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Messaggi - Phil

#1471
Citazione di: viator il 18 Maggio 2019, 17:14:13 PM
Certo ci sono le tesi precostituite (storiche in quanto fondate da altri attraverso le scuole ed i tempi) e ci sono (o meglio, dovrebbero esserci, visto che non me ne vengono in mente) i contributi originali, cioè quelli (belli o brutti, deliranti o razionali) che evitino di citare il già detto, preferendo concentrarsi su delle interpretazioni innovanti, inconsuete, discutibili.

Personalmente non amo i vessilliferi di "verità" e "tradizioni" preconfenzionate, d'altra parte se chi le sostiene è convinto di esse...........basterà che non se ne mostri ossessionato, altrimenti le sue insistenze da convincenti potranno solo diventare annoianti.
Rivisiterei in merito la domanda del topic: cosa accade quando l'immanente si apre all'esperienza del trascendente, ovvero quando una teoria non viene presentata agli altri nella sua immanenza (struttura logica, argomentazioni, categorie, domande, etc.) ma nella sua esperienza trascendente di verità (magari esperita individualmente)?

In ambito amatoriale (forum) è normale l'imprecisione della forma e dei contenuti ed è curioso che con questa raffazzonata base di partenza si abbia talvolta la velleità di propugnare la verità dei propri "maestri". Finché si propongono i ragionamenti dei/sui propri idoli, si può aiutare i meno informati in materia ad imparare qualcosa e magari può innescarsi uno stimolante "lavoro di equipe" (sulla comprensione, non sulla verità). Tuttavia se invece si propone direttamente la verità (propria o di un maestro) è piuttosto normale trovare talvolta diffidenza da altri punti di vista e persino obiezioni autorevoli ed autorali (ricorrendo ad altri autori, con il rischio che scatti la "guerra delle citazioni" e la filosofia degeneri in filologia).

La differenza fra la comprensione di una prospettiva filosofica e l'identificazione della verità (filosofica) è che la prima può essere praticata anche partendo da paradigmi differenti (se lo scopo è capire il pensiero di un autore o di una corrente), la seconda invece tende ad unificare assiomi e impostazioni (fermo restando che, in generale, per ognuno la propria verità sarà "evidente" e saranno gli altri a non capirla).

Chiaramente, capire un autore non significa essere d'accordo con lui, ma, secondo me, è persino più utile e interessante di essere d'accordo con lui, soprattutto se senza averlo capito in "profondità" (comunque nei limiti della superficialità propria dei forum come habitat amatoriale). Qual'è dunque la priorità di un qualunque thread: la ricerca dell'aver ragione o il capire la ragione altrui? Se si cerca la verità (filosofica o altro), questo è davvero il posto adatto?

Un esempio eloquente possono essere le citazioni: quando si parla di un autore, si citano spesso le sue conclusioni (che con il suo nome affianco suonano autorevoli), anche se costituiscono materiale logico inutilizzabile per la discussione, poiché ciò da cui una discussione filosofica attinge materiale può essere il processo che ha portato a quei risultati (il famoso «argomentare»), non tanto una conclusione decontestualizzata e incorniciata. Sarebbe come enunciare il risultato di una formula matematica senza esplicitare la formula e poi chiedere di parlarne: probabilmente altri useranno altre formule e giungeranno ad altri risultati.

Ad esempio (non me ne voglia Carlo se lo uso come esempio) l'ultima citazione di/da Jung contiene una interessante constatazione storica («nel diciannovesimo secolo...») seguita da un'osservazione personale non spiegata né argomentata: «la coscienza comune non ha ancora scoperto che...» seguita da affermazioni che criticano «il credere con assoluta certezza» in alcuni rapporti, redarguendolo come «presuntuoso e fantastico». Non c'è alcuna argomentazione; infatti qualcuno potrebbe definire "presuntuoso e fantastico" il contrario rispetto a Jung, innescando uno scontro fra affermazioni piuttosto che un dialogo sulle argomentazioni (assenti).
Ovviamente non si possono citare intere pagine di un libro, nondimeno citare affermazioni non argomentate rischia di alimentare solo quell'ipse dixit che oppone i propri idoli a quelli degli altri, in una diatriba fra "idola theatri"(Bacone) in cui il forumista diventa "vassallo del suo signore", più che pensatore in proprio (ruolo che in forum potrebbe ambire ad avere).

Fare invece il caustico recensore dei grandi nomi della storia della filosofia, comporterebbe invece una conoscenza di base (e una comprensione dei loro temi) ben oltre quella di Wikipedia e Treccani, altrimenti si ricade nella "(post)verità che è ciò in cui si crede del pensiero altrui" (alimentando magari una casistica che, beffardamente, è proprio quella che si tende a screditare).
#1472
Citazione di: viator il 17 Maggio 2019, 23:41:42 PM
Salve. Scusate. Avete mai preso in considerazione l'esistenza di una trascendenza relativa e di una trascendenza assoluta ?
[...]
La trascendenza relativa è quella che vede generarsi significati non immanenti [...] perchè è proprio e solamente da tale evidente paragone che una trascendenza (relativa, appunto) può venir riconosciuta come tale.

