Menu principale
Menu

Mostra messaggi

Questa sezione ti permette di visualizzare tutti i messaggi inviati da questo utente. Nota: puoi vedere solo i messaggi inviati nelle aree dove hai l'accesso.

Mostra messaggi Menu

Messaggi - Phil

#1486
Altre tappe del sensazionalismo sull'AI: oltre a scrivere poesie e dipingere quadri, l'AI produce collezioni di moda e termina sinfonie incompiute.

Sono tutte operazioni basate sulla acquisizione e rielaborazione di migliaia di casi ed esempi pertinenti, i cui elementi costitutivi vengono isolati e poi ricombinati (talvolta sotto la vigile supervisione di un umano). Quanto c'è di "intelligente" in queste operazioni? Per quanto sia palese che anche il nostro apprendimento funzioni così (osservare/ricevere, identificare, rielaborare/ricombinare) e anche la creatività non crei ex nihilo, mi sembra che più di intelligenza artificiale si possa parlare di (ri)calcolo artificiale (e già sappiamo quanto le macchine siano più veloci di noi a farlo).
Dal suo "punto di vista", il processore elabora dati secondo schemi logici e produce risultati secondo procedure, che noi umani interpretiamo come dipinti, poesie, etc. ma la loro "essenza" sono solo calcoli matematici e algoritmi (senza consapevolezza del "senso" del suo agire, diremmo noi umani, come parlando di una scimmia addestrata). Quando diamo la Gioconda da scansionare ed acquisire ad un sistema operativo, esso non ha percezione del suo valore artistico (tanto meno ne formula giudizi estetici), bensì "vede" solo una rete di pixel (o simili), in un determinato ordine, con determinate sequenze, etc.

Anche in questo caso, il segno prodotto (da uomo o macchina) non è il significato (solo per l'uomo); che le macchine inizino a produrre anche (di)segni in ambito "artistico", può farci comunque riflettere sulle nostre modalità di attribuzione di significato, fra il sublime del romanticismo e la neuroestetica dei laboratori.


P.s.
Dimenticavo, c'è anche la possibilità di associare una propria foto ad una poesia dedicata scritta da un AI, usando questa applicazione (premetto che non l'ho testata); l'idea di fondo mi pare liberamente ispirata da questa iniziativa.
#1487
Citazione di: Jacopus il 08 Maggio 2019, 08:32:13 AM
Se un soggetto viene sottoposto fin dalla più tenera età a un "lavaggio del cervello" sulla bontà del sistema feudale o sulla moralità della pedofilia (Sto esagerando), i circuiti della memoria procedurale, strutturati così in profondità, potrebbero assorbire anche questi messaggi culturali e di conseguenza condizionare in modo rilevante il comportamento del soggetto così condizionato?
Potrebbe essere una buona spiegazione neurologica dell'imprinting culturale, coerentemente con gli studi che affermano (se non erro) che nei primissimi anni di vita, quando il cervello è più "plastico", si conforma buona parte dei tratti base della personalità, che si manifesterà esplicitamente solo in seguito.
#1488
Riguardo la dialettica etica/estetica, un esempio della "delicatezza sociale", della problematicità demoscopica sottesa al mischiare in piazza estetica ed etica, può essere il recente caso della fontana di Ontani a Vergato.
Il fatto che sia stata "farcita" con il letame è un gesto di dissenso etico espresso in modo "estetico", o un gesto estetico ("parassitare" l'opera dell'artista, "completare" la fredda scultura con caldi elementi organici, "urbanizzare" il candore immacolato del basamento con un richiamo alla vita biologica che circonda la statua, etc.) che non ha velleità etiche?
Propenderei per la prima; certo, per uno che sporca ce ne saranno dieci che puliscono e mille che contemplano la bellezza dell'opera. Tuttavia, oltre alle critiche ricevute, non estetiche, ma etiche (offensiva per i bambini, etc.) ed esoteriche (richiamo al satanico, etc.), è previsto anche l'arrivo di un sedicente esorcista che eseguirà riti e preghiere. Personalmente, considererei quel rito come una performance estetica (non estatica), un evento artistico, eppure sarebbe possibile vederci anche qualcosa di etico (religioso), essendo coinvolte comunque preghiere e concetti religiosi.

Inevitabile che esporre l'arte in luogo pubblico produca anche contraccolpi sociali e questo non è certo il primo caso (eloquente anche questo). L'esigenza della comunità, secondo me, è però proprio quella di identificare tali contraccolpi: dove finisce l'estetico e dove inizia l'etico; altrimenti si rischia di fomentare la confusione nelle menti del popolo fra scaramanzia, gusti artistici, esoterismo, politica, gossip, sterco e selfie.
Forse ciò può essere obiettivo tipico dell'estetica contemporanea, ma non dell'etica.
#1489
Citazione di: Lou il 09 Maggio 2019, 21:10:08 PM
Il "vero" del possibile, ha da essere, pre-supposto, in questo caso, oggettivamente.
Se ho ben capito il senso della frase, non concordo: il "vero" significato della vita o di un segno non è pre-supposto, bensì post-ulato arbitrariamente, e non oggettivamente. Restando all'esempio del rorscach: guardo l'immagine e per me è "vero" che rappresenta un grattacielo, per te è "vero" che è una nave, etc. tutti significati "veri" (per chi ce li vede) che non erano presupposti e non hanno nulla di oggettivo; estemporanee interpretazioni possibili (comunque non sono uno psichiatra: magari non è l'esempio migliore?).

