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Messaggi - memento

#16
Citazione di: Omissis il 13 Agosto 2016, 10:25:27 AMQuindi, se ho ben capito, il problema della scelta sta nel suo inizio: Se l'individuo è condizionato da una morale come il Cristianesimo, i suoi istinti si infiacchiscono ed esso sceglie ciò che lo danneggia, ovvero sceglie volontariamente di disprezzare il proprio corpo e di credere in determinate illusioni metafisiche. Ne consegue che il presupposto della scelta sta nella "salute", ossia la buona fisiologia. Questa dunque sarebbe quella che Nietzsche considera la "psicologia del prete" (in Ecce Homo)? Tutto sembra essere chiaro. . .
Il problema della "decadenza" odierna però rimane: è vero che io posso considerare, dalla mia prospettiva, come importante e necessaria la cultura (in generale) e disprezzare, dentro di me e per me, quelli che la considerano inutile (esempio banale, ma per capire). Ma nel momento in cui io andassi in pubblica piazza a dire che la cultura è bene e che l'ignoranza è male, cadrei in errore, perchè la cultura non può essere "buona in sè"; Hegel, ad esempio, considerava la Musica come un'Arte inutile e priva di significato, e quindi non la considerava come "Buona"...! Oppure anche qui bisogna partire da un presupposto "fisiologico"? Affermando che la "Musica è priva di utilità e significato" non voglio, inconsciamente, la maledizione del mio corpo...

Grazie per le risposte

In realtà la questione sulla "psicologia del prete" è più complessa,se vuoi approfondire ti consiglio di leggere l'Anticristo e soprattutto Genealogia della morale (di cui è presente in questo forum un topic a commento dell'opera). Per ora ti basti sapere che il cristianesimo domina e signoreggia sui malati e i deboli di volontà,e dove non trova malattia,la genera.
Per Nietzsche il problema del valore intrinseco della cultura non si pone: essa è sempre l'espressione,la sintomatologia di una determinata fisiologia,si tratti di etnie o singole comunità. Cosi come la morale il dato culturale è ricondotto a connotati fisici,materiali,umani. Hegel infatti non era un prospettivista,la "verità" hegeliana è l'intero,l'Assoluto,l'insieme delle prospettive parziali e limitate. Immagino che per Hegel la musica rappresentasse quasi un'obiezione alla sua filosofia,nella sua irriducibilità e mancanza di senso. Domina anche in questa repulsione un presupposto "fisiologico"? Nella misura in cui la musica disinibisce e afferma le gioie dei sensi,"l'ebbrezza dell'anima",certo ;)
#17
Ciao e benvenuto! :)

Mi fa piacere questo recente interesse per il filosofo di Rocken nel forum,se non altro proviamo a non banalizzare/accomodarsi o a distorcere la sua filosofia,come spesso accade e come infatti fecero a loro tempo i nazisti (io consiglio sempre la lettura per cimentarsi a un'interpretazione/critica del pensiero).

Cerchiamo di definire i principi cardine del prospettivismo nicciano: innanzitutto questo afferma che,nel momento in cui esprimiamo una valutazione,positiva o negativa che sia,valutiamo sotto la spinta e il controllo di un'istinto vitale,la cui volontà di potenza si manifesta appunto nell'atto di valutare. In questo discorso,e solo in questo discorso,può rientrare il concetto di decadenza,che indica una condizione fisiologica in cui gli istinti si infiacchiscono,prevalgono debolezza e malattia,per cui il soggetto sceglie spontaneamente ciò che lo danneggia; quel che è cattivo e dannoso per la persona diventa bene (altruismo e in generale tutte le azioni disinteressate) e viceversa quel che rinvigorisce la salute,male. Per questo motivo Nietzsche definisce i valori cristiani come decadenti,poiché antepongono la salvezza dell'"anima" al benessere del corpo,che viene disprezzato.

In nessun caso egli abbandona il suo prospettivismo,sa troppo bene di essere in contrasto con l'opinione corrente e con ciò che viene normalmente venerato e lodato. La trasvalutazione dei valori è lo spostamento di significato da un'ottica decadente e malata,"moderna",a un'ottica sana,l'in-sè è escluso per principio.La virtus rinascimentale poi è solo un'esempio di virtù scevro da giudizi etico-morali,un modello,nient'altro (non certo una virtù in sé,una morale).
#18
Tematiche Filosofiche / Re:Che cos'è la verità?
06 Giugno 2016, 22:27:37 PM
Citazione di: maral il 24 Maggio 2016, 15:17:26 PM
I Greci chiamavano la verità aletheia ove quell' a è alfa privativo, quindi la parola significa in negativo: non-latenza, non-velato. Vero è qui il negativo di ciò che  si nasconde e la verità sta nel nudo apparire delle cose, nel loro darsi spontaneo in superficie, senza maschere a sovrapporsi. Heidegger, proprio riprendendo il pensiero greco partendo dalla fenomenologia,  intenderà la verità come radura dell'essere corrispondente all'ente. L'ente come ente (corrispondente propriamente per Heidegger solo all'uomo) è lo svelarsi dell'essere, dunque aletheia, verità.

