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Messaggi - Phil

#1486
Tematiche Filosofiche / Re:Cos'è la verità
19 Novembre 2018, 17:47:13 PM
Citazione di: Ipazia il 19 Novembre 2018, 14:20:04 PM
Citazione di: Phil il 19 Novembre 2018, 11:48:01 AM
Citazione di: Ipazia il 19 Novembre 2018, 10:01:05 AM
Una pistola inceppata non dice la verità. Usando una tua bella espressione può ancora semanticamente proiettare l'immagine ontologica di tal senso, ma la sua ontologia reale ha perso un pezzo essenziale per strada.
Proporrei di riporre la pistola poiché, seppur inceppata, qualcuno potrebbe farsi male cercando di (sovra)caricare la causa finale senza passare per quella formale (per dirlo con Aristotele, ma soprattutto con Bacone), il che rischia di far esplodere in mano il concetto primario di identità (persino della propria, in quanto umano...).
Se ci limitiamo agli apprendisti stregoni funziona così. Ma tenendo conto che ogni semantica richiede un interprete sapiente, si rimuove l'inceppamento e si riporta la pistola alla sua piena veridica forma. Senza che nessuno si faccia male.
Dunque la sua «piena veridica forma»(cit.), quella che la identifica, è quella della causa formale o finale?
Come chiedevo, una pistola rotta è una pistola falsa?

Citazione di: Ipazia il 19 Novembre 2018, 14:20:04 PM
l'etica non viene dal nulla. Essa guida l'agire nell'ethos solo dopo che l'ethos ha dato le dritte. E' questa la gerarchia reale. Solo dopo l'etica retro-agisce sull'ethos norma-lizzandolo.
Non ne sono persuaso; storicamente mi pare siano i modelli etici a dare le direttive che l'ethos talvolta accetta (v. circa tutte le religioni del mondo); l'accettazione "a furor di popolo" è crono-logicamente successiva alla proposta etica. Se mi concedi il ricorso alla mitologia: fu l'ethos a dettare le tavole a Mosè, o fu Mosè a dare le tavole al popolo, impattandone l'ethos? Sono le religioni ad aver plasmato l'ethos dei popoli o viceversa?

Citazione di: Ipazia il 19 Novembre 2018, 14:20:04 PM
[...]rapporta tra etica ed etologia (umana) che ridefinisce continuamente il concetto di bene, non certo omologandosi, ma superando la prassi comune quando questa viene intersoggettivamente falsificata:
[...]Anche i manuali etici hanno una loro testabile funzionalità verità. Alcuni principi delle tavole mosaiche sono tuttora perfettamente funzionanti. Il che significa che i fondamenti etici, i valori, sono a priori della technè che agisce sull'ethos.
Chiedo per conferma: inquadri l'etica non come prescrittiva (religiosa), né circoscrittiva (filosofica), bensì come descrittiva (sociologica); ovvero, finché una certa etica "funziona" socialmente (è accettata dalla maggioranza e non porta all'implosione della società), allora è veridica.
Se così fosse, l'unico passaggio che per me è "a vuoto" (forse perché non lo rintraccio nella mia prospettiva) è il nesso con la verità: affermare che l'etica vigente è vera/veridica, mi pare semanticamente ridondante («è vero che è bene lasciar posto agli anziani sul bus»), oppure significa che tale etica è reale, in atto («è vero che solitamente si lascia posto agli anziani sul bus») e qui si torna al funambolico barcamenarsi sul crinale che separa realtà (falsificabile e compilativa) e verità (interpretativa e non sempre falsificabile, nel caso un concetto non si esaurisca nella sua applicazione empirica, come nel caso del Bene di cui si occupa l'etica classica; concordo con te che attualmente l'etica possa avere un "taglio" ben differente).

Citazione di: Ipazia il 19 Novembre 2018, 14:20:04 PM
concordo col tuo, mi pare, discorso sulla non equivalenza dei diversi sistemi morali.
Confermo.
#1487
Tematiche Filosofiche / Re:Cos'è la verità
19 Novembre 2018, 11:48:01 AM
Citazione di: Ipazia il 19 Novembre 2018, 10:01:05 AM
Una pistola inceppata non dice la verità. Usando una tua bella espressione può ancora semanticamente proiettare l'immagine ontologica di tal senso, ma la sua ontologia reale ha perso un pezzo essenziale per strada.
Proporrei di riporre la pistola poiché, seppur inceppata, qualcuno potrebbe farsi male cercando di (sovra)caricare la causa finale senza passare per quella formale (per dirlo con Aristotele, ma soprattutto con Bacone), il che rischia di far esplodere in mano il concetto primario di identità (persino della propria, in quanto umano...).

Citazione di: Ipazia il 19 Novembre 2018, 10:01:05 AM
Un'etica inceppata - non più sincronizzata con le mutate condizioni etologiche - va messa fuori uso e sostituita con una che funziona. La veridicità di una progettualità etica non può essere autoreferenziale, ma, come ogni buona tecnica, va testata sul campo. Spesso i risultati sono imprevedibili.
Provo a parafrasare: un'etica «funziona» quando è «sincronizzata con le condizioni etologiche». Anche qui (come sopra), a parer mio, si inverte una gerarchia, quella (crono)logica fra l'etica che (per definizione) dovrebbe guidare l'agire, e l'agire etologico (altro tautos: etologia e etica sono "sorelle etimologiche" in ethos) che si trova a dettare il tempo della sincronia dell'etica (e se lei va fuori tempo, viene eliminata dal televoto ;D ).
L'etica è quindi mansueta amanuense delle vicende umane (e non più ambiziosa bussola che indica il bene) che è veridica se (de)scrive le abitudini, non più veridica se suggerisce altro dalla prassi comune?