La trascendenza assoluta è invece, "semplicemente", uno degli attributi dell'assolutezza, cioè il suo risultare estranea ed intrinsecamente separata dal relativo.
Questa distinzione ricorda un po', pur con qualche differenza, quella fra «trascendente» (contrario di «immanente») e «trascendentale» (in Kant ma anche in altri; come qui è brevemente spiegato).
#1473
La domanda del topic, secondo me, contiene già la sua risposta: le visioni (quelle oggetto del discorso) sono soggettive, nel senso di personali, così come sono personali i 5 o più sensi (ovvero non possono essere interscambiati fra più soggetti); anche la mistica, come vissuto esperenziale, è soggettiva (in tutti i sensi del termine).
Il punto di partenza della domanda mi sembra essere che le visioni mistiche non possono che essere soggettive (in sincerità, non so se siano mai accadute spontanee "visioni di massa", senza che girassero fra la folla tisanine di ayahuasca o altri "richiami" per spiritualità). Tali visioni soggettive sono anche illusioni? Essendo percettivamente soggettive e non trasferibili, l'eventuale vaglio intersoggettivo presuppone delicato dialogo ed estrema fiducia nella narrazione dell'esperienza; ciò nonostante non si potrà mai verificare se siano davvero illusioni, illuminazioni o illocuzioni affermative (salvo vivere collegati a determinati macchinari, ipotesi piuttosto improbabile e che comunque non vieterebbe di sostenere che quelle anomalie cerebrali siano il modo biologico con cui l'immateriale comunica con il materiale... all'infalsificabilità immaterialistica mi pare non ci sia soluzione).

Se ho esperienza sensibile di una bottiglia, posso passartela ("tu" generico) e sapere che ne pensi; anche tu la percepisci trasparente, liscia, leggera, etc.? Forse si, forse no. Se Kant parla di a priori trascendentali della conoscenza (o qualunque altro filosofo parli di categorie gnoseologiche), se ne può discutere anche in piazza: «quanti ragionano e conoscono secondo le categorie kantiane, alzino la mano!»; segue poi rapida conta di coloro con le mani basse a cui si chiedono spunti di riflessione per un paradigma alternativo o integrativo.
Se invece ho un'esperienza mistica con visioni, non posso porgerle al mio vicino e chiedergli se anche lui vede quelle forme, quei colori, quei simboli, etc. per sapere che ne pensa. La differenza fra esperienza mistica soggettiva (spirituale) ed esperienza percettiva "condivisibile" (materiale) è perlopiù questa. Il che non significa che l'esperienza materiale e condivisibile sia "più vera" (non è detto che la quantità faccia la qualità), ma almeno c'è un'esperienza comune su cui riflettere.
[Sono superfluo nello "spiegare" questa differenza, ma ho notato che talvolta se ne parlava come fosse un'argomentazione dirimente fra "pregiudizi" materialisti e diritti spiritual-teoretici della metafisica "razionale" (appellativo figlio del "compromesso storico"... anche se al volo non ne colgo il senso: c'è anche una metafisica che si autodefinisce irrazionale? Forse quella di De Chirico?)]

Se non si sente il bisogno di ricorrere alla comprensione (in entrambi i sensi) del pubblico, sia esso composto da credenti, psichiatri, occultologi, filosofi, forumisti o altro, potrebbe essere perché ci si è posti su un cammino individuale (di fede e/o rivoluzione dello scibile umano) che non necessita, prima del "compimento", né di approvazione comunitaria, né di prematura divulgazione. Viceversa, l'incomprensione e la polemica sono dietro l'angolo; soprattutto se si è nella sezione «filosofia» (forse in «spiritualità» ci sarebbe stata un'accoglienza meno avversa).
E a questo punto che fine fa il contenuto delle visioni?
«Ognuno parla inevitabilmente del suo scarafaggio», direbbe Wittgenstein (e Pino Daniele avrebbe una colorita, ma non volgare, postilla da aggiungere).


