva del disagio o del disturbo.
Attualmente però, almeno in questo campo, l'approfondimento della conoscenza del sistema nervoso centrale e periferico, nella sua "fisicità" si accompagna con la constatazione evidente della irriducibilità del cervello ad un organo qualsiasi, a causa della sua "plasticità", che ci rende unici fra gli esseri viventi. Con plasticità intendo la capacità di ogni essere umano di apprendere e interagire nell'ambiente modificando il suo comportamento nei più svariati modi. A differenza delle altre specie animali, noi siamo "davvero" "Uno-nessuno-centomila". Non c'è un istinto automatico che ci fa fare le stesse cose, come accade alle formiche e in misura minore anche ai mammiferi superiori. Il nostro cervello, e quindi noi stessi, è come se fosse un Computer connesso in modo diretto e continuo con tutti gli altri cervelli e con la "cultura" che quei cervelli hanno prodotto nel passato, producono attualmente e produrranno in futuro. Quindi in questo senso, per le neuroscienze è impossibile, ad esempio, non confrontarsi con la filosofia, perchè la filosofia fa parte del Sistema Nervoso Centrale, allo stesso modo delle sinapsi e dei processi di invio e ricezione dei neurotrasmettitori, in quanto le sinapsi e tutta l'architettura di ogni cervello è disegnata e si sviluppa sulla base degli imput culturali e ambientali esterni.
#1457
JE. Sí, trovo molte analogie con il mondo attuale, nel quale il processo di indottrinamento e di lenta modifica culturale avviene ormai da qualche decennio, proprio nella direzione di favorire una visione liberista e neo schiavista messa in atto senza la programmazione supposta del comunismo del passato, ma attraverso pratiche diffuse e da network diversi e non necessariamente integrati fra loro.
#1458
CitazioneUn pò come il percorso delle scoperte umane: prima le si intuiscono, le si credono per fede. Poi le si spiegano logicamente.


Un piccolo excursus su questo singolo punto. Non credo che il passaggio sia così rettilineo. E' vero che vi è una rilevante porzione di "intuizione", ma quella intuizione è, a sua volta, il risultato di spiegazioni logiche, osservazioni, esperimenti precedenti. Nessuna intuizione è fondata sul nulla o sulla potenza di una mente talmente brillante da essere in grado di astrarsi completamente dalla sua esperienza storica. Faccio un esempio. Darwin, a mio parere, è stata una delle menti più brillanti, in questo senso, ed anche più intuitive, tanto che le sue deduzioni ed intuizioni hanno impiegato 150 anni dopo la sua morte per essere dimostrate in modo inequivocabile (lasciamo da parte le polemiche sul darwinismo, qui intendo solo sottolineare il passaggio intuzione/logica delle scoperte). La stessa cosa, del resto si potrebbe dire di Cristo, come figura storica, il suo messaggio è innovativo, si fonda su alcune intuizioni molto originali, ma il substrato culturale che lo ha modellato deriva da logiche e processi culturali precedenti, l'ebraismo e l'ellenismo per la precisione.
Il percorso concettuale delle scoperte umane, quindi, a me sembra più un percorso bidirezionale, che si fonda sull'esperienza e sull'accumulo esperienziale collettivo e in seguito sull'apporto di menti particolarmente lucide, che sviluppano ulterioriormente quella esperienza collettiva che servirà da trampolino di lancio per la successiva "mente lucida". In sostanza vi è continuamente un feed-back esperienze culturali/intuizioni. Quest'ultime poi dovranno ovviamente passare il giudizio della società per diventare patrimonio culturale in grado di influenzare le successive possibili intuizioni.
E' un discorso che ovviamente ha molto a che fare con l'eterno ritorno di Nietzsche, ma di questo abbiamo ampiamente scritto altrove.
#1459
Kobayashi. Mi riprometto di approfondire il tema (ho già sulla scrivania un po' di materiale  :D ). In prima battuta mi viene da dire che la scienza, da Kuhn in poi, è consapevole del fatto che la oggettività scientifica è relativa e che i cambiamenti di paradigma stravolgono le conoscenze. Detto questo non penso che si possa estremizzare questo principio. Tutti i cambiamenti di paradigma del XX secolo dalla relatività alla MQ non hanno sconfessato i principi della fisica gravitazionale che restano validi. Hanno solo approfondito e spiegato fenomeni collaterali. Mi viene in mente la metafora della fotografia. Già i primi dagherrotipi permettevano la visione della realtà ma sono i successivi miglioramenti tecnologici a permettere una visione sempre più accurata, pur mantenendo validi i principi tecnologici originari, almeno come punto di partenza per i passaggi successivi.
