Citazione di: Phil il 19 Luglio 2025, 16:55:08 PMSe così fosse dovremmo vivere in un'illusione, come in un sogno, ma resta lecita la domanda: chi sogna? dov'è chi sogna? Esiste solo chi sogna, in un vuoto cosmico? L'"ontologia del desiderio" a volte rischia di sottovalutare la semplice potenza (ed evidenza) del cogito cartesiano e delle sue conseguenze, che ancorano qualunque metafisica ad un minimo di realismo difficilmente alienabile, fosse anche solo come residuo fenomenologico dell'esistenza.
L'ontologia del desiderio, significa solo che il nostro cervello, e tutti I nostri organi di senso, si sono evoluti in modo funzionale alla nostra sopravvivenza, genica e genetica, e quindi, tutto quello che ci mostrano, e tutto quello che pensano, concettualizzano, tramandano e imparano non sara' mai una "realta' oggettiva", ma sempre e solo una "illusione utile alla vita".
Ciascuno, quasi sempre, soggettivamente e prospetticamente vuole vivere e non morire, quindi, quello che tu un po' impropriamente chiami "il residuo fenomenologico dell'esistenza", l'apparire stesso del mondo e della nostra coscienza di esso in esso, e' gia', immediatamente, un oggetto continuo della volonta' e del desiderio, e un processo altamente condizionato, impegnativo e finalizzato. Lo e' per il corpo, quale nuda e spesso impegativa vita, e lo e' per tutti gli stati, piu' o meno evoluti e culturalmente mediati, di ogni possibile mente. Basti pensare a quanti sforzi dobbiamo fare attivamente e coscientemente per vivere, giorno per giorno, e poi a come, di contro percepiamo il fatto stesso e la prospettiva del morire come l'archetipo assoluto di cio' che avviene spontaneamente, e a prescindare da ogni pensabilita', proggettualita' e volonta' propria individuale, soprattutto se non siamo dei suicidi. Insomma, una volta dato l'apparire del mondo e della nostra coscienza nel mondo quale "residuo fenomenologico", quale assoluto innegabile, la sua mancanza, il suo contrario, per noi puo' significare solo che siamo addormentati senza sogni o morti: la dualita' metafisica essere = conoscenza e bene/ e nulla = ingnoranza e male non potrebbe essere piu' radicata nella biologia e nell'istinto di sopravvivenza anche nelle sue forme culturalmente riflesse.
Perfino il suicidio e la tutta umana possibilita' del suicidio, pur negando magari per un attimo la nuda vita (e la sua kantiana appercezione) quale scontato ed innegabile, e quindi primario, "oggetto del desiderio" c'è la fa apparire trasfigurata quale pura e continuamente rinnovabile possibilita', volonta' di vivere, patto possibile del singolo con la vita, e non certo, e non ancora, oggetto di conoscenza e neutra o realta' oggettiva.
Ed ecco che insomma il mondo e il suo apparire, ben lungi dall'essere consegnato all'assoluto di un dio, e' pero' consegnato all'assoluto di una, non ulteriormente fondata e fondabile volonta' di vivere, secondo la lezione di Schopenahuer, ripresa da Nietzsche eccetera.
Che viviamo in una illusione utile alla vita non e' un solipsismo, sarebbe un solipsismo il suo contrario. Con buona pace di Cartesio.
Quello che cade, con il paradigma metafisico, e' proprio la concezione cartesiana dell'intelletto come virtualmente e virtuosamente infallibile, e della volonta' come sede possibile dell'errore, qualora essa, all'intelletto non si accordi.
In realta', e' vero il contrario: la volonta', di vivere, e' infallibile, e lo e' se non in assoluto, data l'attualita', questa si' davvero innegabile, della vita nel momento presente, che della volonta', testimonia il relativo, quantomeno alla nostra attuale posizione e a posteriori, "successo"; se non avesse avuto successo, allora la volonta' non avrebbe attraversato l'infinito per consegnarci al presente, se non avesse avuto successo, allora sarebbe morta; e l'intelletto, e' la sede possibile dell'errore, soprattutto qualora non si accordi, alla volonta'.