P.s.
@paul11
Il filone Kant-Husserl-Derrida (trascendentalismo-fenomenologia-decostruzione) è di per se tanto fertile quanto spigolosamente impopolare; soprattutto il passaggio fra gli ultimi due è un momento chiave e futuribile della contemporaneità (e qui il «secondo me» non ci stava bene), sebbene la sua "storia degli effetti" (Wirkungsgeschichte, per dirla con Gadamer) è ancora "immatura" per essere patrimonio consapevolmente condiviso dalla comunità (o meglio, viceversa), resta una questione ancora molto "specialistica" (comunque condivido l'istanza del tuo spunto).
#1474
Tematiche Filosofiche / Re:L'immagine della realta'
15 Maggio 2019, 20:03:18 PM
Citazione di: Sariputra il 15 Maggio 2019, 11:33:40 AM
Tra l'altro i problemi non sono solo quelli che sorgono per effetto del pensiero, ma anche quelli dati dall'avere un corpo...
Credo che finché il corpo alimenta "a presa diretta" lo specchio, non si stia poi malaccio; o meglio, suppongo sia la vita standard di tutti gli animali, fra dolore e piacere, "fortuna" e "sfortuna", etc. I problemi tipicamente umani sorgono quando si mette di mezzo (fra corpo e specchio) il pensiero, che può produrre meraviglie tecniche e falsi rebus, paranoie e capolavori artistici, etc.
Per questo credo fermamente anche io che
Citazione di: Sariputra il 15 Maggio 2019, 11:33:40 AM
Avere consapevolezza dei limiti della ragione, della logica e quindi di tutta la manipolazione simbolica  aiuta
e quasi quasi direi che è l'aspetto più utile delle filosofie, perché senza il senso del limite, che spesso è anche il limite del Senso (per quanto aporetico), secondo me ci si abbrutisce (filosoficamente) più di un qualunque animale senziente.



Citazione di: Ipazia il 15 Maggio 2019, 13:08:32 PM
ciò da cui intendo salvarmi è quella particolare declinazione che, rifiutando aprioristicamente ogni fondamento etico, sfocia nel mare magnum che Hannah Arendt definì efficacemente "banalità del male". Includendo in ciò anche le tecniche palesi e occulte di banalizzazione.
Pur risultando spesso consapevole spacciatore di banalizzazione, concordo che il male non sia (mai) banale e forse proprio l'esperienza del male è il primo passo per fondare una morale. Che poi ci siano più mali, quindi più fondamenti possibili e quindi più morali, non comporta che il pluralismo vada a braccetto con la banalizzazione. Anzi, decifrare e capire una pluralità di paradigmi (come ci consigliano sia la realtà che la storia della filosofia) è sfida ben più impegnativa (e interessante, almeno secondo me) di ridurre tutto ad una chiave di lettura con categorie al singolare (la verità, giustizia, bellezza, bontà, etc.).
Ovviamente non sto parlando dello stabilire la forma dei pianeti o studiare la forza di gravità, ma del rapporto uomo/filosofia. Anche se, come ricordava Sariputra, de gustibus... e accettare che nei "gustibus" altrui possa rientrare anche il banalizzare un filosofo antico, è un esercizio propedeutico molto utile alla pratica del "pluralismo estremo".
#1475
Tematiche Filosofiche / Re:L'immagine della realta'
15 Maggio 2019, 11:18:07 AM
Citazione di: Sariputra il 15 Maggio 2019, 09:36:30 AM
Trovo del tutto giusto quello che dici a proposito della coscienza se la intendiamo "come atto consapevole del pensare", ma io lo vedo già come il momento dopo, quando inizia la manipolazione simbolica. Lo specchio è "prima" di quel momento... [...] Per questo mi sembra corretto dire  , come dico spesso, che la coscienza (che io intendo, alla "buddhista", come pura consapevolezza percettiva non discriminante o anche "retta attenzione"...in mancanza della quale si resta inebriati dai propri pensieri) contiene i fenomeni 'materiali' e non viceversa.
Secondo me la coscienza come flusso di percezioni non discriminanti, non è in sé un problema, proprio perché se è non discriminante non può essere problematica.
Problematici sono piuttosto i cocenti riflessi (e le riflessioni) del pensiero che evapora dallo "Specchio", appannandolo.
Il meta-problema è che tali problemi sono "necessari" se si accetta la comune interazione sociale, altrimenti vivremmo come (non è dispregiativo) animali senzienti allo stato brado (ovvero un armonioso paradiso in terra), senza quasi tutta la tecnologia (che servirebbe solo a produrre simulacri, attaccamento e brame), senza illusioni e senza nemmeno avere il bisogno di "lucidare lo specchio" (conoscerai i relativi koan meglio di me).
Per questo, rispondendo tardivamente alla tua domanda, non mi interessa il Nirvana: preferisco una pacifica partita al "gioco di società" che mi circonda (forse per una questione di masochismo, se il buddismo è antidoto al dolore).


P.s.
@Ipazia
Qualche post fa hai citato «extra ecclesiam nulla salus»; questo motto latino è connesso a (la condanna religiosa del)l'indifferentismo, la cui definizione ci può aiutare a capire meglio cosa non è il relativismo (per amor di sfumature), così magari non lo percepiremo come una minaccia da cui "salvarci" (per quanto è lecito che ognuno abbia le sue fobie).
#1476
Tematiche Culturali e Sociali / Re:La volgarità
14 Maggio 2019, 16:13:52 PM
«Volgare» etimologicamente significa «che appartiene al volgo, alla gente», ovvero: a tutti. 
Si tratta dunque del denominatore comune che ci unisce ai nostri simili, l'irremovibile punto di partenza della differenziazione sociale, che poi rende alcuni meno (esplicitamente) volgari. Quello che unisce tutti è la natura biologica umana, soprattutto nelle sue funzioni basilari che, di conseguenza, sono le prime ad essere volgari (sia etimologicamente che non): il mangiare, il defecare, l'urinare, il copulare, etc. Ne consegue che i principali divieti anti-volgarità sono: non si mangia con la bocca aperta e/o quando si parla, non si defeca/urina in pubblico (i bagni sono gli ultimi avamposti della privacy in un mondo "telecamerizzato"), non si parla pubblicamente della propria attività sessuale (qui i tempi sono un po' cambiati, ma sorvolo...), etc.

