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Messaggi - niko

#16
Tematiche Filosofiche / Re: Dio vs caso.
07 Agosto 2025, 14:32:04 PM
Per me e' abbastanza semplice: determinismo vince su libero arbitrio e caso, perche' all'infinito, in uno spazio di combinazioni possibili finite,  tutte le possibilita' si realizzano.

Esiste solo l'infinito, combinato con altri infiniti in grado maggiore o minore, e tutto a questo mondo e' ritmo (e quindi in senso psicologico e' anticipazione o attesa): se lancio un dado a sei facce, devo aspettare, relativamente meno tempo, meno lanci, perche' mi esca un qualsiasi numero pari, e relativamente piu' tempo, e piu' lanci, perche' mi esca proprio il numero sei. E cosi' sono, almeno secondo me, tutte le cose possibili e reali dell'universo, tanti cuori o tanti orologi che battono a ritmo diverso... con le cose, e le configurazioni di cose, improbabili, che battono a ritmo lento, e le cose, probabili che battono a ritmo veloce. Ma ognuno batte all'infinito in un tempo infinito. Tanti orologi in un certo senso tutti diversi, in un altro tutti uguali.

Noi ci siamo inventati il concetto di "caso" perche' ci sono cose di cui non campiamo abbastanza a lungo per vedere la ripetizione, prima tra tutte, la nostra stessa vita, cioe', in altre parole ci siamo inventati il concettl di "caso", perche' alcuni orologi, tra quelli che ci circondano, non sono orologi per noi: battono a ritmo troppo lento, e cosi' facendo, producono l'illusione dell'eccezionale e dell'unico. Pochi vincono la lotteria di capodanno, nessuno la vince due volte di seguito, allora, noi diciamo che la lotteria, come fenomeno, non e' un orologio tra gli orologi; e' qualcosa di strano, di eccezionale, di bizzarro, di speciale; piu' propriamente, dovremmo dire che la lotteria, non e' un orologio tra gli orologi per noi. A me appare piu' che evidente, che all'infinito, invece, lo sia, e pure che la natura, in quanto grande sfondo cosmico, in quanto luogo in cui realmente abitiamo e siamo se ne infischi, di quello che sia, o non sia, un orologio per noi. Da cui, l'inessenzialita' del caso rispetto al determinismo.

Sull'inessenzialita' del libero arbitrio non mi soffermo nemmeno: perche' ci sia veramente, e fondamentalmente il libero arbitrio, ci dovrebbe essere un effetto senza cause, insomma un "essere" e una realta' di qualche tipo che nasca e si generi dal nulla, esattamente come per il caso.

La vera e unica dignita' filosofica del libero arbitrio, e' che esso, per chl veramente lo comprende, e' un pensiero abissale che contempla la possibilita', in generale per l'uomo o per un essere senziente, di scegliere il male per il male.

Di sbagliare a informazioni corrette e a corretta prevedibilita' delle conseguenze. La ribellione luciferina eccetera eccetera.

Libero arbitrio, non e' quando scegli frivolamente qualcosa in generale, tipo scegliere una nuova marca di tonno da comprare o un nuovo partito politico da votare nello scaffale elettoralistico/consumistico; e' quando, nella vita, scegli assurdamente la cosa per te sbagliata, nella correttezza e nell'esaustivita' delle "informazioni" in senso lato (quindi anche: sensazioni, sentimenti eccetera) che ti avrebbero dovuto portare, invece, a scegliere quella per te giusta. Insomma c'e' alla base di tutto cio' una affermazione originariamente teologica volta a sostenere che quella diretta e consapevole tra il bene e il male per l'uomo sia una vera, e possibile, scelta, e non sia scontata, nell'esito, inevitabile verso il bene. Che non basti, all'uomo, la completezza e la correttezza delle informazioni in merito a un certo argomento, a scegliere il bene e a dare per scontato che sara' scelto il bene in merito a quello stesso argomento.

Il vero mistero, e' come una roba del genere, una ipotesi del genere, in realta' abbastanza inquietante, possa essere (sistematicamente!) fraintesa in chiave ottimistica, radiosa, positiva.

"Menomale che abbiamo il libero arbitrio!".

Cioe' menomale che crediamo cosi' fermamente che l'oggetto della volonta', di chiunque, in generale e come legge generale sia (sempre) il (suo, quantomeno attuale) bene, da continuare a crederlo, che lo sia, anche quando l'oggetto della volonta', di qualcuno, e specialmente nostro, e', palesemente e a informazioni corrette, il male. Il peccatore dannato all'inferno, ottiene la soddisfazione, della sua volonta'. Cioe' non il male assoluto egli ottiene, ma un bene minore nella scala e nella gerarchia dei beni. Se, per assurdo, quello stesso dannato all'inferno non avesse avuto informazioni complete, comprensibili corrette, al momento di scegliere tra il bene e il male, la colpa, di tutti i suoi peccati, sarebbe stata di Dio. E lui, sarebbe all'inferno ingiustamente.

Detto questo, potete anche scegliere quale colore di scarpe mettervi una bella mattina o quale squadra tifare; quello che e' importante che capiate, e' che una scelta che non sia, almeno remotamente, di natura edonistica, programmatica, strumentale o etica, cioe' tra un "bene" e un "male" variamente intesi, e' assolutamente irrilevante ai fini del libero arbitrio. Che non e' un discorso sulla liberta' in generale, ma sulla liberta' di scegliere il male per il male.

Il che poi e' abbastanza ovvio: l'uomo non e' tormentato al pensiero della liberta' in generale, e' tormentato al pensiero della liberta' nell'ambito di quelle scelte, che siano in qualche modo significative per lui.

