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Messaggi - Raffaele Pisani

#16
Se devono essere quattro, io mi sento di dire che per me sono stati i tre maestri del sospetto (Marx, Nietzsche e Freud) a cui si può aggiungere Derrida con la sua 
difference-differance.
Così,come I Moschettieri, diventano quattro, anche se si continua definirli tre.
#17
Tematiche Filosofiche / La morale dei positivisti
23 Luglio 2018, 20:51:22 PM
Senza i presupposti della coscienza e della libertà, così come sono comunemente intese da gran parte del pensiero filosofico e teologico, ha senso parlare di agire morale?
Era la questione che mi ero posto all'inizio di una riflessione su Roberto Ardigò, le risposte che ho trovato mi hanno convinto di più per ciò che riguarda la pars destruens che per quello che il filosofo cremonese propone.
#18
Il miracolo, inteso nell'accezione cristiana, penso sia un evento mirabile che rende Dio manifesto. Il fatto[font="Segoe UI", "Helvetica Neue", "Liberation Sans", "Nimbus Sans L", Arial, sans-serif] dell'eccezionalità e dell'inspiegabilità passa in secondo piano. Anche la bellezza della natura, dell'uomo e delle sue opere suscita meraviglia e in un certo senso potrebbe essere definita miracolo; è vero che la bellezza sta sempre davanti a noi ed è meraviglioso che qualche volta la cogliamo.[/font]
L'evento mirabile va contro le leggi della natura? Io sarei portato a dire di no, in caso contrario dovrei pensare a un Dio, autore di tali leggi, che qualche volta considera che è il caso di cambiare.  Mi pare un modo di antropomorfizzare Dio. Quanto all'uomo, non penso si possa dire che conosce le leggi della natura, scuole di pensiero ,più del passato che del presente,  pretendevano di conoscere più di quanto ora non si pretenda. Abbiamo degli schemi che ci permettono di cogliere delle coerenze e delle prevedibilità e questo lo possiamo chiamare scienza. Io penso che il miracolo, se va contro qualcosa, è contro queste schematizzazioni non contro le leggi di natura.
Citazione di: Ercole il 22 Luglio 2018, 10:26:11 AM
Riprendo un'obiezione di Pietro Pomponazzi: qualora si dovesse ammettere il miracolo anche solo una volta non esisterebbe più la regolarità della Natura e di fatto qualunque cosa potrebbe accadere; aggiungo io che mi sembra che la sola ammissione di un Miracolo (in qualunque tempo o luogo) violerebbe anche:

  • L'Intersoggettività della Scienza: non sarebbe più possibile nessuna forma di controllo nella comunità di scienziati; se si ammette la possibilità di infrazione delle Leggi di Natura (anche solo con la transustazione che in teoria avviene ogni domenica) giocoforza il concetto di controllo perderebbe il suo significato.
  • Il metodo scientifico: il concetto stesso di metodo perderebbe ogni sua specificità rispetto a procedimenti del tutto casuali o basati sulla semplice osservazione e deduzione.
In definitiva: come è possibile conciliare la fede nei Miracoli con la Scienza?
#19
Anch'io ho insegnato, poco più di quarant'anni, dei quali gli ultimi 22 sono stati per la  filosofia e la storia. Quando ci si domanda se un autore o una tematica sono importanti, è difficile rispondere no, quindi tutto quello che è stato suggerito va certamente bene. La scelta dipende da vari fattori, anche dal fatto che un autore si conosca più o meno bene; una conoscenza profonda è facile che produca risultati più significativi di una semplicemente manualistica, anche se la trattazione per forza di cose sarà ridotta a poco. I "ragazzi d'oggi" non sono da considerarsi un universale astratto, qualche volta sono anche capaci di esprimere delle preferenze. La situazione, i rapporti con altre discipline inducono talvolta a fare delle scelte in questo senso. Ricordo ad esempio che nel 2011, in occasione del 150° dell'Unità d'Italia abbiamo rispolverato, questo era per una quarta ma il discorso vale in ogni caso, nomi come Gioberti, Rosmini, Cattaneo, Ferrari, che di solito si lasciano da parte.
Le tematiche del Novecento che preferisco sono l'esistenzialismo, la psicoanalisi, lo strutturalismo e il decostruzionismo; mi è capitato di saggiare gli umori della classe e dare così un certo spazio a Benedetto Croce, soprattutto per l'estetica, il pensiero politico di solito si tratta in storia. È stata l'occasione per ricordarmi che anche il Novecento italiano ha prodotto autori di grande statura, apprezzati forse più all'estero.
Tanti auguri.