Citazione di: viator il 09 Maggio 2019, 21:24:29 PM
Altri contestanol'utilità o la validità della metafisica.
Avendo infestato le ultime pagine ed essendo non esattamente "follower" della metafisica (e non avendo tu fatto nomi), preferisco chiarire, a scanso di equivoci: non contesto l'utilità della metafisica (v. il mio ritenerla da tutelare, studiare, etc.), né tanto meno nego che sia utilizzata anche oggi da molti (il fatto che io non lo faccia, non è per me un vanto, solo una scelta, anzi «scommessa»); sulla sua validità e sulle sue tematiche classiche, ho addirittura scomodato Godel e il modus ponens per illustrarne la solidità logica: che poi la ritenga infalsificabile (poiché «valido», in logica, non significa «vero»), è dovuto alla sua stessa struttura, alla sua storia, al suo deduttivo scontrarsi con la chiusura causale del mondo fisico (almeno per come la vedo... fino a prova contraria).
#1490
Citazione di: Lou il 09 Maggio 2019, 20:11:26 PM
trovo difficile pensare un segno scarabocchiato da qualcuno che non trovi almeno in un significato mancante la sua ragion d'essere
O in un significato mancante o in un'infinità di significati possibili, di cui nessuno "vero": proprio come in un rorschach, nella vita ognuno ci vede quello che può/vuole e nessuno può dirgli che oggettivamente si sbaglia.
Ciò che è oggettivo è infatti solo la struttura grafica del di-segno, i colori, etc. proprio come sono oggettive bio-logia, neurologia, etc.
#1491
Citazione di: Lou il 09 Maggio 2019, 18:56:20 PM
@phil
"Come dicevo, c'è anche un'innegabile componente linguistica, umana, narrativa, etc. sulla vita ma, tuttavia, essa non è la vita; il segno non è il significato/senso (né della vita, né di altro)."
Perchè no?
Perchè una narrazione sulla vita non ha a che fare in qualche modo e inerisce in qualche modo alla vita.
(Non so se hai avuto il masochismo di leggere le "puntate precedenti", nel dubbio non le do per scontate) L'affermare che «il segno non è il significato» implica una distinzione, ma non nega che i due abbiano un rapporto solidale, reciproco, dialettico, etc. Fuor di metafora, sostengo che «la narrazione sulla vita non è la vita» ovvero il nostro speculare e teorizzare sensi e metafisiche sulla vita, non vanno confusi con ciò che la vita è, almeno stando alle scienze (condizione biologica, etc.). Non nego il rapporto, nego l'identificazione (reciproca).

Citazione di: Lou il 09 Maggio 2019, 18:56:20 PM
Il segno non è avulso dal significato
Raramente, ma è comunque possibile: ci sono segni senza significati (lettere inventate e scarabocchi; non posso fare esempi perché la tastiera non lo consente...).
#1492
Citazione di: Ipazia il 09 Maggio 2019, 17:38:37 PM
Su concetti astratti importanti come l'amore ammetterai che ci sia una certa intersoggettività fondamentale, anche perchè solitamente lo si fa in due o più.
L'intersoggettività è certamente linguistica, culturale, etc. tuttavia, mi concederai, nel caso dell'amore fatto, è inevitabilmente un'esperienza fisica individuale, nonostante i corpi si "intersechino" (detto fra adulti: ognuno vive quell'esperienza a modo suo, con i suoi "up and down", nonostante le premure e il coinvolgimento emotivo nei confronti dell'altro/a... non vorrai parlarmi di "unione mistica fra le anime attraversi i corpi", vero?). Per questo non vedo la necessità logica dell'immaterialità (e la necessità materiale dell'immaterialità suonerebbe troppo paradossale).
Certo, l'amore è un concetto intersoggettivo perché comprende un'alterità (se è questo che intendevi), ma il suo essere concetto è sempre e solo soggettivo, è sempre un concetto e un vissuto per qualcuno (l'amore per me, non è l'amore per te, dicevamo; né fisicamente, né concettualmente).
Come in uno sport di squadra: do il mio apporto ad un gruppo, tuttavia l'esperienza del vissuto è, per me, inevitabilmente individuale (anche se il concetto generico di squadra rimanda ad una "pluralità").

Citazione di: Ipazia il 09 Maggio 2019, 17:38:37 PM
Con una comunità di intenti davvero rara in natura.
D'altronde la "base" è un istinto comune, feromoni, ormoni, etc. pura materia (non me ne vogliano i romantici).

Citazione di: Ipazia il 09 Maggio 2019, 17:38:37 PM
Sulla vita, non me la puoi ridurre a concetto e la morte a negazione di un concetto. La vita è la caratteristica essenziale del biologico e la morte è la sua negazione. La vita non è un assemblaggio inorganico di atomi che rimangono, salvo fissione nucleare, perennemente gli stessi. Se tu vuoi ridurre la vita a questo, ha ragione green a parlare di robotica. Neppure un biologo ultramaterialista ti darebbe ragione: l'organismo è più della somma delle sue parti.
La vita è per me una condizione materiale (biologica, chimica, etc.), ma non intendo certo una condizione casuale o statica o condizione equivalente alla morte: sono proprio queste differenze che le scienze ci spiegano, e lo fanno senza parlare di negazione (quello lo fa la logica, la filosofia, la poesia, etc.). Lo saprai meglio di me: le scienze parlano di presenza/assenza; che in un composto non ci sia acqua (assenza) non significa che quel composto "neghi" l'acqua; che in un circuito non "passi la corrente", non significa che esso "neghi" la corrente (questa è molto pertinente con la vita, non trovi?).
Come dicevo, c'è anche un'innegabile componente linguistica, umana, narrativa, etc. sulla vita ma, tuttavia, essa non è la vita; il segno non è il significato/senso (né della vita, né di altro).