Ed e' assurdo, premiare o punire scelte dettate dal libero arbitrio, esattamente come sarebbe assurdo, premiare o punire scelte dettate dal (cieco) determinismo. il libero arbitrio e' scelta diretta e consapevole tra bene e male, quindi, per definizione, il libero arbitrio e' (gia') premio e punizione a se stesso.

Chi fa scelte "arbitrarie", proprio per il fatto che quelle scelte sono arbitrarie nel senso visto prima, dunque prescindenti dalla completezza delle informazioni nel senso, che la implicano sempre, tale completezza, come ragione necessaria ma non mai, anche, sufficiente, se ci pensate un attimo, si e' gia', autopunito o autopremiato. A monte. Ogni giustizia a posteriori e' impotente, e' un suggello su una volonta' gia' espressa e quindi, nella migliore delle ipotesi un ulteriore compimento, di quella stessa volonta'.

Si e' gia' scelto, il bene per il bene, o il male per il male. E' gia', tutto compiuto. Il premio, o la punizione, esteriori, o esterni, nel senso di imposti o concessi allo scegliente ad opera di qualcun altro, se pensiamo e premettiamo che una scelta del genere, la scelta "arbitraria" appunto, sia filosoficamente possibile e che qualcuno realmente la faccia, non giungono, mai "imprevisti", realmente "esterni" alla sogettivita' dello scegliente. E quindi, essi, proprio in quanto premi o punizioni necessariamente "a posteriori" sono neutralizzati, completamente procedurali, non aggiungono niente, alla volonta' e al discernimento originario  presso cui si sono gia', paventati e prodotti.

In parole molto piu' semplici, premio di un libero arbitrio che abbia portato, nell'arbitrio stesso, a scegliere il bene non puo' che essere la, eventuale, coscienza di aver fatto la cosa giusta, punizione di uno orientato verso il male, non puo' che essere, l'eventuale, rimorso. Con tutte le medaglie al valore, premianti, e le prigioni, punitive del mondo, si andrebbe a premiare o punire, semmai, qualcosa di ulteriore, che con la scelta "arbitraria" originale non c'entra e non c'entrarebbe. Niente di niente. E niente ci potrebbe entrare.



#17
Citazione di: iano il 05 Agosto 2025, 14:28:44 PMSi, e chissà quante altre improprie inversioni ci sono ancora da scovare... :)
Quindi dovremmo riscrivere il ''fatti non foste per vivere come bruti, ma per seguir virtute a canoscenza'', considerando la conoscenza come una forma del brutal vivere.
Bisogna andare secondo me, a ciò che distingue il vivente dalla materia, tralasciando, almeno in prima approssimazioni, questioni problematiche, come il libero arbitrio, almeno fin quando possiamo evitarlo.
L'essere vivente è quindi quella ''strana materia'' non determinata da equazioni grazie alla conoscenza delle cause iniziali, che sono le presenti, perchè per esso agiscono come causa anche le passate, talchè l'effetto diventa imprevedibile, come fosse a tutti gli effetti casuale, o, volendolo nobilitare, risultato di scelte fatte in base all'esperienza acquisita secondo libero arbitrio, cosa che qualunque ameba però è in grado di fare, per cui forse è meglio mettere da parte la nobilitazione per non imbrodarsi.
Alla fine a noi resta solo l'onesta intellettuale, cercando di togliersi il paraocchi, con l'avvertenza che la realtà come ci appare è questo paraocchi, e che perciò non va visto solo in senso negativo.
Va visto invece nel senso positivo che non è l'unico che possiamo usare, ed è questa mancanza di unicità a mettere fuori gioco la verità, che imperava quando vero era ciò che potevo vedere e toccare, quindi poi Dio è fuorigioco, e quindi la realtà come evidenza.
Se si analizza bene la questione ci sarebbe solo da rallegrarsi, in quanto costruttori di mondi, con la sola avvertenza che però dovremmo continuare a viverci insieme, perchè questo è ciò che gli da senso, essendo mondi fatti di relazioni prima che di oggetti, volendo invertire, per reazione, la tradizionale assegnazione di priorità.
In effetti non esistono oggetti non relazionati che noi si sappia, quindi presumibilmente non esiste la cosa in sè, come condizione necessaria all'eventuale sua relazione.
Qui quantomeno non si tratta di una inversione, come detto all'inizio, ma della rottura della contemporaneità che gli oggetti e le loro relazioni possiedono, facendo precedere uno dall'altro, o viceversa.
Oggi si tende a dire che il mondo è fatto di relazioni, piuttosto che di cose, e ciò è positivo perchè alternativa alla cosa in se, ma ugualmente ''falso'', se falso si può ancora dire una volta che con la verità ci abbiamo litigato.



La vita scaturisce da leggi deterministiche ma non fa eccezione ad esse... ma determinismo non vuol dire, per me, fatalismo. In quanto viventi, e in quanto umani, noialtri qui, sentiremo sempre la fatica, lo sforzo, il contrasto, la resistenza e l'illusione della liberta', in tutto cio' che avviene, e continuera' ad avvenire, deterministicamente. Che, per altro, non vuol dire: prevedibilmente. Vuol dire proprio: deterministicamente. A prescindere da ogni previsione e fattibilita' do una previsione.L'unica cosa sensata, da fare, e' accettarlo. Accettare, l'illusione, appiccicosa e invischiante, di essere liberi. Accettare l'ignoranza del futuro, che non e', la sua inesistenza o incinsistenza. E tirare avanti.

Il mondo contiene la nostra volonta' e quindi, dipende da essa per la sua esatta e fedele  riproduzione, e anche per la sua eventuale non riproduzione, trasformazione e snaturamento.

