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Messaggi - daniele22

#16
@anthonyi
A questo mondo sembra che ognuno si droghi a suo modo.. la misura fa la differenza.
Dal punto di vista della ragione la fede coincide con la speranza, ovvero, un individuo che ne abbracci una aspetta qualcosa.
In questo suo abbraccio egli convoglia il suo agire nella direzione della sua speranza.. ovvero pone in pratica la sua etica rivolgendosi, più che al presente, alla sua propria speranza... ovvero ancora, nell'atto di fede il presente è subordinato al futuro (il fine giustifica i mezzi).
In questa situazione l'individuo trova spontaneamente amici e nemici di dubbie fedeltà alla causa, e con questi amici genera guerra agli altri.
Se è questo che desidera nel suo profondo è probabile che per lui la fede sia una terapia. Fermo resta che il Dio di Abramo è un Dio che genera guerra.
Se non è questo che desidera nel suo profondo si casca allora nella malattia, e allora in questo senso la scienza sembra essere l'ultimo oggetto di fede a cui si dedica l'umana insipienza. La scienza dovrebbe tornare quindi a essere semplice tecnica di indagine e non un inconsapevole oggetto di culto.
Sempre dal punto di vista della ragione
Saluti dal tuo discepolo
#17
Citazione di: Luther Blissett il 24 Ottobre 2025, 18:44:24 PMAhiahiahi, constato che non avete indovinato:  vi siete persi l'occasione d'oro di un trenta e lode pure con l'abbraccio accademico!  E pensare che  questo qui sarebbe pure un sito pieno zeppo di filosofi  :D
E vabbè, allora ve lo dico qual era la dottrina filosofica che dovevate indovinare, e che se ne stava criptata dietro e dentro la mia cosiddetta nuova teologia.
Solipsismo!  Interroghiamo zia Wikipedia che ora ci dirà con precisione cos'è: "dottrina filosofica secondo cui l'individuo pensante può affermare con certezza solo la propria esistenza, poiché tutto quello che percepisce sembra far parte di un mondo fenomenico oggettivo a lui esterno, ma che in realtà è tale da acquistare consistenza ideale solo nel proprio pensiero, cioè l'intero universo è la rappresentazione della propria individuale coscienza."
È stato detto che soltanto la nostra mente può essere sicura di esistere, il solipsismo sarebbe la nostra unica certezza.  Ma poi, ragionandoci su, sùbito comprendiamo che sarebbe assurdo crederci davvero....
Ciao Luther e benvenuto. Confesso che ti leggo poco, troppo lunghi i tuoi interventi.. a ciascuno il suo stile.  Ma sfogliando mi è cascato l'occhio su questo post. Devo dirti bravo, senza ironia, infatti puoi ben osservare che siamo sempre vissuti nel teosolipsismo.. te lo assicuro io che me ne intendo.. sarebbe ora di rendercene conto, più che di abbracciare una fede (le due cose sono simili)
Un saluto
#18
Tematiche Filosofiche / Re: Il filosofo che non sono.
29 Ottobre 2025, 07:27:49 AM
Citazione di: Koba il 27 Ottobre 2025, 17:26:56 PMQuando ho parlato del compito del filosofo non mi riferivo a me naturalmente, ma a autori riconosciuti. Implicitamente mi stavo chiedendo verso quali autori rivolgere la mia attenzione, verso quali orientamenti. Era una specie di riflessione sul "piano di studi" per questo inverno.