Citazione di: Ercole il 15 Luglio 2018, 22:22:30 PM
Ho lavorato per quattro anni nei licei come supplente di Filosofia e Storia e ho potuto vedere molte strategie e decisioni in merito a quegli autori da trattare con cura, pur nel drammatico calo delle ore (nel mio indirizzo sono due a settimane); le linee guide per i licei affermano di trattare per il Novecento quattro nuclei tematici a scelta (Esistenzialismo, Fenomenologia, Marxismo critico ecc...). Voglio dirvi le mie scelte e conoscere quale avreste svolto voi )

1. Freud - Jonas - Bergson - Popper.

2. Freud - Scuola di Francoforte - Popper

3. Freud

4. Freud - Rawls e Nozick - Popper e Khun - Simone Weil.
#20
La storia della filosofia, anche limitandoci al solo pensiero occidentale, non è la ripetizione dello stesso schema, sia pure in forme diverse; sarebbe una noia mortale ed anche questo interessante forum rischierebbe di diventarlo.
Citazione di: cvc il 03 Luglio 2018, 09:18:00 AM
I primi filosofi, per cominciare a filosofare, hanno percepito il bisogno di chiudere la realtà nel recinto di alcuni concetti: tutto, principio, natura, sostanza...... quelli che si potrebbero definire assiomi sulle cui relazioni fondare le varie teorie. Tutto è acqua, tutto è fuoco, tutto è numero, tutto è, ecc. La prima cosa di cui ha avuto bisogno la filosofia è stato di mettere dei paletti, ossia di ridurre la realtà ad un concetto, un principio, un elemento. È quello che la filosofia ha poi sempre continuato a fare, anziché accettare l'idea di una realtà capricciosa ed inafferrabile, si è sempre cercato un punto da cui far partire e a cui ricondurre tutto. Anche la religione piuttosto che accettare l'incertezza assoluta dell'essere preferisce identificare il capriccio e la volubilità degli eventi in un Dio, meglio se antropomorfo. Nella scienza poi il riduzionismo assume tratti ancora più marcati. La difficoltà è forse nell'ammettere che - se come dice Descartes l'unica cosa di cui siam certi è di avere un pensiero - il nostro potenziale mentale ha potere solo se si concentra su di una sola cosa alla volta. Posso dire coi sofisti che ogni argomento ha una tesi favorevole e una contraria ma, di fatto, io non posso essere contemporaneamente favorevole e contrario, perché la mia mente può trattare una sola tesi per volta. È proprio questa peculiarità della mente umana di poter affrontare un solo problema alla volta che determina la sequenzialità del pensiero, che corrisponde più ad un artificio che al reale funzionamento del nostro cervello. Tanto è che la nostra memoria non funziona come un magazzino ordinato in scomparti dove ritrovi le cose nello stesso ordine in cui le hai lasciate. Funziona in un modo più disordinato dove per ricordare un fatto latente serve più creare delle associazioni che rievocare un elemento per volta in modo sequenziale. E questa sequenzialità del pensiero ha dato origine alla nostra visione sequenziale della realtà, dove tutto viene scandito dallo scorrere di orologi alquanto relativi.
C'è la grande differenza fra la realtà che accade e la realtà raccontata (la verità è ciò che si dice?), fra realtà mentale e personale e realtà extramentale ed extrapersonale. Ma la realtà è sempre una cosa sola alla volta, ricondurre il tutto all, uno e l'uno al tutto.
#21
Continuando il discorso e scegliendo così rapsodicamente qualche nome, mi viene in mente Wittgenstein, per il quale il linguaggio non può dire l'intera realtà.
Citazione di: cvc il 03 Luglio 2018, 09:18:00 AM
I primi filosofi, per cominciare a filosofare, hanno percepito il bisogno di chiudere la realtà nel recinto di alcuni concetti: tutto, principio, natura, sostanza...... quelli che si potrebbero definire assiomi sulle cui relazioni fondare le varie teorie. Tutto è acqua, tutto è fuoco, tutto è numero, tutto è, ecc. La prima cosa di cui ha avuto bisogno la filosofia è stato di mettere dei paletti, ossia di ridurre la realtà ad un concetto, un principio, un elemento. È quello che la filosofia ha poi sempre continuato a fare, anziché accettare l'idea di una realtà capricciosa ed inafferrabile, si è sempre cercato un punto da cui far partire e a cui ricondurre tutto. Anche la religione