Proporre che una teoria etica possa essere verificata funzionalisticamente come si verifica un meccanismo (e quindi si può prospettare persino un falsificazionismo etico) significa ridefinire (e rieccoci alla centralità concettuale del linguaggio) il concetto di «bene», tratteggiando una "etica 2.0" (più affine al percorso, o meglio, al binario di un'A.I.: funziona=1, non funziona=0).
Gesto teoretico certamente possibile, in cui il reale ("test lab" di ogni techné) viene invitato a sottomettere le aspirazioni trascendenti della storia del pensiero etico, rimpiazzando gli immutabili comandamenti religiosi con gli aggiornabili trattati di sociologia, psicologia delle masse, etc. Proposta squisitamente postmoderna (che quindi non mi lascia indifferente), ma che consiglierei di esporre con cautela e solo in circoli di fidati "carbonari"; l'imputazione di eretica empietà e di destabilizzazione dell'ordine verrebbe probabilmente testata come veridica e "funzionante"  ;)
#1488
Tematiche Filosofiche / Re:Cos'è la verità
19 Novembre 2018, 00:43:13 AM
Citazione di: Ipazia il 18 Novembre 2018, 17:48:36 PM
La verità di un artefatto sta nel suo funzionamento secondo progetto.
Intendi che una pistola inceppata e/o rotta non è una pistola vera (o una vera pistola), perché non «funziona secondo progetto»? Non è dunque vero/veridico chiamarla «pistola»?
Il rapporto che proponi fra veridicità e funzionamento/teleologia non è una questione di vocabolario/definizione/concetto, prima ancora che di verifica empirica?

Citazione di: Ipazia il 18 Novembre 2018, 17:48:36 PM
E questo vale anche in campo etico.
Intendi che ogni progettualità etica sancisce la propria veridicità? Se è così, correggimi se sbaglio, ogni etica ha la sua verità autoreferenziale e quindi restiamo nel girotondo del tautos intorno al logos, dei sistemi chiusi che si (auto)definiscono "aperti alla Verità", etc.
#1489
Tematiche Filosofiche / Re:Cos'è la verità
18 Novembre 2018, 16:41:25 PM
Citazione di: paul11 il 18 Novembre 2018, 12:23:57 PM
Perchè l' occidentale ha compiuto un certo cammino?
Domandone... semplificando brutalmente risponderei: perché c'erano le condizioni di possibilità per compierlo (e riecco il tautos del logos) e perché un immane ed immanente effetto domino (causa/effetto) l'ha spinto in quella direzione.

Citazione di: paul11 il 18 Novembre 2018, 12:23:57 PM
Noi utilizziamo altri domini, il pensiero con le sue sintassi logiche e appunto il linguaggio per capire e carpire dal dominio naturale.Ma noi vogliamo disvelarlo o "possederlo"?
Per me l'uomo-teoreta (dall'asceta al filosofo passando per l'esteta) vuole disvelarlo, l'uomo-tecnico mira a mano-metterlo per dominarlo, l'uomo-utente tende ad usarlo. Ogni epoca ha avuto i suoi teoreti, tecnici e utenti; la nostra non fa eccezione.

Citazione di: paul11 il 18 Novembre 2018, 12:23:57 PM
Come è possibile che pensiero e linguaggio che non appartengono al dominio naturale si debbano conformare e piegarsi come un animale alla necessità del sopravviere solo per trasformare "le cose" del mondo?
Non mi pare ci sia altra scelta (suicidio per inedia a parte). L'animalità è il substrato umano più inalienabile, a prescindere dallo sviluppo tecnico, dalla fede, dalla storia e persino dal linguaggio.

Citazione di: paul11 il 18 Novembre 2018, 12:23:57 PM
Dove sta il senso e i significati?
Secondo me, nell'uso concettuale del linguaggio (e quindi in numerose narrazioni possibili, anche in quelle che sembrano proiettare l'ombra ontologica di tale senso...).

Citazione di: paul11 il 18 Novembre 2018, 12:23:57 PM
Ma lo vediamo che si sono capovolti i paradigmi? Siamo altrettanto sicuri, non dico certi, che la storia della cultura è sempre un passo in avanti, per cui oggi siamo migliori di ieri?
Ma siamo davvero sicuri che l'uomo,al netto del benessere materiale, sia migliore?O è solo il benessere materiale ciò che conta?
Per giudicare questo capovolgimento di paradigmi serve un meta-paradigma (un paradigma che valuti altri paradigmi) e se ne possono edificare/scegliere di differenti; così come per parlare di miglioramento o peggioramento storico, oppure decidere «ciò che conta»... sono i criteri di lettura a dare valore ("ambiguo") alle evidenze.

Citazione di: paul11 il 18 Novembre 2018, 12:23:57 PM
Ci interessa davvero la verità, o ci nascondiamo dalla verità?
Domanda che presuppone una definizione di «verità»; e qui il cerchio si chiude riportandoci alla prima pagina del topic (e/o ognuno al suo "vocabolario").
#1490
Tematiche Filosofiche / Re:Cos'è la verità
18 Novembre 2018, 00:53:17 AM
Citazione di: paul11 il 17 Novembre 2018, 23:44:31 PM
Cosa è l'intuizione del tautos a cui persino Pierce e Wittgenstein, stremati dalle loro contorsioni , chi semiologiche e chi  linguistiche,, dissero che alla fine..............è quello il motore del pensiero.
L'evidenza empirica ha la sua funzione come verifica di fatti che coinvolgono enti empirici (ecco una prima forma del tautos). Per questioni etiche o puramente concettuali, non c'è una Verità fondante (oggettiva, verificabile, etc.), ma solo la verità conforme a quanto preimpostato dai suoi stessi assiomi (ecco un'altra forma del tautos), siano essi assiomi etici o matematici o esistenziali o altro (inevitabilmente arbitrari, culturali, personali, etc.).
Per questo distinguevo (ma senza proporre una separazione "a tenuta stagna") l'oggetto empirico (e la sua possibile verifica interpersonale) dal concetto (e la sua frequente infalsificabile autoreferenza à la Godel), l'evidenza dalla ambiguità, la scienza dalla metafisica, etc.