Piuttosto ironico che ciò che accomuna tutti non possa essere oggetto di discorso con tutti. Ancor più ironico che ciò che accomuna tutti, dopo la sua rimozione da parte dell'educazione (che ci e-duce dalla nostra volgarità di base), possa riaffermarsi e quasi riscattarsi/rivalutarsi in veste di comicità, seppur "comicità volgare" (che non richiede particolare arguzia per essere decifrata nelle sue sagaci trame allusive). 
Il fatto che tutte le espressioni volgari più diffuse (in molte, se non tutte, le lingue) abbiano a che fare con organi genitali e affini, è dovuto alla necessità di far appello al substrato comune (tutti abbiamo quegli organi) e/o è un modo per riportare a galla il censurato, sapendo così di scandalizzare e dare veemenza al proprio discorso (facendo leva sulla cultura sociale che reprime tali espressioni)?
Qui la prassi linguistica è nuda nella sua pedissequa convenzionalità: semanticamente, perché darmi del "testa di k@##0" (due parti del corpo) dovrebbe offendermi più dell'apostrofarmi come "orecchio di ombelico"(idem)? Solo perché nella prima si cita un organo sessuale? Usanze (non addentriamoci sulle dinamiche sottese all'offesa linguistica).

L'essere volgari, quando è sinonimo di essere naturali (spontanei), sia fisiologicamente che "narrativamente", è indice, come hai osservato, di confidenza e profonda amicizia. Proprio come il mostrare all'altro sesso i propri organi sessuali (almeno qui in europa) è sinonimo di predisposizione all'accoppiamento; viceversa, entra in gioco il pudore-vergogna come vestito sociale che copre la volgarità della propria nuda natura (che oggi, nell'epoca del "culto del corpo", significa: mi lascio giudicare solo da alcuni e in determinate condizioni).

La volgarità fa appello al nostro essere sempre e comunque gente (volgo) umana, questo può essere certamente strumentalizzato in vari modi: c'è stata l'epoca dove la volgarità andava repressa, "i figli dovevano andare in città a studiare" (non in campagna a lavorare), ciò che era bello era anche raffinato e raro, etc.. ora siamo forse nell'epoca della nemesi storica, per cui la volgarità è onesta trasparenza (v. il "tu" contro il "lei"), c'è il ritorno alla campagna e la svalutazione delle lauree, il bello estetico rivaluta anche il vintage e lo sfarzoso è diventato a sua volta "volgare", etc. 
Contrappassi e dialettiche dello "spirito del tempo" (Zeitgeist).

Tuttavia, come sempre, senza una forza oppositiva, senza un'avversione, qualunque elemento sociale (soldi, valori, mode, arte, etc.) può dilagare indiscriminatamente, inflazionandosi e perdendo la sua "forza performativa" (a causa dell'assuefazione), "forza" che si basa proprio sul non essere comune, scontato e... "volgare".
#1477
Citazione di: odradek il 13 Maggio 2019, 21:31:56 PM
citazione Phil :
la chiusura causale del mondo fisico è per me ipotesi logica, non postulato metafisico

citazione Ipazia :
Vedo che dopo di te qualcuno ha cercato subito di indurire la "chiusura"

Indurire la chiusura si, ma mai abbastanza.
Con "chiusura causale del mondo fisico" -concetto "utilizzato" nella filosofia della mente, ed inspiegabilmente utilizzato qua, totalmente fuori contesto- si intende la concezione che un atto mentale non possa "influenzare" il mondo fisico.