Citazione di: Ipazia il 09 Maggio 2019, 17:38:37 PM
Sui "sonetti" della metafisica ti capisco. Ma poiesis vuol dire creare. Anche nelle scienze dure. La metafisica è una creatura umana. Conviene fare di necessità virtù e farsela persino piacere perchè come dicono i napoletani: ogni scarrafone è bello a mamma soja.
Certo, mi premeva solo distinguere fra filosofia e "letteratura" (un documentario da una saga fantasy, un telegiornale da un'opera teatrale, etc.), ma ciò non significa che proponga di eliminare la letteratura, secondo me va anzi tutelata, studiata, etc.
#1493
Citazione di: Ipazia il 09 Maggio 2019, 09:14:24 AM
Il primo fantasma reificato è proprio lui, Dio. Anche il Capitale non scherza. La Patria, tornata in confuso gran spolvero, Individuo, Proprietà Privata, ... Quindi il tutto può essere spiegato in termini di astrazione, concettualizzazione, senza reificare il non-materiale in immateriale. Però l'elenco dell'immateriale continua e vi sono oggetti immateriali a cui è difficile rinunciale: l'amore, l'etica, l'arte, la bellezza, la musica, la letteratura. Persino la scienza e la filosofia, sorelle gemelle della comune madre episteme. Immateriale pure lei. Insomma l'umano è una instancabile fabbrica di entità immateriali,
Tutte queste entità immateriali, concetti astratti, "consistono" sempre nel loro essere pensati da qualcuno; il fatto che siano condivisi da più persone, sembra poter fare ipotizzare la loro identità immateriale astratta (e "ipostatizzata") come unica; ma così non è, almeno secondo me, e provo a spiegare cosa intendo.
Io ho il mio concetto di amore, tu il tuo, il mio meccanico il suo, etc. L'amore come concetto astratto interpersonale è sempre solo un fattore linguistico, basato sul senso comune e generico del termine, ma è sempre e inevitabilmente pensato tale da un singolo uomo (che presuppone pensare qualcosa di condiviso o addirittura universale). L'amore che (per me) esiste è il mio concetto di amore, per come lo penso, non è un'entità immateriale metasoggettiva, autonoma, che abita il "mondo delle idee" (almeno fino a prova contraria). Non posso dire con certezza che tale concetto esisterebbe anche se non ci fossi io a pensarlo e, soprattutto, il fatto che (se) io lo pensi come indipendente dal mio pensarlo, non comporta che lo sia davvero.
Fuori dal mio pensare, esiste davvero come ente immateriale da cui ogni mente attinge il senso o a cui ogni mente fa confluire il suo? Di tale confluire io potrò concepire solo ciò che riuscirò a pensare, e quindi, di nuovo, sarà sempre un mio pensiero individuale su qualcosa che io penso interpersonale.
Individualismo materialista? In fondo tutto il nostro pensare e le nostre percezioni sono individuali (e, per me, materiali).
Anche l'altro uomo è sempre pensato come altro da me; come "puro altro" è impossibile da pensare perché richiederebbe il totale annullamento/neutralizzazione della mia soggettività, e quindi non potrei nemmeno pensarlo poiché non ci sarebbe un "io" a pensare (sarebbe come voler fare una foto che non abbia una prospettiva; che comporta sempre un primo piano, zone d'ombra, etc.).

Se ogni pensato è sempre pensato da qualcuno, allora ogni pensiero è immanente alla mente (non dico «cervello» per evitare "deviazioni") di chi lo pensa, è un suo oggetto, non (fino a prova contraria) oggetto immateriale che aleggia e si connette alle menti che lo pensano; quello della condivisione di concetti è il ruolo del linguaggio, ma il parlare non può costituire una predicazione verificata di esistenza immateriale. La condivisione interpersonale linguistica del senso del pensato viene dopo il concetto individuale, nelle pratiche discorsive, non prima, ovvero non in una ipotetica "esistenza immateriale" (un paradosso, per me) che origina il suo dire.


Citazione di: Ipazia il 09 Maggio 2019, 09:14:24 AM
Nell'universo antropologico non si ha a che fare con bottiglie, persone, fiumi, ma coi loro concetti che ne amplificano la semantica dal materiale all'immateriale, al simbolico. La negazione, come i dialettici fino ad Heidegger capirono, ha una sua concreta produttività.
[...]Esiste una negazione nullificante ed una edificante attraverso la nullificazione. La prima produce (nichtet)  nichilismo, la seconda lo supera. Siamo nel pieno dell'immaterialità effettuale umana.
Eppure l'influenza concreta non è una negazione concreta; ritorniamo all'esempio della morte: è negazione concettuale della vita, ma concretamente (chimicamente, etc.) è cambiamento, non negazione, proprio perché «negazione» è categoria del pensiero non della materia. Da questa confusione nascono ontologie poetiche come quella di Heidegger, etc., idealismi come quello di Hegel (che parla di Spirito, non dimentichiamolo, come Heidegger parla di Essere...) e altre letture concettuali del reale che "entificano" la negazione, confondendo il significato con il segno.

Citazione di: Ipazia il 09 Maggio 2019, 09:14:24 AM
Infatti l'universo antropologico, benchè ne abbia da esso origine, non è ontologicamente assimilabile senza resto alcuno all'universo fisico-chimico, rispetto al quale anche la biologia ha una sua rudimentale trascendentalità.
Appunto da vocabolario: non direi «trascendentalità» che esula dal fisico, ma astrazione concettuale (quindi pensiero, quindi, stando alla mia scommessa, materialità cerebrale immanente al fisico. Per questo mi ritrovo, volente o nolente, a fare l'avvocato della chiusura causale del mondo fisico...).

