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Messaggi - maral

#16
Citazione di: green demetr il 19 Settembre 2017, 10:53:18 AM
x  Maral

AB-SOLVO

Sarebbe un rafforzativo di un allontanamento dall'oggetto.

In un primo momento ho pensato che però non è l'oggetto che evapora bensì il soggetto.

Poi ho ragionato subito sul fatto che però nell'alchimia effettivamente è l'oggetto a evaporare.
Credo piuttosto che oggetto e soggetto dissolvano insieme in quanto l'uno pone l'altro, reciprocamente. Oggetto e soggetto non sono che aspetti della medesima cosa.

#17
Citazione di: Carlo Pierini il 17 Settembre 2017, 12:45:10 PM
Citazione di: maral il 17 Settembre 2017, 10:52:09 AM
La verità assoluta può solo essere una e non ammette che se stessa, per questo è indicibile e non ha significato, essendo matrice di ogni significato e altro di essa non si può dire.
[/font]

Il problema è che quello che hai appena scritto pretende di essere definitivamente VERO. E se non ammetti verità definitive-innegabili, seghi il ramo su cui sei seduto.
No, non sego nessun ramo, perché non pretendo di poter dire qualcosa solo se essa è verità assoluta che tra l'altro esclude, proprio in quanto assoluta (in riferimento al suo essere assoluta), qualsiasi poter essere detta. Se affermo qualcosa, qualsiasi cosa affermi, è sempre nei limiti di un contesto di riferimento ed è proprio il suo presentarsi nei limiti di tale contesto che la rende vera, ossia vera rispetto a quanto qui si dice.


CitazioneTi ho già fatto l'esempio banale di <<Franco ha un'auto sportiva rossa>> che è una verità che non ammette che sé stessa e che invece, come vedi, è dicibilissima.
Non è una verità assoluta, avere un'auto, come avere qualsiasi cosa, è relativo a un certo modo di rapportarsi degli enti. In che senso si ha? in che senso un'auto è un'auto sportiva? E così via. Tutto quanto nella frase da te detta, se non presa in modo banale, ma nella problematicità filosofica che le compete è relativo.
Citazione<<Affermare: "Questo è assolutamente vero" vuol dire: "Questa proposizione si è trovata ampiamente verificata e non c'è nulla che possa trovarla falsa">>. [N. ABBAGNANO: Dizionario di Filosofia][/font]
Per quanto ampia sia la verifica non può uscire dal contesto relativo in cui si presenta come verifica. L'assoluto è assolutamente inverificabile, pur essendo sempre verificato.
Il contenuto di una proposizione, se significa qualcosa, è vero nell'ambito in cui si presenta come vero, non in assoluto, non al di fuori di quell'ambito. L'assoluto non significa assolutamente nulla, men che meno amore, giustizia, divinità o archetipi di alcun genere. E in questo non vi è alcuna contraddizione. Per significare qualcosa l'assoluto deve rendersi relativo in modo da poter essere pensato e detto.

CitazioneIn altre parole, tu stai scambiando illegittimamente l'assolutezza di una verità con la sua precisione, o con la sua eternità, o con la sua universalità, le quali, invece, fanno parte del contenuto della proposizione. Infatti, assoluto deriva da ab-solutus, cioè, "sciolto da-", "liberato da-"; liberato o sciolto dalla possibilità che la dichiarazione (qualunque essa sia) sia contraddetta dai fatti, possa essere trovata falsa.

In realtà tu stai scambiando il significato con la cosa a cui quel significato solo allude e non definisce. I fatti rientrano nella dimensione di ciò a cui noi diamo, nel contesto che ci esprime, il significato di fatti. Pertanto non vi sono fatti assoluti, ma fatti che ci riguardano nel contesto in cui esistiamo.
Se dico che il tale ha una macchina rossa sportiva, non ho alcuna pretesa che essa sia una verità assoluta, ma che sia vera nel contesto relativo in cui questa frase ha un significato.

