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Messaggi - Apeiron

#16
Ciao Paul,

Citazione di: paul11 il 08 Maggio 2020, 00:35:51 AMCiao Aperion,


nella logica formale si può argomentare senza contraddizione rispettando il risultato che danno i connettivi logici, ma definendo e dichiarando "fesserie" tautologiche; mentre a mio parere più propriamente è un'aporia, un blocco argomentativo filosofico, ma può sostanziarsi anche in una teoria scientifica incompleta. Ed è la norma, diversamente tutto sarebbe perfettamente spiegabile e conoscibile.
Comunque sono d'accordo con te.
Penso anche io che siamo per lo più d'accordo. L'aporia infatti è sì un segnale che c'è un errore nel nostro ragionamento, però come dici tu l'aporia è un segnale di complessità. Essere consapevoli dell'aporia e quindi della limitatezza a fronte di una complessità, è una sorta di 'dotta ignoranza' (a proposito di armonia di opposti  ;D ).
Ciò non toglie che si dovrebbe comunque aspirare a cercare di essere quanto più consistenti e chiari possibile.

Citazione di: paul11 il 08 Maggio 2020, 00:35:51 AM
Questa brama, questa volontà era stata a suo tempo trovata da Schopenhauer come paradigma originario di tutto il sistema universale, nato per una volontà e declinato nel mondo  in volontà di esistere, di vita; solo che per Schopenhauer la risposta è un pessimismo totale per la condizione umana, quasi ad annuire all'epitaffio del sileno sul destino umano, per cui si rivolge alla contemplazione buddista, attraendo le ira funeste di Nietzsche che pensa ad una volontà come motore anche come risposta come ottimismo, se così si può contrapporre al pessimismo di Schopenhauer.
...
Sì bene o male concordo nuovamente con te. Schopenhauer riteneva che questo 'processo', questo 'fuoco' di 'indigenza e sazietà' fosse l'essenza del mondo fenomenico e del soggetto conoscente. Tuttavia, questo 'sforzo' non mirava a niente - o meglio era in continuazione rinnovato perché nessun soddisfacimento riusciva ad essere 'completo' e quindi alla fine si tornava all'indigenza. Da qui il 'pessimismo', visto che questo 'sforzo' era continuamente rinnovato se si riusciva a trovare soddisfazione oppure era soggetto a frustrazione, in caso di fallimento - e questa 'visione' per Schopenhauer portava quanto meno ad una 'moderazione' della 'volontà', per arrivare perfino alla mortificazione. (Vero poi che Schopenhauer si era rivolto alla filosofia e alla spiritualità induista e buddhista, trovando molte affinità con il suo pensiero ci sono chiaramene anche molte differenze, ma direi che non è il 'luogo' adatto per discuterne  ;) ).
D'altra parte, Nietzsche era fortemente contrario a questa reazione. Concordava con Schopenhauer che sì, c'era un aspetto tragico nell'esistenza. E che sì questo processo di indigenza e (ricerca di) sazietà era soggetto a frustrazione e ad essere rinnovato in continuazione. Ma Nietzsche riteneva che la giusta 'reazione' fosse di segno completamente opposto e infatti arrivava ad 'affermare', fino al punto di 'venerare' in un certo senso questa 'attività', questo sforzo.
Riguardo al tema della sofferenza peunso che due frammenti di Eraclito siano molto interessanti anche per la filosofia di Nietzsche (nel senso che secondo me spiegano le ragioni che stanno dietro a diverse considerazioni di FN):"La malattia rende piacevole la salute, la fatica il riposo, la fame la sazietà." (B111)
"Per gli uomini non è meglio che tutto accada come desiderano" (B110)Concordo con Eraclito che possiamo imparare molto 'attraverso' le 'esperienze negative'. Dico 'attraverso' perché è vero secondo me che, per esempio, una lunga malattia ci può far apprezzare di più la salute. Ma non è che dobbiamo 'sperare' di vivere le 'esperienze negative', perché altrimenti quelle positive non potrebbero veramente 'essere apprezzate'. Il problema è che si arriva ad una sorta di 'dolorismo' dove la sofferenza, il dolore viene visto come qualcosa che 'dobbiamo' per forza sperimentare in modo da 'vivere veramente'. Quindi se da un lato è vero secondo me che 'attraverso' esperienze negative possiamo imparare molto, possiamo 'crescere' e così via perché possono far 'scattare' in noi qualcosa che ci fa andare in quella direzione, dall'altro lato non credo che ciò sia sufficiente a farcele considerare come qualcosa di 'positivo'. Ritengo che, in realtà, rimangono 'negative' anche se come effetto 'collaterale' può portare ad una 'crescita', un maggiore apprezzamento delle cose 'positive' e così via. Idem nel caso della 'lotta'. Concordo che il 'lottare' (in vari sensi) ci può far apprezzare meglio la calma, la pace ecc. Tuttavia, questo non ci deve far pensare che la 'lotta' sia qualcosa di 'positivo'. Oppure, per fare un altro esempio. Un'esperienza di frustrazione ci può sì far 'scattare' in noi qualcosa che ci induce a cambiare un determinato comportamento che causa in noi molta sofferenza, ma questo non toglie che la frustrazione è un'esperienza 'negativa'.
Questo è un motivo per cui dicevo che pur pensando che Schopenhauer sia 'estremo', sono in un certo senso più vicino a lui rispetto che Nietzsche.

 


Citazione di: paul11 il 08 Maggio 2020, 00:35:51 AMLa mia impressione attuale su Nietzsche è che crede ad uno spontaneismo naturale umano tendente ad una positività, ma forse mi sbaglio......Se crede che tolte le condizioni per lui di schiavitù spirituale sul divino, si possa aprire la strada del nuovo fanciullo superuomo........è ottimista. Con tutte le contraddizioni del caso, sempre  a mio parere...che ammetto deficitario in quanto incompleto.
Nì, nel senso che sono d'accordo che Nietzsche voleva 'eliminare' i vincoli alla 'volontà' per renderla spontanea, ma non credo che tenda necessariamente ad una 'positività' (ma potrei averti frainteso...). Infatti, la mia impressione è che FN voleva 'liberare' la 'volontà' accettando tutte le conseguenze del caso. E in effetti Nietzsche sembrava ammirare (pur non risparmiandoli dalle critiche) un po' tutti coloro che avevano avuto un 'grande impatto' sulla storia. Per esempio, aveva una certa ammirazione sia per Goethe che per Napoleone anche se, chiaramente, 'esprimevano' la 'volontà' in modo diverso. Ed è qui appunto che arriva un grosso problema della filosofia di Nietzsche. Il suo rifiutarsi di 'mettere delle regole' all'espressione della 'volontà' (se non forse che si deve evitare di farla esprimere in modo che si auto-limiti)...

Citazione di: paul11 il 08 Maggio 2020, 00:35:51 AM
Altro, sempre a mio parere, è costruire sopra questa verità naturale un pensiero costruttivo umano
Gìà, questo secondo me questo è un grosso errore di Nietzsche...
#17

Ciao Paul,

Citazione di: paul11 il 06 Maggio 2020, 19:56:54 PM

La contraddizione ha senso dal punto di vista logico formale. Dal punto di vista umano, e non ha importanza che sia filosofo, scienziato o esteta, oserei dire che è necessario quanto lo è l'imperfezione.

Personalmente, direi che per esempio talvolta, le contraddizioni insorgono quando si ha la 'pretesa' di estendere certi ragionamenti oltre un certo ambito. Si può pensare che una 'visione delle cose' unitaria che cerca di abbracciare 'tutto' rischia di incorrere in questo tipi di problemi. Questa inevitabilità rispechierebbe la limitatezza della nostra condizione. D'altra parte, però, credo che la contraddizione sia una spia che 'qualcosa non va' nel nostro ragionamento - nell'esempio, il voler andar fuori un certo ambito di validità.

Citazione di: paul11 il 06 Maggio 2020, 19:56:54 PM

Non sono così addentro al pensiero di Nietzsche per dare un' interpretazione sull'eterno ritorno dell'identico. Lessi a suo tempo diverse interpretazioni di alcuni filosofi ovviamente contemporanei a noi , ma tutte con la sensazione che mancasse qualcosa  nel pensiero di Nietzsche per  poterlo definire chiaramente.
La mia impressione attuale è che Nietzsche si riferisce più alla cultura umana che alle regole, dicamo così, della natura, come aspirazione, come motivazione che nasce da una insoddisfazione.