Chiarisco ciò che ho scritto sul rapporto soggetto-oggetto.
Alcuni studiosi come Havelock hanno detto: a un certo punto in Grecia emerge la figura di un nuovo sapiente capace di rompere con un rapporto di immedesimazione rispetto a quello che fa, a quello che vive, un nuovo soggetto che inizia a domandarsi la definizione di ciò che prima faceva e basta.
L'emergere quindi nello stesso tempo sia di un soggetto logico che di un oggetto da indagare. Due poli che emergono insieme, quindi.
Nei primi dialoghi platonici si vedono questi ateniesi più o meno noti che vengono "molestati" da Socrate che chiede loro – essendo considerati sapienti in quel determinato settore – che cos'è, per esempio, la santità in generale. Naturalmente la santità in generale prima dell'evoluzione di quel dualismo tra mente e mondo (un modo specifico di interpretare l'esperienza) non è mai esistita. Proprio qui inizia a prendere vita il concetto generale di santità. Cioè la possibilità di definirla. Prima c'era il santo, quel determinato santo, ecc. Non la santità in generale.
Ora, la possibilità di porre quella distanza tra sé e le cose del mondo, secondo Havelock nasce con la scrittura alfabetica. È un effetto materiale e tecnico della scrittura. L'effetto del passaggio da una civiltà orale a una civiltà della scrittura.
Così, secondo alcuni autori, la filosofia di Platone avrebbe come base materiale questo passaggio epocale. La scrittura alfabetica non causa direttamente la nascita del soggetto logico, ma crea le condizioni simboliche e materiali perché tale forma di soggettività emerga. Rende possibile l'astrazione.
Quindi rende possibile anche la riflessione sul metodo e sulla natura del sapere.
Il metodo costruito da Platone è quello della dialettica: saper indagare le idee nelle loro relazioni di somiglianza e differenza. Rispetto a Parmenide dirà: un'idea, una forma, è identica a se stessa, e nello stesso è diversa da tutte le altre. L'essere che Parmenide intendeva come uno, eterno e immobile, diventa con Platone molteplice e ha la struttura di una rete di idee.
Dunque per conoscere la "giustizia", non solo non devo fermarmi a esempi concreti di "uomo giusto", ma non posso nemmeno limitarmi a contemplare l'idea di giustizia: la devo esplorare nelle relazioni che essa ha con tutte le altre.
Fatto questo, stabilito quindi che conoscere significa riuscire a dare una definizione logica, e che la definizione logica consiste nella rappresentazione delle relazioni tra idee, rimane il problema che attraversa tutta la storia della filosofia fino al Novecento: che rapporto c'è tra idea e cosa reale, tra forma generale e cosa sensibile? Cosa c'è in comune tra quella cosa lì e la parola che uso per indicarla?
Problema che ora non può più essere risolto con la fede in un Dio che ha creato il mondo avendo in mente le idee e dando nello stesso tempo alla sua creatura privilegiata, l'uomo, la facoltà naturale di afferrarle.
Problema che in Galileo assume questa versione: Dio ha creato la natura secondo una struttura matematica; l'uomo sa fare matematica. Quindi l'uomo può conoscere la vera struttura del mondo, a patto di seguire il metodo corretto.
Con il collasso dei grandi sistemi metafisici incontriamo per esempio Wittgenstein che cerca di risolvere il problema con la forma logica. L'elemento comune tra concetto e cosa sarebbe la forma logica.
Ammesso che la risposta ci soddisfi, si può chiedere (come hanno fatto alcuni filosofi): ma qual è il contenuto della forma? Proprio il contenuto concreto della forma pura? Non è che questa presunta forma logica pura, questo schematismo, non sia plasmato da qualcosa di più concreto?
Per farla breve: certe ricerche hanno tentato di capire quale sia la base materiale di questo schematismo. Indagini sul costituirsi fisico, pratico della possibilità di significazione del linguaggio. Ricerche su una gestualità originaria, o ricerche secondo cui le lettere dell'alfabeto conserverebbero la traccia di una loro origine figurativa, una stilizzazione di tratti che esprimerebbero immagini e simboli archetipici (Alfred Kallir), ecc.

Venendo infine alla tua domanda "sulla natura dell'inconoscibilità della mela", da quello che ho scritto sopra si potrebbe rispondere che tale inconoscibilità è solo apparente, e legata ai paradossi che vengono dall'emergere di quel dualismo, soggetto da una parte, oggetto dall'altro, e linguaggio come strumento di connessione. Rimanendo all'interno di questa condizione, problematizzandola, salta agli occhi innanzitutto che conoscere la mela significa disporre del suo concetto, ma che tale concetto si definisce a partire da ciò che non è, dalle relazioni con concetti che esprimono ciò che la mela non è. La sua identità rimanda sempre ad altro: e tuttavia è proprio in questo rinvio – in questa rete di differenze – che consiste la possibilità stessa di conoscerla.