Citazione di: Ipazia il 09 Maggio 2019, 09:14:24 AM
"... e anche questa è un'interpretazione" disse il Maestro. La chimica Ipazia riconosce nella sua ultramaterica disciplina la differenza tra fatti e interpretazioni, ma non la estende meccanicamente ad altre sfere del reale dove si rischia di non vedere i fatti a causa delle proprie errate, analogiche, interpretazioni.
Nietzsche come se la cavava con le neuroscienze? Per quanto apprezzi indubbiamente il suo spunto soggettivista (v. sopra), ho l'umile vantaggio nozionistico, rispetto a lui, di vivere nel 2019 (per carità, sono a malapena "microbo sulle spalle dei giganti"). Ad esempio, se mi fido dell'interpretazione chimica che mi suggerisce che H2O è acqua, mi risulta facile fidarmi anche quando la biologia mi dice che la morte non è la negazione di nulla ma è descrivibile come determinate condizioni materiali.
Chiaramente, c'è poi la dimensione estetico-metafisica e sarebbe (opinione mia) un peccato ridurre l'uomo ad un analizzatore della materia privandolo della piacevole illogicità delle poesie (molti filosofi hanno fatto letteratura, come direbbe Rorty), del sollazzo della musica, etc.
L'importante, come sempre, è non confondere i piani, mettendo istintivamente quello più umano (quello estetico-metafisico) sopra e/o oltre (meta, uber, etc.) tutti gli altri, come regolarmente avveniva nel pensiero dei millenni precedenti. Qui ed ora, il ruolo delle scienze (come la chimica) è quello di metterci in guardia da tale vetusto, per quanto spontaneo, antropocentrismo; rendendoci consapevoli che il nostro punto di vista costruisce (sovra)strutture di senso che non sono immanenti alla realtà, ma immanenti solo alla nostra mente.

Citazione di: Ipazia il 09 Maggio 2019, 09:14:24 AM
A questo ha già risposto la storia nei fatti: hanno fatto più morti ammazzati le ideologie immateriali che la materialissima, darwiniana, lotta per l'esistenza.
(En passant: sicura che le prime morti non rientrino dissimulatamente nella seconda lotta?) Le ideologie (che, ancora, in quanto pensiero sono per me cerebrali, quindi materiali, ma sorvoliamo) non fanno morti ammazzati; sono gli uomini persuasi da ideologie o altro a fare morti ammazzati. Un pensiero non può uccidere (metafore a parte); soprattutto per chi crede nel libero arbitrio, la scelta etica (che la scienza potrebbe presto indagare, vedi topic aperto da Jacopus) è causa dell'azione (omicida o meno). La responsabilità/causalità è dunque dell'uomo materiale che compie atti materiali, anche quando si fa abbindolare da ideologie. "Scaricare il barile" sull'ideologia è un alibi per assolvere uomini oppure per condannare uomini (ripeto: ciò vale soprattutto se si vuole restare fedeli al libero arbitrio, che è un altro topic ma qui ha comunque un suo ruolo).

Citazione di: Ipazia il 09 Maggio 2019, 09:14:24 AM
Solo l'immateriale paletto metafisico può penetrare il cuore metafisico del fantasma decostruendone la reificazione e ponendo fine al suo eterno ritorno. In tal senso l'immateriale metafisica è necessaria alla vita umana, nella sua concretezza, non solo alla filosofia.
Su tale "immaterialità", rimando a quanto scritto prima sull'amore; sulla metafisica in generale non mi addentro più (mi sono ripetuto già abbastanza) perché dai suoi "sonetti" me ne vedo/vado fuori.



P.s.
Citazione di: Sariputra il 09 Maggio 2019, 09:58:53 AM
In primis dunque la coscienza immateriale, poscia il resto...Tutto il materiale non è altro che un contenuto di coscienza. Se c'è dell'"altro" (noumeno,ecc.) non è dato sapere...
Concordo pienamente; tuttavia la mia scommessa (risibile, ma in fondo, cosa ho da perdere?) è che anche la coscienza sia materiale, intendendo per «materia» qualunque entità che abbia uno spazio e un tempo percepibili (quindi butto nel calderone non solo atomi ma anche vibrazioni, onde, elettricità e varie amenità quantistiche).
#1494
Citazione di: davintro il 08 Maggio 2019, 23:19:57 PM
non vedo un circolo vizioso nelle mie argomentazioni,  in quanto le conclusioni non sono contenute nelle premesse. La premessa del mio discorso è un dato da tutti riconoscibile, l'idea di Dio di cui anche un ateo deve per forza riconoscerne la presenza per poterne negare l'associazione con un'esistenza.
Secondo me la differenza la fa l'altra premessa implicita. La circolarità mi pare sia quella di un sillogismo del tipo: Dio è l'unica fonte possibile della sua idea / la sua idea esiste / quindi Dio esiste. Proprio come fece Godel o come dicevano nel medioevo: solo Dio può aver creato il mondo / il mondo esiste / quindi anche Dio esiste.
La prima premessa regge la conclusione che sembra verificata empiricamente dalla seconda premessa. Usando questo schema, possiamo dimostrare l'esistenza di quasi qualunque cosa. Infatti questo sillogismo non è formalmente invalido (modus ponens), ma per assegnargli un valore di verità, il problema è "solo" stabilire la verità della prima premessa, quella contenente la caratteristica di dio (creatore del mondo, emanatore della sua idea, etc.); possiamo verificarla (come per l'origine del mondo) o è infalsificabile (come per l'origine platonica dell'idea di Dio)?

Citazione di: davintro il 08 Maggio 2019, 23:19:57 PM
In questo senso i progressi conoscitivi delle scienze fondate sull'esperienza sensibile possono individuare sempre più anelli della catena che congiungono la Causa prima spirituale alle cause intermedie di ordine materiale oggetto delle scienze naturali, ma senza poter  mai arrivare a negare la necessità della Causa prima, in quanto al di fuori dei limiti epistemici del loro metodo.
Quella della Causa prima è una necessità della logica, quindi della ragione (che mal tollera l'illimitato regresso all'infinito), ma non mi pare sia conseguentemente anche una necessità dell'esistenza. La Causa prima è un'idea limite come quella dei confini dell'universo: entrambe aiutano a pensare l'identità di ciò che identificano (la catena causale, l'universo, etc.). Entrambe sono tuttavia mere astrazioni, ipotesi di "realtà" non verificate e non identificate, proprio perché essendo (al) limite del pensabile non possono essere totalmente identificate, altrimenti rimanderebbero a loro volta ad un "oltre" (cosa causa la Causa prima? cosa c'è oltre i confini dell'universo?). Siamo sempre sul piano della ragione umana, ma non dell'esistenza reale.