Citazione di: paul11 il 06 Maggio 2020, 19:56:54 PM

Ma vedi che a tuo modo l'imperfezione la metaforizzi nel polemos fra le tensioni degli opposti in Eraclito che ha influito anche Nietzsche? C'è qualcosa di vero. E' frustrante? Sì e a mio parere Nietzsche non può dare valide risposte dal suo punto di vista, e forse l'eterno ritorno dell'identico è più una constatazione che una soluzione

Concordo che nell'analisi sembra esserci qualcosa di vero. E concordo che Nietzsche non riesce a dare valide risposte a questo problema...di seguito cerco un po' di approfondire un po' di più la questione (chiedo venia se faccio troppe ripetezioni...)

Infatti, secondo me, - eterno ritorno a parte - Nietzsche voleva 'affermare' questo mondo, cercando di eliminare la 'tentazione' di sognare qualcosa di diverso, un 'rifiuto' di esso ecc. E voleva affermare la 'volontà' - ovvero se vogliamo le 'brame', i desideri nelle loro varie forme ecc - che è alla base delle 'grandi imprese', delle 'grandi sfide' ecc. Insomma, Nietzsche pensava che non bisognava ostacolare la 'brama' perché altrimenti la conseguenza sarebbe stata l'oppressione della vitalità e/o una 'stagnazione' e così via. Credo che ci siano alcuni problemi con questa posizione. Di seguito, ne elencherò alcuni, senza pretesa di fare una lista esaustiva.

D'altra parte, però, come dicevo prima, se si indaga la natura della 'brama' si può vedere che essa la 'paradossalità' della questione. Uno dei frammenti di Eraclito recita "indigenza e sazietà" (B65) nel quale probabilmente stava descrivendo il fuoco. Ma anche le brame, i desideri ecc sono di fatto simili: sembrano nascere quando si avverte l'indigenza, ovvero una 'mancanza', l'essere privi di qualcosa (in generale...)... aggiungerei poi la frustrazione, quando si incontrano ostacoli al soddisfacimento delle brame, dei desideri ecc.
Quindi, di fatto desideri, brame ecc si basano sull'insoddisfazione dello 'status quo' - insoddisfazione che non è un''affermazione'. Anzi. Ma supponendo che Nietzsche intendesse affermare proprio questo 'fuoco' più che altre cose, il problema è che, come dicevo, lo prende come un fine, a mio giudizio. Prendendolo come un fine - perché la mia impressione è che Nietzsche voleva affermare questo 'motore' più che gli 'obbiettivi' -  diventa addirittura necessario avvertire un senso di mancanza. Anzi, tale senso di 'mancanza' diventa la cosa da 'affermare', quasi in un senso di 'venerare'. O meglio, è vero che ciò si 'afferma' è il 'fuoco' ma in un certo senso si deve anche affermare il combustibile. Ma così facendo, si è in un continuo stato di 'agitazione', di 'insoddisfazione'. Non credo che questo tipo di esistenza sia davvero desiderabile.

Inoltre, l'etica, gli ideali, i valori, le prorità ecc hanno sempre 'regolato' l'espressione della 'volontà' e delle azioni. Anche a livello 'individuale' (qui intendo non livello di organizzazione politico-sociale...), è ben chiaro che non possiamo 'badare a tutto', nel senso che non possiamo soddisfare tutte le nostre brame, i nostri desideri, i nostri sogni ecc. Scegliamo cosa è 'importante' e cosa non lo è. Stabilito ciò, cerchiamo poi di 'coltivare' solo o principalmente le aspirazioni, i desideri ecc che a noi sembrano 'più importanti' e rinunciamo a ciò che è 'meno importante' o 'non importante' (il che può essere assai doloroso e anche per questo non è detto che riusciamo in questo tentativo, ovviamente...). Ma per stabilire cosa è 'importante' e cosa non lo è, cosa è 'più importante'  e cosa ha 'meno importanza' ecc, di fatto seguiamo un''etica', magari 'personale'. Ma così facendo di fatto mettiamo un 'vincolo' alle espressioni della 'volontà', di questo 'fuoco'. E questo vale anche per la filosofia di Nietzsche. Chiaro, Nietzsche probabilmente direbbe cha la sua filosofia ha un orizzonte puramente naturalisico. Tuttavia, anche rimanendo in tale orizzonte, rimane comunque secondo me molta varietà tra le posizioni che si possono prendere sulla questione.

Estendendo poi anche al contesto 'collettivo' (ovvero sociale, politico...senza abbandonare ovviamente quello 'individuale' citato in precedenza), secondo me FN ha fatto in questo contesto alcune delle affermazioni più disturbanti, come nel passo di Al di là del bene e del Male già citato in precedenza. In fin dei conti, se conta più che altro l''affermazione' delle 'volontà'...

Con questo non volevo dare una lista esaustiva di cose che 'non funzionano' secondo me del pensiero di FN. D'altra parte, sono anche convinto che molti passi dei suoi scritti siano molto interessanti. Ad esempio, diverse sulla creatività, sull'indipendenza, sul risentimento e così via. Non vorrei dare l'idea di 'racchiudere' completamente il suo pensiero in queste critiche.
#18
Ciao Paul,

scusa per il ritardo...

Citazione di: paul11 il 03 Maggio 2020, 21:56:01 PM
...
La poliedricità, la contraddittorietà, porta con sé le moltitudini di pensieri che ci avvolgono fra intuizione e ragione. A volte intravvediamo qualcosa, come raggi di luce fra nubi ed è assai difficile tirare il filo di senso che unisce le nostre moltitudini senza mai essere contraddittori. In fondo è la condizione umana di noi tutti, e mi ci trovo in questo anelito in Nietzsche. Siamo cercatori di luce, di verità, ma non l'abbiamo sul palmo della mano e fra la nostra intimità e il mondo che pulsa di vita cerchiamo la ragione del nostro esserci di farne parte. E' un impulso mistico prima di tutto, prima di essere ragion calcolante, logica.

Ricordo anche una citazione di Goethe simile a quelle che hai riportato...  :) Comunque, non intendevo sminuire Nietzsche affermando la poliedricità del suo pensiero e, in certi versi, la sua contradditorietà. Né volevo dire che sono la stessa cosa. La 'poliedricità' può derivare dalla 'profondità'. La contraddizione, secondo me, invece, è un errore se non viene usata in senso 'negativo', ovvero per dimostrare che certe affermazioni sono inconsistenti.

Credo che sia ovviamente normale trovare contraddizioni nei filosofi, senza che questi perdano la loro 'grandezza'. D'altronde spesso i filosofi 'esplorano' 'luoghi' sconosciuti o comunque impervi e quindi è del tutto normale aspettarsi errori. Riguardo alla poliedricità, invece, credo che sia qualcosa che fa notare la complessità delle intuizion. Molte posizioni che leggiamo, infatti, ci paiono contradditorie, poi però dopo aver studiato ed approfondito vediamo che l'apparente contraddizione ci mostra qualcosa di più profondo e complesso. Ma la 'poliedricità' può anche venire dal fatto che lo stesso pensatore sia effettivamente confuso per la complessità del problema che sta trattando. E questo ovviamente non è un 'male' ma ci fa capire la complessità della cosa...
Inoltre, gli stessi errori possono insegnarci molto, quindi non è per niente 'tempo sprecato' anche approfondire un errore. E di certo non ho fatto un'analisi esaustiva della questione...


Mi 'identifico' anche io nell'anelito di Nietzsche, forse è anche per quello oltre per i motivi elencati prima che, pur non concondando con moltissime sue posizioni, mi piace approfondire il suo pensiero.

Citazione di: paul11 il 03 Maggio 2020, 21:56:01 PM
Il fallimento implica la vittoria come il nascere  il morire, al fine ciò che conta  forse è il provarci, è un modo di essere....

Prima di commentare, vorrei precisare che l'interpretazione dell''eterno ritorno' del mio precedente post, ovvero come invito a cercare di vivere una vita dovesi tenta di non sprecare occasioni, non fare scelte sbagliate e così via in modo da non avere rimorsi per aver 'sprecato' la vita, è una possibile interpretazione ma che secondo me sicuramente racchiude parte del pensiero di Nietzsche su questo argomento. Ma secondo me è incompleta, visto che ad esempio la citazione della Gaia Scienza non parla solo di fare ciò, ma di 'dire di sì' a tutto. Se poi Nietzsche intendesse solo l'imperativo che ho menzionato e che le formulazioni dell'eterno ritorno e amor fati fossero un modo per dire ciò, non saprei dirlo.


Secondo me, il fatto stesso di aspirare ad un anelito implica un'idealizzazione contro-fattuale o comunque una percezione di una 'mancanza' e, quindi, di fatto una insoddisfazione con lo status quo. Che è di fatto l'esatto opposto del 'dire di sì'. Per questo motivo, credo che ci sia nel pensiero dell'eterno ritorno una tensione insanabile tra la 'spinta' affermatrice (dal passo della Gaia Scienza: "Questa vita, come tu ora la vivi e l'hai vissuta, dovrai viverla ancora una volta e ancora innumerevoli volte, e non ci sarà in essa mai niente di nuovo, ma ogni dolore e ogni piacere e ogni pensiero e sospiro...") e il fatto che, invece, aspirare a obbiettivi, piccoli e grandi che siano, implica appunto una percezione di una mancanza.