Citazione di: paul11 il 17 Novembre 2018, 23:44:31 PM
Allora cosa vuol dire evidente, che S.Tommaso ha bisogna di toccare con mano?
«Evidente», nel senso empirico con cui lo intendo in queste conversazioni, è etimologicamente «e-video», ovvero «ciò che si dà alla vista», che si manifesta percepibilmente ed è verificabile intersoggettivamente (per cui l'«incapacità di intendere e di volere» durante un fatto delittuoso, non rientra, secondo me, nelle evidenze, semmai nelle interpretazioni dei fatti, seppur corroborate magari da prove degne di valutazione).

Citazione di: paul11 il 17 Novembre 2018, 23:44:31 PM
Ma tu sai dove albergano i tuoi pensieri?
Se proprio dovessi scommettere sul «dove», direi (per adesso e fino a prova contraria) nella scatola cranica, perché è lì che mi pare di percepirli...

Citazione di: paul11 il 17 Novembre 2018, 23:44:31 PM
E se i convinto, forse se non mi sbaglio, che i pensieri necessariamente trovino le verità nelle cose fisiche?
Per me, nelle cose fisiche si possono trovare (più o meno agevolmente) solo verità fisiche (e riecco il suddetto tautos).
#1491
Tematiche Filosofiche / Re:Cos'è la verità
17 Novembre 2018, 23:03:31 PM
Citazione di: 0xdeadbeef il 17 Novembre 2018, 16:51:05 PM
Ed è proprio la potenza effettiva, o dominante, a cancellare la sua "natura fattuale" e a voler in un certo qual
modo "obliare" se stessa obliando, tra le tante cose, anche la natura convenzionale dei concetti, che adesso essa
ha tutto l'interesse a far passare per oggetti.
Le tue parole sull'argomento (per quanto ricche di "abbellimenti") mi sembra concordino con questa "crudezza".
Certo; mi pare che la cruda realtà fattuale sia che abbiamo convenzioni e tradizioni a tenere in piedi (inevitabili) culture e visioni del mondo, e più ci "allontaniamo" dall'empirico, più diventa una questione di interpretazioni, gerarchia storicizzata e adesione comunitaria.

Il che, @paul11, per me non comporta che
Citazione di: paul11 il 17 Novembre 2018, 18:47:08 PM
Se grattandoti la testa non trovi prova evidente nel toccare i tuoi pensieri, nemmeno di questi riuscirai a fartene una ragione
almeno finché si riesce a chiedersi
Citazione di: Phil il 17 Novembre 2018, 16:16:30 PM
Perché togliere/risolvere tale ambiguità?
suggerendo dunque di coltivare la fertilità teoretica del potenziale semantico («ambiguità») di alcuni concetti, senza ridurre tutto a una questione di evidenza (altrimenti sarebbe quantomeno insolito parlare, come ho fatto, di convenzionalismo, pluralismo, di dialettica fra evidenza e ambiguità, etc.).
#1492
Tematiche Filosofiche / Re:Cos'è la verità
17 Novembre 2018, 16:16:30 PM
Citazione di: paul11 il 17 Novembre 2018, 14:43:04 PM
In questo tuo link indicato c' è anche scritto "violenza dell'essere"............. vai avanti tu a togliere l'ambiguità del termine
Perché togliere/risolvere tale ambiguità?
Come dico, anzi scrivo, sempre (citando Marleau Ponty) «il filosofo ha, inseparabilmente, il gusto dell'evidenza e il senso dell'ambiguità».
Secondo me è un'ispirazione calzante (evidenza) e proficua (ambiguità): chi ha solo evidenza senza ambiguità, è la scienza (presumibilmente); chi ha solo ambiguità senza evidenza è la metafisica (e non vuole essere un'offesa); la filosofia oggi può essere anche un interessante tentativo di interazione dialettica fra le due (non senza fatica ed esitazioni...).

P.s.
Riguardo al link: la «violenza» ha lì l'evidenza del naturale e dell'impatto dell'Essere (non si parla quindi di violenza dell'uomo e solo dell'analitica dell'esserci), ma anche l'ambiguità della potenza incombente e non curante di ciò che "trascende" l'uomo...
#1493
Tematiche Filosofiche / Re:Cos'è la verità
17 Novembre 2018, 11:47:09 AM
Visto che si parla (anche) di linguaggio e verità, ecco qualche considerazione (meta)linguistica:
Citazione di: paul11 il 16 Novembre 2018, 11:31:01 AM
Trascendere o trascendentalità  significa prelevare dal dominio reale fisco e trasportarlo nel dominio del pensiero .
Nella filosofia continentale, per quel che so, «trascendere» (trascendenza, etc.) non è semplicemente sinonimo di «astrarre» (come magari è per il linguaggio comune); altrimenti la "trascendenza divina" («Dio trascende il mondo», «la sapienza di Dio trascende quella umana», etc.) sarebbe pura blasfemia teologica oppure mero nominalismo.
Sarebbe come pensare che «metafisico» significhi (al di là della scaffalatura aristotelica) semplicemente «oltre il fisico», tralasciando tutto il "plus valore semantico" che tale termine ha sedimentato in millenni di storia (e quindi «approccio metafisico» a un tema filosofico, diventa banalmente «approccio non fisico»).
Questo almeno finché si decide di restare dentro l'alveo ontometafisico classico; se poi (v. Rorty e altri) si sceglie una lettura esterna alla metafisica, allora l'esegesi (di stampo analitico) consente di svalutare pesantemente il senso "letterario" in favore di quello più letterale...