Ben diverso da quello greco classico è il concetto che maturerà sulla verità il pensiero filosofico posteriore, cristiano e poi scientifico. La verità (intesa non più nell'accezione greca, ma in quella latina di veritas): diventerà sotterranea, recondita e profonda, essa abiterà l'interiorità sotto la superficie per cui occorrerà scavare per trovarla sotto una miriade di mascheramenti e superficiali apparenze ingannevoli messe in atto dalla natura nel mondo e nell'uomo. La verità non è più aletheia, ma prodotto risultante da una ricerca fatta per costringere la natura a svelarsi usando un preciso metodo di interrogazione (come fa il giudice in tribunale, dice Kant) e con mezzi di indagine e tortura sempre più sofisticati. La verità non è più un nudo mostrarsi spontaneo, ma un denudare la natura refrattaria per poi usarle violenza.

Cosa ha determinato nella storia del pensiero occidentale il passaggio della verità da uno stato di spontaneo naturale manifestarsi allo scavo che costringe la natura a manifestarla? Dall'apparire della nudità all'apparire del nascondimento che occorre sistematicamente forzare?
E dove e quanto della verità come aletheia è in realtà ancora tra noi?

Bisogna riconoscere che il pensiero cristiano,pur con tutti i suoi difetti,ha dato un grande impulso alla ricerca della verità. Rifiutando tutto ciò che è immediato,superficiale,sensibile,aletheia appunto,il cristiano ha educato l'uomo europeo al problema della verità con una serietà e profondità mai viste in nessun altra civiltà antica,compresa quella greca. Se il metodo della Scienza moderna è nato e si è affinato in Europa,lo si deve in parte alla tirannia della metafisica cristiana.
Non credo oggi sia necessario riscoprire la verità come aletheia. Ci manca la maturità di una civiltà come quella della Grecia antica,la maturità di uno sguardo che si ferma alla superficie,e se ne acquieta. Noi non sapremmo resistere alla tentazione di dare una sbirciatina dietro,e nemmeno Heidegger lo fa,quando separa l'essere dalla sua manifestazione,l'ente.

Cos'è la verità? Per risponderti con parole di Nietzsche:
[font='Helvetica Neue', Helvetica, 'Nimbus Sans L', Arial, 'Liberation Sans', sans-serif]"Un mobile esercizio di metafore, metonimie, antropomorfismi, in breve una somma di relazioni umane che sono state potenziate poeticamente e retoricamente, che sono state trasferite e abbellite, e che dopo un lungo uso sembrano a un popolo solide, canoniche e vincolanti: le verità sono illusioni di cui si è dimenticata la natura illusoria, sono metafore che si sono logorate e hanno perduto ogni forza sensibile, sono monete la cui immagine si è consumata e che vengono prese in considerazione soltanto come metallo, non più come monete."[/font]
#19
Tematiche Filosofiche / Re:L'altruismo
22 Maggio 2016, 13:34:26 PM
Citazione di: HollyFabius il 22 Maggio 2016, 12:02:38 PM
Secondo me non si possono analizzare separatamente l'altruismo e l'egoismo. Altruismo ed egoismo rappresentano due prospettive diverse dello stesso meccanismo di conservazione di una specie/gruppo a discapito di altre specie/gruppi.
L'egoismo di una specie, la sua efficienza nel preservarsi, la sua volontà di conservazione e di accrescere di potenza ai danni delle altre specie è tradotta in pratica attraverso l'altruismo dei suoi componenti che migliora le possibilità della specie nel suo complesso.
L'egoismo di un popolo, di una classe sociale, di un gruppo locale, ecc. ecc. vengono sempre realizzati unitamente a forme di altruismo intra-gruppo.
Anche se spostiamo l'analisi del dominio dell'egoismo a entità diverse, possiamo sempre trovare la corrispondente forma di altruismo che permette di accrescere la potenza complessiva del dominio sottoposto ad analisi.

Si,ma non è un altruismo incondizionato.
Se un individuo diventa un peso per la comunità, verrà inevitabilmente allontanato e isolato dal resto del gruppo. Non c'è spazio per la compassione. Inoltre non dobbiamo dimenticare che all'interno di ogni branco vige un'organizzazione gerarchica. Il più forte,che tiene le redini del comando, avrà diritto ad accoppiarsi con più femmine e a sfamarsi prima e in misura maggiore. Attraverso la conservazione e la riproduzione dei tipi più forti la specie potrà garantirsi un futuro più ricco. Solo a questo scopo l'altruismo del branco ha un senso,e così anche la sopravvivenza dei tipi più deboli. Ricordiamo che nelle società umane la divisione fra nobili,plebei e schiavi è resistita fino a due secoli fa in Occidente,mentre in alcune parti del mondo è ancora presente. Vista da questa prospettiva,anche lo schiavismo è una forma di altruismo,ma non credo soddisfi le aspettative.
#20
Citazione di: Garbino il 08 Maggio 2016, 11:16:53 AM
Nietzsche: l'uomo e il suo diritto al futuro.