Quindi, l'aspirare, il desiderare ecc, secondo me, si conciliano di più, paradossalmente, con una negazione. Se ci fosse una 'completa soddisfazione' con lo status quo, non ci potrebbe nemmeno essere voglia di 'cambiarlo'. E tale soddisfazione non può venire secondo me dall''affermazione del mondo', proprio perché il solo fatto che nel tentativo di farlo si creano aspirazioni di varia natura, significa che si percepisce una mancanza. Per questo motivo, non capisco l'avversione di Nietzsche all''idealità' di qualsiasi natura, al desiderio di 'qualcosa di diverso'...Certo, è vero che in alcuni casi le 'idealità', la morale ecc sono state oppressive. Ma generalizzare come fa Nietzsche è frutto di una visione distorta e parziale del fenomeno.

'Sognare' e sperare 'idealità', secondo me, è segno di un anelito di libertà...


Citazione di: paul11 il 03 Maggio 2020, 21:56:01 PML'imperfezione è il presupposto del divenire... persino Darwin scrisse che l'imperfezione nella natura  permette nuovi adattamenti, trasformazioni evolutive.

Però, vedi, considerando più che altro l'ambito umano...c'è sempre una spinta - spesso anche non voluta ma 'imposta' (e questo punto è molto importante) - ad 'adattarsi', sempre uno 'sforzo', una 'fatica' a farlo. Si può parlare di una reale 'soddisfazione' in questo 'sforzo' continuo? Credo che in tutto ciò la frustrazione sia inevitabile. Quello che intendo è che riconoscere l''imperfezione naturale' di cui parli non si 'sposa' con l'affermazione. Perché? perché imperfezione significa mancanza e mancanza significa sforzo, lotta, fatica...appunto 'lotta', ma non perché è 'una bella cosa'.  Al contrario, è più una 'triste necessità' per la nostra condizione.
Certo, è vero che da (certe) 'sfide' (nel senso delle azioni che nascono dalle aspirazioni...) sono nate grandi cose, ma il fine non è la sfida in sé, perché in fin dei conti la 'sfida' ha sempre un obbiettivo e quindi è incosistente pensare che l'azione mossa da una certa aspirazione possa essere un fine. La 'sfida' è un mezzo. Inoltre, per la stessa natura della sfida,  altrimenti una vera e propria 'sfida' non inizierebbe nemmeno senza un 'fine' (come si può parlare di 'sfida' come azioni atte a soddisfare aspirazioni se non c'è un obbiettivo?). In altri termini, mi sembra assurdo 'affermare' la 'sfida' in quanto 'sfida', quando essa di fatto esiste in relazione ad un obbiettivo.
Desiderare ulteriori 'lotte' (e magari 'scatenarle'...), secondo me, in realtà lascia tra l'altro continuamente insoddisfatti. Altro motivo per cui non capisco il punto di vista 'affermativo'.

Secondo me, l'anelito a superare - in qualche modo - questa 'imperfezione' è un importante elemento della spiritualità (in generale). Ovvero è un profondo anelito di libertà.
#19
@Paul,concordo su molte delle tue considerazioni... ma penso che quanto dicevo è anch'esso valido. Questo, secondo me, è un segnale della 'poliedricità' - nonché anche direi della contraddittorietà - del pensiero nietzscheiano.

Giusto per fare un esempio, torno alla questione dell'eterno ritorno. Il 'monito' dall'aforisma della Gaia Scienza: "Questa vita, come tu ora la vivi e l'hai vissuta, dovrai viverla ancora una volta e ancora innumerevoli volte..." può essere visto come un incoraggiamento a vivere la propria vita in modo da essere completamente soddisfatti da essa, ovvero come un invito a cercare di vivere la vita in modo da volerla rivivere ancora e ancora - nel senso di vivere in modo da non avere rimorsi da occasioni perse, scelte sbagliate ecc. Visto in questo modo, chiaramente, il messaggio è anche molto bello - ovvero è un messaggio a cercare di realizzare i propri 'sogni', possiamo dire.
Però, è anche vero che anche se è possibile il successo, è anche forse più probabile il fallimento. Chiaro, Nietzsche direbbe probabilmente di non 'demoralizzarsi' davanti al fallimento ma il fatto stesso che, per esempio, a parità di impegno si possono raggiungere risultati diversi diventa secondo me un problema per la filosofia nietzscheiana, se questa - come lui fa - implica che sognare, sperare in ecc 'qualcosa di diverso' (resto generico...) da 'questo mondo' implica un disadattamento. Certamente, Nietzsche direbbe appunto che fallire 'fa parte del gioco' e che quindi non c'è nessuna 'vergogna' nel fallire quando ci si è impegnati con il masismo impegno possibile ed è quest'ultima cosa l'importante - cosa che condivido. D'altra parte, però, non vedo alcuna ragione di 'demonizzare' come Nietzsche fa quell'anelito, quella speranza, quel sogno di 'qualcosa di diverso' quando si comprende, per esempio, che ci sono dei 'difetti' in 'questo mondo' che rendono talvolta impossibile anche realizzare (o addirittura provare a realizzare) anche le più nobili aspirazioni. Per esempio, si può pensare alle disuguaglianze sociali che possono ostacolare il raggiungimento delle proprie aspirazioni (ad esempio voler fare una certa professione può essere impossibile se si vive in una situazione disagiata e così via...). Oppure gli 'ostacoli' possono venire non da questo tipo di problemi sociali ma anche da cause naturali e così via.
In 'questo mondo' palesemente ci sono ad esempio questo tipo di problemi, tra le varie cose. E 'demonizzare' la speranza in 'qualcosa di diverso' è secondo me sbagliato perché appunto si richiede un'accettazione dello 'status quo'. Tornando all'esempio di prima, secondo me Nietzsche vedrebbe come 'risentito' colui che magari dopo aver fallito nel tentativo di fare una azione veramente 'nobile' (per esempio, che ne so, cercare di cambiare in meglio una determinata società), scoinvolto da tale fallimento spera in 'qualcosa di diverso' da 'questo mondo'. Ed è questo un aspetto che trovo erroneo nella filosofia di Nietzsche.

Inoltre, come dici tu, il pensiero di Nietzsche sembra debolissimo quando ci si sposta da una prospettiva individuale ad una 'comunitaria'. Secondo me, per Nietzsche, evitare il conflitto non è una ragione per non affermare le proprie aspirazioni - non è difficile vedere che questo può essere problematico (ovviamente la problematicità dipende dalle intezioni che le parti hanno, dalla forma del conflitto (per es. un civile dibattito non è ovviamente 'problematico') ecc). Inoltre, non credo che il conflitto sia inevitabile quando si confrontano le diversità.
Non credo che l''equilibrio degli opposti' necessariamente implichi un conflitto tra di essi. Per esempio, appunto nel dialogo è vero che c'è un 'conflitto delle idee' quando il dialogo è dibattito ma talvolta il dialogo ha come effetto quello di arricchire entrambe le posizioni che si confrontano (a meno che per 'contesa' si intenda 'confronto', in tal caso concordo che la 'contesa' è inevitabile...).
Concordo con te su quanto dici su quanto dici dell'estetica...

Riguardo poi alla presenza o meno di 'cinismo' nella filosofia di Nietzsche, credo che sia un punto in effetti discutibile (per esempio l'estratto di 'Al di là del bene e del male' che avevo citato in un post che avevo 'linkato' in precedenza secondo me contiene del 'cinismo'...) ma è anche vero quanto fai notare tu. Nello Zarathustra, è vero, vengono presentate in buona luce delle vittime di un sistema morale eccessivamente oppressivo e questo è un elemento di solidarietà. Ma di nuovo, la risposta a tale problema proposta da Nietzche ha i suoi problemi, come quelli di cui parlavo sopra.