#1460



Buonasera Iano. Anche il tuo punto è importante. Non a caso un principio per affermare la scientificità di un dato è la sua accettazione da parte della comunità scientifica di riferimento, che funziona un pò come un tribunale "diffuso" sull'argomento sottoposto all'attenzione. Fatte le debite attenzioni va, però, nuovamente ribadita la distinzione fra verità "fisica" e verità "etica". Infatti nel primo caso è difficile trovare argomenti a contrario rispetto al fatto che la forza di gravità è una realtà "vera". Anche nel caso in cui non vi fosse condivisione e gli scienziati pensassero che la gravità sia causata da una potente calamita posta sotto il monte Bianco, sarebbe sempre la massa del pianeta Terra a determinare la forza di gravità. Quella realtà esiste indipendentemente da come viene descritta. Nel campo "etico" invece non è così semplice trovare un criterio "veritativo" valido "erga omnes", come dicono i guristi. E non sempre la condivisibilità è un criterio valido, basti pensare all'enorme consenso che avevano i regimi totalitari nel XX secolo. Il fatto che fossero condivisi significava che fossero veri (giusti)? Qui, in campo etico, siamo nel pieno del dilemma maggioranza/minoranza che affligge l'umanità a partire, come minimo, dall'Illuminismo (e se prendiamo per buona la dialettica dell'Illuminismo di Adorno, allora dobbiamo retrodatare fino alla Grecia Classica).
Ho provato spesso ad interrogarmi su questo dilemma e l'unica soluzione che mi sembra plausibile per quanto idealistica è quella di una sorta di scelta platonica "allargata", ovvero una pedagogia della conoscenza il più ampia possibile e non solo applicata dal filosofo agli aristoi, come riteneva, appunto, Platone. Solo attraverso una conoscenza pedagogica, ovvero non una conoscenza "tecnica" ma una conoscenza etica, allargata al più ampio strato della popolazione, si potrebbe pensare che il criterio della intersoggettività e della condivisione possa avere un nesso con la ricerca di una verità etica.
#1461
Bob. Posizione rispettabilissima la tua ma assolutamente non adeguata, secondo me. Definire significa delimitare, giudicare e discernere oltre che "meramente" possedere. Banalmente, se un omicida dopo aver ucciso, dichiara di essere innocente, si pone in una posizione "non vera" indipendentemente dal dire che la verità è essere. La notte dove tutte le vacche sono nere, è poco esplicativa del pensiero occidentale con i suoi pro e contro.
#1462
buonasera Freedom e ben ritrovato. A proposito della verità, penso che si debba fare, preliminarmente, una distinzione fra verità fisiche e verità etiche, che corrispondono grossomodo alla physis e alla metaphysis ellene. Che il sole girasse intorno alla terra è stata una verità, insegnata nelle più illustri università europee fino al XVII secolo e oltre. In seguito questa verità è stata sostituita da un'altra verità che è apparsa più plausibile e confortata da dimostrazioni sperimentali e concettuali. Ciò ci ha permesso di avanzare nella conoscenza e spiegazione di innumerevoli fenomeni astronomici. A questa verità si sono accumulate tante altre verità successive, come ad esempio, quella per cui, il sole a sua volta, insieme a tutto il sistema solare, ruota attorno a Sagittarius A, il buco nero al centro della galassia, in circa 230 milioni di anni. Che la melanconia fosse causata dalla bile del fegato è stato creduto per alcuni millenni, ma anche in questo caso a quella verità si è sostituita una verità alternativa, per la quale la melanconia è causata da fattori ambientali e genetici, che si condizionano reciprocamente e si trasmettono fra le generazioni. Le verità scientifiche (che qui ho chiamato "fisiche" per puro gusto retorico), ben lungi dall'essere permanenti, hanno lo status di ipotesi valide fino ad una futura sempre possibile falsificazione. Quindi forse non possono neppure essere definite verità nel senso stretto del termine.


Le verità etiche a loro volta vanno classificate in almeno due categorie, le verità etiche sulle grandi domande e le verità etiche personali. Le prime riguardano più il tema della giustizia che della verità, ovvero se è giusto differenziare la ricchezza, punire i colpevoli, permettere l'aborto, l'eutanasia, il voto democratico, la libera espressione o gli esperimenti medici sugli animali e tutte le illimitate domande di questo genere.