Scusate il ritardo ma ho avuto un periodo un po' burrascoso e non ho potuto dedicarmi a questo post. Tra l' altro con grande soddisfazione sono riuscito ad ottenere dalla telecom adsl e perciò: Eureka!

Ringrazio Memento, Maral e Green Demetr per i loro interventi e sono molto motivato dal fatto che tutti hanno affrontato o riaffrontato la lettura di Genealogia della morale e questo proprio perché avrò degli interlocutori di tutto rispetto per risolvere i miei dubbi e dilemmi su alcune parti dell' opera.

Il primo di questi lo troviamo nella Prefazione. Essa si svolge seguendo lo schema da me indicato nei post della premessa. Le sue caratteristiche sono infatti quelle di accattivarsi il lettore e di predisporlo nel migliore modo possibile alle verità scomode che verranno in seguito. Anche se qualche piccola verità scomoda appare anche in essa.

Ma ciò che mi ha colpito e non riesco a risolvere è, a mio avviso, la palese contraddizione che regna tra il primo paragrafo e il resto della Prefazione.
Nel primo paragrafo si ci presenta come dei ricercatori di conoscenza che non si riconoscono come tali, e questo proprio per affermare che: ognuno è per sé stesso la cosa più lontana.

Ma poi nel resto della Prefazione ci si presenta come filosofi e come ricercatori della conoscenza che sanno benissimo di essere tali. E questo mi ha lasciato piuttosto perplesso.

Effettivamente Nietzsche non da immediata spiegazione di questo passaggio. E quando parla al plurale risulta essere sempre molto ambiguo,perché non si conosce bene quale possa essere il referente oltre che lui stesso. 

Detto questo,per rispondere ti rimando verso la fine dell'opera,precisamente al nono e al decimo paragrafo del terzo saggio.  In questo punto Nietzsche analizza lo stretto rapporto che lega filosofia e ideali ascetici. In sintesi, ci dice che la filosofia è stata a lungo vista con diffidenza e disprezzo,e proprio il tipo dell'asceta si è offerto come utile travestimento per ottenere onori e rispetto(riecheggia in questo discorso l'aforisma "ciò che è profondo ama la maschera"). 

Il filosofo,il ricercatore della conoscenza, ha dovuto rinnegare sè stesso e la propria coscienza per essere solo possibile,per sopportarsi ed essere sopportato. Nietzsche paragona questo stato al bozzolo che ospita la larva che dovrà diventare poi insetto,forma autonoma e in sé compiuta. Chi potrà assumersi i rischi e le responsabilità di una conoscenza libera e scevra da verità assolute e universali? O libera proprio dal peso della verità stessa?
#21
Citazione di: Loris Bagnara il 07 Maggio 2016, 14:56:34 PMCredo che la metafora sia chiara: la base militare è il corpo umano, i captatori sono i canali percettivi e la stazione di controllo è il cervello.
Quel che arriva al cervello non sono sensazioni, perché ancora non dicono nulla: sono solo segnali elettrochimici che giunti al cervello hanno bisogno di una funzione che li integri in una percezione sintetica. Questa sintesi avviene nella coscienza, e la coscienza non può essere il risultato di ciò che arriva dall'esterno, ma dev'essere qualcosa che è dato, che esiste anche in assenza di segnale.

Tu, memento, hai detto la stessa cosa:
CitazioneQuindi,per rispondere alla tua seconda domanda, è la coscienza a realizzare,attraverso la sua azione di controllo, l'amalgama fra le sensazioni,ossia ad "incaricarsi" di costruire un senso coerente e unico,un Io.
Appunto, è la coscienza a realizzare la sintesi dei diversi segnali e a creare quelle che appaiono come sensazioni: senza coscienza non ci sono sensazioni, ma solo segnali (esattamente come sono un segnale, non sensazione, i dati che passano in un cavo telefonico).
E la coscienza non è altro che quell'io-sono, quell'osservatore che rappresenta il soggetto senziente di tutte le sensazioni.

Assolutamente non ho detto questo,devi aver frainteso. In ogni caso,tendi a sopravvalutare il ruolo della coscienza nella sintesi degli stimoli nervosi che avviene nell'SNC,processo al quale non partecipa in nessun caso.

A questo punto faccio presente la differenza che separa una sensazione dalla sua percezione/comprensione. Non è infatti necessario,nè auspicabile,che qualsivoglia sensazione debba passare nella coscienza per poter essere esperita (e sai che mal di testa altrimenti!). Esattamente come il sentire non implica l'ascoltare,o il vedere l'osservare.La coscienza concentra la propria azione sulle sensazioni sulle quali porre un'attenzione particolare, che non sono che una piccola percentuale rispetto alla totalità di quelle elaborate dal cervello.