Per quanto la fisica sia interessante, il determinismo sia interessante, la statistica pure, sia interessante, noi, intendo noialtri uomini comuni e non scienziati, non ci occupiamo, del "mondo" per come esso e', o meglio: sarebbe, senza di noi; noi non ci occupiamo, insomma, di una discarica, di un vuoto, di una astrazione, di una struttura profonda, di una natura imperturbabile o di un grande deserto, non siamo chiamati a giudicare e discettare di quello, per quanto di fondo "quello", il grande imperturbabile, il deserto serenamente deterministico previtale e preumano, esista, e ci abbia, ciecamente e involontariamente generato, preceduto, e di fatto, ci seguira'; noi ci occupiamo "del mondo", o meglio di un piccolo, tratto e ritaglio di mondo, ritagliato dallo spazio e dal tempo, per come esso e', con, e grazie, a noi. O se vogliamo, per colpa nostra.






#18
Citazione di: Duc in altum! il 05 Agosto 2025, 14:09:03 PMSì, e siccome non esiste l'ignoto, ma solo ciò che è temporaneamente celato, per conoscere abbiamo bisogno - inevitabilmente - della fede: "nisi credideritis non intelligetis" (San'Agostino da Ippona).


Che non esista l'ignoto e' vero solo per il tipo e per il carattere di uomo che si identifica interamente con la propria percezione, riflessione, autotrasparenza e conoscenza, insomma per quel tipo di uomo, senza inconscio, che si sente un essere di conoscenza in un mondo di conoscenza, quindi, sostanzialmente, un essere spirituale in un mondo spirituale... 

Se (e solo se) essere = conoscere: allora, vale che, ignoto nulla. 

Ma siccome essere = vivere, e volere, e poi, solo molto secondariamente, e limitatamente a questo fine: conoscere; allora ignoto > diverso da nulla.

Esistono le cose che sappiamo, le cose che stanno per essere rivelate, e poi, esistono le cose che non sapremo mai. Moriremo, prima di saperle e basta. Come a dire che esistono le gocce d'acqua, esistono i bicchieri d'acqua, e poi, esistono gli oceani, dove tutto cio' puo' serenamente confluire.

L'accumularsi del passato, alle spalle dei viventi, il loro invecchiamento come dato di fatto, e' identico all'accumularsi, anche, della loro memoria e della loro conoscenza, che avviene altrettanto alle loro spalle, e altrettanto, nell'inerzia della loro volonta'; ma, per fortuna, queste due bolle di sapone, passato (soggettivamente accumulato) e conoscenza (soggettivamente accumulata), che poi fanno una, sono ben poca cosa, in un universo capace di contenerle. Il mondo, questo mondo, non sara' mai passatificato, concluso e trascorso nel tempo del tutto, esattamente come, anche, non sara' mai, conoscibile e conosciuto del tutto. Nemmeno da un ipotetico Dio. Nemmeno da noi uomini nel nostro illuderci che saremo, testimoni di Dio. Il tempo e' ciclico e infinito e questo implica infinita e ulteriore disponibilita' in ogni suo "punto", di "futuro", e dunque, dal punto di vista dell'uomo spirituale, dell'uomo aspirante al divino superbamente identificato con la proprio conoscenza, di ignoranza. Non ci sara' mai una rivelazione totale, un punto definitivo e fermo, una rivelazione esaustiva delle cose ultime. E' lo stesso identico movimento. Quello che non c'e' stato, mai, in passato, non ci sara', mai, in futuro. Dopo l'eliocentrismo, l'evoluzione, la psicoanalisi, la scoperta scientifica novecentesca piu' interessante per la filosofia, e' che l'universo e' omogeneo su larga scala. Non e' frattale. Non ci sono punti di vista preferenziali. Mediamente, in ogni direzione si guardi, si vede, o meglio si conosce e si percepisce la stessa cosa. Scommettere, ancora e nonostante tutto sulla nostra unicita' ed eccezionalita', e' folle. L'omogeneo, non partorisce l'unico, cosi' come la gallina, non partorisce tacchini. E' un pensiero che non accetta la molteplicita'. Prima di tutto, non la accetta per il pensante stesso, cioe' per se stesso.








#19
Citazione di: iano il 05 Agosto 2025, 07:00:20 AMSe fossi un credente direi che ''Dio è verità''.
Messo da parte Dio, non mi resta dunque che mettere da parte la verità, perchè non può esistere l'uno senza l'altra.


Sono d'accordo!

Il problema è che molti, nella nostra epoca credono ancora nella possibilita' di una "verita' dopo Dio". Insomma nella possibilita' di una conoscenza oggettiva, o salvifica.

Invece, per me bisognerebbe recuperare la conoscenza alla disponibilita' della volonta', stante che a quanto pare l'uomo non e' poi tanto differente dagli altri animali, e che la "legge generale" che vale per tutti gli animaletti della terra uomo compreso recita proprio che:

> si conosce per vivere > e non si vive per conoscere.

Il naturalismo come posizione filosofica... non sempre, anzi quasi mai, e' fallace   :D  .




#20
Citazione di: anthonyi il 05 Agosto 2025, 08:36:29 AMPartiamo invece da un'altra premessa, "Dio ama l'uomo", e supponiamo che, per fare il bene dell'uomo, Dio debba mentirgli, cosa farebbe? Sceglierebbe il bene o la verità?
E l'uomo, cosa preferirebbe? Il bene, cioé la felicità, o la verità?

Chiaramente, l'uomo, potendo scegliere, preferirebbe la sua, sia pure "cieca" cioe' senza sapienza, e schiava, senza liberta', felicita'... ma Dio lo destina, e quindi di fatto lo obbliga, a sperimentare qualcosa di ulteriore come la liberta' (libero arbitrio) o la sapienza, a costo del male.