Come lo si intende qua non ho ben capito, ma pare essere una teoria secondo cui il mondo risponda solo ed esclusivamente a leggi fisiche.
Per «chiusura causale del mondo fisico» mi rifaccio alla definizione (trovata online): «ogni  evento  fisico  ha  nella  propria  storia  causale  solo  eventi  fisici  e  proprietà fisiche», definizione imputata a D. Robb e citata anche nell'approccio fisicalista di Jaegwon Kim.
Se dunque ogni evento fisico è causato solo da eventi fisici, allora c'è una catena causale di eventi fisici che non può essere aperta causalmente da trascendenze o da supposti enti immateriali; è a questo che alludevo quando scrissi
Citazione di: Phil il 03 Maggio 2019, 13:23:59 PM
Forse la "via empirica" suggerisce piuttosto che l'immateriale non ci sia (tautologia?); tutelando così la famigerata "chiusura causale del mondo fisico" che, altrimenti, esigerebbe una spiegazione di come ci sia uno spiffero-pneuma d'immaterialità a penetrare tale chiusura
La mia discutibile "scommessa" è che non ci sia altro rispetto a tale chiusura fisica del reale, includendovi anche ciò che viene genericamente definito "mente" e che non mi stupirei si rivelasse attività materiale esperita da un uomo materiale (molti hanno già palesato il loro totale dissenso in merito, tuttavia, in attesa/assenza di prove dirimenti, non cambio la mia "puntata").
#1478
Citazione di: Ipazia il 13 Maggio 2019, 10:47:16 AM
Citazione di: Phil il 09 Maggio 2019, 22:16:31 PM
non contesto l'utilità della metafisica (v. il mio ritenerla da tutelare, studiare, etc.), né tanto meno nego che sia utilizzata anche oggi da molti (il fatto che io non lo faccia, non è per me un vanto, solo una scelta, anzi «scommessa»); sulla sua validità e sulle sue tematiche classiche, ho addirittura scomodato Godel e il modus ponens per illustrarne la solidità logica: che poi la ritenga infalsificabile (poiché «valido», in logica, non significa «vero»), è dovuto alla sua stessa struttura, alla sua storia, al suo deduttivo scontrarsi con la chiusura causale del mondo fisico (almeno per come la vedo... fino a prova contraria).
Scommessa persa in partenza visto che la stessa chiusura causale del mondo fisico è un postulato metafisico "infalsificabile". (tu accetti le faccine ?)
Tuttavia, se provo a sbilanciarmi su quel tema, non mi resta che scommettere, proprio perché non c'è falsificazione possibile. L'alternativa sarebbe dire che non mi interessa, ma perché (rin)negarmi questo divertissement filosofico?

Inoltre, ad essere precisi, la chiusura causale del mondo fisico è per me ipotesi logica, non postulato metafisico (esempio del pensiero forte che "legge indurito" anche quello debole, perché altrimenti non lo decifra?).
Diventa postulato metafisico qualora è oggetto di fede e quindi viene creduto vero nonostante sia infalsificabile; tuttavia in tal caso siamo ben oltre lo scommettere: si scommette su ipotesi, si crede in postulati.
Un passo dopo: la fede produce certezze (quindi, dialogandone, diverbi e talvolta dilemmi); la scommessa produce al massimo "letteratura filosofica" (nel mio caso amatoriale; per gli "scommettitori professionisti", le poste in gioco sono di ben altro valore... o almeno così credono).


P.s.
Faccine indubbiamente ben accette (anche se ho scommesso di essere capace di farmi capire senza usarle più).
#1479
Citazione di: davintro il 12 Maggio 2019, 22:27:16 PM
la possibilità di dimenticare il concetto di "penna" dopo averlo formato non toglie in nulla il carattere di universalità. A prescindere dal fatto di dimenticarlo o ricordarlo, resta comunque un concetto che poniamo come valente per tutte le penne possibili in ogni circostanza, dunque come universale.
Non parlavo del concetto di penna in generale ma de
Citazione di: Phil il 09 Maggio 2019, 00:51:52 AM
la sua esatta forma astratta, ma è solo un "calco vuoto" nella mia mente
ed è qualcosa che nella tua mente (probabilmente) non c'è, perché magari non hai mai visto la forma esatta della mia penna, quindi non hai potuto astrarla. Il che non significa che tu non la riconosca come penna, ma dimostra che, come dicevo, l'astrazione non è sempre universale (almeno non lo è quella della forma esatta ed astratta della mia penna particolare).

Citazione di: davintro il 12 Maggio 2019, 22:27:16 PM
Il linguaggio non produce il pensiero, in quanto già nel momento in cui decidiamo di creare una parola per comunicare un'idea quell'idea dovrebbe per forza essere stata pensata
Eppure, nel momento in cui leggi (non pensi) una parola nuova ma intuitiva (il mio improvvisato esempio era «disilluminare»), il pensiero dell'azione corrispondente non è forse creato prodotto dal linguaggio scritto?
Se «il linguaggio non produce il pensiero»(cit.), com'è possibile apprendere nuovi concetti? Perché leggere libri (soprattutto, di filosofia)? Mera anamnesi?