Citazione di: paul11 il 17 Novembre 2018, 00:46:30 AM
L'oggettivazione dell'essere accade quando l'uomo che per Aristotele era anche definito "zoon logon ekhon", ma più antica era un'altra definizione "deinon"( "deinos"nel coro di Antigone di Sofocle) che è un essere violento fino al "to deinotaton" il più violento,; vive per-la-morte, detto in termini heideggeriani,diventa nichilista.
In questo articolo, viene spiegato come «deinon» più che «violento», sia "tremendo-potente", con un significato che spazia dal sublime naturalistico fino alla numinosita degli dei (deinon). Se così fosse, almeno per stavolta, il nichilismo sarebbe "estraneo ai fatti"...

Citazione di: Ipazia il 17 Novembre 2018, 09:03:08 AM
CitazioneOppure è solo un'altra occasione per riscrivere la definizione di "oggettività" (sempre alla luce del soggetto)?
Concordo; ma era interessante chiederlo, per avere più "carne al fuoco" (o più "verdura alla griglia", a scelta...).
Per quanto riguarda il «poiché funziona allora è vero» (cit.), credo si stia camminando su un affilato crinale semantico fra «verità» e «realtà», non necessariamente sinonimi, seppur affini...


P.s.
Tutta questione di linguaggio e vocabolari, c.v.d.  ;D
#1494
Tematiche Filosofiche / Re:Cos'è la verità
16 Novembre 2018, 19:13:01 PM
Citazione di: 0xdeadbeef il 16 Novembre 2018, 15:14:59 PM
Allo stesso modo, non ritengo indispensabile (dunque lo ritengo inutile fonte di complicazioni) distinguere fra
un oggetto e un concetto. Questo perchè, per la tesi circa la necessaria assolutezza del linguaggio che ti
dicevo altrove, siamo in un certo qual modo "obbligati" a riferirci sempre e soltanto ad un qualcosa di assunto
come un oggetto (e quindi come un oggetto conoscibile in senso appunto "oggettivo" - cioè non in senso convenzionale).
Secondo me, la differenza fra la verificabilità intersoggettiva di un oggetto empirico e la pura teoreticità di un concetto (magari infalsificabile) è una discriminante cruciale, specialmente se si parla di "verità" (e quindi la veri-ficazione non sarebbe attività facoltativa); ma provo a stare al gioco senza fare troppo il guastafeste...

Citazione di: 0xdeadbeef il 16 Novembre 2018, 15:14:59 PM
Ad esempio, proprio sulla giustizia, dobbiamo riferirci ad essa come se essa presentasse "effettivamente" delle
caratteristiche di oggettività. Perchè? Semplicemente perchè se ci riferissimo ad essa come ad una convenzione
saremmo costretti ad ammettere la perfetta equivalenza di ogni convenzione su di essa.
Come dicevo con altri esempi, una convenzione non vale l'altra, perché al banco di prova dell'applicazione pragmatica, la differenza la fa il contesto d'applicazione; è partendo da ciò che affermavo che «Né il convenzionalismo, né il relativismo, né il pluralismo sono un "qualunquismo" (come vengono spesso stereotipati)». Come antidoto alla paventata «equivalenza» bisognerebbe ricorrere alla differenza fra oggetti empirici e concetti (ma non insisto), declinare il pluralismo in "contestualismo", distinguere fra "verità" e "realtà", fare una fenomenologia dei concetti (giustizia, verità, etc.) sospendendo l'adesione al loro impiego, etc.


Citazione di: 0xdeadbeef il 16 Novembre 2018, 15:14:59 PM
E dunque saremmo costretti ad ammettere, che so, che il senso della giustizia dei nazisti vale il nostro (se
non che essi hanno perso la guerra...).
Saremmo in altre parole costretti ad ammettere quello che il "sottosuolo filosofico degli ultimi 200 anni" (per
usare un'espressione di Severino)  afferma, e cioè che non vi è altra discriminante che la "potenza".
Non è tanto il «sottosuolo filosofico», ma la "superficie storica" a sancire il valore di una gerarchia: in ambito concettuale-culturale (non empirico), chi vince non detta la verità, ma solo la convenzione dominante.
Riuso il tuo esempio: perché il nostro senso di giustizia "vale" più di quello dei nazisti? In primis, perché è il nostro (ovvero è quello in cui crediamo adesso, e già ciò lo pone sopra le possibili alternative), poi perché è più condiviso socialmente dalla nostra comunità (l'accettazione sociale è una potente forma di "conferma psicologica"), poi perché quella visione di giustizia ha perso storicamente, soppiantata dal nostro pensiero dominante attuale (che spazia dalla convinzione spiritual-religiosa sino alla facciata del "politicamente corretto").
Tuttavia, al netto degli eventi e delle preferenze, si tratta di due visioni del mondo con una loro coerenza interna (proprio come quella dei kamikaze, dei vegani, degli amish, etc.), il cui "valore" e "ruolo" è dettato dal contesto, degli eventi storici (maggioranza/minoranza, etc.) e da chi giudica, ma non da qualcosa di "oggettivo".
Il che non significa che da dentro una prospettiva non si possa giudicare male l'altra; tuttavia se si prova ad assumere uno sguardo tendenzialmente super partes (fenomenologico), non si trovano sempre incoerenze e contraddizioni nelle prospettive divergenti dalla propria, ma semplicemente assiomi di partenza differenti (Godel docet).
Che un assioma valga un altro? Epistemologicamente, dipende solo dal sistema che ne origina: se è coerente, applicabile, utilizzato, etc. se non ha queste caratteristiche direi che vale meno di uno che le ha (almeno secondo i miei assiomi...).
Moralmente, ogni assioma sarà invece giudicato a partire da altri assiomi, e gli verrà quindi assegnata un'interpretazione (giusto, sbagliato, etc.).