piuttosto che accettare l'incertezza assoluta dell'essere preferisce identificare il capriccio e la volubilità degli eventi in un Dio, meglio se antropomorfo. Nella scienza poi il riduzionismo assume tratti ancora più marcati. La difficoltà è forse nell'ammettere che - se come dice Descartes l'unica cosa di cui siam certi è di avere un pensiero - il nostro potenziale mentale ha potere solo se si concentra su di una sola cosa alla volta. Posso dire coi sofisti che ogni argomento ha una tesi favorevole e una contraria ma, di fatto, io non posso essere contemporaneamente favorevole e contrario, perché la mia mente può trattare una sola tesi per volta. È proprio questa peculiarità della mente umana di poter affrontare un solo problema alla volta che determina la sequenzialità del pensiero, che corrisponde più ad un artificio che al reale funzionamento del nostro cervello. Tanto è che la nostra memoria non funziona come un magazzino ordinato in scomparti dove ritrovi le cose nello stesso ordine in cui le hai lasciate. Funziona in un modo più disordinato dove per ricordare un fatto latente serve più creare delle associazioni che rievocare un elemento per volta in modo sequenziale. E questa sequenzialità del pensiero ha dato origine alla nostra visione sequenziale della realtà, dove tutto viene scandito dallo scorrere di orologi alquanto relativi.
C'è la grande differenza fra la realtà che accade e la realtà raccontata (la verità è ciò che si dice?), fra realtà mentale e personale e realtà extramentale ed extrapersonale. Ma la realtà è sempre una cosa sola alla volta, ricondurre il tutto all, uno e l'uno al tutto.
#22
Citazione di: cvc il 03 Luglio 2018, 09:18:00 AM
I primi filosofi, per cominciare a filosofare, hanno percepito il bisogno di chiudere la realtà nel recinto di alcuni concetti: tutto, principio, natura, sostanza...... quelli che si potrebbero definire assiomi sulle cui relazioni fondare le varie teorie. Tutto è acqua, tutto è fuoco, tutto è numero, tutto è, ecc. La prima cosa di cui ha avuto bisogno la filosofia è stato di mettere dei paletti, ossia di ridurre la realtà ad un concetto, un principio, un elemento. È quello che la filosofia ha poi sempre continuato a fare, anziché accettare l'idea di una realtà capricciosa ed inafferrabile, si è sempre cercato un punto da cui far partire e a cui ricondurre tutto. Anche la religione piuttosto che accettare l'incertezza assoluta dell'essere preferisce identificare il capriccio e la volubilità degli eventi in un Dio, meglio se antropomorfo. Nella scienza poi il riduzionismo assume tratti ancora più marcati. La difficoltà è forse nell'ammettere che - se come dice Descartes l'unica cosa di cui siam certi è di avere un pensiero - il nostro potenziale mentale ha potere solo se si concentra su di una sola cosa alla volta. Posso dire coi sofisti che ogni argomento ha una tesi favorevole e una contraria ma, di fatto, io non posso essere contemporaneamente favorevole e contrario, perché la mia mente può trattare una sola tesi per volta. È proprio questa peculiarità della mente umana di poter affrontare un solo problema alla volta che determina la sequenzialità del pensiero, che corrisponde più ad un artificio che al reale funzionamento del nostro cervello. Tanto è che la nostra memoria non funziona come un magazzino ordinato in scomparti dove ritrovi le cose nello stesso ordine in cui le hai lasciate. Funziona in un modo più disordinato dove per ricordare un fatto latente serve più creare delle associazioni che rievocare un elemento per volta in modo sequenziale. E questa sequenzialità del pensiero ha dato origine alla nostra visione sequenziale della realtà, dove tutto viene scandito dallo scorrere di orologi alquanto relativi.
C'è la grande differenza fra la realtà che accade e la realtà raccontata (la verità è ciò che si dice?), fra realtà mentale e personale e realtà extramentale ed extrapersonale. Ma la realtà è sempre una cosa sola alla volta, ricondurre il tutto all, uno e l'uno al tutto.
#23