Infine, per quanto riguarda il 'divenire' naturale, in effetti sì, sembra che una metaforica contesa tra i vari elementi in gioco sia un elemento centrale. Concordo poi sulla parte dei nomi, chiaramente una 'mappa' è necessaria per orientarci...
#20
Citazione di: paul11 il 02 Maggio 2020, 15:22:23 PM
...
Ciao Paul,

Grazie per la citazione del 'Cratilo', dialogo platonico che putroppo non ho mai letto. L'attribuire nomi alle cose si deve ad un'assunzione di partenza, ovvero che esse permangono per qualche tempo (almeno in un certo senso). Senza questa assunzione, crolla il linguaggio. D'altra parte, dissento con il fatto che la conoscenza possa essere presente solo quando si riesce a distinguere qualcosa di, almeno 'relativamente', fisso. A Cratilo si attribuisce l'idea - penso sia stato Aristotele a farlo - che non è possibile nemmeno scendere una volta nel fiume, proprio perché l'acqua continua a cambiare, e quindi non si potrebbe a rigore attribuire un nome ad esso ma solo puntare il dito. Quello che voglio dire è che, secondo me, 'conoscenza' può anche essere qualcosa di 'negativo', ovvero comprendere che 'qualcosa' non può essere compreso in un certo modo. Quello che dice Cratilo ha un che di vero, in fin dei conti. Per lo meno, da un certo punto di vista, è vero che il fiume non rimane mai lo 'stesso' e quindi si può dire che un linguaggio che si basa su concetti 'stabili' non può 'afferrare' completamente una realtà in divenire. D'altra parte, però, c'è una continuità nel continuo scorrere delle acque che ci permette di attribuire a tale corrente un nome unico. Il mistero del 'divenire'...

Riguardo alla mitologia greca, purtroppo non  sono molto 'ferrato' nell'argomento, però concordo con te. Credo che Nietzsche avesse anche lui una visione parziale della questione. La cultura greca era estremamente complessa e abbastanza 'malleabile', non a caso come osservi tu sono stati introdotti miti probabilmente 'estranei' ad essa, nonché in fin dei conti la filosofia stessa, dove i primi filosofi 'riadattavano' il mito alla loro filosofia...in molti casi non perché 'disprezzassero' il mito ma perché cercavano di integrare anch'esso in una nuova prospettiva. Purtroppo non so molto nemmeno del 'primo' Nietzsche - ho letto solo la 'Filosofia nell'Età tragica dei greci' - ma anche a me ha dato l'idea di un'analisi 'parziale' (il che probabilmente è inevitabile...).

Concordo poi che in Nietzsche ed Eraclito ci sia un consenso sulla questione del Polemos - personalmente, credo però che esagerino nell'importanza da dare ad esso. In ambo i casi sembrano vedere il Polemos come il principio di differenziazione (es. frammento 53 di Eraclito) ed entrambi lo 'esaltano' in modo secondo me erroneo, tra l'altro fino ad arrivare probabilmente a dire che il conflitto sia l'unico modo in cui si presentano le differenziazioni, le diversità. In questo sito, si riportano due fonti antiche affermano che Eraclito criticava Omero perché Achille diceva "vorrei che la contesa sparisse tra dei e mortali". In particolare, dal sito:

Citazione
    Aristotle writes (Eudemian Ethics 1235a25), "Heraclitus rebukes the poet who wrote, 'Would strife might perish out of heaven and earth,' for, he says, there would be no harmony without high and low notes, and no animals without male and female, which are opposites."

    Scholia to Iliad 18.107 writes this: "Heraclitus, who believes that the nature of things was constructed according to strife, finds fault with Homer, on the grounds that he is praying for the destruction of the cosmos" (Kahn 204).



Traduzione:

Citazione

Aristotele scrive (Etica Eudemia 1235a25): "Eraclito rimprovera il poeta che scrisse 'che possa la contesa perire nel cielo e nella terra', perché, egli dice non ci sarebbero armonie senza alte e basse note, nessun animale senza maschi e femmine, che sono opposti"

Scholia su Iliade 18.107 scrive questo: "Eraclito, che ritiene che le cose sono costruite secondo la contesa, critica Omero, per il motivo che egli sta pregando per la distruzione del cosmo."


In pratica, non solo dire che c'è il conflitto, ma addirittura criticare in quel modo chi spera in una cessazione...proprio come Nietzsche, sembra che Eraclito vedesse questo tipo di speranza come una forma di 'maladattamento'.

Con il rapporto preda-predatore penso che hai portato un perfetto esempio di come è la lettura di Nietzsche di queste cose - e di quanto è erronea. Dire che la nostra reazione alla scena è sbagliata perché "così vanno le cose", "perché è naturale che succeda così" ecc si basa sull'assunzione che si debbano adattare le proprie convinzioni - e il proprio 'sentire' - allo status quo. Mi sembra chiaro come tale prospettiva poco si adatta non solo a noi ma anche agli animali che partecipano a tale istanza della 'lotta per l'esistenza' (entrambi visto che il predatore stesso caccia la preda perché in fin dei conti è mosso dalla necessità e magari anche dalla necessità di sfamare i cuccioli...).
Ma per fare anche un esempio più 'terribile', anche un essere umano può, in linea di principio, avere lo stesso 'destino' (e una volta non era così raro...). A questo punto 'conta ancora' il voler portare la prospettiva del fatto che "così vanno le cose" e quindi si dovrebbe anche 'affermare' tale momento? Oppure senza scomodare tale estrema evenienza, consideriamo una situazione in cui si faticava e si soffriva anche solo per riuscire a mangiare e sopravvivere, dove si doveva combattere contro le intemperie e le malattie molto più che oggi e magari anche i predatori e si era in ansia per il costante pericolo - ebbene in tale situazione mi chiedo se con tutta quella sofferenza si potesse pensare ad una reazione 'affermatrice' alla seguente affermazione (cito dall'estratto de La Gaia Scienza) "Questa vita, come tu ora la vivi e l'hai vissuta, dovrai viverla ancora una volta e ancora innumerevoli volte, e non ci sarà in essa mai niente di nuovo, ma ogni dolore e ogni piacere e ogni pensiero e sospiro, e ogni indicibilmente piccola e grande cosa della tua vita dovrà fare ritorno a te". Il discorso è che, secondo me, la prospettiva di Nietzsche richiede proprio una sorta di auto-imposizione di una prospettiva artificiale e disturbante secondo cui gli aspetti più terrificanti della vita debbano essere 'affermati' perché "così vanno le cose" - non penso che, per esempio, nell'esempio di prima l'uomo che soffriva e rischiava ogni giorno anche solo per procurarsi il cibo e magari anche vittima (diretta o indiretta) di qualche crimine di un altro uomo (magari anche orrori della crudeltà umana, delle guerre ecc) volesse "vivere ancora la vita ancora una volta e innumerevoli volte come l'ha vissuta". Oppure, in altre parole, la prospettiva viene 'forzata' verso una ben precisa direzione, quella dove si 'accettano attivamente' anche le situazioni più terribili e il rifiuto di tale prospettiva viene visto come una forma di maladattamento (se questa è libertà...).

Quando parlavo del 'pensiero controfattuale' intendevo proprio questo, ovvero che l'uomo notando una determinata situazione si immagina situazioni diverse, magari mai avvenute, stati privi di determinate caratteristiche. Per esempio, vivere esperienze dolorose - magari una vita piena di questo tipo di esperienze, magari anche vedere gli orrori della crudeltà umana, della guerra - ci può far sognare, far sperare, far immaginare situazioni in cui il dolore non è presente (capacità che probabilmente è presente sono nell'essere umano...). Il desiderio di 'liberazione' perciò sembra nascere proprio da questa straordinaria abilità di immaginare, di sognare, di 'andare oltre', in questo caso con l'immaginazione, il pensiero ecc - e tale desiderio non sembra a me nato da una qualche imposizione, da un qualche risentimento, ma mi pare una cosa estremamente innocente e spontanea. La posizione di Nietzsche sembra a me proprio un tentativo di voler sopprimere questo nobile desiderio. Perché mai dovrei considerare come un 'maladattamento' questo tipo di desiderio? Perché mai dovrei considerarlo frutto del risentimento? Mi sembra, appunto, qualcosa di spontaneo.

Riguardo a oltre-uomo ed eterno ritorno sì, concordo, nella filosofia di Nietzsche sono elementi centrali del suo pensiero e coerenti nella sua visione. E il fatto che lui abbia parlato dell'oltre-uomo in connessione all'amor-fati e all'eterno ritorno mi fa pensare che, appunto, lui non riteneva realizzabile tale sua filosofia per l'uomo...
#21
Una precisazione su questo estratto del post precedente:
CitazioneSì, leggendo i suoi frammenti il 'conflitto/discordia' sembra di fatto l'armonia-tensione degli opposti. Il mio problema con Eraclito però è proprio questo 'amore' però...
Nella prima frase volevo dire che il 'conflitto/discordia' per Eraclito sembra una manifestazione dell'armonia-tensione degli opposti.