CitazioneInvece, quanto hai appena detto è privo di errori?
No e proprio perché l'ho detto. Qualsiasi cosa detta contiene errori e proprio negli errori sta la  verità che consente di dirla.
#18
Citazione di: Carlo Pierini il 16 Settembre 2017, 12:56:40 PM
Tu vedi solo un volto della verità assoluta (quello che io identifico con un Principio Ultimo), il volto più luminoso che corrisponde con il grado massimamente generale. Poi esiste una vasta gamma di verità  altrettanto innegabili-assolute, ma di grado minore: dalle leggi generali della fisica, della logica, della geometria, ecc.), giù giù fino al grado più umile delle verità innegabili-assolute della vita quotidiana (<<Franco ha un'auto sportiva rossa>>, <<mio padre è stato in guerra>>, ecc.).
Insomma, se è vero che esiste un Comandante Generale dell'Esercito, esistono anche i generali di brigata, i colonnelli, i capitani, i tenenti, ...giù giù fino ai più umili "soldati semplici"; e sono tutti appartenenti al medesimo genere "uomo", come le verità di cui sopra appartengono al medesimo genere "verità innegabile-assoluta".

La verità assoluta può solo essere una e non ammette che se stessa, per questo è indicibile e non ha significato, essendo matrice di ogni significato e altro di essa non si può dire. Come giustamente dice Acquario è come il sole che splende e illumina, ma anche distrugge, arde ogni cosa e acceca, trasformando la sua luce in buio assoluto. La luce del sole può essere colta solo negli oggetti del mondo che illumina, non nel sole stesso, nel loro farli crescere e morire, nella loro diversità molteplice di immagini e colori. Così la verità assoluta si coglie solo nelle verità relative che essa ci mostra nel loro limite che dà loro significato. Non c'è una scala di verità relative, ogni verità relativa è pertinente al campo in cui si manifesta e non c'è una gerarchia di campi, l'assoluto lo si trova nel quotidiano quanto nella più alta speculazione filosofica, ma quello che di esso appare non è mai l'assoluto.  


CitazionePoi esistono le verità relative, che sono solo "mezze verità", cioè, sono vere solo sotto certi aspetti, ma non sotto ogni aspetto (i soldati indisciplinati e "lavativi"). Poi ancora, dulcis in fundo, ci sono le menzogne, che possono essere più o meno condite con brandelli di verità (i soldati bugiardi, traditori, venduti al nemico).
Tutto ciò che si pensa e si dice è relativo, non può non esserlo e pensarlo assoluto è il vero errore. Ossia l'errore sta nel ritenere che quanto si pensa possa essere privo di errori, per il semplice fatto di essere pensato e detto è in errore in quanto è sempre solo parzialmente vero (anche quanto sto dicendo, nel suo essere detto). Ma proprio per il fatto di contenere l'errore ci consente di pensare ancora, di proseguire oltre il suo limite alla ricerca di sempre nuovi limiti, definizioni, prospettive, illusioni. E' letteralmente l'errore che ci consente di vivere nel mondo.
CitazioneEcco, è tutto qua; ciò che ho scritto è banale, è roba per bambini di scuola elementare, non per adulti partecipanti ad un forum filosofico. E il fatto che ci si debbano scrivere sù decine di pagine, la dice lunga sulla condizione involuta-degradata della filosofia moderna.
Non direi proprio che la questione sia banale, per quanto la si possa banalmente intendere. La filosofia da quando è nata è partita alla ricerca dell'episteme, ossia della conoscenza della Verità assolutamente fondata e ovviamente non l'ha mai trovata, tante volte questo o quel filosofo si è illuso (Hegel ad esempio e l'ultimo è Severino) e ogni volta questa ricerca si è trovata logicamente contraddetta. Ma in fondo nella verità assoluta ci siamo tutti sempre, è la nostra stessa esistenza che continuamente ci mantiene in essa, ma proprio perché ci siamo sempre non possiamo vederla, solo viverla, mentre ci troviamo guidati da prospettive che crediamo essere noi a scegliere, mentre sono esse a sceglierci e a fare di noi quello che siamo, quello che pensiamo, diciamo, speriamo, sogniamo e di volta in volta prendiamo per vero.