Avevo sentito parlare di Havelock circa il fatto che cercava di mettere in luce una stretta connessione tra la lingua alfabetica e la nascita della filosofia greca. Insomma, più o meno quello che dici. Pensai così di striscio a quali influenze potesse avere avuto l'uso di una lingua pittografica dove il segno non rappresenta semplicemente un suono (la filosofia orientale immagino). Risolsi così che l'alfabeto o la pittografia, ma pure il cuneiforme o il geroglifico fossero semplici possibilità nel mettere per iscritto l'orale. Non sarei pertanto incline a pensare che il segno alfabetico sia una raffinazione di ideogrammi o pittogrammi di cui si è persa traccia. Quello che mi induce a pensarlo sarebbe il fatto che se uno si cala nel mondo della lingua dovrebbe trovare infine che il sostantivo non si riferisce tanto all'oggetto, così come sembrerebbe in questo mondo moderno abituato all'esistenza delle cose, bensì alle azioni che l'oggetto può compiere o che gli si può far compiere. In altre parole, alla mente incarnata nel corpo non gliene frega nulla dell'oggetto in sé, essendo questo solo un mezzo per realizzare degli scopi (costruire oggetti che compiono azioni). Pertanto, la cosa in sé, più che essere inconoscibile sembrerebbe invece uno specchietto per allodole.
Riguardo al tuo pensiero segnalerei il fatto che pure nell'oralitá sia presente l'astrazione. Di fatto, un sostantivo è un'astrazione. L'esempio che hai fatto "dal santo alla santità" è chiaro e calzante, ma il concetto di un concetto tocca pure qualcosa di più vasto, del tipo di quello che ho detto nel topic "Inventare una nuova religione" in cui mi lamentavo del fatto che si volesse fare una parabola sulla parabola. Tutto questo evidenzia infine che un concetto può essere un corpo molto esteso, tal sì da considerarsi un concetto cose come ad esempio un pensiero immortalato, la rivoluzione francese e finanche la realtà: insomma, tutto ciò che la tua mente possa imbrigliare tanto da poterne parlare anche a vanvera. Evidentemente questo bisogno di commentare, di generare altre realtà nasce dallo stato delle cose, sarebbe un prodotto dell'evoluzione, del divenire, infine di un istinto alla verità, ma al tempo stesso fu nondimeno sufficiente a far sì che qualcuno abbia a suo tempo generato l'idea del noumeno, ovvero lo specchietto per allodole.. non penso che l'ideatore ne fosse consapevole, ma tant'è che lo fece
Un saluto
#19
Tematiche Filosofiche / Re: Il filosofo che non sono.
29 Ottobre 2025, 07:19:01 AM
Citazione di: Alberto Knox il 28 Ottobre 2025, 00:15:27 AMla natura umana. Se si studia la questione ci si rende conto di un fatto , il fatto che noi ci approcciamo sempre al mondo attraverso un particolare angolo prospettico. innanzitutto quella di essere umani . La nostra conoscenza dovrà sempre , in un certo senso, tradurre il mondo nel linguaggio delle nostre facoltà , dei nostri sensi , del nostro ragionamento. Ma la mela è estranea a queste traduzioni, estranea ai nostri sensi percettivi, estranea alla nostra ragione. La mela , semplicemente è. Siamo noi che la imbastiamo di concetti, di percezione , di gusto, di colore , che sono qualità secondarie, non l'essenza. La domanda è allora "perchè non posso conoscere l essenza della mela?" o sbaglio?
Sì Alberto, la domanda è senz'altro auspicata e corretta.. segue risposta a koba

#20
Tematiche Filosofiche / Re: Il filosofo che non sono.
27 Ottobre 2025, 19:07:00 PM
Citazione di: iano il 27 Ottobre 2025, 10:50:34 AMRisposta non richiesta di un non filosofo, a uno che lo è nei suoi limiti, e che critica quei filosofi totali per le risposte che gli danno, con obbligo perciò di rispondergli in un modo più confacente all'essersi dichiarati filosofi, i quali però non si sono mai dichiarati tali, ne poco , ne tanto, e lui che pur filosofo non è del tutto, ha però precisa cognizione di cosa significhi essere filosofi a tutto tondo, anche se non si sa come faccia a saperlo, non essendolo.

Sembra che tu ti diverta a mettere su un alto piedistallo la gente, perchè poi facendola cadere possa farsi più male.

Ma veniamo alla risposta non richiesta.

Il soggetto che pensa c'è sempre, ma non è più quello che pensi, allo stesso modo che non lo è la pensata realtà.
Questo soggetto pensante dispone solo del prodotto di interazioni con la realtà, attraverso i quali si fa un idea indirettamente della realtà e di se stesso, quanto basta per sopravvivere.
La conoscenza, indipendentemente dal valore che vogliamo dargli, è il risultato di un processo, e perciò non c'è nulla che viene da se, potendosi fare eccezione, giocoforza, e usando comunque parsimonia, solo per ciò che lo fa divenire.
I prodotti sono concetti coi quali possiamo interagire, che a loro volta possono quindi  ben produrre altri concetti, finché allontanandoci dal processo originale, e di quello perciò ormai ignari, siamo giustificati nel credere che non ve ne sia alcuno, e che il soggetto sia direttamente legato ad una realtà che appaia in quanto tale.

Come da costume fine anni 70, quando si diceva "Senti un po'! guarda che ti stai facendo un film".... Estendo pure a te l'invito di ritrovarci da Mario.. bicchiere dopo bicchiere nel fiume divino - fiumi di vino - manco due ore e avrai conferma che la mente non si bagna mai identica a sé stessa nel fiume del buon nettare
Buon natale nel frattempo
#21
Tematiche Filosofiche / Re: Il filosofo che non sono.
27 Ottobre 2025, 09:04:40 AM
Citazione di: Koba il 26 Ottobre 2025, 14:56:48 PMMa per "concetto del concetto" che cosa intendi? Una nozione (un concetto) che esprimerebbe la caratteristica generale del concetto? È così?
Se è così non credo che la critica di Hegel vada in quella direzione (per quanto ne so io).
Il "noumeno" è un concetto che vorrebbe rimandare alla realtà in sé, quindi ad una conoscenza (impossibile) che si pone al di là dei meccanismi dell'intelletto. Ma nello stesso tempo è esso stesso un concetto, quindi ancora un prodotto del pensiero. Questo vuol dire che non siamo mai usciti dal pensiero, abbiamo solo immaginato che ci possa essere un'esperienza pura, che infatti abbiamo subito dichiarato come impossibile.
Io quindi posso più o meno risponderti come ho fatto l'ultima volta.