Dio non crea direttamente il male, ma la possibilita' intrinseca del male in quanto connaturata alla sapienza o alla liberta', due "concetti" o "entita' che quindi evidentemente per lui, a suo giudizio, cioe' a giudizio di Dio, non certo dell'uomo, "valgono", cioe' giustificano, il male.

Il "bene", che viene provvidenzialmente tratto dal male, consiste sempre in una crescita, per la creatura, verso un grado maggiore di conoscenza, o di liberta'. Vi e' cioe' un ottimismo eccessivo, nella cultura e nella dottrina cristiana, per cui si suppone che bene e verita', e soprattutto che bene e liberta', coincidano. Al di fuori di questa cultura, chiunque acquisti, o invochi, o anche solo accetti, la liberta' o la conoscenza a costo del male, e' solo uno stolto o un folle. L'uomo, che non e' Dio e non e' nemmeno creatura, di Dio, deve conoscere (specificamente)  se stesso e non tutto l'universo mondo; accettare la nuda verita' della caducita' e della morte, e dunque che veritativa, a questo mondo, sia sempre e solo la condizione umana; stare nel limite. Ma dopo aver superato certi limiti, e' impossibile tornare al loro interno. Il cristianesimo, e' servito a farci conoscere il nostro stesso desiderio di infinito, la nostra impertinente capacita' di proiettarci a immaggine esaustiva ed esauriente della natura e di illuderci. A posteriori e' questo, cio' che ne resta di buono. Finito il sogno, resta la memoria del sogno. Il sogno, che al risveglio si rivela, palesemente come non-vero, come falso, alla luce "scritturale" della nostra mera conoscenza, non per questo si annulla e si annienta, alla struttura sequenziale della nostra memoria, e coscienza. Possiamo sempre ricordarlo. Da cui l'evidenza che il mondo, non e' fatto, non e' costituito, solo di verita'.




#21
Citazione di: Stefaniaaa il 03 Agosto 2025, 15:23:39 PMNoi non siamo nessuno per giudicare perché Dio fa una cosa e non un'altra, o per mettere in discussione i suoi piani. Il punto è proprio questo: se davvero credi che Dio esista, allora non ti arroghi il diritto di giudicare le sue opere, né la sua volontà, né tantomeno il suo modo di pensare. Inizi ad avere un atteggiamento di amore verso di lui, poi di timore, e infine di speranza. È una questione di umiltà.

Se invece non ci credi, allora ti poni certe domande basandoti su un'idea tutta umana di come "dovrebbe" essere Dio e di come "dovrebbe" comportarsi. Ma chi ha detto che Dio deve per forza essere buono, secondo i nostri parametri? La verità è che non sappiamo davvero com'è Dio. Sì, è scritto nelle Scritture che Dio è buono... ma quanto di quelle Scritture è davvero ispirato da Lui, e quanto invece è frutto della mente e della penna degli uomini?

E poi c'è un altro punto spinoso: chi ci dice che Gesù ha davvero pagato per i nostri peccati? Lo troviamo scritto nel Nuovo Testamento... ma il Nuovo Testamento è proprio la parte che io faccio più fatica a credere, proprio perché è una raccolta di parole degli uomini, dopo i fatti. E se invece Isaia, quando parlava del "sofferente", non intendesse dire che Gesù ha pagato al posto nostro, ma che a causa dei peccati degli uomini dell'epoca—come non credere alla sua parola, maltrattarlo, ucciderlo—quella sofferenza e quella morte sono state la conseguenza naturale del loro male? Non un riscatto magico, ma una tragedia generata dal peccato umano.
Alla fine, la fede non può poggiare su dogmi rigidi, ma su una ricerca onesta, su un cuore che non smette di interrogarsi e cercare.

Se Dio non fosse buono, nessuno avrebbe motivo di amarlo, al massimo di temerlo.

Per il resto, e' da individui servili e subumani "essere grati" (mediocremente, grati!) a chiunque ci abbia, meramente e incidentalmente, messo al mondo e dato la vita senza poi amarci e provvedere a noi. Io personalmente non amerei mai un genitore irresponsabile, e magari ubriacone e violento, che mi avesse messo al mondo senza poi amarmi e provvedere a me; e cosi' pure allo stesso mondo, non amerei un ipotetico dio creatore che mi metta al mondo senza poi provvedere al mio benessere e alla mia felicita'.

Umani o dei, ci si puo' sempre pensare prima, e pro/creare responsabilmente. Se cosi' non e' e non avviene, e si procrea piu' o meno a casaccio, non c'e' da stupirsi, se poi i figli, odiano i genitori in senso stretto o in senso lato.

Io non credo, all'ebraismo/cristianesimo che mi comanda di amare, o quantomeno di onorare, I miei genitori a prescindere. Discorso folle, e mediocre, che prelude al discorso, parallelo e altrettanto folle, di amare il dio creatore a prescindere o l'autorita' a prescindere.

E non credo nemmeno di dover amare i miei nemici. Accetto il limite della ragione e della condizione umana.

Altrove ai aperto una discussione sul libero arbitrio vedo.

La liberta', insieme alla conoscenza, e' il cavallo di battaglia della teodicea, cioe' della giustificazione teologica del male.

Dio, dicono in molti, permetterebbe il male, in nome e in rispetto assoluto, della nostra creaturale liberta' e/o del nostro creaturale, innato, desiderio di conoscenza. L'albero della Conoscenza eccetera eccetera.

E a me mi viene sempre da andare dal mio pesce rosso, a chiedergli se lui alle strette e dovendo assolutamente scegliere, preferisca essere, delle tre:

felice/ libero/ o sapiente.

Siccome lui preferisce sempre l'opzione, esclusiva ed escludente, di essere felice, di rimando io, a quel punto, penso sempre che ci debba essere qualcosa che non va, nella teodicea.