Citazione"Cè dunque fra l'"uno" e l'"altro" una tensione antitetica. Ma ogni tensione antitetica urge verso uno sbocco, da cui deriva il terzo. Nel terzo si risolve la tensione, ricomparendo l'uno perduto. [...] La triade è dunque uno sviluppo dell'uno nella conoscibilità. Tre è l'"uno" diventato conoscibile, che senza la risoluzione nell'opponibilità dell'"uno" e dell'"altro" sarebbe rimasto in uno stato privo di una qualunque determinabilità. Quindi il tre appare di fatto come un adatto sinonimo per un processo di sviluppo nel tempo, e costituisce con ciò un parallelo all'autorivelazione di Dio, come dell'uno assoluto nello svolgimento del tre. Il rapporto della triade con l'unità può essere espresso da un triangolo equilatero: a=b=c, cioè dall'identità del tre, dove in ognuno dei tre angoli è data ogni volta l'intera triade". [JUNG: Psicologia e religione - pg.125]
E' vero, nel tre ritorna l'uno, ma l'uno che ritorna non è l'uno originario, anche se è identico non sarà lo stesso e quindi ogni volta il processo si ripete, ogni volta l'uno si fa avanti senza trovare soluzione e acquietamento nel tre, senza mai essere conosciuto, ma riproponendosi sempre come conoscenza in atto.

CitazioneE' per questo che la dottrina cristiana considera tanto importante il "mistero" della Trinità: perché intuisce che in esso si celi una logica ultima, suprema e universale.
E' un'intuizione che non appartiene solo alla dottrina cristiana, fa parte del modo di fare musica.
#19
Resta il fatto che un universo matematico non esisterebbe se non vi fosse qualcuno in grado di concepirlo matematicamente e valutare da un punto di vista esterno quando il calcolo matematico funziona e quando no.
L'Uno non si esaurisce nella matematica anche se i Greci consideravano la matematica come il fondamento più alto dell'esistenza, ciò che permette di coglierne il ritmo secondo una variazione ripetitivamente modulata per fasi nella variazione che ciclicamente ritorna. Da qui "aritmetica" (potenza del ritmo), da qui, prima ancora della fisica, la musica, quindi il canto e la danza che consentono l'incontro con gli Dei.
#20
Citazione di: Carlo Pierini il 15 Settembre 2017, 13:58:30 PM
Allora facciamo così: dimmi cosa intendi tu per "verità assoluta" e per "verità relativa". E poi fammi un esempio dell'una e dell'altra.
La verità relativa risulta vera nel contesto che la rende vera. E' quindi parziale e limitata, in quanto ogni contesto è limitato. I contesti non sono peraltro isolabili, dunque tutte le verità relative sono di fatto discutibili. Le verità relative sono sempre molte.
La verità assoluta è una verità illimitata in quanto valida in ogni contesto, non è prospettica, non si evolve, non è rappresentabile linguisticamente ed è definitiva. Appare come una rivelazione improvvisa e devastante per l'io e può fare riferimento solo a un modo di sentire in cui il soggetto si trova completamente assorbito nell'oggetto (quindi è estremamente rischiosa, perché nella verità assoluta il soggetto, nella sua coscienza di sé, muore e non è detto che ritorni in sé dopo averla avvertita). La verità assoluta è una sola, collegata all'esperienza mistica (religiosa o artistica) o folle. E' come una luce così forte che rende ciechi, come nell'esperienza mistica (o folle) di San Paolo.
Normalmente noi esistiamo solo nel gioco delle verità relative, tutte le verità che affermiamo e su cui si vuole razionalmente convincere sono relative. Le verità relative sono quelle che ci permettono normalmente di esistere e muoverci seguendo le nostre prospettive mentre tentiamo di farlo il più appropriatamente possibile mantenendoci nei limiti che ci sono propri.
Spesso c'è la volontà di presentare una verità relativa come se fosse la verità assoluta, è una volontà impositiva del tutto falsificante, alla radice di tutti i peggiori guai del genere umano. E' un aspetto della volontà di potenza, spesso inconsapevole di se stessa.
#21
Direi che l'essere umano è l'unico a essere fondamentalmente tecnico, sono le tecniche che pratica nel corso del tempo a restituirgli il significato e il senso del mondo in cui vive, dunque il significato e il senso di se stesso, i modi socialmente condivisi che determinano il suo pensare, osservare, immaginare. La richiesta tecnica, che è richiesta sempre finalizzata a progetti, è dunque per l'uomo ineludibile, pena la perdita della sua stessa identità.
Il problema sorge quando la potenza tecnica sempre perseguita aumenta a tal punto di intensità dal giungere porsi in modo del tutto autoreferenziale, quando richiede all'individuo che essa forma di farsi puro strumento, un mero ingranaggio del macchinario che va continuamente allestendo. In questo caso l'equilibrio tra il fare tecnico e l'oggetto e il soggetto di questo fare si disintegra e la tecnologia diventa un fattore di enorme rischio, schiavitù e alienazione, rivelandosi come un incubo, una sorta di suicidio tecnologicamente perseguito.
#22
Citazione di: Carlo Pierini il 14 Settembre 2017, 10:09:58 AM
Il relativismo rifiuta il concetto di "verità assoluta" perché lo identifica erroneamente con l'ambizione all'onniscienza, con l'arroganza di voler spiegare in poche parole ...questo mondo e l'Altro, di credersi il "Verbo incarnato". Invece è l'esatto contrario: una verità è assoluta solo quando è innegabile; e può esser tale solo quando ammette i propri limiti epistemici, cioè quando dichiara il proprio dominio di validità...