Comunque, riguardo le idee che preesistono il rispettivo contenuto di esperienza cosciente, come dicevo
Citazione di: Phil il 09 Maggio 2019, 00:51:52 AM
Non entro nel merito dell'esistenza di idee platoniche latenti, eterne e universali, poiché è indimostrabile sia la loro presenza (almeno finché non affiorano/si formano) che la loro assenza (essendo per definizione inverificabili).
#1480
Citazione di: iano il 12 Maggio 2019, 00:38:25 AM
Forse era meglio se mi limitavo a fare un sondaggio.
Barrate una delle tre seguenti.
1. Determinismo.
2.Casualita' .
3.Determinismo e casualità. ☺️
Citazione di: iano il 12 Maggio 2019, 00:47:43 AM
Con la 1 o con la 2 in modo esclusivo , si giunge a paradossi.
Con la 3 si parte da un paradosso.
Oppure pensate ci sia un 4 , 5 ,..., n , che a me sfuggono ?
Il quarto punto (allusione implicita dei miei sproloqui fra poesie, infalsificabilità, tetraedi, falsi problemi, conflitti teoria/pratica, etc.) sarebbe proprio il paradosso: accettare l'aporia della ragione umana, il suo andare in stallo su dilemmi la cui soluzione sarebbe omniesplicativa.



P.s.
Citazione di: Sariputra il 12 Maggio 2019, 15:12:07 PM
Come può lo specchio "misurarsi"? Con quali parole si può descrivere? Se sei là non sei qua e se sei qua non sei là. Perché hai bisogno di indizi? Osservati...sei già l'osservatore. Cerchi 'fuori' quello che hai 'dentro' ?
Sono l'osservatore ma, nel mio piccolo, credo di essere stato causato (o i miei genitori mi hanno mentito? Non dico la mia memoria, perché già so che essa mente e seleziona a piacere). Oltre ad essere causato, mi vedo anche piuttosto condizionato, sia fuori che dentro (dalla ragione, dalla volontà, etc.).
Sarà perché non ho ancora raggiunto il nirvana? Se la mia volontà non vuole raggiungerlo è perché la mia ragione non glielo suggerisce, perché la mia ragione è ancora ignorante, perché l'ignoranza è il punto di partenza della ragione umana, perché il punto di partenza è la nostra (ri)nascita,  perché... niente, non ne esco (né dal ciclo delle rinascite, né dalla catena causale). Mettiamo a un certo punto un bel "incausato" e fissiamoci la catena.
Non prendermi (troppo) sul serio, so che con te posso scherzare... siamo pur sempre in un p.s., no?
#1481
Citazione di: odradek il 11 Maggio 2019, 23:59:30 PM
a Phil
citazione:
non c'è dunque né trascendenza né utile comune che siano fuori dal dinamismo materiale della catena causale.

Affermazione di stampo e carattere squisitamente marxista
Eppure involontariamente marxista: lo conosco poco e non è stato la musa della mia affermazione, tuttavia mi lusinga che lui sia d'accordo con me.

Citazione di: odradek il 11 Maggio 2019, 23:59:30 PM
L'etica ed il comportamento etico [...] sono temi che riguardano anche l'antropologia e non solo la filosofia.
Etica e comportamento etico sono un "prodotto" prima evolutivo e poi storico.
L'antropologia, nonostante la sua etimologia non lasci dubbi, è spesso sottovalutata dai filosofi; eppure un domani (lontano?) una potrebbe diventare persino "sottoinsieme" dell'altra.



Citazione di: Sariputra il 12 Maggio 2019, 09:26:21 AM
La libertà è data dalla volontà che è tanto più libera quanto più fondata sulla ragione. La libertà ha la sua causa nella volontà della ragione [...] E' importante inserire volontà e ragione come cause dell'agire e della scelta. Volontà e ragione che sono sì causate e condizionate ma anche causanti e condizionanti.
Credo che la questione sia proprio il come/da cosa «volontà e ragione sono causate e condizionate»(cit.). 
Se la volontà è causata dalle proprie cause (che ignoriamo?), in cosa consiste la sua libertà?
Non è paradossale dire che tanto più la volontà è fondata (quindi condizionata) dalla ragione tanto più è libera?

Se la volontà non è libera (nel suo volere), proprio perché dipendente/originata dalle proprie cause e dalla ragione, ciò non rispetta la causalità deterministica dell'origine condizionata-dipendente (pratītyasamutpāda)?

Citazione di: Sariputra il 12 Maggio 2019, 09:26:21 AM
Naturalmente io escludo l'elemento detto "coscienza" ( non nell'accezione di "pensiero di sè"...)dall'esser soggetto a cause e condizioni in quanto semplice "osservatore" dell'intero processo. Un puro specchio riflette le immagini ma non ha niente a che fare con le immagini...
Eppure, questo specchio osservatore è davvero senza causa? Sia che lo pensiamo come specchio individuale che come frammento di uno specchio più grande, perché gli concediamo la deroga dalla legge causale? Si tratta di un bisogno teoretico (per fondare la struttura che ne deriva) o abbiamo indizi in merito?