Se la nostra giustizia è oggettivamente più "valida" di quella nazista, come verificare tale "oggettività"? Il fatto che la nostra giustizia sia la nostra, la più comunemente accettata e quella storicamente vincente, la rende forse oggettiva? No; direi egemonica, e (secondo me, e laicamente) l'"oggettività etica" è un non-senso.
Pensiamo alla democrazia e a un referendum: ciò che viene ritenuto giusto dalla maggior parte dei votanti è oggettivamente giusto? L'oggettività è data dunque dalla quantità di soggettività concordi? Oppure è solo un'altra occasione per riscrivere la definizione di "oggettività" (sempre alla luce del soggetto)?

Citazione di: 0xdeadbeef il 16 Novembre 2018, 15:14:59 PM
PS
Volevo in ogni caso ringraziarti degli interessanti e per me proficui scambi di opinione. E' sempre un piacere
discutere con persone come te.
Piacere mio.
#1495
Tematiche Filosofiche / Re:Cos'è la verità
15 Novembre 2018, 17:52:13 PM
Citazione di: 0xdeadbeef il 15 Novembre 2018, 15:30:32 PM
Con l'amica Ipazia facevamo l'esempio del leone (per me, dicevo, il termine "leone" assume significati diversi
a seconda che l'interprete sia una donna africana intenta a raccogliere frutta selvatica; un guerriero armato
di frecce e lancia o un cacciatore bianco impegnato in un safari),
Certo, il cosiddetto "significato" è diverso in ciascun caso, ma il referente empirico è il medesimo (l'animale leone).

Citazione di: 0xdeadbeef il 15 Novembre 2018, 15:30:32 PM
In questo caso abbiamo individuato tre "comunità di parlanti"; ma quante altre se ne potrebbero individuare
(potenzialmente per quanti individui pensano il leone)?
In teoria, infinite, anche composte da un solo individuo; tuttavia, come sopra, il referente empirico resterebbe il medesimo...

Citazione di: 0xdeadbeef il 15 Novembre 2018, 15:30:32 PM
Figuriamoci poi quando si passa a definire concetti fondamentali come, si diceva, è quello di "giustizia"...
Ritengo qui emerga chiaramente tutta la "debolezza" del concetto di verità per convenzione.
Se, per fare un esempio, io dico che la giustizia è "l'utile del più debole" mentre tu dici che è "l'utile
del più forte" (come nel celebre dialogo platonico...) su quale criterio stabiliamo chi ha ragione e chi torto?
Non c'è criterio dirimente applicabile, perché la verifica non ha un referente empirico (quindi intersoggettivo, studiabile, etc.) a cui rivolgersi; per quanto possa risultare sconsolante, è solo una questione di definizioni e visione del mondo. Per questo motivo un'etica non può falsificare "oggettivamente" un'altra etica.

Citazione di: 0xdeadbeef il 15 Novembre 2018, 15:30:32 PM
In altre parole, di cosa pensiamo consista l'oggetto-giustizia per dire di essa se è l'utile del più forte o
quello del più debole?
Trattandosi di un concetto, consiste nella definizione (convenzionale, quindi interpretabile e mutevole) che se ne dà (e nella più o meno coerente interazione con altri concetti pertinenti).

Citazione di: 0xdeadbeef il 15 Novembre 2018, 15:30:32 PM
che laddove si assuma la corrispondenza fra l'oggetto e il segno come convenzione, l'esito non può essere
altro che il relativismo;
Solo se l'"oggetto" del discorso è un concetto (come quello del "significato" del leone), ovvero un elemento culturale non empirico, il cui senso cambia geograficamente, temporalmente, culturalmente, etc.
Il relativismo è certamente deludente (se non persino frustrante) per chi era fiducioso che si potesse verificare l'esistenza di una "giustizia oggettiva" proprio come si verifica l'esistenza oggettiva di un leone o di una sedia. Tuttavia, se si tiene ben presente la differenza ontologica (in chiave laica) fra un ente e un concetto, mi sembra una conseguenza piuttosto inevitabile...

Citazione di: 0xdeadbeef il 15 Novembre 2018, 15:30:32 PM
dove qualunque cosa si dica ha sempre il
medesimo valore.
Né il convenzionalismo, né il relativismo, né il pluralismo sono un "qualunquismo" (come vengono spesso stereotipati).
Se il cacciatore vede nel leone un possibile trofeo di caccia, questa è la sua verità e per lui è quella che vale di più; ma il cacciatore stesso può capire che per la donna intenta a raccogliere frutta, non è vero che quel leone è un possibile trofeo, piuttosto è vero che è una minaccia potenzialmente mortale. Nessuna contraddizione, nessun appiattimento semantico e nessun qualunquismo; si tratta solo di non ontologizzare la verità, ovvero di non rinnegare la sua "natura" esclusivamente concettuale e contestuale (mentre l'ex-sistenza del leone non è di natura solo concettuale; salvo allucinazioni e simili).
Eppure qual'è, si chiederà qualcuno, la verità più vera in assoluto fra le due? Se restiamo fuori dal monismo delle lettere maiuscole (Verità) e passiamo dall'approccio metafisico a quello epistemologico, tale domanda espone un falso problema, o meglio, un problema insensato.