La verità assoluta che ammette i propri limiti epistemici dichiarando il proprio dominio di verità è peraltro una verità relativa, essendo relativa al campo definito dai propri limiti, ossia è una verità parziale.
Il problema relativo alla verità assoluta non è tanto nella arrogante pretesa di chi ne afferma il possesso, quanto nella sua pretesa totalizzante che ne rende impossibile (contraddittorio) qualsiasi possesso: l'assoluto, inteso come totalità non può appartenere a nessuno ed è pertanto del tutto indicibile, mentre tutti appartengono ad esso.
Assoluto viene dal latino ab solutus, che significa "sciolto da", sciolto da qualsiasi vincolo o limite e assolvere significa appunto sciogliere da ogni vincolo di colpa o peccato. In tal senso la cosa assoluta è precisamente la cosa in sé, che autosussiste in virtù solo di se stessa, è totalità completamente autoreferenziale che non significa nulla e nel linguaggio è esprimibile solo con la tautologia che non dà conto di nulla né esige nulla. 
#23
Citazione di: Garbino il 12 Settembre 2017, 17:42:33 PM
X Maral

Sono d' accordo su quanto da te esposto nel tuo post e mi conforta riscontrare che sono giunto suppergiù alle stesse conclusioni, naturalmente su La filosofia futura di Severino. Ma è necessario che affronti la lettura in questo modo perché sono totalmente in disaccordo sui preconcetti che appaiono di frase in frase nei primi capitoli dell' opera. Come ad esempio che è l' attuale corso della filosofia occidentale ( sempre causata dai filosofi Greci, identificazione poco chiara sempre a mio avviso ) che ne determina l' angoscia o la follia.  In altre parole non mi interessa confutare i cardini del suo pensiero come fa Carrera,, anche se naturalmente la penso in un modo totalmente diverso. Ciò che a me interessa è porre in discussione le basi da cui parte, su cui ho molti dubbi e mi hanno lasciato molto perplesso. E' ovvio che mi auspico che tu sia sempre pronto ad intervenire quando lo riterrai opportuno. Per quanto riguarda i sofisti forse ho esagerato un po', ma se ci guardiamo attorno, sempre a mio avviso, noi dipendiamo quasi interamente da Socrate, Platone ed Aristotele. Ciò non toglie che sia Protagora che Gorgia abbiano una certa rilevanza nel campo filosofico.
Credo che la rilevanza di fatto dei sofisti sul modo di pensare attuale (che ha perso ogni riferimento epistemico assoluto) sia molto maggiore di quanto ritieni. Certo, a scuola i riferimenti li si fanno a Socrate, Platone e Aristotele, ma in realtà sono proprio Gorgia e Protagora ad aver vinto. Per non parlare che proprio Protagora è stato l'inventore e il sostenitore della democrazia (è Platone stesso a presentarcelo così e la forma di governo auspicata da Platone non era di sicuro democratica).     