Citazione di: davintro il 08 Maggio 2019, 18:44:27 PM
Se categorie, come eternità, perfezione, infinito, universale, quelle con cui comunemente definiamo Dio, fossero pienamente adeguati alla mente umana che le utilizza, senza alcuna necessità di concepire l'esperienza di una realtà trascendente da cui far derivare la loro pensabilità, allora la mente umana dovrebbe essere a sua volta, eterna, infinita ecc.,
Non capisco il «dovrebbe» (corsivo mio): le categorie pensate dalla mente devono appartenere come caratteristica anche alla mente, per esserne pensate? Che la mente possa pensare l'idea di inesistenza (di insieme vuoto etc.) comporta che la mente debba essere inesistente?

Citazione di: davintro il 08 Maggio 2019, 18:44:27 PM
L'idea di universalità, correlata necessariamente a quelle di eternità o infinito è presupposto di ogni astrazione possibile, senza che sia questa a produrla
Qui mi sembrano rovesciati i ruoli fra astrazione e universalità: l'universalità richiede astrazione (ogni universalità è astratta), non viceversa (non tutte le astrazioni sono universali: guardando una penna posso astratte la sua esatta forma astratta, ma è solo un "calco vuoto" nella mia mente che dimenticherò fra due minuti; niente di universale).
Non entro nel merito dell'esistenza di idee platoniche latenti, eterne e universali, poiché è indimostrabile sia la loro presenza (almeno finché non affiorano/si formano) che la loro assenza (essendo per definizione inverificabili).

Citazione di: davintro il 08 Maggio 2019, 18:44:27 PM
far coincidere la formazione dell'idea di immaterialità con la composizione linguistica del concetto di "materialità" e un prefisso privativo vuol dire confondere il piano del pensiero (interiore rappresentazione di stati di cose oggettive), con quello del linguaggio (complesso di segni sensibili esteriori).
Faccio un esempio; leggi questa parola: «disilluminare» (non credo esista).
Bene, non è stato forse il linguaggio a produrre nella tua mente l'idea dell'azione corrispondente?
Lo stesso, secondo me, è successo con «immaterialità»: il linguaggio, non l'esperienza o l'anamnesi (altro processo infalsificabile), produce istantaneamente il significato dell'idea corrispondente.

Citazione di: davintro il 08 Maggio 2019, 18:44:27 PM
Posso utilizzare al posto di "immateriale", termini non composti, logicamente semplici, come "spirituale" o "intelligibile", senza che il significato non cambi, e anche volendo contestare tale sinonimia, nulla escluderebbe la sensatezza teorica della possibilità di immaginare un linguaggio nel quale il significato che noi attribuiamo al concetto di "immateriale" o "universale", è espresso con un termine non complesso, la cui formazione non sia riducibile a una sommatoria.
Concettualmente, la derivazione logica, o meglio, astrattiva, non viene falsificata dalle strutture semiologiche piuttosto che dai neologismi, proprio perché il processo concettuale-astrattivo conta più di quello semiotico: posso infatti creare una parola arbitraria ad hoc, diciamo "xyz", che descriva tutte le "persone che odiano il cinema". Senza usare prefissi o simili, tale idea resta comunque la negazione concettuale (per via astratta) dell'idea di «cinefilo».
Perché non potrebbe avvenire lo stesso processo per «materiale» e «immateriale» o suoi sinonimi?
#1495
Citazione di: Ipazia il 08 Maggio 2019, 14:07:42 PM
rimango dell'idea che vi sia una differenza reale tra i due concetti. L'astratto teorizza, l'immateriale opera (lo fa anche l'i. fantasmatico).
Solita vexata quaestio: come fa l'immateriale ad operare sul materiale? "Indovinellizzando": come fa un fantasma a dare una spinta ad un uomo e farlo cadere, senza ricorrere alla materia?

Citazione di: Ipazia il 08 Maggio 2019, 14:07:42 PM
L'immateriale antropologico è negazione non solo astratta, ma anche concreta, del materiale.
La «negazione concreta del materiale» è, secondo me, un non senso: la negazione è operazione solo astratta-mentale-cerebrale-soggettiva, etc, invece la materia, di volta in volta, non appartiene a quelle dimensioni, per quanto da esse venga elaborata, identificata, razionalizzata, etc.
Non trovo esempi per negare concretamente il materiale: se devo negare concretamente una bottiglia, una persona, un fiume, cosa faccio? Posso negarlo solo verbalmente, ma materialmente non saprei...

Citazione di: Ipazia il 08 Maggio 2019, 14:07:42 PM
La morte, nel contesto del vivente, è negazione reale, terribilmente concreta, della vita.
La morte è negazione solo logico-astratta della vita (v. sopra); come condizione concreta, non è negazione ma stato di cose (che in sé non nega nulla), presenza di alcune caratteristiche (che rendono morto ciò che umanamente si definisce tale); infatti:
Citazione di: Ipazia il 08 Maggio 2019, 14:07:42 PM
Nel contesto degli elementi chimici che compongono il vivente invece non produce alcun mutamento.
La chimica ci fornisce dunque un interessante spunto materiale per distinguere fra fatti e interpretazioni, o almeno, fra caratteristiche del materiale e caratteristiche dell'astratto-mentale-cerebrale-psichico-etc.

