Citazione di: iano il 16 Ottobre 2024, 11:54:07 AMse la maggior complessità comportando maggior coscienzaSicuramente mi sono espresso male e me ne scuso.
A mio avviso la maggior complessità non implica una maggior coscienza bensì una maggior conoscenza, intesa questa come capacità di miglior adattamento all'ambiente. Una forma di vita unicellulare ha indubbiamente una capacità di adattamento inferiore rispetto ad una forma di vita pluricellulare.
Grazie poi alle Tue parole mi sono reso conto che forse al termine "diversità" attribuisco un significato limitato, riduttivo, quasi meccanicistico se paragonato al tuo. Per come la vedo io la diversità origina nel momento in cui una forma di vita unicellulare, la più "semplice", inizia a riprodursi. La cellula "figlia", per i processi di mitosi/meiosi così come li conosciamo oggi, sarà necessariamente diversa in quanto c'è stato un rimescolamento del DNA. E questo senza che l'ambiente circostante sia intervenuto. A maggior ragione in un organismo pluricellulare dove sussiste una diversificazione tra le cellule a seconda del compito che sono chiamate a svolgere per garantire un miglior adattamento all'ambiente dell'organismo stesso. C'è poi l'autopoiesi che è in grado di correggere, limitatamente, non tutti, gli errori che si verificano nell'organismo a seguito delle reazioni chimiche che si succedono al suo interno o conseguentemente ai fattori mutageni che provengono dall'ambiente circostante. L'errore residuo farà si che l'organismo continui a svolgere una determinata funzione ma magari in maniera diversa (ad es. una diversa pigmentazione delle piume di un uccello in una determinata parte del corpo), oppure sarà comunque devastante per l'intero organismo. Solo la tecnica CRISPR consentirà, mi auguro a breve termine, di correggere la singola base azotata del DNA anziché una porzione dello stesso grazie all'autopoiesi. Ma il primo caso, la diversa funzionalità dell'organismo, ingenera la diversità. E' un'ingegneria genetica endemica.
Citazione di: iano il 16 Ottobre 2024, 11:54:07 AMMa alla fine a cosa porta di fatto la coscienza?A mio modestissimo avviso la maggior coscienza di se stesso e dell'ambiente da cui lo stesso non può mai prescindere, dovrebbe portare l'organismo complesso ad una maggior capacità di scegliere le azioni da intraprendere o meno in senso adattivo, quindi meglio ponderate anche se le cronache quotidiane sembrano dirci che accade il contrario.
A un libero arbitrio che comporta scelte imprevedibili allo stesso individuo che le fà
Citazione di: iano il 16 Ottobre 2024, 11:54:07 AMIl dado obbedisce a determinate cause che noi vogliamo ignorare, o che ci siamo messi nella condizione di non poter determinare volutamente, per simulare il caso, il quale anche quando non volutamente simulato, non esiste comunque in forma pura.Sono assolutamente d'accordo. Come ho provato a dire sopra, è di fatto impossibile individuare e isolare tutte le variabili indipendenti che intervengono nel lancio di un dado (imperfezione dello stesso, temperatura e umidità dell'ambiente, presenza dell'osservatore, ecc.). Non per questo ci si esime dal generalizzare la previsione (teoria) ricavata dalle osservazioni eseguite (ma se non lo facessimo saremmo ancora "al palo"). Come giustamente asseriva Severino la situazione di laboratorio non potrà mai replicare quella esistente in natura. Quindi esisterà sempre un certo grado di imperfezione: da capire se accettabile o meno. Peraltro una qualsiasi branca della Scienza pone le sue basi su assiomi e postulati che, per definizione, non sono dimostrabili ma immanentemente considerati veri a priori.
O quantomeno non credo sia saggio basare una teoria su qualcosa la cui esistenza è indimostrabile, se comunque possediamo in subordine qualcosa che avendo lo stesso effetto possa dimostrarsi, ciò che ho chiamato simulazione del caso.