Non ti è venuto in mente di documentarti per conto tuo, risolvere l'enigma e poi metterci al corrente delle conclusioni a cui sei arrivato?
O ti aspetti che qualcuno passi la domenica pomeriggio sui libri così da poterti dire se la tua intuizione è sensata oppure no?
Da Wp:
"Il noumeno compare anche nella filosofia di Immanuel Kant[7] (dove è anche chiamato cosa in sé, in tedesco Ding an sich). In Kant il noumeno è un concetto dai caratteri problematici che si riferisce a una realtà inconoscibile e indescrivibile che, in qualche modo, si trova "al fondo" dei fenomeni che osserviamo, sullo sfondo, al di là dell'apparenza (di come cioè le cose ci appaiono).
I termini 'noumeno' e 'cosa in sé' non sono in Kant perfettamente sovrapponibili: il noumeno è comunque una rappresentazione o idea della ragione, e come tale risiede nella mente umana; è il modo in cui il pensiero cerca di rappresentare ciò che va oltre la sua capacità di conoscere. La cosa in sé invece è ciò a cui il noumeno si riferisce: è la 'realtà' in quanto esterna alla mente del soggetto, ciò con cui per definizione non si può entrare in alcun rapporto se non tramite il pensiero poiché questo si pone al di là di ogni esperienza possibile".
Io ragiono con la mia testa e quello che ho detto era pure una conseguenza del post in cui dicevi riferendoti a Nietzsche:
"....se Hegel ha portato a termine la dissoluzione dell'oggetto (del realismo ingenuo), ora viene il momento per la decostruzione del polo soggettivo.
Non c'è più un soggetto che pensa il suo oggetto, ma piuttosto un soggetto e un oggetto che emergono insieme nell'ambito di un'attività specifica".
Con tutta la buona volontà, o ti spieghi meglio, oppure faccio fatica a immaginare un'azione "che porti a un "non c'è più un soggetto che pensa il suo oggetto", e vedo inoltre nebbiosa l'immagine di una loro "emersione insieme nell'ambito di un'attività specifica".
Dato quindi che possiedo l'uso della ragione, se Hegel avesse fatto una buona critica a Kant, mi chiedo come mai si siano prodotti in seguito pensieri così astrusi. Di fatto, quello che al limite posso capire è che sia velleitario separare il soggetto dall'oggetto quando il soggetto viva all'interno di ciò che vorrebbe descrivere, la realtà appunto. Posso capire anche che ci si faccia manipolare (instupidire) dall'oggetto (cosa, concetto o persona che sia). Ma è difficile pensare che non vi sia un soggetto pensante. Quello che ho detto non è una fesseria o una ovvietà, e questo fatto del concetto del concetto (sicuramente un problema) l'ha messo in evidenza anche Phil quando mi disse se dovessimo giungere infine a metterci d'accordo su cosa si potesse intendere col termine catastrofe. Prova ora immaginare di aprire un thread dal titolo "Perché la mela è una mela ... astenersi perditempo". O un thread sul noumeno, o sull'amicizia.
Concludendo, io che non sono un filosofo, ma pretenderei di esserlo nei miei limiti, pongo ad altri che pretendano di esserlo questa semplice questione:
Naturalmente, il concetto del concetto genera al più solo confusione, ma non risolve comunque una questione importante.. Che sarebbe, riferendomi alla citazione di cui sopra da Wp ¿vale la pena chiedersi di definire meglio ciò che rende possibile la concezione di "inconoscibilitá" della cosa? O, più direttamente ¿Qual è la natura dell'inconoscibilitá della mela? Se faccio la domanda va da sé che io abbia la mia risposta, ma riterrei opportuno un parere
#22
Tematiche Filosofiche / Re: Il filosofo che non sono.
26 Ottobre 2025, 14:14:35 PM
Citazione di: Koba il 26 Ottobre 2025, 10:28:53 AMAlla fine le domande filosofiche non possono che suscitare una ricerca che, se rigorosa, si spinge fino al fondamento, all'origine.
Per esempio Cartesio con il suo cogito che senza un Dio garante si perde nei suoi stessi dubbi iperbolici. Deve arrivare fino a Dio, fino alla fede nella natura buona di Dio, per poter uscire dal suo incubo e iniziare a costruire la nuova enciclopedia del sapere.
Si può partire da una semplice domanda attinente una virtù, ma poi da lì – se si prende sul serio il domandare – non si può che essere trascinati al fondamento del sapere. Una definizione di cos'è la generosità ci cattura nel gioco spietato della filosofia. Platone lo ha mostrato in modo esemplare. Se si vuole fare filosofia bisogna rispondere, accettare di andare fino in fondo, non si può dire che va bene A ma anche B e perché no, mettiamoci pure C, tanto per non sbagliare.
E però il fondamento non c'è. Il gioco sta in piedi proprio perché mancando, si è spinti a cercarlo, a definirlo, a esplorarne i confini.
Esempio: il ritorno di Heidegger sul pensiero dell'essere. Per quanto lo si barri, per quanto ci si affatichi a parlarne al di fuori e contro la storia della metafisica, la cosa puzza (o profuma, a seconda dei gusti) di teologia. Inevitabile.
Ma allora qual è esattamente il compito del filosofo?
Papale papale. Il compito del filosofo è rispondere alla mia precedente domanda indiretta "mi chiedo come mai Hegel non abbia detto che il noumeno rappresenta il concetto del concetto. Perché si tratta di una fesseria? Perché è un'ovvietà che solo io non conosco? O per quale altro motivo?
Si tratta cioè di rispettare un codice deontologico non scritto a cui dovrebbe attenersi un filosofo che non racconti frottole ben confezionate.. il diavolo veste prada
#23
Citazione di: Kephas il 25 Ottobre 2025, 15:23:58 PMSalve!