Non mi risulta che i telefoni abbiano integrato un encefalo artificiale (e con tutte le funzioni che sono in grado di effettuare oggi non mi stupirei).

Citazione di: Loris Bagnara il 07 Maggio 2016, 14:56:34 PM
CitazioneNon è necessario pensare che no sia un autore che,da dietro le quinte,manovri il meccanismo. Accade tutto in maniera perfettamente naturale e spontanea (e sai che fatica se non lo fosse!). Pensare che ad ogni azione corrisponda un soggetto,cosi come che ad ogni effetto corrisponda una causa (un altro punto cardine della filosofia humiana),è un preconcetto illogico,e che pure fonda la logica stessa. Io ad esempio ho appena parlato di sensi e coscienza come fossero soggetti che agiscono, quando in realtà sono solo concetti di cui mi sono servito per necessità di spiegazione.

Qui non capisco bene cosa intendi per "autore" e per "dietro le quinte", e neanche capisco bene cosa voglia dire "pensare che ad ogni azione corrisponda un soggetto". Io dico semplicemente che una coscienza, un soggetto, un io-sono è l'osservatore di ogni sensazione. Quanto alle azioni, possono essere in parte consapevoli (e quindi partono dal soggetto) oppure inconsapevoli (istintive, inconsce etc).

Sensazioni, sensi e coscienza non sono concetti, sono esperienze empiriche. Al contrario, sono i concetti ad avere bisogno di una mente che li formuli. Se ammettessimo che la coscienza è un concetto, dovremmo dire più correttamente e paradossalmente che "la coscienza è un concetto, ossia un concetto formulato da un concetto". Il che non ha palesemente senso.

Infine, osservo per inciso che il rifiuto del principio di causalità spazza via alla radice ogni tentativo di fare scienza, e in generale qualunque tentativo di dare un senso alle cose. Se non si postula la validità del principio di causalità (sia sul piano fisico, che su quello metafisico), tanto vale concludere che le cose sono come sono, non si sa come né perché e punto e basta.

L'autore dietro le quinte è l'osservatore o "io sono" di cui tu parli.
Sensi e coscienza sono ingranaggi di un meccanismo da cui non avrebbe senso intenderli separati. Per questo motivo affermo che siano costruzioni teoriche che facilitano la spiegazione del fenomeno,ma che non costituiscono il fenomeno stesso, che è un tutt'uno.

La validità del principio di causalità sarebbe un ottimo argomento su cui discutere in un topic a parte. Se postulare la sua veritá ci è utile per sistemare i dati sperimentali,d'altra parte questa ristretta prospettiva ci esclude soluzioni ben più ricche a livello di contenuti. Se considerassimo valida la possibilità che ad ogni causa corrispondono una varietà di effetti, e ad un singolo effetto una concatenazione di cause,questo ci garantirebbe di avvicinarci maggiormente al carattere multiforme e irregolare della realtà,che invece categoricamente escludiamo.
#22
Citazione di: Loris Bagnara il 06 Maggio 2016, 18:49:17 PM
Ricordo che ai tempi del liceo il pensiero di Hume non mi prese più di tanto, e tornandoci sopra ora devo confermare la mia prima impressione...

Riporto alcuni passi da Wikipedia (https://it.wikipedia.org/wiki/David_Hume)
CitazionePer Hume la sostanza non era altro che una "collezione di qualità particolari" ovvero un insieme di stimoli e di sensazioni empiriche provenienti dall'esterno cementate dal nostro intelletto fino a creare un'idea di ciò che stiamo analizzando, creandoci l'impressione che ciò esista anche nel momento in cui noi non lo percepiamo.
Nel suo iter filosofico Hume fece rientrare in questo ragionamento anche l'"io". Egli cercava infatti di scoprire quale fosse quell'elemento che ci fa essere noi stessi quando tutto il nostro corpo cambia incessantemente giorno dopo giorno.
Ne concluse che anche la sostanza dell'"io" era soltanto un amalgama di sensazioni. Infatti, ogni volta che ci addentriamo nel nostro io, incontriamo sempre una qualche particolare sensazione (piacere, dolore, caldo, freddo) e se riuscissimo ad eliminare ogni singola sensazione del nostro io non resterebbe nulla.
Il pensiero di Hume mi sembra un chiaro esempio di come lo scetticismo, spinto ai suoi estremi, divenga sterile e insensato, trasformando ragionamenti in sofismi.

Per Hume, "se riuscissimo ad eliminare ogni singola sensazione del nostro io non resterebbe nulla".
Quest'affermazione farebbe come minimo sorridere un orientale (come pure qualunque occidentale dedito a un minimo di meditazione), perché a una mente attenta e lucida appare chiara la presenza dell'Osservatore dietro il flusso delle sensazioni, Osservatore che permane anche quando nella mente si riesce a fare il vuoto, anche solo per brevi momenti. I grandi meditatori orientali poi vedono anche l'Osservatore dell'Osservatore, e l'Osservatore dell'Osservatore dell'Osservatore; ma non è necessario spingersi così oltre per capire che parlare di sensazioni senza un senziente è un'insensatezza.