Che descrive un Dio che sistematicamente sacrifica la felicita' dei suoi figli/creature, in nome della loro liberta' e/o conoscenza. Che non si adegua, a quello che per la loro vita sceglierebbero, le sue stesse creature. E qui abbiamo l'assurdo, di un padre che pretende di conoscere i suoi figli piu' di quanto questi stessi figli, sentano e ritengano, di conoscere loro stessi. Qualunque scemo, tra essere libero sapiente o felice, se ha capito per bene i termini della domanda e di dover escludere e scegliere, sceglie: felice. Dio, tutte le volte che sacrifica la nostra felicita' sull'altare della nostra conoscenza o liberta', pretende di conoscerci, piu' di quanto noialtri, conosciamo noi stessi. La liberta' o la conoscenza, sono un valore superiore e pienamente giustificativo del male nel mondo agli occhi di Dio, non, a quelli, di noi stessi. E' Dio, che ci vuole liberi e/o sapienti al costo della nostra felicita'; mediamente, noi, con codesto ordine di priorita', non concordiamo. Assolutamente; del fatto che mediamente noi non concordiamo, Dio, il dio onnipotente e buono, se ne infischia.

Non e' assurdo, il concetto in se' che il male sia necessario, alla liberta' o alla conoscenza; e' assurdo, invece, il concetto che la liberta' o la conoscenza (e dunque il male) siano necessarie al bene. Il primo che passa per la strada, tra noi umani, farebbe il mondo, meglio di come l'abbia fatto Dio. Quindi Dio, o non esiste, o non e' moralmente migliore, dell'uomo medio, ma peggiore.


#22
Citazione di: Stefaniaaa il 01 Agosto 2025, 17:46:32 PMBè, tu non credi proprio in Dio e questo è un altro discorso...
Io invece, anche se non capisco perché Dio ci abbia messi in un mondo di merda pieno di sofferenze, continuo a credere nella sua esistenza.
Hai mai letto Isaia nella Tanakh?

Io credo che le tre principali assurdita' su Dio, siano in ordine progressivo, di assurdita':

Che esista Dio, e' "assurdo ma non troppo", (primo grado, di assurdita') che questo Dio esista E si curi dei fatti umani e' molto piu' assurdo della sua mera esistenza (perche' mai dovrebbe? Secondo grado.); infine, che esista, si curi dei fatti umani E abbia una giustificazione per i mali del mondo o possa trarne un bene superiore (il padre buono) e' l'assurdita' somma (terzo grado). Un essere onnipotente e buono, non agisce strumentalmente, quindi, non trae, il bene dal male, pone in essere, direttamente il bene.

Isaia e' il piu' cristianeggiante dei profeti biblici, in esso troviamo il concetto dell'espiazione vicaria (il servo di Dio), la profezia dell'Emmanuel, la Gerusalemme redenta come sposa del Dio creatore, il concetto che la salvezza e la gloria di Israele saranno la salvezza e la gloria di tutta l'umanita'. 

Io pero' non credo nell'espiazione
vicaria, perche' non credo in generale che la sofferenza sia l'espiazione di una colpa, quindi, non credo (di conseguenza, nemmeno) che la punizione, volontariamente accettata, dell'innocente sia un annuncio di non-punizione per i colpevoli, e quindi, qualcosa di cui gioire. Il sillogismo dell'espiazione vicaria e':

> In generale, Si soffre sempre per una colpa.

> Ma, qualcuno evidentemente non soffre per una colpa propria.

> Qundi, quel qualcuno soffre per una colpa altrui.

Da cui il capro espiatorio, il servo di Dio in Isaia, il Cristo stesso. Che essendo punizione dell'innocente sono tutte figure di riconciliazione con il padre buono, promessa di non-punizione (invece) per i colpevoli. Il tutto supponendo che i figli nevrotici, in massa, si sentano colpevoli, chissa' perche', davanti al "padre buono", e quindi in ansia, per l'imminenza di una, inevitabile, punizione. Che si rivela sfangata, evitata, cioe' "rimessa" a partire dall'istante in cui, viene punito, invece, l'innocente volontariamente offertosi. Per questo, la sofferenza dell'innocente volontariamente offertosi e' salvifica.

Ma io, scusa, davanti a certe abberrazioni tribali, salto a pie' pari direttamente la premessa, cioe' come ho detto prima, che la sofferenza sia sempre e comunque la conseguenza di una colpa, puoi immaginare quanto me ne importi, della conclusione. La sofferenza, in questo schema di pensiero, deve essere la conseguenza di una colpa, perche' il padre, deve essere buono, quindi e' inaccettabile, l'idea che questi faccia soffrire i suoi figli "gratuitamente". Senza la prospettiva di una correzione, quindi, di un bene maggiore.

Sul futuro radioso e di redenzione che attenderebe l'umanita' non mi dilungo, specie se si suppone che questo futuro radioso sia conseguenza diretta della sottomissione volontaria e gongolante di tutte le nazioni del mondo a Sion ed Israele, e dell'annientamento totale di quelle poche che gli resistono. Dico solo che un Dio che redime (solo) il futuro quando avrebbe (benissimo) la possibilita' di redimere anche il presente ed il passato (e' o non e' onnipotente?), e' un Dio sadico. Ma se l'ha visto Isaia... in questi, troviamo anche l'affermazione che la grazia di Dio per il redenti del futuro, per gli abitanti della Gerusalemme redenta, comprendera' l'oblio di un passato, di sofferenza. Quindi tu, soggetto individuale o collettivo, soffri adesso, nella migliore delle ipotesi, per dimenticartene nel futuro. Di aver sofferto. Creato, e messo al mondo, da un padre buono, e onnipotente, che (invece) avrebbe potuto, non farti soffrire, per niente. Finche' saremo paghi, di simili assurdita', non progrediremo mai, spiritualmente. Per fortuna, sempre di meno lo sono, cioe' viviamo in un'epoca nichilistica. E meno male. Almeno ci sbomballiamo con la ragione tecnica strumentale, con le merci e col consumo, e non con le favole, del padre buono.