CitazioneLa Filosofia futura

Premetto che l' argomento che riguarda il diverso modo di intendere l' episteme da parte di Severino lo affronteremo in seguito.
Ma qual è secondo Severino la colpa dei filosofi Greci e che ha determinato il corso della filosofia occidentale? E' l' aver affidato l' essere al divenire. L' averlo inglobato nel venire dal niente e destinato a tornare nel niente.
Ed ancora una volta mi soggiunge immediatamente la domanda: chi è il filosofo Greco o i filosofi che avrebbero affermato ciò? Di certo né Platone, né Socrate né Aristotele; forse Eraclito ma chi altro?
Severino afferma che il pensiero occidentale si fonda sulla fede (che per lui è follia) che le cose vengono dal niente per tornare al niente (questo significa il Divenire e e in questo senso interpreta il frammento di Anassimandro). Il peccato originale è di Parmenide che per pensare all'Essere assoluto, quindi unico ente ha dovuto concepire il Niente, Il Niente costituisce dunque il fondamento della filosofia occidentale (ricordo un interessante intervento di Rocco Ronchi sul tema).
Certo, tu noti, nessuno in realtà sostiene che le cose vengono dal niente e vanno al niente, ma diventano altro e questo altro non è mai niente. Ma Severino nota che proprio il diventare altro implica che quello che è concretamente questa cosa deve diventare niente. La lampada accesa che si spegne, per diventare una lampada spenta deve diventare niente come lampada accesa, mentre la lampada spenta salta fuori dall'essere niente di quella accesa. In altre parole il diventar niente dell'ente è implicito nel suo diventar altro, è implicito secondo quel modo di pensare astratto che concepisce formalmente una lampada pretendendola come un reale esistente che è la medesima cosa sia accesa che spenta e accusa i Greci di essere stati i primi a pensarla in questo modo astratto, ritenendo in base ad esso realmente possibile il diventare altro. E' proprio in tal senso che Severino ad esempio svolge la sua polemica anti aristotelica (mi riferisco alla distinzione che Aristotele pone tra sostanza e accidente, per cui l'accidente può essere tolto senza che la sostanza muti).




#24
CitazioneIl primo argomento riguarda la causa del Nichilismo moderno che secondo Severino è tutta sulle spalle della filosofia dei Greci. E la loro colpa sarebbe stata il tradimento dell' episteme in favore del fato ( in rapporto al divenire, ma lo affronteremo in seguito ).
Tento di riflettere per quel poco che so fare sulla base di quello che di essa mi è rimasto di una lettura lontana nel tempo.
L'episteme per Severino è il fondamento incontrovertibile che fa capo al principio di non contraddizione o di "identicità? di ogni ente a se stesso (l'assoluta tautologia dell'ente). Rinunciare a questo principio incontrovertibile significa, per Severino, entrare nella follia del divenire di cui il fato inteso come destino inevitabile di un percorso di mutamenti esprime il risultato finale. E' chiaro che su questo piano il fatto che il fato sia inteso in termini mitici o razionali (ciò che ci si attende) non fa per Severino alcuna differenza, sempre di un mito irrazionale si tratta. Ossia tutto il percorso epistemico dell'Occidente per Severino è mito irrazionale e a maggior ragione quando questo mito proclama la propria razionalità, lo è in Platone come in Aristotele, lo è fin dall'inizio in quanto nega l'ente (l'essente) in essenza per poterlo far divenire, con tutta la potenza illusoria che dal controllo sul divenire consegue.
Severino è antitetico anche rispetto ai relativismo epistemico dei sofisti, proprio perché intende fissare un principio ontologico fondamentale assoluto e assolutamente inattaccabile, l'opposto dei sofisti per i quali tutto è negabile (il nulla è, come dice Gorgia. E' quindi la contraddizione assoluta che intende negare l'identità tra il nulla e il suo essere nulla), ma certamente in alcune argomentazioni che conduce nel suo attacco a Platone e alla filosofia classica può richiamare i sofisti (la cui portata filosofica trovo non sia peraltro affatto da sottovalutare).
#25
Citazione di: Carlo Pierini il 07 Settembre 2017, 21:02:27 PM
Per fortuna che la mappa non è il territorio, altrimenti la scienza non avrebbe mai scoperto le leggi e i principi della fisica, i quali trascendono il territorio, cioè, non sono direttamente osservabili, ma vi si può risalire soltanto per mezzo di una "mappa" adeguata (paradigma matematico-sperimentale).
Analogamente, non avrebbe mai scoperto nemmeno il moto reale dei pianeti del sistema solare, il cui "territorio" ci mostra una cinematica geocentrica invece di quella eliocentrica reale che solo la "mappa" copernicano-kepleriana poteva portare alla luce.
E così dicasi per la rotondità della Terra che non compariva in alcuna rappresentazione cartografica.