Citazione di: 0xdeadbeef il 15 Novembre 2018, 15:30:32 PM
Affermi infatti che va distinta la comunicazione dalla verifica del contenuto della comunicazione. Ma quale
verifica sarà mai possibile fra "segni" diversi (ad esempio fra le donne africane e i cacciatori bianchi)?
Ad ogni contesto segnico (semantico, pragmatico, etc.) la sua verifica: per verificare il leone-trofeo o il leone-minaccia serviranno magari procedure differenti... una verifica che mette in comunicazione i due contesti è quella empirica, ovvero verificare che si tratti davvero di un leone; poi ognuno dei due contesti, procederà secondo la sua direzione.

Citazione di: 0xdeadbeef il 15 Novembre 2018, 15:30:32 PM
Una verifica, al limite, sarà possibile solo all'interno dello stesso gruppo (cioè dello stesso "segno" semiotico);
ma anche all'interno di questo l'individuo potrà sempre dire che, nell'inesistenza di qualsiasi criterio oggettivo,
la sua difforme opinione non è un "errore", ma una diversa e legittima prospettiva.
Infatti il medesimo leone (unico referente empirico) può assumere il "significato" (seguo il tuo linguaggio) di minaccia, preda, soggetto fotografico, animale da studiare, o altro, e la verità di tali significati (inevitabilmente plurali) dipende da chi ne parla e dal contesto. Di (inters)oggettivo (denominatore comune) a tutte le suddette verità c'è solo l'esistenza dell'animale con le sue proprietà fisiche e biologiche.
#1496
Tematiche Filosofiche / Re:Cos'è la verità
14 Novembre 2018, 16:16:04 PM
Citazione di: 0xdeadbeef il 14 Novembre 2018, 14:24:56 PM
Non vi è nulla di problematico, senonchè la tesi del convenzionalismo mette al centro della riflessione la "comunità
dei parlanti e il suo vocabolario" (come nella parole dell'amico Phil), riferendo a questa la stessa possibilità
di conoscenza dell'oggetto.
Ma questo, nel nostro esempio, può forse voler dire altro che il giudizio sull'oggetto-vaccini è demandato alla
"comunità dei parlanti e al loro vocabolario?
E questo può forse voler dire altro se non l'indistinzione fra ciò che è oggettivo e ciò che è soggettivo?
La conoscenza dell'oggetto eccede e travalica la singola comunità di parlanti poiché non è una questione linguistica (d'altronde anche l'esistenza dell'oggetto vale fuori dai confini della comunità linguistica): il linguaggio identifica (e mai univocamente, come ricordava Ipazia), non conosce.
Sarebbe crudele voler estorcere (fallimentarmente) al linguaggio ciò che non può darci ma solo dirci, ossia la verità.
Il convenzionalismo spiega il linguaggio, non la verità (che in quanto tale esula dal segno, proprio come l'oggetto o "referente" come si dice in semiotica). Il linguaggio consente a me di dire che la sedia è rossa e a te di affermare il contrario; per sapere quel'è la verità, dobbiamo interrogare, ma non-linguisticamente, il mondo tramite verifica empirica, analisi, etc.

Non a caso nella logica formale (vado a memoria) si distingue fra argomentazione valida e argomentazione vera: la prima è tale (valida) per la forma logica, la seconda è tale (vera) per il contenuto. La compilazione dei valori di verità (che non sono solo "V" e "F", come insegnano le logiche polivalenti, paraconsistenti, etc....) non spetta al linguaggio, ma alla attività di verifica (come dice il nome stesso) in tutte le accezioni possibili.
Ad esempio, il sillogismo:
- l'influenza-k si manifesta solo a causa del virus-x
- l'unico effetto del vaccino-y è disinnescare sempre il virus-x
- il vaccino-y impedisce l'influenza-k
è un ragionamento (per come la conclusione è derivata dalle premesse) valido... ma è anche vero? Ovvero come attribuire i rispettivi valori di verità? Questo il linguaggio non può farlo, bisogna uscirne... ed è "là fuori" che nascono i problemi (ma non possiamo darne la responsabilità esclusivamente al linguaggio... proprio come quegli stenografi del tribunale che si trovano diligentemente a trascrivere i processi non hanno colpe o meriti per la "giustizia" o meno della sentenza finale).
#1497
Tematiche Filosofiche / Re:Cos'è la verità
14 Novembre 2018, 14:10:12 PM
Citazione di: InVerno il 14 Novembre 2018, 13:38:30 PM
E' un po troppo facile chiudendo il cerchio alle lingue indoeuropee, che sono pressochè identiche. Se prendo la parola "tempo" per esempio, anche decontestualizzata, ha un diverso significato a seconda di ceppi linguistici. [...] La stessa "verità" in molte lingue ha diverse varianti senza complemento (oggettiva, relativa etc) che indicano concetti completamente diversi, e non concetti che si differenziano attraverso un complemento, il che fa una grande differenza con o senza contesto.
Queste diversità di concettualizzazione, di prassi comunicativa e di semantica, ribadiscono che il rapporto linguaggio/senso/verità è sempre contestuale alla comunità di parlanti (grazie per il bell'esempio della Nuova Guinea).
Quando scrivo che «ogni lingua, una volta decontestualizzata, "vale" l'altra» intendo che il valore dipende appunto dal contesto: in Italia la lingua che "vale" di più è l'italiano perché è quella che consente di parlare con gran parte della popolazione, comprendere comunicazioni scritte, etc. ma il suo "valore d'uso" (à la Marx) è vincolato al contesto e alla comunità di parlanti con cui si ha a che fare.