Per definizione, una sensazione richiede un senziente: un soggetto, oltre che un oggetto.

Se no chi le sente le sensazioni? Si sentono da sole? Ogni sensazione è autosensibile?
Supponiamo di sì: ogni sensazione è autosensibile. Ma se l'io, come dice Hume, è solo "un'amalgama di sensazioni" autosensibili, chi o che cos'è a realizzare l'amalgama, appunto? Come avviene che un fascio di sensazioni autosensibili si aggregano in un'unico amalgama che produce l'impressione (non importa se reale o illusoria) di un soggetto unico?
Se è vero che Hume "cercava infatti di scoprire quale fosse quell'elemento che ci fa essere noi stessi quando tutto il nostro corpo cambia incessantemente giorno dopo giorno" (bellissima domanda che anch'io mi sono sempre fatto), qual è poi la sua risposta? Nulla. Bella domanda inevasa.

Per non dire del fatto che anche solo a esporre quel che Hume vuol dire non si riesce ad evitare l'incoerenza e il non senso.
Hume infatti dice: "se ci addentriamo nel nostro io, se eliminiamo ogni singola sensazione etc"... Ma chi è il soggetto grammaticale di questi verbi? Noi. Chi è dunque che compie le azioni di "addentrarsi" ed "eliminare"? Noi.
Ma noi chi, se non il soggetto senziente, l'io-sono?

Sarà anche vero che Hume è all'origine di quella corrente di pensiero che ha portato agli spettacolari successi della scienza moderna, ma per quanto riguarda la filosofia, ne faccio tranquillamente a meno.

Provo a prendere le difese del buon Hume (non credo che ne abbia bisogno,ma ci provo).
L'errore che spesso il senso comune ci spinge a fare,e contro cui la filosofia scettica di Hume si è sempre scagliata,è quello di porre l'io ad occupare il ruolo di soggetto senziente. Ma l'equivalenza tra Io e soggetto senziente non è affatto da dare per ovvia.
Chi sente le sensazioni? In primis,gli organi ricettivi,i 5 sensi. Secondariamente il cervello che elabora le informazioni ricevute dalle proprie diramazioni nervose. Se volessimo sintetizzare in un solo concetto,il nostro corpo. Il processo che si svolge all'interno del nostro organismo e ci consente di recepire segnali dall'ambiente esterno è precosciente,nel senso che avviene prima della supervisione della coscienza; e non potrebbe essere altrimenti perché la coscienza non può operare in mancanza di altri elementi da riflettere. 
Quindi,per rispondere alla tua seconda domanda, è la coscienza a realizzare,attraverso la sua azione di controllo, l'amalgama fra le sensazioni,ossia ad "incaricarsi" di costruire un senso coerente e unico,un Io.
Non è necessario pensare che vi sia un autore che,da dietro le quinte,manovri il meccanismo. Accade tutto in maniera perfettamente naturale e spontanea (e sai che fatica se non lo fosse!). Pensare che ad ogni azione corrisponda un soggetto,cosi come che ad ogni effetto corrisponda una causa (un altro punto cardine della filosofia humiana),è un preconcetto illogico,e che pure fonda la logica stessa. Io ad esempio ho appena parlato di sensi e coscienza come fossero soggetti che agiscono, quando in realtà sono solo concetti di cui mi sono servito per necessità di spiegazione.

P.S. se Hume fosse stato preso sul serio anche all'epoca, probabilmente la Scienza avrebbe aspirato a ben altri successi.
Vedo che Sgiombo mi ha preceduto :)
#23
Citazione di: davintro il 29 Aprile 2016, 20:27:57 PMIn realtà più che la gnoseologia kantiana (che riducendo la conoscenza al piano dei fenomeni e lascia il noumeno come inconoscibile non potrebbe ammettere l'idea di una "cosa in sè" e dovrebbe considerare la conoscenza come pura attività ordinatrice dell'intelletto. Per questo, su ciò, sono d'accordo con Green Demetr sul fatto che sia l'idealismo lo sbocco coerente del kantismo...) avevo in mente l'idea della sintesi passiva delle fenomenologia di Husserl poi ripresa, tra gli altri, dalla sua allieva Edith Stein