Questo significa che, se la mappa è adeguata, ci rivela più verità fondamentali sul territorio di quante il territorio stesso non mostri in assenza di mappe.

Scommetto che questo "piccolo dettaglio" è sfuggito a Korzybski.    :)


L'angolo musicale:
A. BRANDUARDI: Il dito e la Luna:
https://youtu.be/EkszSjs1gu8

A. BRANDUARDI: La strega
https://youtu.be/WUkkydqS5yw
E' vero, non lo avremmo mai conosciuto, perché le mappe consentono una visione parziale esterna del territorio in cui ci si trova, ma resta il fatto che quello che si vede e si conosce non è il territorio in cui si è, se non nei termini in cui la mappa (che a sua volta è nel territorio) consente di definirlo.
L'essere umano non è mai completamente nel territorio, come c'è un animale, una pianta o una pietra, ma è sempre in qualche misura decentrato (a meno che non si renda animale, pianta, pietra), questo gli permette di conoscere e di dover rinnovare continuamente la sua conoscenza che gli si mostra sempre insufficiente e in qualche misura limitata e inadeguata. Per questo l'essere umano non è semplicemente quello che è, ma continuamente desidera essere quello che è vedendo in questo continuo progettarsi per quello che si è la felice realizzazione di se stesso.
L'essere umano è l'unico essere che ha un futuro e dunque un passato e che, nelle dimensioni del passato e del futuro, concepisce (in forma di mappa) un presente conoscibile in cui non è mai del tutto.
#26
Tematiche Filosofiche / Re:Essere o non essere
06 Settembre 2017, 16:15:31 PM
Citazione di: Apeiron il 05 Settembre 2017, 09:18:23 AM
Ci sono mappe inaccurate e mappe accurate. Ci sono mappe che dicono che Roma è al Polo Nord e mappe che dicono che Roma è nel Lazio. Chiaramente le prime sono completamente errate, le seconde invece riescono a farmi arrivare a destinazione.
A patto che ci sia una mappa che dica dove è il Polo Nord e dove è il Lazio e non è detto poi che a sua volta questa mappa sia giusta e ci vorrebbe quindi un'altra mappa ... (con conseguente regressione all'infinito).
C'è sicuramente un problema linguistico, un problema che nasce da un'illusione di identità tra la cosa e il nome della cosa che in realtà non la denota, ma si limita sempre fondamentalmente a connotarla, perché, come già ebbi a dire a Sgiombo, se c'è il nome la cosa non c'è, il nome originariamente evoca una presenza nell'assenza e le mappe (ogni mappa, anche quella che sto abbozzando con queste parole) evocano il territorio nell'assenza del territorio. Le parole non sono etichette frutto di mere convenzioni e questo equivale a dire che ogni discorso sul territorio  (anche questo discorso) evoca la realtà attraverso la verità del suo dire che, per quanto preciso ed esatto, è sempre sfalsato rispetto alla realtà che tenta di dire, proprio perché la è venuta a dire.