La verità etica personale riguarda invece la possibilità che il singolo individuo sia "autentico", in buona fede con sè stesso e con gli altri, incorrendo in errori e falsità solo per incomprensioni, dimenticanze, equivoci ma senza incorrere in meccanismi di strategia sofistica, ovvero strumentale e manipolatoria.


Rispetto alla verità si possono sintetizzare simbolicamente due visioni contrapposte, tramite due note figure. La prima è quella di Ulisse, che pur sottoposto a mille prove e duelli con le forze divine, tende, nel suo cammino umano a tornare a Itaca, ovvero alla sua "limitata" e fisica verità. La seconda è quella di Cristo, che pur sottoposto a mille prove e duelli con le forze della civiltà e della storia, tende a tornare nell'Eden, ovvero nella sua "illimitata" e metafisica verità. Eppure, Cristo, nella sua metafisicità di fondo, espone una visione legata alla massima autenticità personale, mentre Ulisse, al contrario, nella sua fisicità, è l'eroe delle astuzie e delle strategie manipolatorie. E' possibile allora, e sarebbe bello se davvero fosse così, considerare la nostra cultura come la mescolanza di elementi provenienti da Ulisse nella sua ricerca del vero nella physis e di elementi provenienti da Cristo, nella sua ricerca dell'autentico nei rapporti fra uomo e uomo.
La storia umana, nel frattempo, nella sua continua ricerca ha mescolato le due posizioni, nelle più diverse gradazioni, rendendo possibile un Ulisse metafisico e un Cristo fisico, ma nel fondamento, spogliati di tutti gli attributi culturali successivi, la distinzione ha una sua validità, al di là della sua costruzione un pò retorica e tenendo presente come il rapporto fra queste due figure sia comunque complesso e ambivalente.
#1463
Molto appropriato il tuo intervento Freedom. La verità è il tentativo di spiegare il mondo secondo una sorta di vortice concentrico che ci conduce dalle verità funzionali a quelle sostanziali, che si intrecciano con le grandi domande esistenziali.
È interessante quello che dice l'etimologo Benveniste quando collega il termine verità alla radice indoeuropea "vir" che significa o che è collegata all'insieme dei termini connessi alla famiglia etimologica della "fede". La verità come fede o addirittura come fedeltà. Un relitto di questo legame è tuttora presente nella lingua italiana, secondo la quale la "fede" e la "vera" sono sinonimi per indicare l'anello nuziale. Gli studi etimologici non sono ovviamente probanti dal punto di vista logico/deduttivo o epistemologico, ma sono interessanti perché aprono il discorso rispetto alle radici del nostro pensare che è qualcosa di precedente ad ogni apprendimento logico, perché basato sulle connessioni linguistiche storiche, capaci di forgiare o, comunque, di condizionare il pensiero stesso, attraverso un apprendimento quasi inconsapevole e archetipico.
#1464
Ipazia. Quest'ultimo passo di Nietzsche è la prova di come il positivismo, se non diventa scientismo, sia fondamentale, per trovare un senso comune che superi il prospettivismo e che confuti il "parlare a caso" come a proposito degli istinti come "sete di dominio". Ne è stata fatta di strada a proposito della conoscenza dei nostri istinti, proprio grazie alla cultura "positivista", quella dei fatti oggettivi e i nostri istinti sono qualcosa di molto più complesso e variegato di una generica "sete di dominio".
Sete di dominio, nella descrizione nietzschiana, che ancora una volta riporta ad una visione distorta dell'uomo, o nel senso di auspicare una Civitas Dei, in grado di mondare l'uomo e la sua sete di dominio (posizione che Nietzsche, come noto, attacca), o nel senso di liberare quella "sete di dominio" dai suoi sensi di colpa, per permettere l'espressione creativa e totale dell'ubermensch. Nessuna delle due, queste sì, "interpretazioni" è reale. Questo discorso ne porta con sè, un altro. Ovvero quello di far parlare fra loro la filosofia e la scienza (in questo caso la biologia e le neuroscienze) poiché altrimenti restiamo appesi all'ipse dixit, oppure alla lettura della filosofia come un piacevole romanzo letterario alla Musil.
#1465
Dico la mia solo sul punto 1 della discussione Paul/kobayashi, memore della lezione di Severino, facilmente rintracciabile su you tube. L'eterno ritorno non è il riproporsi di un mondo ciclico alla Vico ma qualcosa di più sofisticato che è collegato con l'immutabile, il divino e la creatività dell'uomo.