Citazione di: 0xdeadbeef il 14 Novembre 2018, 13:36:44 PM
Come ho avuto modo di dire molte volte, è bene essere consapevoli che la conoscenza extra-linguistica "esiste",
ma presenta la forma della contraddizione.
Non riesco ancora a comprendere tale contraddizione: se tocco una bottiglia d'acqua e mi accorgo che è fredda, acquisisco un'informazione non linguistica che mi fa conoscere meglio la bottiglia e l'acqua; se osservo che per impastare il pane sono necessari alcuni tipi di movimento e riesco ad imitarli con successo, ho imparato ad impastare (ne conosco la tecnica) senza usare il linguaggio; e si potrebbero fare altri esempi... dove si pone la contraddizione in queste forme di conoscenza?
#1498
Tematiche Filosofiche / Re:Cos'è la verità
14 Novembre 2018, 11:17:20 AM
Citazione di: 0xdeadbeef il 14 Novembre 2018, 01:25:11 AM
Se, come dici, la corrispondenza fra l'identità dell'oggetto e la sua identità logico-linguistica (nei miei termini:
la corripondenza fra l'oggetto e il segno che lo designa) è convenzionale etc.(vedi sopra), allora questo vuol
semplicemente dire che una convenzione vale l'altra, visto che non possediamo nessun "metro" per misurare la
oggettività, il "valore", di una convenzione rispetto ad una qualsiasi altra.
Credo si possa ben affermare che ogni linguaggio, o meglio, lingua, una volta decontestualizzata, "vale" un'altra: «sedia» o «chair» o «chaise», l'importante è che sia chiaro per chi si esprime, ed eventualmente per chi ascolta, l'oggetto (o meglio l'identità) di cui si parla; altrimenti il linguaggio non comunica e dunque non funziona.

Citazione di: 0xdeadbeef il 14 Novembre 2018, 01:25:11 AM
con un tale punto di vista ogni convenzione
(basandosi, secondo le tue stesse parole, su una definizione arbitraria) linguistica può aspirare ad arrogarsi il
diritto di rappresentare il "vero".
Certo: «la sedia è rossa», «the chair is red», «la chaise est rouge», non si riferiscono a tre realtà differenti e nemmeno direi che solo una frase vera e le altre due false.

Citazione di: 0xdeadbeef il 14 Novembre 2018, 01:25:11 AM
Chi o che cosa, infatti, stabilisce cos'è "una certa comunità di parlanti"?
Una lingua può delineare una comunità di parlanti (per esempio, tutti coloro che parlano italiano), ma anche i dialetti, i sotto-linguaggi settoriali, etc. anche il concetto stesso di «comunità di parlanti» è, in quanto linguistico, inevitabilmente, arbitrario.

Citazione di: 0xdeadbeef il 14 Novembre 2018, 01:25:11 AM
Può essere questa di questo forum; può essere quella dei contrari ai vaccini o quella di coloro che sostengono che la
terra è piatta: tutto quello che all'interno di queste "comunità di parlanti" viene detto ha, secondo il tuo
ragionamento, il medesimo valore veritativo.
Purtroppo non è così facile  :)
Come anticipato già da sgiombo, va distinta la comunicazione dalla verifica del contenuto della comunicazione: se dico «la sedia è rossa» e tu affermi «la sedia non è rossa», usiamo lo stesso linguaggio, apparteniamo alla stessa comunità di parlanti, ma uno di noi due si sbaglia (senza voler qui cavillare su daltonismi, etc.).

Citazione di: 0xdeadbeef il 14 Novembre 2018, 01:25:11 AM
Ma poi perchè mai, se il principio viene accettato, "limitarci" alla comunità? Vi è forse un motivo per non restringere
il campo all'individuo? Se c'è io non lo vedo, perchè se la base del ragionamento è la "definizione arbitraria" (pur
se della comunità) allora chi lo dice all'individuo che la sua, di definizione arbitraria, è meno valida di quella
di una comunità qualsiasi?
Infatti ogni individuo può forgiare i suoi neologismi, le sue definizioni (e questo forum è ricco di esempi di polisemia ;) ) e persino la sua grammatica; si tratta poi di affrontare i problemi di comunicazione se si usa tale linguaggio con altri che ne parlano uno differente (come quando si va all'estero).
Senza lingua non si dà il concetto di "verità" (e tutte le sue estensioni), ma solo percezioni, eventi, azioni e reazioni della verita biologica.

Citazione di: 0xdeadbeef il 14 Novembre 2018, 04:04:22 AM
Da questo punto di vista, la sedia, il suono o la muraglia Cinese sono sì eventi del sensibile, ma sono anche e
soprattutto dei già interpretati, cioè dei segni (lungo questa discussione abbiamo fatto gli esempi di una
tastiera di pc, di un leone e della giustizia; di come essi cambiano a seconda delle varie interpretazioni).
Concordo, per questo tali identità logico-linguistiche («sedia», «suono», «muraglia», etc.) non sono l'oggetto a cui si riferiscono, ma la sua identificazione linguistica (loro sono dentro il linguaggio, l'"oggetto" corrispondente è postulato come "fuori").
#1499
Tematiche Filosofiche / Re:Cos'è la verità
13 Novembre 2018, 21:19:13 PM
Citazione di: 0xdeadbeef il 13 Novembre 2018, 17:11:40 PM
La contraddizione consiste nel parlare di "fatti"; di "oggetti" e via discorrendo senza aver la consapevolezza
che laddove non si ipotizzi una "posizione privilegiata" non se ne dovrebbe parlare.
Eppure non se ne può non parlare  :)
La posizione (non privilegiata ma inevitabile) è quella prospettica-individuale che può aprirsi al dialogo con la comunità (la funzione interpersonale del linguaggio è fondamentale).