P.s.
Citazione di: Ipazia il 11 Maggio 2019, 23:52:12 PM
Il problema non si pone perchè le facce del tetraedro non sono equivalenti: esso casca sempre dove la realtà pesa di più. E non è certo dalla parte della "catena causale individuale" o della robotica umana.
Bene, voler poter eliminare una possibilità è già un passo avanti (a me sembravano quattro possibilità infalsificabili, soprattutto a partire dalla realtà).
Condivido l'auspicio sgiombiano, ma spesso anche io non lo pratico (soprattutto quando cito poesie); ho già la mia trave di cui occuparmi, quindi trascuro le altrui pagliuzze.
#1482
Citazione di: Ipazia il 11 Maggio 2019, 20:32:53 PM
L'"etica relativista" va alla grande ed è l'applicazione pratica del piano teorico "relativismo etico".
Non indugio oltre sull'off topic delle definizioni di relativo/relativista/relativismo, perché prendo atto che sono anche loro... relative.

Citazione di: Ipazia il 11 Maggio 2019, 20:32:53 PM
Essa è un  bell'ossimoro davvero perchè nega (almeno quella scientista che spesso si accompagna) il libero arbitrio e sposa l'arbitrario in etica. Ossimoro per nulla casuale, ma assai strumentale.
Secondo me, il «libero arbitrio» e l'«arbitrario in etica» sono combinabili a piacere:
- negare entrambi: tutto è causale, niente libero arbitrio e niente arbitrarietà in etica, poiché in entrambi gli ambiti ogni causa precede il suo effetto in un meccanicismo inviolabile in cui l'uomo è mera rotella (e non "canna pensante"), per cui anche in etica c'è solo consequenzialità causale.
- affermare entrambi: c'è il libero arbitrio, perché l'uomo ha una volontà libera e in etica c'è l'arbitrario poiché, proprio in virtù della propria volontà libera, ogni uomo decide cosa è giusto, ammiccando liberamente alla (sua) volontà di potenza.
- libero arbitrio si, arbitrario in etica no: ogni uomo ha la sua volontà libera, ma in etica non c'è arbitrarietà, poiché il Bene è uno, (pre)definito, non opinabile (così come il Male), per cui l'uomo è libero di scegliere, ma la "risposta esatta" è solo una.
- libero arbitrio no, arbitrarietà etica si (la combinazione che hai citato, quindi l'ho lasciata per ultima e mi dilungo); le azioni dell'uomo sono la risultante di processi che lo muovono e su cui egli non può intervenire, poiché anche la sua stessa volontà rientra in tali processi causali (anche se egli non lo sa), anche essa fa parte del maccani(ci)smo cosmico. Tuttavia, c'è un'arbitrarietà etica poiché ciò che è deterministicamente creduto giusto da alcuni, non è altrettanto giusto per altri (essendo ciascuno inserito in una differente "individuale" catena causale); inoltre, non può esserci un unico "bene" che possa essere oggettivamente valido per tutti, perché gli stessi concetti astratti (come quello di bene) sono causalmente derivati dai rispettivi ragionamenti immanenti e non c'è dunque né trascendenza né utile comune che siano fuori dal dinamismo materiale della catena causale.

Per scegliere, essendo quattro opzioni, non si può lanciare né dado, né moneta; sarebbe stato ironicamente pertinente, no? Ci tocca usare un tetraedro, un po' più difficile da reperire...
#1483
Citazione di: odradek il 11 Maggio 2019, 11:24:02 AM
Pretendere invece che i meccanismi del mondo reale si conformino ai meccanismi di funzionamento del pensiero logico è altra cosa, ed è proprio quello che i "dogmatici" -quelli che chiami metafisici duri e puri- si ostinano a voler far credere.
[...]
Casualità e determinismo sono concetti, non sono leggi di natura. Sono impalcature del pensiero e non "modi " del vivente.
Osservazioni importanti che ci ricordano che è, come sempre, fondamentale distinguere i piani: la consapevolezza degli a priori kantiani della ragione umana (spazio, tempo, causa/effetto) è un piano; la meta-consapevolezza che questi a priori sono solo umani e che quindi, (mio solito "mantra") "il segno non è il significato", ovvero l'interpretazione del mondo non è il mondo (parlavo infatti di possibili «falsi problemi, eco dei limiti della nostra ragione») è un altro piano.
Il che non significa che usando quegli a priori non riusciamo a inviare sonde nello spazio, ma solo che alcune applicazioni di quegli a priori comportano impasse e aporie, che non possono essere risolte "esternamente" alla ragione perché sono solo un suo bug interno.

Concedere alla scienza che in teoria sarebbe possibile decifrare la catena causale anche di eventi che ora ci sfuggono, non mi pare da "duri e puri", se si chiarisce al contempo che in pratica la mente non riesce a spiegare l'esito dell'azione della mano in un lancio di dadi (non proprio il gesto più ardito e sperimentale che l'uomo possa compiere...).
Solo sfumature? Talvolta i pensieri forti tendono a "vedere induriti" anche quelli deboli, perché altrimenti non saprebbero decifrarli (è una utile lezione che ho imparato discutendo qui; non è una polemica, ma un "grazie").