Sinteticamente, l'eterno ritorno è il contrario del ritorno ciclico della storia. In realtà è  la necessità di reimpossessarsi del passato, affinché il passato con la sua massa "fissata" dalla storia, non precluda la via all'eterno divenire. L'eterno ritorno è la figura sublime del mutare di tutte le cose e della necessità (non un sollen, specifica Severino) che il mutamento acquisisca anche la possibilità di mutare il passato, la storia, perché altrimenti quel accumularsi definitivo di eventi del passato non fa altro che distruggere la possibilità creativa dell'uomo e genericamente di tutto l'universo. Quindi non solo una teoria che abbandona la divinità e il suo servitore terrestre: la tradizione, ma una teoria che si affaccia al limite estremo del divenire, un divenire che deve intervenire, per realizzarsi, non solo nel futuro ma anche nel passato. L'eterno ritorno è quindi la possibilità di poter cambiare "filosoficamente" il passato o non considerarlo o reinventarlo, perché solo così è possibile il divenire come libertà e creatività dell'umano.
Ci sono ovviamente altre interpretazioni dell'eterno ritorno nietzschiano, ma questa di Severino mi sembra molto interessante e in grado di suscitare ulteriori riflessioni.
#1466
Shimon Marom classifica le impostazioni teoriche relative alla psichiatria fra due estremi. Il primo lo chiama punto di vista strutturale/programmatico, il secondo funzionale/dinamico. Con il primo si intende una visione della psichiatria in termini di ricerca di cause/effetti, specifica e rintracciabile attraverso l'eziologia e a cui dovrebbe corrispondere la cura più adeguata per rimuovere i sintomi e produrre la guarigione. Questo tipo di visione è profondamente radicata nella cultura umana. Riflette la necessità di credere che le cose abbiano delle cause ben definite, collocate in un sistema di riferimento anch'esso ben definito. Si tratta della tipica situazione rintracciabile nelle hard-sciences, dove la misurabilità dei fenomeni fisici e della loro sperimentabilità è massimo.


Questo tipo di visione è però incompatibile, ad esempio, con la plasticità neurale, che permette un adattamento alle lesioni, che rimodellano il sistema nervoso, senza essere direttamente ascrivibile ad un movimento causa/effetto, essendo quel rimodellamento forgiato direttamente  sulla storia ontogenetica e filogenetica del soggetto.


Il secondo punto di vista, quello funzionale/dinamico di cui un esempio famoso è la psicoanalisi, attribuisce all'interazione soggetto/ambiente l'eziologia delle cause, determinando così una "individualizzazione" estrema della terapia, che non potendo essere generalizzata, diventa di dubbia portata clinica e di di difficile applicazione in termini sociali.


Per una psichiatria integrata e in grado di migliorarsi è necessario perseguire entrambi i punti di vista, poiché il primo permette di rispondere alla domanda "che cosa è", mentre la seconda risponde alla domanda "come è diventato così". Entrambi gli aspetti hanno poi un effetto di reciproco feedback, per cui gli aspetti strutturali dell'organismo che possono essere gestiti in termini causa/effetto, vanno integrati con percorsi dinamici, che considerino la specificità di ogni singolo individuo. Insomma, la psichiatria non può dimenticare nè l'ontogenesi nè la filogenesi. Detto in altri termini, cioè in termini operativi, la terapia più adeguata è quella che miscela e bilancia in modo corretto, interventi farmacologici con interventi psicoterapeutici e socio-educativi.
#1467
Rispetto all'ultimo problema che menzioni, Socrate, come ho già scritto altrove, è ovvio che la psichiatria abbia uno status scientifico più labile rispetto alle altre specializzazioni mediche a causa della complessità del suo oggetto, ovvero la "psiche" che non è una mano e neppure un cuore, che per quanto organi complessi, rispondono a bisogni meccanici e fisiologici molto delimitati. La "psiche" invece investe contemporaneamente almeno tre livelli di intervento, quello fisiologico, avente ad oggetto il Sistema nervoso centrale, quello mentale, che riguarda la necessità di comprendere come il paziente si percepisce e come percepisce il mondo, ovvero la sua "identità", e infine quello sociale, perchè la psichiatria ha una storia diversa da quella della "medicina generale", essendo stata piegata ad esigenze di controllo sociale e di stigmatizzazione che sono sconosciute agli altri settori medici.
E' per questo motivo che per essere dei bravi psichiatri non basta essere dei medici ma bisogna anche essere filosofi e sociologi.