Naturalmente le Parabole nei Vangeli bisogna considerarle a livello spirituale, e cioè ogni parola ha un significato interiore che non riguarda le cose naturali e mondane bensì le cose spirituali e celesti.

Sui talenti di cui si parla nell'Evangelo di Luca,  si può dire che chi coltiva con tutta diligenza il talento concessogli, quegli anche possiede il vero tesoro, in aggiunta al quale gli verrà sempre dato ancora di più; ma invece chi non si dà pena di coltivarlo e non vuol fare alcun sforzo per vincere la sua pigrizia, quegli non può poi ascrivere che a se stesso la colpa se alla fine, assieme alla sua mina serbata nel fazzoletto, diventa ancora più stolto di coloro i quali non vogliono che il re della luce regni sopra di loro.

(Nella nostra limitatezza), facciamo un esempio:  Ci sono i Credenti e ci sono gli atei. I credenti nella loro fede cercano sempre letture, o altro per saperne sempre di più nella loro religione o nella fede. Gli atei anche loro abbondano di letture di cui maestri più atei di loro giustificano il loro ateismo.
A me sembra più che normale che i credenti ricevono sempre di più, come pure gli atei nella loro non credenza.
Cosa ne sanno gli atei di quello che i credenti ricevono? naturalmente a loro (gli atei) viene tolto quel poco (di fede nel divino) che avevano, dai loro maestri.
Poi ci sono gli agnostici, ma quelli credono, solo quando vedranno il Signore apparire fra le nuvole del cielo (Matteo 24, 29-31)

E' normale che ci siano credenti ed atei, dipende da tanti fattori: famiglia, compagnie, ecc.

Per essere sincero anch'io non so dire cosa sono. Ho anch'io una mia credenza ed è questa:

Credere = non serve a niente = molto facile
Sapere = serve a poco = meno facile
Amare = serve a molto = un po più difficile




Ciao Kephas, io sarei un agnostico, ma prima ancora una persona. La mia posizione è quella di non essere interessato più di tanto all'origine dell'universo. Benvenga comunque chiunque che sappia spiegarmelo. Mi sono invece interessato a lungo del fatto che noi si abbia in uso questa nostra lingua.
Il senso del mio intervento si inquadrava nel voler tratteggiare una religione universale che dovrebbe, per forza di cose, rilegare atei e credenti. Il filo di tutto il pensiero si snoda a partire dal post 46 attraverso un bel numero di post. Stavo quindi proponendo tre letture di Gesù scelte ad hoc in linea sempre col filo (Matteo, Luca, Tommaso) per significare soprattutto che di Gesù abbiamo solo racconti, probabilmente frutto di altri racconti. A fronte di questo sarebbe pertanto pretenzioso affermare di conoscere Gesù. In questi tre racconti, per finire e darti un quadro completo del filo del pensiero, mi sembrava di avere messo in evidenza un rapporto poco chiaro di Gesù col danaro, mancanza di chiarezza che può rivelarsi già in parte tra Matteo e Luca, ma che emerge nettamente dal contrasto con Tommaso (post 216). In ogni caso mi sembra che una fede in qualcosa sia necessaria, sarebbe cioè incarnata e non solo nell'uomo, la conoscenza serve e non serve.. (ottima la ricerca sulla salute.. soprattutto psichica)... l'amore è quello che è, si ama e si odia. Giungere a una sublimazione dell'amore a tutto campo la vedo più che altro come una buona prospettiva dalla quale siamo assai distanti
Un saluto
#24
Tematiche Filosofiche / Re: Il filosofo che non sono.
23 Ottobre 2025, 22:09:06 PM
Citazione di: Koba-san il 23 Ottobre 2025, 17:38:14 PMLa "confutazione" del criticismo svolta dall'idealismo consiste nel mostrare che la nozione della cosa in sé essendo appunto una nozione, cioè pensiero, non può indicare nulla di veramente esterno all'intelletto umano. Dunque si tratta di un elemento aporetico nel sistema.
L'attacco può venire anche – ed è la stessa cosa – sul versante dello schematismo trascendentale con cui Kant cercava infine di collegare esperienza del mondo e concetti dell'intelletto. La debolezza della soluzione dello schema lasciava spazio agli idealisti per lavorare dal suo interno, diciamo così, ad un superamento del criticismo.