Citazione di: 0xdeadbeef il 13 Novembre 2018, 17:11:40 PM
Perchè il problema non è la verità, o per meglio dire il "criterio di verità" (che risiede nel linguaggio), ma
la corrispondenza di questo con l'oggetto di cui si sta affermando qualcosa.
E allora, a me pare, la domanda diventa: su cosa ci basiamo per affermare tale corrispondenza?
Sulla manifestazione sensibile (non-linguistica: vedo una sedia, sento un suono, etc.) o la sua narrazione (linguistica: mi si dice che c'è una grossa muraglia in Cina o che se mi butto dal decimo piano muoio), ovvero sull'esperienza diretta, la mediazione della logica (e dell'interpretazione individuale) e la (eventuale) accettazione/mediazione da parte della comunità dei parlanti e del suo vocabolario.

Citazione di: 0xdeadbeef il 13 Novembre 2018, 17:11:40 PM
Cosa, ovvero, conosciamo dell'oggetto per poter affermare che vi è corrispondenza fra questo e il segno linguistico
con cui lo nominiamo?
La corrispondenza fra l'identità dell'oggetto e la sua identità logico-linguistica è convenzionale, si basa su una definizione arbitraria e sulla sua appartenenza al vocabolario di una certa comunità di parlanti (v. molteplicità delle lingue, aspetto diacronico delle lingue, etc.).

Citazione di: 0xdeadbeef il 13 Novembre 2018, 17:11:40 PM
Come facciamo, per usar le tue parole, a "creare un mondo linguistico ispirato e possibilmente
conforme a quello non linguistico" se tale mondo non linguistico ci è noto solo attraverso il segno linguistico?
Non direi: il mondo non-linguistico ci è noto attraverso i sensi che colgono gli eventi (o attraverso il suddetto tipo di narrazione che presuppone, in buona fede, che il narratore possa riferirsi ad esperienze sensibili... altrui, possibilmente, se si parla del decimo piano  ;D ).
Il mondo linguistico è demiurgico in modo autoreferenziale solo nella speculazione astratta (compresi metalinguaggi), in cui usa parole note per forgiare nuove definizioni o, talvolta, istituisce neologismi, ma resta un'attività interna al linguaggio (e infatti non è garantita corrispondenza esterna: se dico "Zeus" e lo definisco, non c'è probabilmente nulla che gli corrisponda al di fuori del piano linguistico).

Citazione di: 0xdeadbeef il 13 Novembre 2018, 17:11:40 PM
come "fenomeno", ovvero come segno linguistico
Citazione di: 0xdeadbeef il 13 Novembre 2018, 20:24:39 PM
Il fenomeno è senz'altro corrispondente al segno (linguistico o meno ) e al concetto. Trovo, anzi, che questi tre
termini siano in un certo qual modo semiologicamente equivalenti.
Come anticipato da Ipazia, non ridurrei il fenomeno al linguaggio, il fenomeno linguistico è un tipo di fenomeno, ma ci sono anche fenomeni non linguistici, se per fenomeno intendiamo (etimologicamente) ciò che appare, ciò che si manifesta (è, come dicevo, una questione di vocabolario e definizioni che non sono la realtà, ma la indicano/esprimono, come dicevano già Husserl, Derrida, etc.).
#1500
Tematiche Filosofiche / Re:Cos'è la verità
13 Novembre 2018, 16:04:50 PM
Citazione di: Lou il 13 Novembre 2018, 13:04:56 PM
Proprio Socrate @.@ per cui la ricerca della verità è l'anticamera necessaria per l'etica, anzi è la prima mossa etica par excellence dell'uomo, la conoscenza!
Non a caso l'ho citato fra coloro che ci invitano a rivolgerci all'uomo non come ente ontologico, ma come essere vivente (per non dire "animale").
Secondo me, la necessità di un'etica pur senza il possesso della verità è un'istanza da non sottovalutare... il che non svaluta certo il programma della ricerca socratica :)

Citazione di: 0xdeadbeef il 13 Novembre 2018, 13:37:17 PM
Quindi anche il "fuori bordo", essendo prima pensato poi detto, è inequivocabilmente un "dentro il bordo".
Però, ti chiedevo appunto se trovi contraddittorio questo "dire", o pensare, il "fuori bordo" (e pur
con la consapevolezza dell'intima contraddizione che vi è insita)...
Non colgo la (possibile) contraddizione nel/del dire ciò che è "fuori": questa è la funzione principale del linguaggio (metalinguaggio a parte ;) ), ovvero creare un "mondo" linguistico (dicibile, ma prima ancora pensabile) ispirato e possibilmente conforme a quello non-linguistico, in una sorta di appropriazione/traduzione semantica che rende "ragionabile" il reale (non linguistico).
Che il linguaggio (i concetti, la logica, etc.) non possa uscire da se stesso (nel dire ciò che è fuori), non mi pare contraddittorio, piuttosto è una questione di limite strutturale (che non ne inficia il funzionamento... anzi, è il "senso" dell'esistenza del linguaggio).
Sarebbe contraddittorio se l'indicazione per l'uscita di emergenza fosse posta fuori dall'edificio, ma finché è dentro fa egregiamente la sua funzione (indicando l'altro da sé).