Non c'è alcuna mappa che restituisca il territorio (giustamente, Inverno si riferisce a un diverso ordine, che non è però a mio avviso solo un ordine di categorie linguistiche, ma un  vero e proprio ordine ontologico, poiché anche le mappe fanno parte del territorio, ne sono il risultato, non sono convenzioni se rappresentano qualcosa), ma ci sono mappe più vere e mappe meno vere nei contesti che rendono possibile il venire a farsi presente di ciò che non c'è, la cosa che non ha nome. Ci sono quindi discorsi che evocano e discorsi che falliscono l'evocazione, ma non in virtù di una loro capacità intrinseca, ma piuttosto relazionale in virtù della quale l'evocazione a volte può accadere che riesca e, quando riesce, la mappa attraverso la quale è riuscita è diventata inutile, è superata, proprio perché ha funzionato essa si è compiuta.
Questo non significa naufragare perennemente in una sorta di relativismo assoluto (contraddittorio proprio in termini relativi), ma mantenersi nell'ambito ben diverso di un prospettivismo e di un'ermeneutica che riconosce e accetta i limiti insuperabili di ogni prospettiva affinché qualcosa (senza sapere di cosa si tratta, se non quando è accaduta) può essere detta con verità, in prospettiva di un poter tornare a essere di ciò che, con le parole che lo nominano, si chiama e si richiama a venire a manifestarsi.
#27
Citazione di: green demetr il 01 Settembre 2017, 09:15:40 AM
5- il PNDC è un atto regolativo (sono d'accordo se lo intendiamo come proiezione del fantasma di controllo, e cioè se il PNDC risulti essere una fissazione identitaria, sono altresì dubbioso che Severino lo intenda realmente così, infatti negli anni scorsi ricordo benissimo che anche per lui l'identitarietà risulta essere un fantasma per un principio dialettico che richiamava la lettera B, non ricordo il termine da lui usato, chiedo aiuto Maral....sennò un pò di pazienza)
Non so se ti riferisci a questo, ma certamente Severino ritiene il principio di non contraddizione arbitrario (non è giustificato se non da se stesso), ma, come dicevo a Garbino, ne rileva l'insormontabilità per poter dire e dare significato a qualsiasi cosa. Inoltre S. rileva la contraddizione nel principio di identità qualora venga formulato nel modo classico come A=A, per cui lo riformula nei termini di (A=A)=(A=A) intendendo l'eguaglianza in forma  perfettamente ciclica (eterno ritorno dell'identico su un piano logico?).
Per quanto riguarda Carrera (la sua critica a Severino, nonché le sue considerazioni in merito ad Heidegger e Nietsche) suggerisco anche a te, come già per Garbino, la lettura di questo testo che puoi scaricare in PDF gratuitamente da internet qui:
https://www.academia.edu/24047938/2007_-_La_consistenza_del_passato._Heidegger_Nietzsche_Severino
Dato che sei a Milano segnalo a te e a chiunque fosse interessato, la riapertura delle attività del gruppo  "Mechrì" (che ruota intorno a Sini e che presenta quest'anno un seminario di filosofia a mio avviso particolarmente interessante). Qui puoi leggere il programma completo con i costi di partecipazione: http://www.mechri.it/20172018/Mechri_Programma_2017-18_CORRETTO.pdf
L'incontro di presentazione è previsto (previo avviso di partecipazione) per il 23-9 alle 17,30 presso la sede milanese dell'associazione. Se ti interessa fammi sapere. :)
#28
Citazione di: Carlo Pierini il 28 Agosto 2017, 22:52:58 PM
In definitiva, anche la santità, o la virtù, è una complementarità di opposti.