Forse a causa di non sapere ho come l'impressione che Hegel si sia, o ci abbia complicato la vita. Mi chiedo cioè come mai non abbia espresso l'idea che "la cosa in sé", ben esistente come forza, corrisponda invece all'idea che si ha di un concetto.. giusto perché il noumeno (concetto che vale per "la realtà in sé"), sarebbe promotore di ideologie, e per questo motivo degno di buona attenzione
#25
Tematiche Filosofiche / Re: Il filosofo che non sono.
23 Ottobre 2025, 08:03:31 AM
Citazione di: Koba-san il 22 Ottobre 2025, 15:19:08 PMC'è un idealismo di base, descritto nei primi tre capitoli della Fenomenologia dello Spirito di Hegel che tutti quanti coloro che vogliono fare filosofia devono attraversare, ed esattamente come voleva Hegel, superare senza che vi sia un rinnegamento semplice.
Si tratta di un passaggio fondamentale della filosofia moderna che complessivamente è ruotata attorno al rapporto soggetto-oggetto, ovvero il problema della conoscenza.
Come possiamo sapere che le nostre descrizioni del mondo siano attendibili?
Dopo la confutazione della dottrina di Kant – una volta mostrato che la nozione di cosa in sé essendo essa stessa nozione non aveva senso mantenere – ecco quello che io chiamo idealismo di base: la realtà viene fin da subito, attraverso i sensi, "tradotta" dai nostri concetti, dal nostro linguaggio.
Di fronte a ciò che mi è estraneo, da ciò che è straniero, il soggetto necessariamente, indipendentemente dalle sue finalità, avanza mediando il nuovo con ciò che già conosce, con la sua cultura.
Questo è un fatto che anche la psicologia cognitiva e le neuroscienze contemporanee attestano. Noi non accogliamo la struttura della realtà ma interpretiamo fin da subito ciò che viene dai sensi. Creiamo continuamente un mondo partendo dalle fragili tracce dei sensi.
Quindi, questo idealismo di base semplicemente non è confutabile.
Ma non va confuso con una concezione solipsistica alla Matrix secondo cui il soggetto crea letteralmente la realtà. Nell'idealismo la realtà non è creata, la materia non è prodotta dall'attività dell'Io, ma viene "incanalata", tradotta, compresa, dalla soggettività fin dall'inizio del processo conoscitivo.
Ma qual'è la debolezza di questo idealismo di base? È il fatto che pur avendo criticato la possibilità che vi sia un oggetto reale, da conoscere per quello che è, l'altro polo della relazione, il soggetto, non è stato indagato sufficientemente.
Qui inizia il lavoro di Nietzsche, seguito poi dalla filosofia del Novecento: se Hegel ha portato a termine la dissoluzione dell'oggetto (del realismo ingenuo), ora viene il momento per la decostruzione del polo soggettivo.
Non c'è più un soggetto che pensa il suo oggetto, ma piuttosto un soggetto e un oggetto che emergono insieme nell'ambito di un'attività specifica.
Poi a partire da qua, cioè dalla dissoluzione del soggetto (altra figura ineludibile per chi voglia fare filosofia – proseguimento necessario all'iniziazione delineata nella Fenomenologia dello Spirito), le soluzioni sono molte, naturalmente.
So poco o nulla di storia della filosofia. Ho sempre trovato difficoltà a comprenderne il linguaggio.. troppo sofisticato, troppe distinzioni. Mi è rimasto qualche, ma proprio qualche brandello dai tempi del liceo. Le tre domande kantiane sono buone.
In merito alla tua domanda direi di getto che le esternazioni sul panorama di due persone che viaggiano in automobile dialogando di questo possa dare l'idea dell'attendibilità delle nostre descrizioni. C'è da considerare, allargando per un attimo il campo, il valore del "testimone oculare" nella letteratura giuridica.
Essendomi concentrato più che altro nello "studio sul campo" del linguaggio umano, sarei tuttavia curioso di sapere con quali premesse e come si sia svolto il pensiero che ha messo in crisi la "cosa in sé". Io ci sono giunto attraverso un giudizio sull'inconsistenza del sostantivo (inteso come oggetto grammaticale)
Saluti
#26
Sicuramente la menzogna (intesa pure come astuzia, uso della mente) è l'arma più potente dell'individuo nudo e crudo. Già nell'Iliade appare quando Diomede per l'incursione nel campo troiano vuole al suo fianco Ulisse.. dice, perché lui sa usare bene la mente. Nell'Odissea dilaga.
In una civiltà abituata a prefiggersi degli obiettivi come fosse la cosa più naturale del mondo, tanto individualmente quanto collettivamente, capita spesso che se uno si fissa a raggiungere l'obiettivo prima o poi gli succederà di mentire a sé stesso. In ogni caso, una volta che ti sei rotto in bocca puoi continuare a farlo oppure no. Naturalmente questo accade pure nel forum
#27