Citazione di: Ipazia il 08 Maggio 2019, 14:07:42 PM
Nel contesto antropologico l'immateriale è un ente reale (mente, psiche, cogito,...) capace di rendere operative e concrete le sue astrazioni, manipolando materiale con materiale.
Altra versione della quaestio di cui sopra: parafrasando, come fa l'immateriale (se è tale) a concretizzare la sue astrazioni manipolando il materiale?
Secondo me ogni ente (postulato come) immateriale necessita, fino a prova contraria, di "rivelarsi" come materiale per poter interagire con la materia e solo a questo punto si attiva l'epistemologia. Ovvero non avremo mai prova che fosse "prima" immateriale, potendoci (mistica a parte) relazionare solo al materiale. Nel quale faccio, assai discutibilmente, confluire anche mente, psiche, cogito, etc. in quanto concetti astratti, quindi pur sempre pensieri (interpretativi), quindi (per me) materiali (come sempre nel senso più omnicomprensivo del termine; se siano impulsi elettrici o onde o particelle, non saprei), poiché mi sembrano avere comunque un tempo e uno spazio (o almeno io li sento spazializzati non nel braccio, non nel cuore, ma dentro la testa, dove risiede la loro unica condizione di possibilità che, scommetto, li rende "output interni"... dottore, sono grave?).
#1496
Citazione di: Ipazia il 08 Maggio 2019, 17:15:18 PM
Chiaro che si tratta di un modello ideale, ma vale pure come ricetta. La città ideale è sintesi di bellezza architettonica e funzionalità degli spazi urbani per l'armonica fruibilità della polis, nel rispetto della triade vitruviana.
Eppure, quanta immoralità potrebbe abitare comodamente la città ideale... bella e dannata, perché no?

Citazione di: Ipazia il 08 Maggio 2019, 17:15:18 PM
Un bene comune ben manutenuto stimola l'etica della sua buona conservazione. Lasciato degradare stimola il degrado e svalorizza l'esistenza che vi si svolge.
Un monumento abbandonato alle intemperie, mal conservato, svalorizza l'esistenza che si svolge nei suoi pressi? Questione di "valori", quindi non entro nel labirinto del tema, per quanto ben manutenuto (non sento la mia esistenza svalorizzata/svalutata quando frequento un posto non esattamente ben mantenuto, ma forse ti sembrerà un'opinione di parte).
L'arte orientale ha alcune categorie estetiche che considerano l'azione del tempo, il consumato e persino il vistosamente aggiustato, molto rilevanti; tuttavia, non me la sento di valutare da questo la loro moralità.

Citazione di: Ipazia il 08 Maggio 2019, 17:15:18 PM
Nella mia lunga esperienza di ambienti di lavoro ho sempre verificato che le buone condizioni ambientali vanno di pari passo con il rispetto verso i lavoratori e stimolano buone relazioni lavorative (etica).
I meccanici reclamano giustizia (almeno il mio... fidati). Scherzi a parte, al di là delle mie e delle tue esperienze, ho capito (ormai/finalmente) che per «estetica» non ti riferisci all'arte, ma al decoro e a «buone condizioni ambientali» e per «etica» puoi arrivare a comprendere anche le "carte dei valori" e le certificazioni etiche (tipo sa8000; non esattamente questione filosofica, ma apprezzo la versatilità).

Citazione di: Ipazia il 08 Maggio 2019, 17:15:18 PM
La bellezza è un valore sociale che ha un costo economico incompatibie col degrado sociale: quando si investe in bellezza sui beni comuni e si lavora per conservarla si produce anche giustizia sociale perchè si socializza a vantaggio di tutta la popolazione una parte della ricchezza sociale privatizzata.
Si, il pubblico decoro è un valore sociale, non la bellezza dell'arte (hai presente l'arte contemporanea? Spiega pure al popolo che è bella...); per questo ricordavo il legame fra estetica ed arte.
Scommetterei che il mecenatismo e i biglietti di ingresso possono stimolare e tutelare l'arte più di quanto farebbe la divisione equa della ricchezza privatizzata... per quanto, non lo nego, sarebbe "bello" se non ci fossero più poveri e tutti avessimo lo stesso stipendio ("bello", non esteticamente bello).
Resto convinto che se confondiamo l'etica (comunista o altro, niente di personale) con l'estetica, non rispettiamo l'arte e facciamo un uso metaforico (da virgolette) del "moralmente bello"; ma forse è, come sempre, solo una questione di vocabolario.

Citazione di: Ipazia il 08 Maggio 2019, 17:15:18 PM
Se il risultato di quelle lavorazioni talvolta è ingannevole, non lo è di certo la lavorazione in atto. Lì bisogna andare per giudicare dell'eticità delle condizioni di lavoro. Bisogna frequentare i luoghi di lavoro, non limitarsi all'esito produttivo.
Mi stai invitando ad andare a controllare come lavoravano gli schiavi egizi? Comunque, non ero ironico, a me esteticamente non piacciono davvero (templi e piramidi, non le condizioni di lavoro degli schiavi egizi, per le quali dovrei giudicare il prodotto eticamente e quindi non avrebbe senso usare "mi piace/non mi piace"... o forse no?).
#1497
Citazione di: Ipazia il 08 Maggio 2019, 10:09:24 AM
una società umana deve tendere ad un grado di bellezza e armonia tale da rendere raccapricciante ogni sua violazione etica.
Questo "dovere" (im)posto dal basso all'alto, racconta di un dover-essere desiderato, che ha luogo "altrove" (nelle altezze iperuraniche) e rappresenta l'ottimo; mi sembra nondimeno un dovere, o meglio, un volere etico che cerca appoggio sull'estetica, trovandolo solo nel "bello" di una politica utopica.
Per me la "bellezza" dell'armonia sociale (per quanto auspicabile) è una metafora e ha ben poco di estetico (nel senso di "artistico", con cui se ne parlava nel topic).

Citazione di: Ipazia il 08 Maggio 2019, 10:09:24 AM
il degrado estetico è presupposto di degrado morale.
L'estetica dell'urbanistica di massa, il pubblico decoro, etc. non mi pare siano il cuore dell'estetica dell'arte (né l'estetica filosoficamente intesa). Chi conosce le periferie problematiche sa che la loro brutta presentazione agli occhi dei visitatori non è né causa né effetto della moralità di chi vi risiede, ma solo effetto del livello di reddito e dell'occupazione lavorativa degli abitanti, oltre che della tipologia di interventi pubblici.
Se mettessimo le riproduzioni di capolavori artistici sulle pareti di una fabbrica cinese e facessimo vestire i suoi operai da Armani (non è un messaggio promozionale, sostituitelo a piacere), il fatto che loro lavorino 12 ore al giorno, senza ferie, etc. diventerebbe più "bello e giusto"?
Che in un'officina meccanica ci sia grasso, pareti "affumicate", puzza di gomma e benzina, calendario Pirelli, etc. lo rende un ambiente moralmente degradante?
L'estetica Il decoro non è l'etica.