A parte i riferimenti storici...
Ovviamente la conoscenza consiste in un processo cognitivo, nessuno lo nega. Ma questo processo cognitivo (al di là della rapidità o meno di esecuzione che ora non ci interessa) si dispiega nel tempo, cioè è un processo diacronico. La temporalità è la struttura fondamentale della coscenza umana. E proprio questa temporalità testimonia necessariamente l'esistenza di un mondo oggettivo autonomo dal soggetto che regge la possibilità della conoscenza. Perchè in assenza di un senso delle cose oggettive preesistente per un certo aspetto all'attività dell'io-penso non ci sarebbe temporalità. In assenza di nulla di trascendente rispetto ad essa la coscienza soggettiva, come creatrice assoluta della realtà, sarebbe una coscienza divina, assoluta, non necessitante di "tempo". per la formazione del sapere delle cose: la sua conoscenza dell cose sarebbe sovratemporale, istantanea, nell'atto in cui pone se stessa la coscienza porrebbe la visione totalizzante della realtà, che sarebbe pienamente immanente, "interna" ad essa. Ovviamente non è così. I processi cognitivi che fondano la conoscenza si costituiscono nel tempo, in quanto questi processi, l'attività formatrice dell'io, devono costantemente superare uno scarto, un residuo di trascendenza del reale che in ogni momento interviene sui nostri schemi percettivi modificandoli (l'esempio del manichino che facevo prima), modificando i nostri schemi associativi che conserviamo nella memoria in base ai quali formiamo le percezioni, il cui decorso però è dato dallo svelarsi, da parte dell'oggetto, dei suoi lati. Questa è in sintesi la conoscenza umana. Unità di intenzionalità attiva della coscienza che interviene sulle sensazioni ordinandole in concetti e categorie da una parte, ma dall'altra, intenzionalità passiva, per cui sono le cose oggettive ad intervenire sull'io offrendo ad esso i contenuti da formare: il rumore che sento all'improvviso stimola il mio io a spostare la sua attenzione da un luogo dell'esperienza a quello dove il rumore viene avvertito. Come sarebbe possibile ciò senza l'esistenza di qualcosa di esterno all'io che ne modifica la direzione d'attenzione?

Specifico che,se non si fosse capito dal precedente post,non sono solipsista. Però un conto è pensare che esista una dimensione autonoma dall'attività cosciente,un'altro è credere che questa dimensione sia dotata di senso proprio. Se eliminiamo la coscienza non c'è significato che si mantenga.

La coscienza "crea" un oggetto non nel senso che lo produce ex novo,ma selezionando e isolando una gamma di impressioni che lo definiscono fra la totalità degli stimoli che il cervello riceve dall'ambiente interno o esterno. Al di fuori di questo processo,nulla ci autorizza ad affermare che uno stimolo costituisca di per sé,appunto,la proprietà di un oggetto che si svela. Questo è il punto che mi premeva rimarcare.
#24
Davintro:

CitazioneLa coscienza rispecchia in sè la realtà ma non la crea, non la modifica

CitazioneLa coscienza non è un fatto reale, è un modo d'essere del soggetto pensante, della persona umana

CitazioneEsiste dunque un senso presente negli oggetti che interviene sull'esperienza e la conoscenza che abbiamo di essi, e questa modifica è possibile perchè tale senso era tale indipendentemente dall'arbitrio della mia coscienza soggettiva. Questa riceve il suo contenuto a partire dall'essere "colpita" passivamente da qualcosa di ulteriore, di trascendente ad esso, che si annuncia prima di tutto nelle sensazioni che comunicano il contenuto oggettivo alla coscienza, anzi rendendo di fatto possibile la coscienza stessa, che è coscienza in quanto intenzionalità, coscienza è sempre coscienza di qualcosa , rivolta a un mondo di oggetti trascendenti

Ho evidenziato le parti del tuo discorso con cui mi trovo particolarmente in disaccordo. Ho notato che appartengono tutte al tanto diffuso pregiudizio kantiano del noumeno o della cosa in sé,che stabilisce che la percezione (intesa non come impressione sensoriale,bensi come sua rielaborazione) abbia come riferimento un oggetto che la trascende.
Anche il fatto che la fonte della percezione sia un oggetto è discutibile. L'uomo riceve sensazioni sparse dall'esterno,non oggetti precostituiti già pronti per poter essere utilizzati dall'intelletto. Il problema è che il processo cognitivo agisce in noi,esseri adulti e formati,in maniera così immediata e veloce che abbiamo finito per credere che la coscienza si limiti a riprodurre fedelmente la realtà cosi com'è. Un oggetto resta pur sempre un'elaborata astrazione mentale,non ha significato se non all'interno di una coscienza che lo riconosca come tale.

Sariputra:

CitazionePer me, senza Mondo non vi è coscienza. Ma senza coscienza chi può dire vi sia un Mondo?

Il dire è già un azione che presuppone una coscienza,quindi direi che la risposta è già contenuta nella domanda.
Per il resto concordo in pieno con ciò che hai scritto.
#25
Tematiche Filosofiche / Re:Che cos'e' la Liberta'?
28 Aprile 2016, 14:50:37 PM
Citazione di: paul11 il 27 Aprile 2016, 10:23:15 AMLa libertà è una dinamica relazionale con i miei simili dentro le organizzazioni umane, e allora diventa un valore più o meno compatibile  con uguaglianza e giustizia e si declina nella partecipazione democratica, nello spazio della decisione, del "contare" socialmente., il sentirmi parte ,ma nello stesso tempo identificato nella società, ma rispettosa della mia autenticità come individuo.
E' uno spazio sociale.