A me sembra che più che la filosofia sia il discorso qui citato ad essere riduzionistico. Se può avere una certa validità per i primi filosofi, la riduzione schematica del pensiero filosofico già non funziona più con Platone, si pensi al tema del Bene-Uno. Andando un po' oltre, pensiamo all'Uno ineffabile di Plotino, chi potrebbe chiuderlo in un recinto? Agostino elabora una teologia negativa nella quale dice che Dio tutt'al più si può conoscere per ciò che non è, non certamente concettualizzandolo.
Citazione di: cvc il 03 Luglio 2018, 09:18:00 AM
I primi filosofi, per cominciare a filosofare, hanno percepito il bisogno di chiudere la realtà nel recinto di alcuni concetti: tutto, principio, natura, sostanza...... quelli che si potrebbero definire assiomi sulle cui relazioni fondare le varie teorie. Tutto è acqua, tutto è fuoco, tutto è numero, tutto è, ecc. La prima cosa di cui ha avuto bisogno la filosofia è stato di mettere dei paletti, ossia di ridurre la realtà ad un concetto, un principio, un elemento. È quello che la filosofia ha poi sempre continuato a fare, anziché accettare l'idea di una realtà capricciosa ed inafferrabile, si è sempre cercato un punto da cui far partire e a cui ricondurre tutto. Anche la religione piuttosto che accettare l'incertezza assoluta dell'essere preferisce identificare il capriccio e la volubilità degli eventi in un Dio, meglio se antropomorfo. Nella scienza poi il riduzionismo assume tratti ancora più marcati. La difficoltà è forse nell'ammettere che - se come dice Descartes l'unica cosa di cui siam certi è di avere un pensiero - il nostro potenziale mentale ha potere solo se si concentra su di una sola cosa alla volta. Posso dire coi sofisti che ogni argomento ha una tesi favorevole e una contraria ma, di fatto, io non posso essere contemporaneamente favorevole e contrario, perché la mia mente può trattare una sola tesi per volta. È proprio questa peculiarità della mente umana di poter affrontare un solo problema alla volta che determina la sequenzialità del pensiero, che corrisponde più ad un artificio che al reale funzionamento del nostro cervello. Tanto è che la nostra memoria non funziona come un magazzino ordinato in scomparti dove ritrovi le cose nello stesso ordine in cui le hai lasciate. Funziona in un modo più disordinato dove per ricordare un fatto latente serve più creare delle associazioni che rievocare un elemento per volta in modo sequenziale. E questa sequenzialità del pensiero ha dato origine alla nostra visione sequenziale della realtà, dove tutto viene scandito dallo scorrere di orologi alquanto relativi.
C'è la grande differenza fra la realtà che accade e la realtà raccontata (la verità è ciò che si dice?), fra realtà mentale e personale e realtà extramentale ed extrapersonale. Ma la realtà è sempre una cosa sola alla volta, ricondurre il tutto all, uno e l'uno al tutto.
#24
Citazione di: davintro il 31 Maggio 2018, 16:12:44 PMHo letto vari interventi sul tema della Preziosità delle contraddizioni, forse qualcuno mi sarà anche sfuggito; ho apprezzato varie risposte, la presente qui citata è quella che mi convince di più. I termini  "contraddittorietà", "complessità" e, anche se appare come verbo, il senso è quello, "confusione" mi sembra chiariscano il problema . Non si può dire: "La logica è contraddittoria", perché se l'affermazione fosse vera, sarebbe al tempo stesso falsa. La vita, sia quella individuale come quella della società in generale è molto complessa e a volte lascia sgomenti, ma questo non vuol dire che la realtà è contraddittoria e men che meno la logica.
Capi di ideologie contrapposte che si alleano, non fanno certamente vacillare i principi logici, che sono altro dalle vicende politiche. Dire che la realtà non è a compartimenti stagni è un prodotto della "ragion pigra" che mescola i vari piani del sapere e dell'agire.
Pascal diceva, più o meno in questi termini, che farsi beffe della filosofia è filosofare veramente; che la grandezza della ragione umana è quella di capire quanto è limitata; che la grandezza dell'uomo è quella di capire la propria miseria. Tutto questo non non intaccava il suo pensiero di logico, matematico, fisico; se così non fosse avrebbe detto che in un sistema chiuso la pressione esercitata su di un liquido o su di un gas si trasmette in tutti i punti con uguale intensità, ma anche no.