Citazione di: Ipazia il 08 Maggio 2019, 10:09:24 AM
Laddove si lavora per la bellezza (nel territorio, lavoro, rapporti sociali ed umani) si lavora anche per la giustizia.
Assunto che non mi convince: in fondo, i boss mafiosi hanno belle ville, gare d'appalto illegali costruiscono anche bei condomini, i "caporali" danno lavoro cancellando la brutta scena dei disoccupati in strada, etc. o anche, più banalmente, un writer che lavora a un graffito (illegale), un cittadino che decora con i fiori l'aiuola di una rotonda pubblica (illegale), non lavorano per la giustizia, tuttavia lavorano, a loro modo, per una bellezza estetica.

Citazione di: Ipazia il 08 Maggio 2019, 10:09:24 AM
una reazione emotiva, il disgusto, in cui è difficile - ed in ciò sta pure una dimostrazione empirica - districare la componente etica dall'estetica. Pensiamo ad una catasta di cadaveri da pulizia politico-etnico-religiosa.
Anche Guernica di Picasso rappresenta una scena "brutta" moralmente, ma è anche brutta esteticamente? Se non distinguiamo etico ed estetico finiamo in ostaggio del linguaggio metaforico (con annessa sindrome di Stoccolma).
Il suscitare disgusto per il suo contenuto (guerra, etc.) proposto dall'arte, non è il suscitare disgusto per la sua mera presenza (cadaveri, etc.) proposto dalla realtà immediata; è proprio il "meccanismo" di mediazione/rappresentazione che rende tali l'arte e l'estetica (evitando, per amor di sintesi, i dibattiti più contemporanei in merito).

Citazione di: Ipazia il 08 Maggio 2019, 10:09:24 AM
L'assenza di bellezza che si vede nelle lavorazioni centrate sullo sfruttamento umano è indicatore di degrado morale.
Rimanga fra noi, in confidenza, piramidi e templi non piacciono nemmeno a me, ma non diciamolo in giro...

Citazione di: Ipazia il 08 Maggio 2019, 10:09:24 AM
La ricerca ha prodotto persino una sua scienza della bellezza applicata al lavoro: si chiama ergonomia.
L'ergonomia non è il dominio della funzionalità, concedendo il minimo sindacale alla bellezza nel suo asservimento a scopi di vendita (non all'estetica)?
Nonostante la vaga parentela, il design non è sinonimo di ergonomia; non a caso Vitruvio distingueva fra «bellezza» e «funzionalità» (con «solidità» a completare la sua "trinità progettuale").
#1498
Giocando spudoratamente a fare lo psicologo, le sfumature di senso potrebbero essere molteplici:
- (delusione) la canzone dice «andiamo... raccoglieremo...» al plurale, ma il fatto che poi ti ritrovi solo nel campo, senza un "noi", genera inevitabilmente tristezza, come il ritrovarsi da soli ad un appuntamento;
- (inadeguatezza) il disagio nel campo di grano potrebbe simboleggiare il pensiero di un compito eccessivo, o percepito come tale, a cui non ti senti pronto: un solo uomo non può mietere facilmente il grano di un intero campo; 
- (frustrazione/rimpianto) l'impossibilità di mietere il campo, pur essendo una bella giornata, prefigura la spiacevole prospettiva di non poter "raccogliere l'amore"; ovvero, ci si trova in una situazione di per sé non brutta, ma non è possibile godere delle sue potenzialità di miglioramento, sprecando una possibilità allettante (non è un campo spoglio e arido, la giornata è anche propizia, ma non è comunque possibile procedere con il raccolto)
Contestualizzare questi possibili contenuti emotivi nella tua vita o nei tuoi ricordi, spetta chiaramente solo a te.


P.s.
Trattandosi di una canzone, la fruizione emotiva dei significati semantici del testo è vincolata (se non sottomessa) alla melodia, che presenta principalmente (potrei sbagliarmi) il passaggio fra due accordi che, nella nostra tradizione musicale, associamo alla malinconia o comunque non alla gioia (si minore e fa diesis settima); questo spiegherebbe la tua sensazione di tristezza a prescindere dal senso del testo.

P.p.s.
Qualcuno dice che per schiodare la canzone ricorrente, si può provare a cantarla fino alla fine o anche cantare solo il finale, in modo che il cervello lo consideri un processo terminato.
#1499
Continuo con le domande e i contro-esempi perché ancora non riesco a capire esattamente (dal punto di vista logico).
Citazione di: davintro il 07 Maggio 2019, 23:32:10 PM
una nozione, che significando un contenuto immateriale, non può essere pensato come un'insieme di spazi di cui l'immaginazione ne inventa l'unificazione, ma come un'unità semplice e primitiva che richiede una realtà ad essa corrispondente responsabile della sua presenza tra le potenzialità del nostro pensiero. Questa richiesta è un'esigenza della nostra razionalità, non ci trovo nulla di infalsificabile
Qual'è la ragione di tale «esigenza»? Ovvero, se così non fosse, se non ci fosse una «unità semplice e primitiva che richiede una realtà ad essa corrispondente responsabile della sua presenza tra le potenzialità del nostro pensiero»(cit.), ma tale presenza fosse generata in modo endogeno (come intuizioni, colpi di genio, fobie, etc.), dove sarebbe il crollo della razionalità?