#23
Citazione di: Stefaniaaa il 01 Agosto 2025, 13:07:29 PMNon si può dire che un libro non sia divino solo perché non capiamo certe leggi. Se Dio ha dato certi comandi, un motivo ci sarà, anche se a noi può sfuggire.
Secondo me, per poter dire che un testo non è divino, bisognerebbe trovare prove che sia stato scritto da un essere umano, come errori concettuali, falsità o affermazioni incompatibili con la realtà (non parlo di errori grammaticali, ovviamente).
Anche il Corano ha leggi che sembrano strane, ma finché ho creduto che fosse rivelato da Dio, le ho seguite senza metterle in discussione.




Piu' falsita' del fatto stesso:

> che esista un Dio

> e che questo personaggio con tutto quello di meglio e di piu' interessante che ha da fare in un universo di novanta miliardi di anni luce di diametro e tredici miliardi di anni di durata si prenda il disturbo di dare dei comandi o dei consigli agli uomini

> e che questi, pur essendo onnipotente, amorevole e buono abbia pensato bene di creare un mondo, quantomeno materiale e terreno, di merda e di sofferenza infinita in nome del valore superiore della conoscenza e/o della liberta' (bella pensata! Davvero!).

La vedo difficile. Molto, difficile.




#24
Citazione di: Stefaniaaa il 01 Agosto 2025, 11:38:11 AMDov'è scritto questo?


Non mangiare crostacei > Deuteronomio

Non indossare vestiti fatti di due materiali diversi>

Levitico.

Ma c'è ne sono tantissime, di bizzarrie inattuali simili...

Perche' i testi "divini" direi che sono testi umani...

#25
Citazione di: Stefaniaaa il 01 Agosto 2025, 10:58:15 AMCredo che, se anche solo una falsità fosse presente in un libro che si dichiara divino, allora quel libro non può venire da Dio.


Motivo per cui, se accettiamo questa premessa, non sono divini neanche Bibbia e Vangelo.

Pieni di inesattezze naturalistiche e scientifiche, (davvero secondo voi il mondo e' stato creato in sette giorni e il sole gira intorno alla terra?) e di bizzarre prescrizioni etico giuridiche talmente strettamente legate al contesto e all'epoca contingente di una micro-tribu' (di pastori) da essere (assolutamente) ridicole nella loro pretesa di universalizzazione ed esportabilita': davvero vogliamo mettere a morte chi mangia gamberetti e veste con camicia e pantaloni fatti di due materiali diversi? No? Quindi, di che cosa parliamo?

Io, quando incontro qualcuno che mi dice che la Bibbia e', ad oggi, il testo migliore e piu' importante del mondo sono terrorizzato, ma non da lui o dalla Bibbia: da quello meno...

#26
Tematiche Filosofiche / Re: Fallacia naturalistica
31 Luglio 2025, 13:00:04 PM
E' naturale, che quello che vale, sia decidere, che cosa, in generale valga. E implementare la decisione, e farla rispettare. La natura, comanda all'uomo, di creare l'artificio. L'uomo, creando l'artificio, non si emancipa dalla natura, ma vi precipita sempre piu'.

Accettare la realta', spesso e' piu' difficile, che cambiarla.
#27
Citazione di: iano il 29 Luglio 2025, 23:08:57 PMEcco un esempio di discorso complicato, che però siccome condivido, capisco bene.
Se vogliamo esclusivamente la verità, raggiungerla è smettere di volere.
E, messa la questione in questi termini, chi davvero potrebbe dichiarare di voler smettere di volere?
Se anche non volessimo qualcosa di diverso, ci ritroveremmo diversi contro la nostra volontà, perchè questo significa essere vivi.
Cerchiamo per noi una eternità che è propria delle cose che esistendo in se, però non hanno vita.
Vorremo diventare come uno scoglio che contempla il mare, acquisendone la stessa presunta oggettività.
Quello che non vogliamo considerare è quali sarebbero le conseguenze nefaste dei nostri desideri se si avverassero, divenire un sasso in mezzo al mare, perchè non vogliamo smettere di desiderare.
Dedichiamo la vita a professare religioni che ci promettono una vita postuma, che se l'avessimo in questa , sarebbe un mortorio.


Non si vuole al fine di smettere di volere, ma al fine di volere altro. 

Insomma bisogna accettare il divenire inesauribile di tutto, anche e soprattutto della nostra stessa volonta', che in fondo anche personalmente, e come forza, vuole e non puo' che volere, il divenire continuo di tutto, quantomeno perche' di un tutto continuamente diveniente, essa stessa fa parte.

Si da' per scontato che l'atto in se' del volere sia facile, sia "naturale" per l'uomo, e che il difficile sia estinguere la volonta', e quindi la sofferenza ad essa connessa, alternativamente, o nella soddisfazione oggettuale esterna, nell'ottenimento di qualcosa in qualche misura fuori di noi, che soddisfi i nostri desideri, o nella ascesi e nel lavoro su noi stessi al fine di estinguere, o cambiare arbitrariamente i nostri desideri, ad esempio qualora questi siano piu' o meno sfacciatamente impossibili. Insomma, o ottenere, o, saggiamente, smettere di desiderare.

Invece, la vita e' piena di situazioni, in cui il volere stesso, e il desiderare, e' difficile. E questo smaschera il falso problema sia del soddisfarsi esternamente, del conquistare un oggetto, una "vittoria" o qualcosa, che del non volere, e del magari credere, falsamente, di poter essere paghi della conoscenza e della contemplazione. Ci sono cose (direttamente) difficili da volere, prima ancora che (indirettamente) difficili da ottenere o da estingure nella contemplazione e nell'ascesi una volta volute.