bisogna stare attenti a non confondere "contraddittorietà" e "complessità". Il principio di non contraddizione è un'assioma della logica che non ha la pretesa (quantomeno direttamente e quantomeno a livello di esplicazione totale) di spiegare la realtà nella sua concretezza e nel suo divenire, ma fissa dei limiti entro cui le cose hanno un senso, una possibilità almeno teorica di essere, ed oltre i quali c'è l'assurdo, e senza di esso il pensiero non sarebbe possibile. Il compito del pensiero è infatti quello di rispecchiare il più possibile le cose nella loro oggettività, e se non si fondasse su delle norme impossibili da confutare, qualunque nostro discorso cadrebbe nella pura e totale arbitrarietà, nell'indeterminazione dell'impossibilità di discernere il vero dal falso. La realtà non è contradditoria, altrimenti sarebbe assurda, ma questo non ne determina affatto la semplicità, la banalità, la monotonia qualitativa. Il principio di non-contraddizione non ha assolutamente nulla da obiettare alla possibilità che io di fronte a un bivio OVEST-EST possa optare per l'EST inizialmente per poi ritrovarmi ad OVEST, nella direzione prima rigettata. La contraddizione viene esclusa nella considerazione delle cose in un piano di logica formale, sovratemporale, se si vuole "astratto", una cosa non può essere essa stessa e il suo contrario nello stesso istante, ma non riguarda le possibilità inerenti il divenire, e dunque non esclude che una strada che procede fino a un certo punto in una direzione possa curvare e indirizzarsi verso una direzione da cui inizialmente tendeva divergere. Questa non è "contraddizione", ma "complessità", la complessità andrebbe intesa proprio come quella proprietà del reale che lo porta a mostrarsi in dei lati inizialmente imprevisti, sulla base dei presupposti di partenza (a loro volta empirici, dunque mutevoli e perfettibili) di una mente che cerca di comprenderlo, ma proprio perché questa varietà, questa molteplicità degli aspetti si svela diacronicamente, allora riguarda la realtà nella sua concretezza diveniente, ed è dunque riferita a un piano distinto rispetto a quello "sincronico", in cui gli assiomi della logica formale, compreso il principio di non-contraddizione, mira a "regolamentare", e che proprio perché distinto, non è in conflitto con l'altro. Concluderei dicendo che certamente la complessità è ciò che produce l'interesse e lo stimolo a esplorare la realtà, a meravigliarci della sua ricchezza qualitativa, consapevoli che in ogni momento possiamo avere esperienza e conoscenza di aspetti, dati, implicazioni che superficialmente sembravano dover essere esclusi, ma al tempo stesso proprio questo interesse dovrebbe responsabilizzarci ad organizzare una linea di razionalità adeguata a supportare l'investigazione, e dunque a individuare dei punti fermi, delle evidenze originarie verso cui restare coerenti, perché il pensiero sia il più possibile efficace a cogliere la ricchezza oggettiva e non arbitraria della realtà.... in sintesi, il rigetto della contraddizione è strumentale ad un'autentica esperienza della complessità
#25
Sì, la questione è certamente più problematica, a certe idee in qualche situazione privilegiata ci si può arrivare in relativa autonomia. Il caso di Leibniz e Newton è emblematico, entrambi sono arrivati alla teorizzazione del calcolo infinitesimanle più o meno negli stessi anni; gli storici sono concordi nel dire che non c'è stata influenza dell'uno sull'altro.
Dire che le loro idee dipendono dal contesto storico nel quale si sono sviluppate, significa affermare che lo sviluppo della logica e della matematica nella seconda metà del Seicento europeo forniva quel substrato culturale che ha permesso a  due geni di compiere un grande balzo in avanti. Quindi autonomi l'uno rispetto all'altro, ma entrambi dipendenti da un universo linguistico e culturale che ha permesso loro di emergere.
#26
Sono d'accordo con la risposta data da sgiombo. I giudizi analitici a priori che la filosofia leibnziano-wolffiana,immediatamente precedente a Kant, chiamava: verità di ragione sono necessariamente veri perché il predicato ripete il soggetto e non hanno bisogno di conferma empirica, anzi non devono far riferimento all'esperienza, altrimenti perderebbero il loro carattere a priori. Sarebbe come voler chiamare: bevanda analcolica una bibita alla quale si è aggiunto alcool.
Sappiamo che la conoscenza non si limita a questo tipo di giudizi ma opera secondo procedure che caratterizzano le varie scuole di pensiero. 
Quando sono entrato in questo argomento il discorso era già aperto da parecchio tempo e magari non ho letto tutti gli interventi, o ne ho capito male qualcuno, per questo mi sono permesso questa delucidazione, che magari qualcuno, a ragione, considererà un'ovvietà.
#27
Apprezzo la risposta di Carlo Pierini che coglie un aspetto da me trascurato, d'altra parte non si può essere sempre completi in un intervento, io mi accorgo che no lo sono mai.
Che ci siano delle idee archetipiche che sorgono da "una regione atemporale" mi pare un pensiero accettabilissimo, questo non toglie che la loro teorizzazione si riferisca ad un determinato autore, inserito in un determinato contesto; sono stati citati, giustamente, Jung, Freud e Platone. Inoltre, non si può passare dall'affermazione che ci sono delle idee archetipiche a quella che tutte le idee sono di tal natura.
La difesa dell'origine storica di alcuni concetti è scaturita da una situazione concreta, qui in questo forum: si parlava di giudizi analitici e sintetici nella versione a priori e a posteriori; secondo me, se non si chiarisce quella che è la posizione kantiana non si può fare un'obiezione che magari ci distacca dal pensiero del filosofo di Könisberg. Potrei dire che secondo me i giudizi analitici, che Kant ritiene mere tautologie, sono invece fecondi, perché nello svolgimento di un soggetto che si fa predicato si colgono delle relazioni che aggiungono conoscenza, questa però è una tesi propugnata nei primi del Novecento dal filosofo Giulio Canella, più noto al grande pubblico per la vicenda dello Smemorato di Collegno. Anch'egli però si riferiva a qualcun altro: il professor Désiré Mercier, tomista della Scuola di Lovanio, e si potrebbe andare a ritroso fino a Tommaso, Aristotele e via.
Un saluto a tutti.
#28
Ho cominciato da poco tempo a frequentare questo interessante forum, cercando anche di inserirmi in qualche discorso in atto da tempi più o meno lunghi, è superfluo dire che ogni sforzo da parte di tutti  per chiarire ed approfondire è sempre lodevole. D'altra parte l'intrecciarsi dei discorsi rende la cosa talvolta difficile. Alla luce di questa breve esperienza, vorrei proporre anch'io un tema di discussione, l'ho intitolato "La storia e l'oblio del pensiero". Amerei porre l'attenzione sul fatto che i termini e i relativi concetti che usiamo hanno la loro origine e la loro storia, è chiaramente un'ovvietà; quando veniamo alla luce nel mondo filosofico questo è già ben formato da tanto tempo per cui altrettanto ovvio è che non simo noi gli artefici di queste idee. Cercare di capirle il meglio possibile e magari dare un piccolo contributo, una goccia nel mare, penso sia un grande risultato. Spesso dicendo in buona fede: "Questa è la mia idea" si riporta un contenuto appreso di cui si è dimenticata la fonte.
#29
Citazione di: Angelo Cannata il 05 Settembre 2017, 14:01:35 PM
Penso che sia corretto deviare a parte questa discussione, che ho iniziato all'interno di quella su Essere o non essere, perché in effetti si tratta di una questione abbastanza a sé.