Citazione di: Phil il 20 Ottobre 2025, 19:17:11 PMPer me non sei stato cauto, sei stato onesto. Perché nel momento in cui provi a dimostrare che quella non è solo un'opinione, già sai che se anche tutta la popolazione mondiale concordasse all'unisono, resterebbe un'opinione; globalmente accettata all'unanimità, ma pur sempre opinione. Il teorema di Pitagora, non lo è, anche se non fosse unanimemente accettato; perché a differenza delle opinioni, è oggettivo (seppur in quanto interpetazione matematica del mondo, linguaggio umano, etc. non lo ripeto ogni volta per non appesantire o "baroccare" il discorso).
Lo stato attuale è «disastroso» per i tuoi parametri (opinabili, e non lo dico certo per sminuirli) e per criticare la tua tesi basta un solo essere umano, in qualunque angolo del pianeta che dica «secondo me, non è poi così disastroso...»; e posso assicurarti che nel mondo c'è almeno una persona che lo pensa (probabilmente perché non concorda con la tua definizione di «disastroso»), ma non ha alcuna intenzione di dirti che ti sbagli né che lui ha ragione (né di cavillare su quale sia la "miglior" definizione di «disastroso»), proprio perché non è questione di aver oggettivamente ragione o meno, non trattandosi di dimostrazioni che, appellandosi alla loro oggettività, potrebbero tagliare la testa al toro (e allora «che ciascuno si tenga le sue corna, ma senza fare il bue che dice cornuto all'asino», ossia senza pensare che le opinioni siano solo quelle degli altri... almeno fino a oggettiva prova contraria).
La mia frase in questione era questa:
"...è necessario però determinare che cosa è bene e che cosa è male...........ciò che risolve la questione sarà decidere quale sia il verso (mentale) giusto di una grandezza vettoriale (la società umana); verso, a mio giudizio, fino a oggi sbagliato...."
Non è questione di onestà, si trattava di un accento, una ridondanza, vezzo tipico dell'umano, e inutile in questo caso dato che ciò che scrivo è comunque un mio giudizio o opinione.
Il tuo intervento, per il resto, mi sembra sterile retorica.
Punto primo. Come già detto, io non mi provo a dimostrare, ma cerco di mettere in luce. E in merito a questo mettere in luce ricordo che tempo fa, quando scriveva il vecchio Bobmax, si diceva da qualche parte che tutta la conoscenza era metafisica e la disputa stava nel "più o meno concreta", di preciso non ricordo. A un certo punto intervenni dicendo che la conoscenza del dolore che ti dà una pietra su un dito non è proprio metafisica (conoscenza certa). Stranamente sembra che nessuno abbia registrato.. d'altra parte la posta in gioco è alta.
Ma pensi davvero che io non sia già a conoscenza di quello che tu vorresti informarmi? E questo non va certo a tuo favore.. il fatto cioè che tu non abbia una minima memoria del mio pensiero.. dico, ne abbiamo avuti di scambi in passato.
Punto secondo. Mi sembrava di avere detto che la via della scienza fosse una possibilità e non una necessità. Nel momento in cui diventa una necessità non mi meraviglia più di tanto che all'interno dei suoi assiomi dimostri i suoi teoremi. Ci mancherebbe altro. Si tratta però pur sempre di un'abitudine (la via della scienza che lascia l'etica al mercato delle vacche) sostenuta da opinioni opinabili. La mia opinione quindi verso la tua, vostra, posizione di pensiero è quella di addebitarvi l'inconsapevole "vizio umano" a pretendere di costringere il tempo, ordinandolo esageratamente ormai. Insomma, continuate voi tutti a spaccarvi vanamente la testa contro il muro del tempo per ordinare il futuro.
Terzo. Non ho proprio capito quel discorso sul cigno nero quando di fatto sono milioni i cigni neri che pensano che la situazione non è poi così disastrosa, e che però, certo, dicono pure che bisognerebbe sforzarsi un poco. Proseguendo nel tuo intervento, sul fatto di avere ragione il tuo discorso somiglia a quello di un sacerdote che fa la morale. Comunque, a parte che la ragione ce l'hanno i Carabinieri, se penso di avere ragione la difendo. E mio malgrado, attaccando.
Fine del commento al tuo intervento.
Ah! La scienza.... dimenticavo il mio punto debole ... che brigante. Fintanto che le neuroscienze non risolvano chiaramente il rapporto tra azione precosciente (ritenuta invece cosciente) e azione cosciente, ammetto senz'altro che la mia opinione è nulla più che un'opinione tra altre. Non dimostra. Tieni conto però che gli individui c'arrivano sempre prima della scienza.. ma la posta in gioco è alta, l'ha detto anche Trump!!
Un saluto, pace & bene
#28