Detto questo, non bisogna neppure dimenticare i grandi progressi fatti nella cura delle malattie mentali "maggiori", sostanzialmente psicosi e schizofrenia. L'elettrochoc e l'internamento vita natural durante in un manicomio, fanno parte del passato e bisognerebbe ricordare di più Basaglia che fu un pioniere in questo campo, e le cui teorie sono ormai abbracciate da (quasi) tutto il mondo occidentale. Le nuove tipologie di farmaci permettono un controllo molto più accurato dei sintomi ed ormai è normale anche considerare le persone affette da schizofrenia come "guaribili". I controlli strumentali sono ancora in fase sperimentale, ma ad esempio, la FMRi viene utilizzata sperimentalmente per valutare i soggetti a rischio, all'esordio della malattia.
In ogni caso i deliri delle persone schizofreniche sono ricorrenti e compongono una casistica che ormai è documentata da più di un secolo ed è quindi possibile una diagnosi anche qualitativa e non strumentale. Vanno però distinte le varie forme di psicosi, che possono essere reattive (cioè determinate da abuso di sostanze, questo è il caso classico), oppure temporanee, oppure legate a cause organiche, come un tumore nel cervello. I farmaci attuali comunque tendono sempre a bloccare la produzione di dopamina, come quelli ad esempio, con principio attivo "risperidone". Attualmente è possibile anche somministrare il farmaco attraverso iniezioni di depot, che vengono rilasciate nell'organismo in periodi lunghi anche mesi, così da evitare le problematiche spesso presenti, di pazienti che non si vogliono curare. Infatti, non andrebbe dimenticato che, a differenza di un malato generico, che si rende conto di dover essere curato, il malato psichiatrico, proprio per sua natura, ritiene il più delle volte di essere sano e questo è un altro tassello della complessità dell'intervento in psichiatria.


P.S. Non sono nè psichiatra, nè medico, ma solo un "cultore della materia" ;D
#1468
Non so se sia poesia, Ipazia. La sofferenza di Giulia è una sofferenza abissale. La poesia è per noi che la ascoltiamo al di fuori, ma lei è una persona spezzata. L'odio degli altri si può sopportare ma l'odio dei tuoi genitori ti può immergere in quel non-mondo che è la malattia mentale.
Rispetto al discorso di Socrate, direi che la la schizofrenia e qualsiasi altra malattia mentale, sono effettivamente un modo diverso di vedere la realtà. Anche il depresso o il bipolare o l'ossessivo vedono una realtà diversa da quella del cosiddetto "normale". La grande differenza fra questi disturbi e la schizofrenia è il mantenimento del senso della realtà condivisibile con il prossimo. Nello schizofrenico il senso della realtà collassa per aprirsi a un mondo che non esiste nella realtà. E' la stessa cosa che fanno gli artisti d'altronde, creare un mondo che non esiste. E la connessione fra arte e follia non è certo peregrina. Molti artisti non hanno fatto altro che curarsi creando opere d'arte, perchè altrimenti sarebbero sprofondati nella stessa condizione di Giulia.


I pensieri mistici sono molto comuni nelle persone affette da questi disturbi. Basti pensare al famoso caso del presidente Schreber, analizzato prima da Freud e sotto una diversa ottica anche da Canetti. Il più delle volte il loro malessere nasce da situazioni di maltrattamenti intrafamiliari e con maltrattamenti intendo incesto padre-figlia, violenze fisiche e psicologiche, abbandono e mancanza di cure primarie, oppure ambivalenze dei genitori, che oscillano da momenti di grande amore a momenti di grande disprezzo. Questo tipo di relazioni familiari mina la fiducia verso il mondo e alimenterà il sospetto che gli altri siano "l'inferno". Allora la soluzione è quella di cercare una realtà alternativa, paradisiaca, angelica, che ci protegga da questo mondo che ci ha così potentemente deluso. Le stesse dinamiche si ripetono in chi sceglie, invece che la malattia mentale, l'abuso di sostanze, oppure l'identificazione rigorosa nei modelli familiari, perpetuando il disagio nelle generazioni successive.
In ogni caso bisognerebbe chiedersi anche quanto sono serene queste persone, quanto soffrono nella loro condizione e come poterle aiutare, magari semplicemente accettando la loro condizione, accentandoli nei loro deliri, che solo raramente sono pericolosi per gli altri.
#1469
Tematiche Filosofiche / Metafisica del coronavirus
08 Gennaio 2022, 16:54:51 PM
Gli ultimi due interventi, oltre ad essere insulsi sono anche inutili e appesantiscono la discussione. Prego tutti di riflettere e non di scrivere compulsivamente le prime stupidaggini che ci vengono in mente. Grazie.