Se la libertà vuole essere reale deve sapere quali sono i vincoli naturali inalienabili e quali sono le condizioni che possono essere rimosse affinchè  il proprio  essere,la propria persona, possa  essere (scusate il gioco di parole) autentica.

Risulterò impopolare,ma non credo che libertà e uguaglianza possano essere due valori compatibili. La libertà infatti esprime,nel suo significato più profondo,la volontà di essere diversi,l'autonomia del pensare e dell'agire,l'eccezione,la particolarità. In questo senso non riesco a pensare a un sistema politico meno libero di quello democratico,dove le decisioni vengono idealmente "commissionate" dalla massa di cittadini al voto. 

CitazioneEsatto, lo scontro, anzi, la difficoltà, non consiste nel distinguere d'essere libero o schiavo, ma tra cosa è vero e cosa è menzogna.
Se sono nel "vero" automaticamente sono davvero libero, se esisto nella menzogna, quella libertà è il riflesso di un inganno, quindi una libertà truccata, una libertà coperta da un velo, ma uno non sa che è manovrato dall'inganno, neanche se l'immagina.

Per me l'equazione verità =  libertà è totalmente priva di fondamento. Non esiste una libertà che si ottenga senza trucchi.

CitazioneAl secondo quesito, anche se è un po' da scostumato, rispondo con un'altra domanda: perché siamo sicuri che siamo noi a pagare per la nostra libertà?

No,infatti.
#26
Tematiche Filosofiche / Re:Che cos'e' la Liberta'?
26 Aprile 2016, 23:53:24 PM
Non penso che la libertà debba costituire una meta o un'aspirazione...questo è il pensiero dello schiavo che brama di rompere le catene. Io la concepisco più come una possibilità,un'opportunità di scegliere il proprio cammino,di costruirsi un futuro. Né credo che la sua necessità derivi da una scelta o un esame di coscienza,ma che sorga nell'uomo come un sentimento spontaneo,un istinto a ricercare un personale "spazio vitale",quasi un bisogno fisiologico.

Non è detto che la verità,ammesso di sapere quale sia,renda liberi più di una menzogna.

Ogni libertà,come ogni conquista,richiede un prezzo da pagare;come dice giustamente Donquixote,si ottiene per sottrazioni di bisogni,aggiungerei io,propri o altrui. Si sacrificano alcuni bisogni solo per fare spazio ad altre necessità. Non credo al concetto di libertà assoluta se non come sinonimo di morte.

La domanda più interessante rimane dunque : a che scopo noi desideriamo essere liberi? E quanto siamo disposti a pagare?
#27
Citazione di: green demetr il 19 Aprile 2016, 14:14:44 PM
Memento, Cvc, Sgiombo, Eutidemo

a proposito di Filosofia e Scienza:

foss'anco che la filosofia si proponesse di legiferare sulla questione epistemologica, al massimo sarebbe un noioso notaio dei risultati eccellenti e brillanti della Scienza.

Nel gioco o scontro sociale delle prassi, la filosofia ha da tempo perso la sua aura metafisica.

Non sarebbe un problema se la filosofia giunta al suo fine (la fine della metafisica), iniziasse a rivoluzionarsi (magari a partire da Nietzsche, con l'aiuto di Kant, Idealismo tedesco e Psicanalisi Lacaniana).
E invece storicamente davanti ai miei occhi stiamo diventando i lacchè della Scienza, di fatto rimanedo i loro servitori.(i progetti di "amicizia" filosofia-scienza fioccano a dozzine nel dipartimento di "scienze" umane)
Mentre loro continuano giornalmente a progredire nella scoperta epistemica-descrittiva, a noi non rimane che chiederci il senso, di volta in volta messo in discussione dalle "loro" nuove scoperte.
Siamo diventati gli spazzini dell'impero scientifico.
Quelli che si occupano di sollevare un polvere dialettico (tutta l'analitica americana) di modo che non ci si concentri invece su questioni ben più rilevanti come la politica delle scelte.
In questo momento non ho le forze, nè la lucidità per aprire un fronte di guerra dialettica così vasto
(di cui questo 3d è solo una minima parte).
Non mi rimane che rimenere "naive" ed affermare senza riserve che la scienza è il nemico mortale della filosofia.

ps provo qui sotto a scirvere alcuni elementi en passant. per dare almeno un vago senso.
(Oggi dire scienza e dire Scientismo ha un confine sempre più labile: lo scientismo per affrontare il capitalismo, si sta rendendo sempre più conto di aver bisogno di una Politica, in questo senso la conquista dei palazzi universitari è il primo passo. ovviamente nella loro cecità filosofica non si accorgono di alcuni problemi che noi affrontammo ai tempi, ma siccome noi siamo i loro lacchè, gente che deve far numero a favore della loro
Politica, a noi non si rivolge parola. se non per pura convenienza di immagine, e per nulla di fatto).