Citazione di: Phil il 20 Ottobre 2025, 15:41:44 PMIl comportamento collettivo è «trattato scientemente» dalle scienze umane (e qui é ancora una volta proficuo distinguerle da quelle "dure"), anche dopo che molti, se non tutti, hanno deciso «che cosa è bene e che cosa è male». Nel momento in cui dici che il «verso (mentale) giusto» è a tuo giudizio «fino ad oggi sbagliato», dai la miglior indiretta dimostrazione di come i giudizi etici non siano epistemologici; detto più semplicemente: siano questione di opinioni, non di scienza "dura". Banalizzando: se tu dicessi che il teorema di Pitagora è a tuo giudizio sbagliato, ti si potrebbero proporre dimostrazioni, sia teoriche che pratiche, per spiegarti che oggettivamente è il tuo giudizio ad essere sbagliato; con l'etica ciò semplicemente non è possibile (se teniamo ben distinte le dimostrazioni oggettive dalle argomentazioni soggettive, per quanto solide).
Va bene, sono stato cauto, melius deficere a volte. Dico allora che il verso è sbagliato. Cioè, la mia non è una semplice opinione.
Parlando di un'etica che si ispiri a criteri di scientificità sto dicendo in pratica che l'etica sia in realtà un'arte e non propriamente una scienza dura. Le scienze umane però, con tutto il rispetto giacché il mio obiettivo non è certo negare il teorema di Pitagora, per essere valorizzate dovranno pur fare i conti con la realtà che vediamo. Allora, nelle scienze dure è la predittività a dar loro un valore. Nelle scienze umane dovrebbe essere il presente a dar loro un valore.. permetti pertanto che mi venga qualche dubbio in proposito, dato il presente attuale.
E se lo stato disastroso che io vedo è una semplice opinione, pretenderei allora che si andasse a criticare la mia tesi sulla conoscenza invece che togliere sempre e puntualmente la merce dal piatto
Saluti
#29
@Koba-san
@Phil
Ritorno a questioni lasciate in sospeso circa l'idea di un'etica che si ispiri a criteri di scientificità.
Ai tempi in cui non era noto che lo spazio percorso era funzione della velocità (pure se in un certo senso già lo sapevano), un individuo che fosse uso percorrere una data distanza e che reputasse pericoloso viaggiare col buio sapeva bene che per giungere a meta prima che facesse buio avrebbe dovuto muoversi entro un determinato momento del giorno.
Analogamente a quanto già detto sull'aver cura di sé piuttosto che "fregarsene" di sé a fronte della semplice conoscenza che tutti si debba infine morire, il pensiero sopra esposto vuole evidenziare che la via della conoscenza, la fisica in questo caso specifico, sarebbe in un certo senso una possibilità e non una necessità.
Di conseguenza si può ben sostenere l'idea che la via della conoscenza (colloquialmente "la scienza") corrisponda solo a una delle due polarità in cui può esprimersi una cultura umana.
Riporto ora di seguito il mio primo post in questo forum, quello che di recente iano ha definito infelice, e che per me non lo è.
"Secondo me gli animali sanno benissimo quel che fanno. Certo, agiscono d'istinto, ma nessuno ha mai dimostrato che noi non lo facciamo. Potrebbe benissimo essere che noi d'istinto ci si rivolga alla ragione, e questa, di conseguenza, moduli nei modi più convenienti l'istinto selvaggio. Se si prova a immaginare un mondo senza regole orali o scritte, probabilmente anche noi vivremmo di puro istinto".
Poter vivere di puro istinto presuppone quindi riferirsi a costumi consolidati, ovvero a schemi che consentono automatismi d'azione senza il bisogno di ricorrere al pensiero (al ragionamento). Ma una "novità ambientale" può intervenire al punto da far sì che noi si possa considerare che l'azione istintiva consolidata risulti controproducente in relazione alle nostre aspettative, quelle nel nostro presente intendo, materiali o spirituali che siano.
Questo semplice fatto sembra rivelare che la dottrina che regge il nostro comportamento sia comunque assoggettata a un fine (le nostre aspettative). E se vi è un fine mi sembra evidente che il comportamento collettivo debba essere trattato scientemente; prima, è necessario però determinare che cosa è bene e che cosa è male...........ciò che risolve la questione sarà decidere quale sia il verso (mentale) giusto di una grandezza vettoriale (la società umana); verso, a mio giudizio, fino a oggi sbagliato. 
Concludo rispondendo alla domanda di Koba su chi decreta il vincitore di un confronto dialettico: essendo che il futuro sarebbe a mio vedere "aperto", il vincitore è il pensiero che ottiene maggior consenso, come sempre
#30
Citazione di: Koba-san il 14 Ottobre 2025, 17:45:28 PMNon sei l'unico ad aver capito che siamo tutti su delle fondamenta di argilla.
Perdona, ma visto che domattina partirò per Napoli e tornerò domenica sera, ti sarei grato se mi spiegassi nel frattempo cosa avrebbero capito quelli che sono consapevoli di trovarsi in un edificio con delle fondamenta di argilla
Saluti