#1470
CitazioneSe lasciamo perdere l'evoluzione biologica dell'uomo e ci riferiamo all'umanità nel senso di insieme di popolazioni, allora bisognerebbe chiedersi quale sia la forza che dovrebbe indurre alla compensazione dei propri limiti tramite le virtù dell'altro, e viceversa.A che cosa si dovrebbe questa spinta?L'essere umano dimostra in ogni circostanza di non avere naturalmente una propensione all'equilibrio e a questo genere di compensazione "altruistica".Solo l'indottrinamento di un'ideologia o di una religione o di una morale può condurre per esempio il ricco a dividere le proprie risorse con i poveri, o spingere una persona a fare lo sforzo di mettere in comune le proprie capacità.Quindi si tratterebbe di un processo di perfezionamento (se questa tendenza all'equilibrio viene intesa come perfezionamento) che andrebbe guidato, alimentato in qualche modo.Si dovrebbe verificare un cambiamento radicale dell'umanità. E questo proprio in un periodo in cui l'individualismo domina, e dove anche morale e religione non sono più in grado di scalfire l'idolatria del benessere...

Un anedotto che gira da sempre su internet è quello dello studente che chiese a M. Mead quando fosse iniziata la civiltà. M. Mead rispose: quando si scoprì lo scheletro di un uomo primitivo sopravvisuto per diversi anni ad un femore rotto. Ciò significava che per diverso tempo l'uomo con il femore rotto fu assistito e curato dai suoi simili, dal suo clan, dalla sua tribù. Secondo l'insegnante di biologia animale, Panksepp, noi mammiferi abbiamo dei campi emotivi primari che condividiamo con tutti, proprio tutti i mammaliani e fra questi (in tutto sono sette) c'è il campo emotivo della cura, in primo luogo dei familiari, ma che via via si estende ai parenti più lontani, al clan, al paese, alla nazione ed oggi al mondo intero.
I circuiti della cura sono presenti nel cervello subocorticale e prevalentemente nel mesencefalo. E allora perchè l'uomo è così crudele, egoista, terribile? Dove va, a farsi friggere, questo campo emotivo della cura? Anche qui la risposta è nel nostro cervello, ovvero nella parte cosiddetta della neo-corteccia, che è presente in tutti i mammiferi, ma che ha raggiunto dimensioni esorbitanti solo nei grandi primati e in primo luogo in homo sapiens. La neo-corteccia ha sviluppato delle competenze sconosciute al mesencefalo, perchè riesce ad interrogarsi su di sè, sul rapporto fra sè e gli altri, sul rapporto fra sè e gli altri e il mondo, sul rapporto fra sè, gli altri, il mondo, in relazione alla cultura o culture dominanti.
In questo modo i campi emotivi di base possono essere ristrutturati anche in relazione alla differenziazione sociale, inesistente nelle prime società primitive.
In questo nuovo contesto neo-corticale, ha effettivamente senso un percorso di "educazione neo-corticale", poichè solo attraverso l'apprendimento e l'educazione è possibile cablare in senso altruistico e pro-sociale la neo-corteccia. Ma la plasticità della neo-corteccia è tale che può essere cablata anche per esercitare il massimo egoismo e considerare i neri delle bestie da soma e gli altri dei soggetti da sfruttare, fondando questo cablaggio sulla ripetezione di pattern comportamentali e sull'adozione di ideologie/culture legittimanti.
Questo per dire che c'è una parte più antica del nostro cervello, dove vige un campo emotivo di cura, essenziale per la riproduzione della specie ed anche una delle cause del nostro successo come specie animale, ma quella successiva, la neocorteccia, che a sua volta è stato il motore essenziale del nostro benessere, è talmente plastico da riuscire a bypassare i campi emotivi di base, ad esempio dissimulando, manipolando, mostrando freddezza anche in un momento di altissima tensione e creando emozioni più complesse che non esistono fra quelle di base come la shadenfreude, ovvero la felicità di vedere il nostro prossimo nei guai. E' per questo motivo che solo fra gli uomini è possibile trovare uomini come Gesù e come Caligola (cambio per non fare di nuovo reductio ad Hitlerum). Le formiche e le api, anche loro detentrici di un proprio cervello non si possono permettere questi voli pindarici.
Detto questo, sta poi all'etica cercare di stabilire cosa vogliamo fare di questa neo-corteccia così versatile.