Se si è creato uno squilibrio fra filosofia e scienza,la colpa non è imputabile al progresso dei mezzi della conoscenza scientifica. Il problema,come ho già detto nell'altro topic,sta a monte.

Se potessimo ripercorrere la storia della filosofia in parallelo allo sviluppo della scienza moderna,di cosa ci accorgeremmo? Che tutti i filosofi si sono creati un terreno d'appoggio per non scivolare nel campo della confutazione empirica (basti pensare alla res cogitans di Cartesio,al noumeno e alle forme a priori di Kant,allo Spirito assoluto di Hegel,ecc.). Persino la logica dei filosofi analitici può essere compresa in questa necessità di fuga dal contingente.

Dico una cosa che potrà sembrare ovvia: la Scienza non può operare senza una serie di paradigmi ai quali attenersi. Ma non esiste paradigma che non sia filosofico. La filosofia dunque è vittima dei limiti che essa stessa si è data.

Una critica serrata della Scienza come metodo,una "trasvalutazione dei valori" per dirla alla Nietzsche,è l'unica soluzione che permetterebbe di riappropriarsi del senso della conoscenza scientifica,ammesso che si voglia rinunciare all'idea di un ordine prestabilito della realtà. Si vuole?

Concordo anch'io con ciò che ha scritto cvc.
#28
Citazione di: green demetr il 18 Aprile 2016, 21:53:27 PMvoglio dire o si fa scienza o si fa filosofia.
Heidegger ci ha avvisato, ma si fa ancora una gran fatica ad intenderlo.
E perché? Sia mai che la filosofia si interessi di problemi concreti e ficchi il naso dove non deve guardare.
#29
Citazione di: sgiombo il 16 Aprile 2016, 20:20:10 PME infatti ho sempre asserito che a tendenze comportamentali universali biologicamente condizionate se ne sovrappongono e intrecciano altre storicamente condizionate e dunque variabili nel tempo e nello spazio e transeunti (dei contesti [font='Times New Roman', serif]storici e sociali in cui una varietà enorme di moralità e costumi si è potuta affermare ho sempre tenuto ben conto!)[/font].

E perché mai (in generale in natura, non solo –ma anche- nell' uomo- non dovrebbero potersi avere istinti comportamentali contrastanti: la vita è un continuo destreggiarsi fra Scilla e Cariddi!

Preferisco evitare i concetti molto problematici e quantomeno poco chiari e distinti (per dirla a la Descartes) di "secondo natura " e "contro natura". Essere amorale non è (di fatto) la condizione generale dell' umanità: tutt' altro! Può accadere, come possono accadere tanti altri comportamenti "eccezionali" (che confermano le rispettive regole) nei più disparati campi, anche non eticamente rilevanti (per esempio nell' estetica).
Come ho più volte argomentato nel vecchio forum per me (contro e completamente al contrario di Kant) il determinismo, cioè la negazione del libero arbitrio, è una conditio sine qua non perché possa darsi significato etico al comportamento umano (e in generale di soggetti di azione liberi da coercizioni estrinseche): il libero arbitrio è (sarebbe, ammesso e non concesso) incompatibile con l' etica.

Ricordo il tuo discorso sulle condizioni socio-economiche/storiche come fattori da tenere in considerazione. Minimalista per il sottoscritto è l'idea di una morale universale posta su basi biologiche. A proposito,in cosa consisterebbe? Anche se solo vagamente dovresti avere un suo abbozzo di definizione (tanto più se è biologicamente determinata).

Confermi parzialmente quello che ho scritto due post fa: la contravvenzione ad una norma morale è possibile,ma come comportamento eccezionale,e mai regolarmente (sei molto ottimista a mio parere). La perplessità che ho prima espresso era legata proprio al fatto che,quando si presentano due tendenze opposte e contrastanti,si rende necessaria la scelta e,quindi,il concetto di libero arbitrio. Spero ci siamo intesi. Sull'ultima frase dissentirebbero in molti,si potrebbe anche aprire un topic al riguardo.
#30
Citazione di: Donalduck il 16 Aprile 2016, 18:12:22 PM
Memento ha scrtitto:
CitazioneO essere amorale è contronatura?
Quello che non riesco a capire, in questi dibattiti (attaulmente piuttosto diffusi) sulla "natura", è in che modo e con quali criteri si definisce il dominio del "naturale" e di conseguenza quello del "non naturale". E anche con quali criteri si attribuisce alla natura una direzione, una sorta di volontà che può essere contrastata andando "contro natura".

In questo caso si parlava di natura presa in senso stretto,ossia biologica. Da parte mia considero innaturali quei comportamenti che contrastano con le necessità dell'organismo. Se la morale fa parte di queste necessità,chiedo io,l'essere amorale è una condotta che va contro natura?