Riguardo alla seconda, posso concordare che in certi casi l''armonia-tensione' è molto affascinate come ad esempio il caso 'dell'arco e della lira' (per citare un altro frammento di Eraclito)...
D'altra parte, però, direi che è tutt'altra cosa affermare il conflitto/discordia. Anche in questo caso, come nella filosofia di Nietzsche, si arriva secondo me ad una assurda 'esaltazione' anche degli aspetti più terrificanti del mondo (seppur in modo diverso da Nietzsche...)  :(
#22
Ciao Paul,

Citazione di: paul11 il 01 Maggio 2020, 12:17:33 PM
ciao Aperion,


Eraclito, di cui ci giungono parecchi frammenti, scriveva per aforismi, come parecchie opere di Nietzsche. E' più complesso di quel che sembra.
"La natura ama nascondersi" e riteneva che tutta la realtà fosse riconducibile ad un principio originario, primo. La natura trova in Eraclito una complessità che non ha il significato odierno, è più propriamente filosofico, non è il meccanismo soltanto è ciò che avvolge il meccanismo. E' un logos cosmico. L'universo è un ordine unico ed eterno . Credeva agli opposti, ad una dualità che diventava unità, per questo il polemos, il conflitto è interno al cosmos. Quindi il divenire è il passare da un opposto all'altro. Questo sistema per contrasti è chiaramente non allineato all'armonia pitagorica e di altri pensatori. L'armonia per Eraclito si trova quando gli opposti sono in tensione.

Sì, concordo totalmente sulla lettura di Eraclito! Concordo con te che Eraclito è un pensatore molto complesso. I suoi 'frammenti' sono estremamente 'densi'...

Il 'divenire' è solo una parte, seppur innegabilmente importante di Eraclito. E, credo che si possa affermare che il divenire in realtà è un'altra forma, per Eraclito, di armonia-tensione degli opposti. In realtà, come ben osservi Eraclito è ben esplicito sulla 'permanenza' del logos, dell''armonia-tensione'...

Citazione di: paul11 il 01 Maggio 2020, 12:17:33 PM
Ama la guerra, il polemos, perché è una forma di giustizia naturale, definendo la relazione fra forza e debolezza.

Sì, leggendo i suoi frammenti il 'conflitto/discordia' sembra di fatto l'armonia-tensione degli opposti. Il mio problema con Eraclito però è proprio questo 'amore' però...


Citazione di: paul11 il 01 Maggio 2020, 12:17:33 PM
Il frammento che dice: " Negli stessi scendiamo e non scendiamo, siamo e non siamo " è stato interpretato in mille modi negli scopi dell'interpretante:il "tutto scorre" è poco eracliteo e molto di Cratilo, maestro di Platone (in seguito sceglierà Socrate per le virtù) e si trova come personaggio in dialogo socratico. Cratilo diventerà un sofista, in quanto se tutto scorre ogni nome dato a ciascuna cosa non ha senso visto che muta continuamente, mentre il nome rimane uguale.

Riguardo ai frammenti del fiume, è interessante, secondo me, questa analisi filologica nella Stanford Encyclopedia of Philosophy:

Citazione
There are three alleged "river fragments":

    B12. potamoisi toisin autoisin embainousin hetera kai hetera hudata epirrei.

        On those stepping into rivers staying the same other and other waters flow. (Cleanthes from Arius Didymus from Eusebius)

    B49a. potamois tois autois ...

        Into the same rivers we step and do not step, we are and are not. (Heraclitus Homericus)

    B91[a]. potamôi ... tôi autôi ...

        It is not possible to step twice into the same river according to Heraclitus, or to come into contact twice with a mortal being in the same state. (Plutarch)

Of these only the first has the linguistic density characteristic of Heraclitus' words. The second starts out with the same three words as B12, but in Attic, not in Heraclitus' Ionic dialect, and the second clause has no grammatical connection to the first. The third is patently a paraphrase by an author famous for quoting from memory rather than from books. Even it starts out in Greek with the word 'river,' but in the singular.  There is no evidence that repetitions of phrases with variations are part of Heraclitus' style (as they are of Empedocles'). To start with the word 'river(s)' goes against normal Greek prose style, and on the plausible assumption that all sources are trying to imitate Heraclitus, who does not repeat himself, we would be led to choose B12 as the one and only river fragment, the only actual quotation from Heraclitus' book.


Traduzione:

Citazione
Ci sono tre presunti 'frammenti del fiume':

    B12. potamoisi toisin autoisin embainousin hetera kai hetera hudata epirrei.

        Su quelli che scendono negli stessi fiumi diverse ed ancora diverse acque scorrono. (Cleante da Ario Didimo da Eusebio)

    B49a. potamois tois autois ...

          Negli stessi fiumi scendiamo e non scendiamo, siamo e non siamo. (Eraclito Omerico)

    B91[a]. potamôi ... tôi autôi ...

          Non è possibile scendere due volte nello stesso fiume secondo Eraclito, o entrare in contatto con la stessa sostanza mortale nello stesso stato. (Plutarco)

Di questi solo il primo ha la densità linguistica caratteristica delle parole di Eraclito. Il secondo inizia con le stesse tre parole di B12, ma in Attico, non nel dialetto Ionico di Eraclito, e la seconda frase non ha una connessione grammaticale con la prima. Il terzo è palesemente una parafrase di un autore famoso per citare dalla memoria piuttosto che dai libri. Inizia anche in Greco con la parola 'fiume', ma al singolare. Non c'è evidenza che le ripetizioni delle frasi con variazioni sono parte dello stile di Eraclito (come lo sono nel caso di Empedocle). Iniziare con 'fiume(i)' va contro lo stile della prosa greca, e sotto un'assunzione plausibile che tutte le fonti stavano imitando Eraclito, che non si ripete, siamo condotti a scegliere B12 come l'unico frammento del fiume, l'unica vera citazione del libro di Eraclito.

Ovviamente, la cosa rimane speculativa ma l'analisi dell'autore è molto interessante. Probabilmente, il "non si può scendere due volte nello stesso fiume" è una parafrasi del pensiero di Eraclito. Tenendo per buono il primo frammento, il divenire sembra un'altra forma della armonia-tensione degli opposti, dove il fiume rimane uguale mentre le acque cambiano (qundi sì, in un certo senso è anche vero che "non si può scendere due volte nello stesso fiume", ma tale parafrasi non dice tutta la storia...).


Citazione di: paul11 il 01 Maggio 2020, 12:17:33 PM
Il termine logos non è fisso, ma già in Eraclito. Logos lo definisce come legame, relazione, o discorso, oppure come principio,ecc.

Concordo... probabilmente la sua concezione di 'legge della natura' era in qualche modo vicina a quella di 'legge di una città/polis'. (comunque, anche se sono critico di Eraclito, trovo alcuni suoi frammenti bellissimi...)

Citazione di: paul11 il 01 Maggio 2020, 12:17:33 PM
L'uno primigienio si trova in "Nascita della tragedia" di Nietzsche, opera giovanile.
Nietzsche non è un filosofo ante litteram, ci sono pezzetti di pensieri filosofici riconducibili dentro tutte le sue opere, e per pensiero filosofico  e magari classico, intendo un ragionamento logico che definisca l'intera struttura interpretativa del mondo, dell'universo.
...


Ok, capito



Citazione di: paul11 il 01 Maggio 2020, 12:17:33 PM
Non penso che credesse alla bontà del mondo, più semplicemente questo mondo è da prendere quale è perché è impossibile fare diversamente e a mio parere ha delle buone ragioni a porsi in questo modo.
...
Non direi che è accettazione passiva del mondo, entra il gioco la volontà, la forza vitale, la capacità umana di creare, di sognare, di rivivere la stessa natura come opera sua, come opera d'arte, quindi di rappresentarla, di rivivificarla in tragedia con il coro greco, con il ditirambo dionisiaco. E' tutt'altro che passività, è esplosione di estaticità, di potenza, di volontà, perché permettono momenti di gioia, di felicità, di ebbrezza.


Mi sono espresso male, probabilmente. Non intendevo dire che Nietzsche raccomanda una 'passività' di fronte alla vita. Volevo semmai dire che la sua raccomandazione è quella invece di viverla col 'massimo coinvolgimento' possibile, senza 'scartare' ogni aspetto di essa, anche quelli che sono dolorosi, tragici, terrificanti... Ed è per questo che a me sembra una filosofia 'estrema'.