P.s.
A chi ha citato l'«etica relativista»: questo concetto mi pare un non senso, poeticamente ossimorico, ma logicamente quasi autocontraddittorio. Se si intende «etica relativa», sarebbe opportuno distinguere ciò che è relativo da ciò che è riferito al relativismo (ovvero «relativistico»), proprio come è funzionale distinguere «materiale» da «materialista». Se si intende invece «relativismo etico», bisogna guardarsi dal "fatale" rovesciamento dei piani logici, in cui si inverte l'approccio filosofico con l'oggetto dell'approccio filosofico; ovvero si parla (con «etica relativista») di un'etica del relativismo(?) o di un'etica che si (auto)relativizza(?), al posto di un relativismo dell'etica (tuttavia in merito c'è un altro topic, già compilato).
Solo sfumature? Vedi sopra.
#1484
Citazione di: Carlo Pierini il 10 Maggio 2019, 22:45:19 PM
Citazione di: Sariputra il 10 Maggio 2019, 16:41:42 PMil giocatore sceglie che carte giocare ma non le carte che ha in mano, e può giocare solo partendo da quel che è dato. Questo non è una 'limitazione' ,ma un manifestarsi nelle possibilità della natura del giocatore nella vita.
CARLO
Mi sembra un'ottima metafora dell'esistenza in relazione all'insieme "determinismo/casualità/libertà". C'è la casualità (l'imprevedibilità delle carte che saranno servite), c'è il determinismo (le regole imprescindibili del gioco) e c'è la libertà (la scelta delle carte da giocare volta per volta).
Proponi un'interessante rivisitazione dell'aforisma «La vita è come una partita a carte: la mano che ti viene servita rappresenta il determinismo; il modo in cui la giochi è il libero arbitrio» (Nehru).
Stando alla tua lettura (se non ho frainteso) ci sarebbe quindi una «casualità» dell'«l'imprevedibilità delle carte che saranno servite»(cit.) che diventa determinismo per il giocatore (costretto a poter giocare solo le carte che gli sono state servite) che, conformemente al determinismo delle «regole imprescindibili del gioco»(cit.) sceglie liberamente le carte da giocare, che condizioneranno deterministicamente gli altri giocatori, che sceglieranno liberamente, ma solo fra le carte che hanno (determinismo) e così via; giusto?

Personalmente, parafraserei il motto in «vivere è come lanciare dadi: è la tua mano che tira, ma la tua mente non è in grado di calcolare quale sarà l'esito».
Corollario: «anche se a volte ci indovina, essendoci comunque un numero finito di risultati possibili (come è finito il numero di "elementi" coinvolti in una vita) ed essendo in teoria anche possibile calcolare l'esatta posizione di atterraggio del dado, se si conoscessero tutte le forze fisiche coinvolte».

Quando ci viene chiesto di tirare un dado, siamo noi a decidere con quanta forza, quanta rotazione del polso, etc. ma in base a quale scopo (a parte non lanciarlo troppo lontano, come direbbe Feynman) la nostra mente regola l'intensità della spinta, etc.? Perché di fronte all'obbligo di tirare, qualche volta tiriamo più forte, altre più piano, etc. non avendo comunque idea di quale sarà l'esito?
La nostra mano esegue un movimento casuale, deterministico, libero o altro?
#1485
Brainstorming:
- se accettiamo l'assioma che «tutto ha una causa», allora è contraddittorio pensare che ci sia una Causa prima che non ha una causa. Ammettere un'eccezione a quell'assioma è un gesto teoretico infondato: dal punto di vista logico non funziona (autocontraddizione), dal punto di vista empirico è inverificabile (e sostenere «tutto ha una causa tranne x» pone il problema di giustificare tale arbitraria eccezione; problema epistemologicamente irrisolvibile).
Anche un tempo ciclico non fa eccezione: la sua circolarità da cosa è causata? Si è auto-causata? Se postuliamo qualcosa di auto-causato o contraddiciamo il suddetto assioma (solitamente accettato anche dalla visione ciclica) o dovremmo spiegare a che punto porre (basandoci su cosa?) tale autocausazione: fuori dal tempo ciclico? Baratro colmabile solo dalla poesia. In un'eternità circolare? Allora, eternità per eternità, anche quella lineare ha il suo senso: se è eterna, non importa se la sua forma è il cerchio, la linea retta, la parabola o altro. 
Il concetto di eternità, per quanto (tauto)logicamente inverificabile, non mi pare auto-contraddittorio.

- (pur ritenendo personalmente il caso un dissimulato "segnaposto della nostra ignoranza", come disse qualcuno), il caso non può essere considerato a sua volta una causa, seppur non-razionalizzata/irrazionale, rientrando dunque in una forma di determinismo? Oppure se non c'è previsione razionalizzata non può esserci nemmeno determinismo?

- Forse sono solo falsi problemi, eco dei limiti della nostra ragione (e della sua storia).
«La campana del tempio tace,
ma il suono continua
ad uscire dai fiori»
Basho