La razionalità richiede di identificare un'identità logica (a=a); che a ciò corrisponda qualcosa di esistente o meno è irrilevante per la logica.
Posso infatti postulare l'idea di un fantasma invisibile (esempio banale, ma l'ora è tarda e la fantasia latita) come idea non commensurabile ai miei sensi né alla mia esperienza, ma ciò non "esige" razionalmente l'esistenza reale del fantasma, solo perché "se non esistesse, non sarei stato in grado di immaginarlo". Giusto?

Citazione di: davintro il 07 Maggio 2019, 23:32:10 PM
Questa richiesta è un'esigenza della nostra razionalità, non ci trovo nulla di infalsificabile
Il suo contenuto non è forse infalsificabile? Ad esempio
Citazione di: davintro il 07 Maggio 2019, 23:32:10 PM
un ente per definizione spirituale, immateriale, irriducibile all'essere un insieme di parti spaziali da unire tramite l'immaginazione.
L'esistenza di un tale ente è infalsificabile? Se è razionalmente (o in altro modo) falsificabile, come?

Citazione di: davintro il 07 Maggio 2019, 23:32:10 PM
chi intende falsificare tale esigenza è libero di argomentare riguardo la riconduzione della modalità di formazione delle idee di enti immateriali alla stessa di quelli materiali
Come dicevo nel post, credo che il processo di astrazione sia sufficiente: ogni idea di un ente immateriale (dio, anima, fantasmi, etc.) nasce astraendo caratteristiche del reale e poi alterandole o pensandone l'opposto; la stessa idea di im-materiale, nasce così (negando astrattamente il materiale), no?

Citazione di: davintro il 07 Maggio 2019, 23:32:10 PM
Far coincidere il piano della pensabilità potenziale con quello delle attualizzazioni del pensiero porterebbe a concepire assurdità come pensare che la potenzialità per il pensiero umano di apprendere la matematica si originerebbe nel momento in cui effettivamente il bambino impara a contare a scuola, e allora, una volta negato ogni innatismo della predisposizione, facendo coincidere quest'ultima con la sua esplicita attualizzazione dell'idea, dovremmo arrivare a sostenere che qualunque essere, anche un cane o una pianta, potrebbero con la stessa facilità imparare a contare, proprio perché le differenze ontologiche, essenziali di predisposizione non avrebbero più alcuna autonomia rispetto al momento in cui si passa dalla predisposizione all'attuazione del pensiero.
La predisposizione alla matematica è il pensiero astratto (anche altri animali hanno pensiero astratto; ce ne sono infatti alcuni che sembra siano stati addestrati a contare, ma non è questo il punto). Al contrario: un cane e una pianta non contano, eppure, stando alla tua prospettiva, potremmo davvero dire che hanno comunque la predisposizione a farlo, pur non avendola ancora attualizzata (poiché, come suggerisci, non dobbiamo «far coincidere il piano della pensabilità potenziale con quello delle attualizzazioni del pensiero»)?
Possiamo dimostrare che non abbiano tale predisposizione e che fra qualche eone non inizino a contare?
Ancora: se usiamo idee indimostrabili, tutto è possibile; tuttavia il possibile non è il reale (per quanto astratto) che non è l'esistente (fino a prova contraria).

Citazione di: davintro il 07 Maggio 2019, 23:32:10 PM
In realtà, così come la mente umana è predisposta a contare indipendentemente dal fatto di ricevere quegli stimoli che portano a tematizzare esplicitamente tale facoltà, così l'idea di Dio è eternamente presente tra le potenzialità del pensiero umano
L'«eternamente presente» è un'altro fattore infalsificabile (che "giustifica" chi non crede in un dio come chi non ha ancora "attivato" quell'idea; come chi potrebbe imparare la matematica, ma non l'ha ancora dimostrato; sia esso uomo o cane. Non so se l'epigenetica concordi con tale "rigidità cognitiva"... ma è altro argomento e non ne sono affatto esperto).

Secondo me, le potenzialità del pensiero umano (quindi anche pensare a fantasmi o uomini invisibili ed immortali) non rispecchiano sempre la potenzialità effettive del reale (uomini immortali e invisibili non sono geneticamente possibili) e nemmeno l'esistenza dei contenuti delle idee pensate (non ci sono i fantasmi... ma sempre fino a prova contraria, semmai si possa averla... altrimenti tocca "scommettere").
#1500
Citazione di: Ipazia il 07 Maggio 2019, 20:24:09 PMLa dialettica è congiuntiva, convergente: è bello fare ciò che è giusto ed è giusto fare ciò che è bello.
Non vorrei deviare troppo il discorso proposto da Carlo, ma il fatto che possa sembrare «bello fare ciò che è giusto», per me confonde la bellezza estetica con la "bellezza spirituale", delle "anime belle" (per quello scrissi «bello» fra virgolette). Ciò che è giusto, per definizione, andrebbe fatto, ed è un fare etico che in sé non (ri)guarda all'estetica; ad esempio, se è giusto rinchiudere un colpevole, non mi pare ci sia bellezza estetica in tale azione (per quanto si possano scrivere anche poesie al riguardo, ma la scelta etica e la scelta estetica a malapena si sfiorano).
Viceversa, «è giusto fare ciò che è bello», senza mettere il «giusto» fra virgolette, rischia di subordinare il giusto al bello che è, almeno socialmente, inaccettabile (difficilmente una mamma darà tale consiglio al proprio figlio)

Se consideriamo le due espressioni assieme, dialettizzandole con un ardito coup de theatre, mi pare che il senso classico di etica ed estetica vada in cortocircuito, producendo un leggero residuo estetico: è infatti una frase ad effetto (estetico); la morale che ne traspare (assist; te ne dovevo almeno uno) è «la morale dell'esteta», per quanto sia una (est)etica ad alto rischio inattualità (e immoralità, almeno comunemente intesa).
Chiaramente, è possibile talvolta fare un gesto bello e giusto, ma l'eccezione non fa la regola; inoltre, le regole del bello estetico non sono le regole del giusto etico (a quanto sembra); la loro occasionale convergenza è forse solo una fortuita (fortunata?) eterogenesi dei fini.