E questa qui e' un poi la mia morale, tratta dalla natura.


#28
Citazione di: iano il 28 Luglio 2025, 17:43:07 PMNon è che la impedisce: non c'è.
Un essere metabiologico non avrebbe maggior fortuna avendo una interazione con la realtà, perchè non c'è una realtà oggettiva, ma c'è una realtà oggettivabile.
E non necessariamente oggettivabile in quanto unità divisibile, perchè  la divisione è solo un esempio di interazione con la realtà, e possiamo portarlo come esempio perchè operazione a noi nota.
Noi non conosciamo in genere l'operazione oggettivante.
Una però la conosciamo, quella che porta avanti la ricerca scientifica, la quale però non produce  propriamente l'oggettività che ci aspetteremmo, in quanto produce una oggettività  definibile, contrariamente all'oggettività attesa, non definibile, se non si ha l'ardire di accettare ''la cosa che è in se'' come definizione .
Perchè, ora che disponiamo di un oggetto definibile, entità fisica, la cosa in sè dovrebbe apparirci per esclusione,  come cosa che nasce da un operazione di non defezione.



Sono d'accordo direi. Non c'e' una realta' oggettiva. Solo una oggettivabile. 

Direi che non ci puo' essere nemmeno un essere, o un punto di vista sul mondo, "metabiologico". Tutto cio' che vive, e' biologico, e punti di vista fuori dalla vita... non ce ne sono.

#29
Citazione di: Jacopus il 28 Luglio 2025, 16:30:34 PMSe devo essere sincero Niko, non ho capito granché del tuo ultimo intervento, evidentemente mi sto velocemente rimbecillendo. Ad ogni buon conto mi sai dire brevemente se dalle leggi di natura si possono trarre leggi morali, e in caso di risposta affermativa, mi domando come conciliare questa prescrittività etico-naturale, con il cambiamento pressoché continuo della natura e delle sue strutture.
Ho il sospetto che tu riconduca tutto alle teorie scientifico-naturalistiche del marxismo classico, che però hanno fatto il loro tempo. Credere in una teoria oggettivamente e naturalmente "vera", va contro la necessità di ritrovare Marx e la sua teoria "vera" dello sfruttamento e dell'alienazione, ma su basi non oggettive o naturalistiche ma culturali (ed ecco avveratosi l'off-topic dell'off-topic, del resto se sono gli stessi moderatori a dare l'esempio🤓).


> si, penso che si possa trarre una morale dalla natura.

> ma, no, non l'ho fatto in questa sede e in questo topic, quindi, non mi piace che mi si imputi la fallacia naturalistica solo perche' ho parlato dell'impossibilita' di una conoscenza oggettiva, e del fallimento del paradigma metafisico occidentale, insomma di cosa resta di Dio, che poi, sarebbe l'argomento iniziale. Sostanzialmente, affermare, come ho fatto io, che l'apparire del mondo dipenda dalla volonta' di vivere dei singoli viventi, e magari dire anche che, la forma di questa apparenza sia altamente condizionata,
quantomeno perche' la vita non galleggia, in un mare di liberta' infinita quanto a se stessa e alle sue specifiche condizioni, (data a la verita' di un caso, sono vere anche tutte le ragioni necessarie del suo verificarsi), sempre come ho fatto io, non e', e non costituisce, una fallacia naturalistica, perche' manca, l'elemento prescrittivo, esortativo, morale o di giudizio.


> la natura e' dinamica, e quindi, pure una morale naturalistica deve esserlo, ma la cosa ci porterebbe lontano... ti dico solo che, dato che secondo me siamo consegnati all'assoluto della vita, la sua qualita', conta piu' della sua conservazione o quantita'.

Io voglio fare la rivoluzione, ma non perche' io come uomo o come soggetto collettivo voglia in qualche modo "salvarmi", tantomeno lo voglio contro una, eventuale, spaventosa, possibilita' opposta, di non salvarmi (e quale sarebbe mi chiedo? ridicolo...) ma perche', a condizioni di vita mediocri e o indecenti, la salvezza stessa, fa problema.

Non si evolve verso lo smettere di volere, ma verso il volere qualcosa si diverso... il volere qualcosa di diverso, pero', a sua volta, implica il terminare, il compito o l'atto, storico, di volere, quello che (gia') c'e'; di terminare, quello che e' gia' iniziato. E' facile, parlare di rivoluzione ma la verita' e' che quello di cui vuoi liberarti, devi volerlo in modo esaustivo, devi viverlo fino in fondo, proprio per, e al fine di, non volerlo piu'.
E quindi, questo mondo, pieno di guai, non passa, si sofferma e perdura, proprio perche' nessuno, realmente, lo ama e lo vuole, soprattutto: non per quello che realmente esso e'; molti, semmai, lo vedono, si illudono e lo amano per quello che dovrebbe essere, per la differenza che non e', per il fantastico e fantasioso "mondo dietro al mondo" e con cio', diciamo cosi', gli fanno, ulteriormente torto. Ma la sua mera, innegabile, scheletrica e non metafisicamente abbellita presenza, per noi, per il suo sognificato rispetto a noi intendo, e' (solo) una grande richiesta di amore, e (solo) in questo senso, fintanto che essa resta ignorata, abbellita o negata, ha tutto il diritto a durare; questo tempo, con tutte le sue montagne, le sue torri, i suoi ingranaggi e i suoi campanili, deve passare entro e oltre la soglia della nostra (non libera) volonta', cioe' realmente... deve passare, intendo, realmente.