La stessa 'dottrina' dell''eterno ritorno' di fatto non è che una riproposizione di questo tipo di idea:

Citazione

"Il peso più grande

Che accadrebbe se, un giorno o una notte, un demone strisciasse furtivo nella più solitaria delle tue solitudini e ti dicesse: «Questa vita, come tu ora la vivi e l'hai vissuta, dovrai viverla ancora una volta e ancora innumerevoli volte, e non ci sarà in essa mai niente di nuovo, ma ogni dolore e ogni piacere e ogni pensiero e sospiro, e ogni indicibilmente piccola e grande cosa della tua vita dovrà fare ritorno a te, e tutte nella stessa sequenza e successione – e così pure questo ragno e questo lume di luna tra i rami e così pure questo attimo e io stesso. L'eterna clessidra dell'esistenza viene sempre di nuovo capovolta e tu con essa, granello di polvere!». Non ti rovesceresti a terra, digrignando i denti e maledicendo il demone che così ha parlato? Oppure hai forse vissuto una volta un attimo immenso, in cui questa sarebbe stata la tua risposta: «Tu sei un dio e mai intesi cosa più divina»? Se quel pensiero ti prendesse in suo potere, a te, quale sei ora, farebbe subire una metamorfosi, e forse ti stritolerebbe; la domanda per qualsiasi cosa: «Vuoi tu questo ancora una volta e ancora innumerevoli volte?» graverebbe sul tuo agire come il peso più grande! Oppure, quanto dovresti amare te stesso e la vita, per non desiderare più alcun'altra cosa che questa ultima eterna sanzione, questo suggello?" (La Gaia scienza, 341)


Personalmente, credo che l''eterno ritorno' sia di fatto la culminazione del pensiero di Nietzsche (indipendentemente se sia preso come 'vero'...). In fin dei conti, la 'richiesta' di Nietzsche è affermare la vita in tutti i suoi aspetti, anche quelli terrificanti fino al punto di 'volerla' per tutta l'eternità. Questa 'affermazione' del 'terrificante' è proprio quello che trovo 'disturbante' della filosofia di Nietzsche (e che lui pensava probabilmente impossibile per l'uomo, ergo l'oltre-uomo...).

Riguardo alla 'non accettazione' degli aspetti più 'oscuri' della vita e quindi la ricerca di una 'via d'uscita', una prospettiva più grande ecc...penso che criticare questo tipo di atteggiamento dventa esso stesso una 'resa', ovvero trasformare lo 'staus quo' in un 'dover-essere'. 

Citazione di: paul11 il 01 Maggio 2020, 12:17:33 PM

Direi che Nietzsche ha fiducia nel mondo e negli umani ,in un certo senso. Abbatte la morale come metodo coercitivo ,condizionante, che piega la volontà umana ad una volontà superiore che per Nietzsche non esiste, se non per quello che è il mondo. Quindi vi è l'esaltazione della forza, della volontà, del guerriero, del coraggio, ma non in termini morali o amorali, non ci sono più perché non ci sono proprio ne mondo, sembra dire Nietzsche. Non significa che il forte stermini, il debole, già nella Tragedia greca vi è l'esaltazione del canto popolare , di uomini uniti e non divisi che festeggiano ebbri d questa unità. Metaforicamente per fare un esempio banale, potrei dire è la gioia esplosiva di quando la nazionale del calcio vince il mondiale, ognuno gode della gioia altrui. In quel momento è all'unisono la moltitudine di persone, è un popolo ebbro. In quel momento non ci sono divisioni di ruoli sociali, di censo, tutti sono eguali.

Ok...personalmente, credo che anche questo sia vero nella filosofia di Nietzsche, ma allo stesso tempo l'assenza della 'morale' non vincolando l'espressione della volontà fa in modo che anche manifestazioni 'terrificanti' di essa possano esistere senza problemi. Personalmente, quindi, ritengo che, invece, il conflitto umano così come la 'sopraffazione' (vedi il passo di 'Al di là del bene e del male' citato nel link del messaggio precedente) sia visto in qualche modo 'positivamente'.

Citazione di: paul11 il 01 Maggio 2020, 12:17:33 PM

Nietzsche rimane interessante come punto di vista del pensiero, ha il merito di far pensare, riflettere.

Su questo concordo!
P.S. Sulla questione del frammento, l'autore dell'articolo della SEP afferma:
CitazioneThe major theoretical connection in the fragment is that between 'same rivers' and 'other waters.'  B12 is, among other things, a statement of the coincidence of opposites. But it specifies the rivers as the same. The statement is, on the surface, paradoxical, but there is no reason to take it as false or contradictory. It makes perfectly good sense: we call a body of water a river precisely because it consists of changing waters; if the waters should cease to flow it would not be a river, but a lake or a dry streambed. There is a sense, then, in which a river is a remarkable kind of existent, one that remains what it is by changing what it contains
Traduzione:

CitazioneLa maggiore connessione teoretica nel frammento è tra 'stessi fiumi' e 'diverse acque'. B12 è, tra le varie cose, un'affermazione della coincidenza degli opposti. Ma specifica i fiumi come gli stessi. L'affermazione è a prima vista paradossale ma non c'è ragione per prenderla come falsa o contraddittoria. Ha perfettamente senso: chiamiamo un corpo d'acqua un fiume propro perché consiste di acque che cambiano; se le acque smettessero di fluire non sarebbe un fiume, ma un lago o un letto asciutto. C'è un senso, quinid, in cui il ffume è un interessante tipo di esistente, uno che rimane lo stesso mutando ciò che contiene.
#23
Citazione di: paul11 il 30 Aprile 2020, 00:27:07 AM

X Aperion
citaz.
Einstein diceva che il mistero del mondo è la sua comprensibilità


Esatto a mio parere è davvero un grande mistero soprattutto se quel mondo appartiene allo stesso umano come rappresentazione di quel mondo, appunto con intuizione e calcolo.
Riprendo volentieri i tuoi interessanti spunti:
1) e' vero, tant' è che nell'antichità i pitagorici erano "chiusi" nella dottrina ermetica, esoterica. Avevano capito che geometria e matematica potevano spiegare il mondo e ciò era un grande potere umano e in quanto tale meglio non diffondere.  C'è stata una geometria "sacra".
L'Accademia di Platone, si dice che non vi si potesse accedere senza conoscenze della geometria.
Euclide fu discepolo di Platone, e  Teeteto , illustre matematico/geometra ,appare in un dialogo socratico.
@Paul,anzitutto preciso che, in effetti, per quanto riguarda le 'quattro ipotesi' che volevo presentare in realtà come 'alternative' idealizzate è certamente vero che - come giustamente hai notato tu - si può 'prendere' qualcosa da più di una di esse senza necessariamente cadere nell'incoerenza.
Sicuramente alcune scuole di pensiero antiche erano molto 'sensibili' al 'mistero' in questione. Il pensiero pitagorico e platonico certamente dà molta importanza alla 'regolarità' nel mondo. Ma è anche vero che la convinzione che i fenomeni fisici rispettassero certe proporzioni era evidente anche per altri pensatori dell'epoca. Eraclito, per esempio: "Quest'ordine del mondo, che è lo stesso per tutti, non lo fece né uno degli dei, né uno degli uomini, ma è sempre stato ed è e sarà fuoco vivo in eterno, che al tempo dovuto si accende e al tempo dovuto si spegne." (fr. 30) e "Mutazioni del fuoco: in primo luogo mare, la metà di esso terra, la metà vento ardente." (fr. 31) (da Wikiquote). Ed Eraclito chiaramente non aveva una grande opinione di Pitagora. Eppure, sull'idea della 'regolarità' del mondo, fondava di fatto la sua filosofia. E anche lui vedeva una profonda connessione tra uomo e questo 'ordine'.

Per quanto riguarda Pitagora, credo che si sappia troppo poco sul suo pensiero per esprimersi. Per Platone...leggendo il Timeo sembra che Platone sostenesse l'ipotesi (3) ovvero di un'intelligenza 'regolatrice' che 'seguendo' le Forme del mondo intellegibile ha 'plasmato' il mondo naturale/sensibile. Ma Platone l'ha anche presentato come un 'mito' e quindi non si può dire se effettivamente la pensava così. Di certo, secondo me, è una possibile lettura della sua filosofia.

Citazione di: paul11 il 30 Aprile 2020, 00:27:07 AM3) esatta anche questa tua formulazione, ci aggiungerei anche qualunque formulazione non
necessariamente religiosa....
Ne mio personale modo di pensare è il principio "forte" per cui c'è qualcosa di intelligente, ribadisco, non necessariamente postulatile come un Dio, dei, ecc. Questa è per me "la verità incontrovertibile" e che Nietzsche, visto che è nel tema della discussione, chiama " uno primigenio".
Sì, la intendevo in senso generico. Intendevo infatti uno spretto enorme di posizioni. Per esempio, la Nous di Anassagora e forse anche il logos di Eraclito (dico 'forse' perché si possono fare ipotesi su cosa fosse di preciso questo 'logos'...).

Certamente, l'assunzione della presenza di una 'realtà esterna' avente una 'regolarità invariabile' e 'comprensibile' fornisce un ottimo 'fondamento' alla nostra conoscenza. Posto che questa regolarità ci sia, come possiamo spiegare la sua comprensibilità?

