Se Yeoshwa non avesse promesso la "vita eterna" dell'Io, che successo avrebbe avuto il Cristianesimo come essenziale religione dell'agape? Se proprio questo Io personale, nel quale mi identifico, non fosse stato nobilitato dalla speranza di sopravvivenza eterna ( e non solo dell'Io ma di tutto il corpo "trasfigurato"...) quanti di noi non lo tratterebbero come un semplice, profondo e magari affascinante, percorso di pochi iniziati, un daoismo di natura mediorientale, per capirci? Ci domandiamo mai perché le religioni come il Cristianesimo e l'Islam abbiano fatto tanti proseliti in tutti le classi sociali dell'umanità? Forse perchè erano più "vere" delle altre o perché invece costruite a misura dell'Io umano che non accetta la sua trasformazione? Se Yeoshwa avesse detto: "Dovete amare con tutto voi stessi l'altro...ma sappiate che non ve ne verrà alcuna ricompensa, nessun vantaggio in questa vita e neppure nell'altra". Credete che staremo qui sul forum a discuterne per 32 pagine? No signori...ne parliamo e se ne parla tanto perché vogliamo sopravvivere alla morte! E' l'io , con la sua insaziabile sete di godimento, che pensa sia desiderabile vivere in eterno. Perché vivere in eterno? Se pensiamo ad una dimensione come quella prospettata dal Cristianesimo nella Parusia ci accorgiamo , se guardiamo con mente serena e sgombra di pregiudizi, che è esattamente il mondo perfetto costruito a misura dell' io umano. Per non parlare della visione del Paradiso islamico in cui non c'è solo l'eternità dell'io umano ma pure anche i suoi godimenti attuali...Tutto questo ha un sapore troppo umano, per esser vero...
Siamo capaci di amare solo per amore dell'amore? Senza aspettarci nulla? Nessuna lode e nessun biasimo; nessun paradiso e nessun inferno; nulla...se non le nostre mani vuote che lentamente muoiono?...
In queste mani vuote c'è una Bellezza che nessun "testo sacro" può descrivere, nessuna religione indicare...nessuna filosofia abbracciare...
Siamo capaci di amare solo per amore dell'amore? Senza aspettarci nulla? Nessuna lode e nessun biasimo; nessun paradiso e nessun inferno; nulla...se non le nostre mani vuote che lentamente muoiono?...
In queste mani vuote c'è una Bellezza che nessun "testo sacro" può descrivere, nessuna religione indicare...nessuna filosofia abbracciare...

molti termini e concezioni buddhiste non trovano analogie, se non per approssimazione, con corrispondenti idee della filosofia o della psicologia occidentale...
Buddha, nel seguito del testo citato, afferma che questa è la sola possibile causa per la formazione delle idee di un sé: "Se ci sono il corpo, le sensazioni, le percezioni, le formazioni mentali e la coscienza, a causa di essi e dipendentemente da essi si manifesta la credenza nell'individualità ( indipendente)...e lo speculare relativo a un sé ( Samyutta Nikaya, 22: 154,155). Nessuna concezione eternalistica di un "vero sé" oltre le apparenza del sè convenzionale, e nessuna concezione eternalistica del Nirvana, in qualsiasi forma, è conciliabile con gli insegnamenti del Buddha esposti nei testi più antichi, ossia nel Canone pali. Personalmente ho trovato sempre utile tenere a mente che l'anatta ( o non-sé) è l'effetto di anicca ( impermanenza di tutti i fenomeni). Solo nella comprensione profonda, nel nostro "animo", che tutto passa si può capire la dimensione esistenziale dell'anatta. Per colui, Kacchana, che considera, secondo la realtà e con vera saggezza, l'originarsi del ( e nel) mondo, non c'é quella che nel mondo è chiamata 'non-esistenza' (natthita). Per colui, Kacchana, che considera, secondo la realtà e con vera saggezza, il cessare del ( e nel) mondo, non c'è quella che nel mondo è chiamata 'esistenza' (atthita). Questo mondo, Kacchana, è generalmente imprigionato nelle inclinazioni, negli attaccamenti e nei pregiudizi. Ma per quanto concerne queste inclinazioni, attaccamenti, rigidi atteggiamenti mentali, pregiudizi e tendenze profondamente radicate, egli ( l'uomo che ha la giusta comprensione) se ne tiene lontano, non vi aderisce, non nutre l'atteggiamento mentale: 'Io ho un sè'. Egli non ha dubbi o incertezze sul fatto che è la sofferenza, in verità, che appare ed è la sofferenza che cessa. Riguardo a questo la sua conoscenza non dipende dagli altri. Questo, Kacchana, è ciò che qualifica l'uomo che ha una giusta comprensione". (Samyutta Nikaya, 12:15). Adesso vado a bermi un pò di tachidol...