#30
Citazione di: Jacopus il 28 Luglio 2025, 13:36:20 PMIn realtà neppure la vita è il "fondamento ultimo" indiscutibile e prescrittivo. Lo sarebbe in un mondo di monadi, ma la vita e la morte sono fenomeni relazionali. Anche in questo caso può nascondersi la fallacia naturalistica. Oltre al caso dell'uomo grasso, basti pensare al diritto di aborto, alla guerra, al diritto in nome della vita di poter possedere un harem, per riprodursi. La fallacia naturalistica presuppone che tutto sia dinamico e tutto sia relazionale, per cui il fondamento della "vita giusta" va cercato altrove. La distinzione prescrizione/descrizione è sia un principio logico afferente alla necessità di distinguere due dimensioni  (che possano interagire è un altro discorso), sia una affermazione che mette in primo piano la singolarità della specie sapiens in natura. Una singolarità che ha tratto origine dalla natura (ovvero un cervello fuori dal comune) ma che si è affrancata dalla natura grazie a quella singolarità. Ci troviamo così nella scomoda situazione di agire nella natura, sfruttandola così a fondo, da mettere a rischio la nostra sopravvivenza come specie. Il che comunque non è un evento eccezionale, visto che, mediamente si estinguono circa 1000 specie all'anno, dal 1980 in poi ( le specie esistenti sono circa l'uno per cento di tutte quelle che si sono presentate  sul pianeta terra).
Un altro argomento riguarda come la morte sia connessa con la vita addirittura negli stessi meccanismi biologici naturali che favoriscono la vita, come l'apoptosi.

Io volevo dire solo che il condizionamento biologico della nostra percezione e del nostro pensiero, e quindi indirettamente anche della nostra cultura, impedisce l'esistenza di una "realta' oggettiva", e quindi, di un "sapere disinteressato", o insomma di una contemplazione, abbastanza pregnante o abbastanza interessante da essere fondamento e motivo di esistere per la filosofia, in quanto disciplina; il fondamento e il motivo di esistere dell'universo mondo, invece, qui, non era in
questione.

Ribadisco, la vita ci vincola, ma la vita nasce dal caso, e il caso, non vincola. La forza vincolante dell'istinto, e' un a priori, di una descrizione, a posteriori. Se c'e' un orologio (vita) c'e' un orologiaio (istinto, e struttura). Non si tratta di affermare un assoluto, ma una inoggettivita' e inoggettualita' della conoscenza e del processo del conoscere, in quanto condizionato, dalla vita stessa. C'e' chi ci puo' vedere un assoluto, chi un modo si essere relativo, per cui stante un fatto, ci sono alcune premesse. Stante un caso grande, c'e' una reticolare concatenazione di casi piu' piccoli.

L'inoggettualuta' della conoscenza, non deriva dell'accettazione della premessa di un assoluto della vita o del vitalismo come filosofia, ma (semmai) dall'accettazione, dalla premessa, della realta', del condizionamento istintuale e biologico sulla conoscenza e presso la conoscenza.

Poi ho detto che l'abbaglio, umano, nella credenza in una simile oggettivita', e' molto simile all'abbaglio, uomano, della credenza in Dio. Dio e' morto, e con esso, la verita' oggettiva. O se vogliamo la verita' oggettiva, e' morta, insieme con Dio. Dio e' l'assoluto, opposto, all'assoluto, che

I tre punti fondamentali qui sono:

> Che io non ho tratto una morale prescrittiva dalla natura. Non ho detto a nessuno cosa fare, tranne forse che l'intelletto si deve adeguare alla volonta' e non viceversa, ma mi pare abbastanza vago, da permettere ad ognuno di vederci quello che vuole, dentro e attraverso questo mio "consiglio", che comunque, non e' e non vuole essere, anche,  un "giudizio".

> Che io eventualmente, quando in altra sede, e non in questa, traggo una morale prescrittiva dalla "natura", sono consapevole di farlo, e cerco di renderne consapevole chi mi legge. La fallacia interessante, a mio modo di vedere, e per quanto possibile anche di comunicare, semmai, e' quella segnalata. Con le strisce stradali, i cartelli eccetera. Questo sempre intendo, vale in generale.

> Che quando io in altra sede, traggo una morale prescrittiva dalla natura, questa, non ha niente, ma proprio niente, a che vedere con il divieto di aborto, piu' di qualcosa, si', con la guerra,  poco o quasi niente con gli harem maschili. Percio' lasciate perdere, le fallacie naturalistiche che credete di intendere. La vita non va' difesa, si difende da sola.

L'apoptosi e' come la vita intende la morte. Essa, l'apoptosi, e' un vantaggio per il gruppo e per il seme/gene, ma non gia' per il singolo, e, tanto meno, non per il singolo in quanto cosciente e desiderante. Non ci fa', accettare serenamente la prospettiva di schiattare, semplicemente, diciamo cosi', ce la impone. Un po' come tutto il resto, dei condizionamenti biologici. E istintuali. Da cui l'estrema difficolta' a trarre morali individuali dalla biologia. Si tratterebbe di trarre morali, inevitabilmente in certa misura individuali, cioe' contemplanti il piacere e la coscienza, da cio' che, nelle sue reali tendenze e finalita', e' tutto, essenzialmente, sovra/individuale (cioe' massificato, ecologico e moltitudinario) o sub/individuale (cioe' genico/genetico). L'individuo, e' proprio l'agnello sacrificale della biologia. Perche' esso e', direttamente, il "livello" della realta' che biologicamente e naturalisticamente, non esiste. Esistono, il suo sopra, e il suo sotto. Percio', se uno prende sul serio, il compito, di trarre una morale dalla natura/biologia, scusa, ma non puo' non sorridere di harem e aborti. E un po' anche di guerre. Perche' si rende conto di quanto ingrato sia, questo compito.