Certamente ipotizzare la presenza di una 'Mente' (in senso più o meno generico) sia 'responsabile' di tale comprensibilità è secondo me un'ipotesi in fin dei conti plausibile, visto che a priori non ci dovremmo aspettare tale comprensibilità. Curiosità: cosa è l''uno primigenio'? Non ricordo di aver trovato questo concetto nelle mie letture di FN ::)
Citazione di: paul11 il 30 Aprile 2020, 00:27:07 AM4) è "debole" questa posizione, perché un muro è un muro e se "ci sbatto contro" fa male e questo prescinde dalla mia mente, perché contro quel muro chiunque vada a sbatterci si fa male come me.
C'è una realtà naturale e fisica incontrovertibile che non è invenzione mentale umana.
...
Diciamo che anche io ho perplessità sulla posizione 'puramente fenomenologica', nel senso che non sono veramente convinto del fatto che un 'fondamento' serva (non sono sicuro del come avrebbe risposto per esempio Kant...). Quello che però riprendo da questo tipo di filosofie è che concordo che c'è un forte contributo del 'soggetto conoscente' (inoltre, trovo interessanti le prospettive fenomenologiche sul 'problema difficile della coscienza', ad es. il filosofo Michel Bitbol).

Se però manca un 'fondamento' - ovvero una realtà 'in sé' (nel senso del noumeno kantiano) - si riesce veramente ad evitare un 'relativismo' o anche un solipsismo epistemologico/scettico. Se così succede, a questo punto l'ipotesi più ragionevole sembra essere quella di un 'realismo indiretto' (non 'naive').

Citazione di: paul11 il 30 Aprile 2020, 00:27:07 AM
In questo periodo studio anche Nietzsche seguendo cronologicamente le sue opere.
Questo è ,almeno per ora, le considerazioni che a mio parere posso fare.
Nietzsche glissa volutamente la morale, opponendo l'estetica....
Nietzsche ritiene che tutto ciò sia invenzione umana, quindi mantiene la posizione "forte" di un "uno primigenio" dentro la regolarità e ordine dei fenomeni universali, ma accetta tutto ciò che è natura senza illudersi di un Dio religioso e non vede alcuna morale nelle regole naturali .Vede il forte e il debole nella natura e nell'umanità il coraggio e la viltà, la compassione: è questa per Nietzsche la vera misura naturale in cui l'uomo deve a sua volta misurarsi. Quindi sparisce ogni regola morale, e la odia in quanto rende l'uomo debole, mortificato, in attesa......, e quindi non vive come forza vitale i suoi giorni.  A questo punto l'uomo è artefice della propria esistenza, nel senso che vive come forza e potenza e non deve rispondere a nessuno se non a se stesso, all'ordine e regolarità naturale e non c'è  ribadisco alcuna morale; il comportamento umano, l'etica risponde alla sua stessa forza vitale come qualunque vivente, come potenza .
Il problema è che dietro tutti questi discorsi trovo che, ironicamente, Nietzsche che si professava 'umanista' finisce per svalutare una delle più 'rilevanti' abilità dell'uomo: il pensiero contro-fattuale.
In fin dei conti, cosa è l'etica se non (anche) il contrapporre un 'dover essere' a un 'essere'? O in termini meno 'metafisici' cos'è se non (anche) il notare la presenza di 'qualcosa che non va' e cercare un 'rimedio'. Perché l'uomo che non accetta il 'mondo così come è' dovrebbe essere mortificato o 'debole'?
In sostanza, a parer mio, la mia impressione è che Nietzsche, convincendosi della 'bontà' del mondo cercava di dire qualcosa del tipo: "questo mondo in realtà non ha alcun problema. Il problema è presente solo in chi non accetta." Così, in pratica, si costringe l'uomo ad accettare come 'senza problemi' un mondo 'problematico'. In altre parole, per Nietzsche il fatto che "il mondo è così" implica che "il mondo è così e quindi lo si deve 'affermare' (amor fati)".

Anche il solo sognare una 'situazione diversa' (che di fatto è una forma del pensiero contro-fattuale e base del desiderio di trascendenza) per Nietzsche era una sorta di sintomo di maladattamento. Infatti, per lui l'ideale era la totale accettazione, fino ad arrivare al voler affermare questa esistenza per l'eternità (eterno ritorno - amor fati). Scriveva: "la mia formula per la grandezza dell'uomo è amor fati: non volere nulla di diverso, né dietro né davanti a sé, per tutta l'eternità" (Ecce Homo)
Quindi nessuna ricerca di 'andare oltre' la sofferenza, nessuna ricerca di uno 'stato' dove essa è presente ecc. Ma anche senza tirare in ballo qualsiasi nozione di trascendenza, ritengo che seguire il consiglio di Nietzsche sul 'non voler nulla di diverso', alla fine si rischia di arrivare anche ad ostacolare la creatività (direi che il pensiero contro-fattuale può essere un buon aiuto alla creatività...). 


Citazione di: paul11 il 30 Aprile 2020, 00:27:07 AMIl "mentale" umano ,se così posso dire, allora diventa estetica, estasi della propria forza come artefice creativo e ne accetta la tragedia per cui anche quest'ultima diventa rappresentazione epica. L'uomo non è più a misura di un Dio, è a misura di se stesso. Questo non toglie a Nietzsche la compassione umana, la solidarietà, l'umanità intesa come "sentire" umano, il mistico. Ma mutando lo scenario è chiaro che l'uomo diventa guerriero naturale, e quindi vengono esaltate le forze , le qualità umane più potenti, quell' istintive che sono crudeltà da una parte, e solidarietà dall'altra. Ma l'agire non è più relazionato al"timor di Dio", ma al solo sentire umano. C'è, sempre amio parere, una forma di spontaneismo istintivo umano ,derivato dall'impulso naturale e mediato dalle qualità umane sia concettuali che passionali.E' chiara quindi l'esaltazione estetica, nel suo significato  più ampio.
L'affermazione Nietzscheiana finisce per cadere nell'arbitrarietà morale. Se con 'Dio' qui intendiamo qualsiasi 'vincolo' all'espressione della volontà - nessun 'dover essere' che regola l''essere' della volontà - è chiaro che 'tutto è permesso'. In fin dei conti anche se si ammette, per esempio, che ciò che 'bisognerebbe seguire' ciò che favorisce la 'vitalità' allora si sta già vincolando la volontà. In altri termini, ritengo che la filosofia di FN è inconsistente. E ahimé in un tale scenario non solo si manifesta la solidarietà, ma anche la crudeltà  :( e il problema è che Nietzsche è molto esplicito da questo punto di vista (vedi i passi secondo me disturbanti di 'Al di là del Bene e del male' che ho citato in questo post). 

Citazione di: paul11 il 30 Aprile 2020, 00:27:07 AMQuindi se il credente sublima il dolore e la sofferenza come "prova" da vivere per un mondo migliore nell' al di là, abbassa la testa e sopporta le prove della vita, che è l'atto di sottomissione ad un Dio, in quanto misura dei propri passi nel mondo.
Vedi, però, senza voler entrare nel problema della teodicea, il credente non vede la sofferenza come fine. Non c'è il desiderio di affermare anche la sofferenza e il dolore perché non si desidera niente di diverso. La speranza del credente, invece, è quella di un superamente della sofferenza: la sofferenza viene vista in un'ottica più grande, si dà del significato alla sofferenza. Nietzsche è costretto a vedere sofferenza e dolore come un fine, come un oggetto di 'glorificazione' ecc

Citazione di: paul11 il 30 Aprile 2020, 00:27:07 AMSe non si accetta invece che la misura della propria esistenza sia Dio, è necessario comunque accettare dolore e sofferenza e fin la morte come regola dell'ordine naturale, ma si apre il mondo delle possibilità non più ristrette dal peccato morale e diventa naturale l'ebrezza per sublimare il dolore e la sofferenza rappresentate dentro l'estetica e quindi anche nella rappresentazione della tragedia. E' una forma di "spirtualità" atea. L'estasi, il mistico si spostano nel godere dei frutti della natura, negli esseri viventi che ne brulicano vivendo.
Non sono sicuro che N. volesse 'sublimare' la sofferenza e il dolore. Secondo me, invece, N. voleva fare proprio il contrario, ma forse qui ti fraintendo. Per lui il problema era qualsiasi desiderio di 'andare oltre' la sofferenza e il dolore e la 'tragicità della vita'. N. voleva che si accettasse completamente la 'tragicità' - "non voler niente di diverso", dolore, sofferenza e tragicità incluse.