"La completa unione degli opposti è la summa medicina, che non sana soltanto i corpi, ma anche gli spiriti. [...] [Con essa] si tende a una condizione che gli indiani definiscono "nirdvandva", cioè "libera dagli opposti", concezione questa che è estranea, perlomeno in questa forma, all'Occidente cristiano. Si tratta infatti di una relativizzazione degli opposti che dovrebbe mitigare, se non addirittura risolvere, l'insanabile conflitto caratteristico dell'atteggiamento militante cristiano". [JUNG: Mysterium coniunctionis - pg.66]
Dunque, alla fine anche tu predichi il relativismo.
#29
Citazione di: Carlo Pierini il 28 Agosto 2017, 16:07:50 PM

Quello che dici tu vale per gli animali e per gli uomini che non si sono evoluti dalla condizione animale. Mentre gli uomini normali sanno di non essere schiavi assoluti dei propri istinti o dei condizionamenti culturali-sociali-familiari o di un fato già scritto nel loro vissuto, e che, in una certa misura, possono auto-determinarsi, cioè scegliere tra diversi cammini possibili. E chiamano "responsabilità etica" questa - sia pur limitata - capacità di scelta.
Più che "uomini normali" costoro sono uomini che si illudono di poter essere altro da ciò che sono, si illudono di una falsa volontà di potenza.
CitazioneSe invece tu credi che dei politici ladri e corrotti, degli stupratori di bambini, o degli sterminatori-torturatori di ebrei siano sempre e comunque innocenti perché non hanno fatto altro che obbedire alla propria immutabile e ineluttabile natura, beh... fammi sapere dove abiti, così eviterò di passare dalle tue parti!  :)
Anche questa argomentazione, mi dispiace doverlo dire, è del tutto superficiale e insulsa. Essere quello che si è non significa dover essere ladri, stupratori, corrotti o quant'altro di peggio. Significa solo che si è sempre quello che si è nella complessità dinamica che ci corrisponde (e che non si esaurisce per nessuna in alcuna etichetta definitoria), perché è a partire da quello che si è che si sente, si pensa, ci si progetta e si vuole, in altre parole si vive.
Non significa nemmeno essere ineducabili, laddove si intenda per educazione, non tentare di diventare qualcun altro (un altro immaginato migliore), ma, come ho tentato di dire prima, imparare a muoversi al meglio nell'ambito di ciò che si è per tentare di vivere e quindi convivere meglio.
Non è possibile altra etica e in questa etica la responsabilità è sentirsi reciprocamente responsabili del riuscire a vivere meglio insieme
#30
Bentornato dalla vacanza Green.
Riprendo un paio di immagini tra quelle che qui ci hai gettato:
Citazionela divorazione del tempo.
la divorazione non esiste, esiste invece come un glaciazione degli attimi...
la volontà di potenza è poter scongelare quegli attimi.
Penso che la divorazione del tempo consista proprio nella glaciazione dell'attimo fuori dal tempo, attimo che è così reso inattuale, tempo che lo sottrae alla presa della volontà attuante. E' il farsi del passato ciò che rende l'attimo inattuale e lo fa morire rendendolo eterno, mentre è il presente della memoria che solo può riattualizzarlo. Se la storiografia può essere memoria vivente e non catalogazione del passato essa scongela l'attimo, lo incammina verso il suo ritorno. Il passato allora si rifà presente passante e getta una prospettiva verso il futuro. Non è che la cosa sia scevra di pericoli, perché il passato contiene mostri orribili e questo significa anche resuscitare quei mostri e non sempre si è pronti ad accoglierli per riaffrontarli. Occorre un coraggio e una forza sovrumana per decongelare ciò che il tempo provvidenzialmente ha congelato: chi potrà mai essere oltreuomo in grado di farlo, in nome di una volontà eternamente attuante che non vuole che nulla si sottragga, dunque che nulla sia mai trascorso, mai morto?
CitazioneNoi crediamo di non essere quello che siamo, e cioè "morituri"
Essere morituri implica non poter essere mai morti, o essere forse una sorta di morti viventi, anelanti una morte che non arriva mai (come si può non essere? cosa significa non essere?), una morte che ci faccia finalmente grazia di un continuo morire.
Forse per questo non c'è nulla di più orribilmente angosciante del sapersi morituri senza che l'essere morti sia per se stessi possibile: è la maledizione dello specchio incantato, il prezzo da pagare alla immensa meraviglia con cui l'universo viene a sapere della propria esistenza.