Nel mio post con cui ho avviato la questione, ho evidenziato, in sintesi, che il tempo mette in questione l'attendibilità della nostra memoria e, di conseguenza, la certezza che possiamo attribuire ai giudizi analitici a priori.

sgiombo ha risposto, se ho compreso bene, facendo osservare che, nel momento in cui io, andando a controllare se il giudizio corrisponde alla definizione, esprimo un interrogativo, o un dubbio, tale
Citazione di: sgiombo il 05 Settembre 2017, 08:41:05 AM... giudizio degno di dubbio ("sto eseguendo correttamente un giudizio analitico a priori") é un giudizio sintetico a posteriori
Chiedo scusa per questo mio intervento su di un argomento messo da parte per un certo tempo. A me sembra che un giudizio analitico a priori nel suo svolgersi da soggetto a predicato sia qualcosa di più di una semplice tautologia, questa posizione non è certamente kantiana ma si rifà al pensiero scolastico di Lovanio dei primi del Novecento.
Tornando alla questione qui sotto citata mi chiedo perché mai un giudizio analitico a priori dovrebbe aver bisogno di una corroborazione di un giudizio sintetico a posteriori. Faccio un esempio: "Il chiliagono è un poligono a mille lati" la riflessione razionale mi fa cogliere la verità e la certezza del giudizio, senza bisogno di controllo empirico, che oltretutto sarebbe impraticabile. Lo stesso si può dire della linea retta come distanza minima fra due punti, chi andrebbe a misurare la linea curva alternativa per vedere se magari è più corta della retta? È la nostra capacità di astrazione che ci fa cogliere queste verità di ragione a priori, vale a dire: a prescindere dall'esperienza, non: prima dell'esperienza.
Un saluto a tutti.

La mia obiezione è la seguente.

A me sembra che l'andare a controllare se il giudizio corrisponde alla definizione sia un'operazione necessaria. Quindi anche il giudizio degno di dubbio che ne nasce è un'operazione necessaria. Quindi tale giudizio sintetico a posteriori è necessario.

Se questo controllo non avvenisse, ne conseguirebbe un attribuire certezza al giudizio analitico a priori senza aver effettuato alcun controllo. Una tale attribuzione di certezza mi sembrerebbe alquanto debole da difendere.

Una volta che quindi 1) il controllo è necessario, inevitabile, affinché si dia giudizio analitico apriori degno di questo nome, e 2) considerato che da tale controllo scaturisce inevitabilmente un giudizio sintetico a posteriori, ne consegue che non è possibile produrre giudizio analitico a priori che non comporti in se stesso un giudizio sintetico a posteriori. In altre parole, un  giudizio analitico a priori non può fare a meno di basarsi su un giudizio sintetito a posteriori, perché altrimenti manca il controllo.
Ma il giudizio sintetico a posteriori non garantisce certezza.
Ne segue che il giudizio analitico a priori non può fare a meno di basarsi su un giudizio che è incerto.
#30
Ringrazio per il benvenuto, non sono pratico delle procedure per rispondere, spero vogliate scusarmi. Per ciò che riguarda i tempi "andati" della storia e la necessaria attenzione per all'attualità, mi viene da dire che l'oblio della storia è più che mai un tema attuale. Sono d'accordo con la breve nota inserita da Viator sulla confusione  riguardo ai termini: antropocentrismo, individualismo ed egoismo; forse anch'io ho contribuito alla poca chiarezza.
Cercare di vedere la nascita e lo sviluppo storico di un determinato concetto consente quel minimo di condivisione semantica che ci permette di dire che parliamo della stessa cosa. Inoltre, la riflessione sulla storia del pensiero ci induce a quella necessaria umiltà  che ci fa comprendere che le nostre idee sono in gran parte eredità dell'umanità passata.