Citazione di: paul11 il 30 Aprile 2020, 00:27:07 AMSì, Nietzsche deve molto ad Eraclito, che è un filosofo complesso, molto più di quel che comunemente si vuol far passare. Deve qualcosa anche a Schopenhauer, di cui non approva la visione pessimistica sulla volontà.
Il conflitto è interno alla regola naturale, è nelle catene alimentari, è quello che con termini morali definiamo ferocia, ma il leone se vuole sopravvivere deve essere feroce e non come termine morale. Il mimetismo animale non è forse un inganno? Ma non è più un termine morale se lo si applica alle regole naturali per sopravvivere, ecc.
Tuttavia, noi possiamo pensare in modo contro-fattuale, immaginarci situazioni diverse. Lo facciamo sempre. Certo che il conflitto è ahimé pervasivo. Ma il fatto che 'sia così' non mi porta necessariamente a pensare che "è così e quindi va bene, lo si deve accettare" oppure anche "è così e quindi deve/dovrebbe essere così".


Citazione di: paul11 il 30 Aprile 2020, 00:27:07 AM
P.S. E' mia interpretazione sul pensiero di Nietzsche e miei pure i ragionamenti, quindi prenderli
con il "beneficio d'inventario". Mi sembrava onesto specificarlo.
Vale anche per quanto scrivo io  :)
#24
Citazione di: cvc il 29 Aprile 2020, 12:00:00 PM

Abbiamo bisogno di entrambi. Ma quando l'uno e quando l'altro? Armonia dei contrari......


Punto di vista interessante @cvc :)


Il pensiero 'calcolante' procede per step, gradualmente, cerca di dimostrare passo per passo. L''intuizione' invece procede per salti. Su certe cose sembrano effettivamente dei 'contrari'.


Ed è meglio evitare di 'mantenere' solo uno dei due 'contrari'. Se non si coltiva l''elemento' intuitivo, il rischio è di sviluppare una 'fredda razionalità' calcolante. Se, inversamente, se non si coltiva l''elemento' 'razionale', il rischio è di cadere, ad esempio, in 'trappole cognitive' come l''apofenia' ecc.







#25
Citazione di: paul11 il 29 Aprile 2020, 01:06:11 AM
Ciao  Aperion,
sì, c'è qualcosa di innato, anche una predisposizione del cervello umano che matura con l'esperienza della vita. D'altra parte i bambini prescolastici non hanno ancora capacità raziocinanti che a loro volta maturano con l'acquisizione linguistica, hanno soprattutto intuito.

Ciao @Paul,

concordo. Diciamo che c'è anche il 'seme' delle 'capacità raziocinanti'. Molto interessante sarebbe investigare la relazione linguaggio-ragione. :)


Effettivamente ragione e linguaggio sembrano piuttosto connessi (non a caso, se non erro la parola 'logos' significa anche discorso, parola...).


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Citazione di: paul11 il 29 Aprile 2020, 01:06:11 AM[/size]
D'altra parte la matematica, la geometria devono saltare fuori da qualcosa, non sono oggetti naturali, sembrerebbero strumenti metaforici ,come la lingua, che lavorano in parallelo alla realtà per simboli, segni, così bene che riescono a rappresentare, a modellare  la realtà. Quando si dice che il cervello è analogico al mondo.
Forse l'intuito funge da substrato su cui poggia la razionalità del calcolo senza che quest'ultima sopprima l'intuito, lavorano in parallelo.


Penso che gli antichi, ai primordi della geometria e matematica, fossero ancora più stupiti di noi di come la corrispondenza fra strumento conoscitivo ed oggetto di conoscenza , le cose del mondo, coincidessero, tanto da farne conoscenza esoterica, ermetica.

Sì, penso che questo sia uno dei misteri più interessanti. Penso che una parte della matematica si può dire che è 'inventata', ma 'qualcosa' della matematica sembra essere scoperta. Einstein diceva che il mistero del mondo è la sua comprensibilità. Come può a-priori il mondo essere comprensibile all'indagine della ragione? Fin dall'antichità si sono formulate ipotesi su questo. Si possono elencare varie ipotesi:

1) Il fatto che la matematica 'funzioni', che 'il mondo sia comprensibile' ecc è semplicemente un mistero...è un fatto così che semplicemente non può essere spiegato;

2) è un mistero, ma una 'risposta' c'è ma è impossibile saperla;

3) la 'regolarità' dell'universo è dovuta alla presenza di un qualche tipo di 'Intelligenza' ordinatrice/creatrice (posizione ovviamente molto generica che comprende teismi, deismi, panteismi ecc);

4) la 'regolarità' è dovuta al fatto che il 'mondo fenomenico' è una rappresentazione dovuta al fatto che le sensazioni sono 'formate' dalla mente (in questa alternativa racchiudo 'kantismi' vari, almeno certe varianti della fenomenologia ecc);

Ovviamente, se uno risponde (3), la cosa resta comunque un mistero (si spiega solo la presenza di regolarità in questo modo...).

Citazione di: paul11 il 29 Aprile 2020, 01:06:11 AM
L'estetica  in Nietzsche è già la visione nella rappresentazione sopra la realtà interpretata.
E' lo stesso artista, l'attore tragico che incarna la rappresentazione del mondo in cui vive la condizione tragica umana fra misura e dismisura, Questa visione diventa potente quando fra creatore del'opera, attore e spettatore si crea il pathos, tanto che lo spettatore è dentro l'attore e l'attore nel creatore, c'è un'unione


Penso di concordare con questa interpretazione dell'estetica nietzscheiana. Per quanto mi riguarda, ritengo che però la 'risposta' di Nietzsche alla 'tragicità' sia estrema e ciò conduce a certe idee secondo me 'disturbanti' che si trovano nella sua etica*. Personalmente, preferisco l'analisi della 'tragicità' di Schopenhauer, anche se ritengo anche lui 'estremo', ma in senso opposto...d'altra parte ritengo che la sua analisi dell'esperienza estetica sia molto interessare anche per chi non condivide la sua filosofia.


*Penso che Nietzsche deve molto ad Eraclito di Efeso su queste sue posizioni. Secondo Eraclito, per esempio: "dobbiamo riconoscere che il conflitto è comune, che la contesa è giustizia [dike eris]..."(frammento DK22 B 80) - ovvero una (disturbante) 'glorificazione' del conflitto/contesa. In altre parole, Nietzsche come Eraclito vedendo il 'conflitto' (in varie forme) presente nel mondo pensava che fosse qualcosa da affermare. Curiosamente, Anassimandro si esprimeva in termini ben diversi sulla cosa, sostenendo che il conflitto fosse in realtà 'ingiustizia':


Citazione


«Principio degli esseri è l' apeiron ... da dove infatti gli esseri hanno origine, ivi hanno anche la distruzione secondo necessità: poiché essi pagano l'uno all'altro la pena e l'espiazione dell'ingiustizia secondo l'ordine del tempo»(Anassimandro, in Simplicio, De physica, 24, 13)




(fonte: Wikipedia)**


Anche Nietzsche si accorse del contrasto tra Anassimandro ed Eraclito (precisamente nella 'Filosofia nell'età tragica dei greci', anche se nella sua citazione di Anassimadro non ci sono le parole 'l'uno all'altro' se non erro). Curiosamente, vedeva in Anassimandro, per così dire, una sorta di predecessore di Schopenhauer.


Ad ogni modo, concordo con Nietzsche sul fatto che è necessario coltivare sia l''intuito' che la 'razionalità'. Perdere di vista uno dei due può portare ad errori.


P.S. ** ho leggermente modificato la traduzione di Wikipedia, sostituendo la parola 'infinito' con 'apeiron'.

#26
CitazioneApeiron penso che infondo intuito e ragione calcolante, persino i due emisferi del cervello umano sembra che siano divisi, ma al fine uniti dalla corteccia cerebrale, si sposino in qualunque arte e scienza, attività.
Come potrebbe la sola ragione calcolante poter andare oltre il già conosciuto senza un intuito?
E' l'intuito che provoca la ragione a compiere un balzo oltre. E la ragione può confermare o meno ciò che l'intuito ha "annusato".
Come può un compositore di musica dire che odia la matematica, se la regola e la misura dello musica stessa è nelle note frazionarie della minima ,semibreve,  e nei ritmi ternari del walzer o nei binari della bande musicali è nei cicli delle ottave musicali delle scale musicali per costruire gli accordi?
Io penso siano intimamente uniti
@Paul,concordo che c'è una profonda 'connessione' tra l''intuito' e la 'ragione' e che l'intuito compie il primo 'passo' (e direi ance che qualcosa è innato...).  C'è poi, secondo me, un 'meccanismo di feedback', per così dire, tra i due che si può osservare nella scienza stessa. Nel senso che certamente si può cogliere la 'profondità', per esempio, della teoria della gravitazione universale anche senza approfondire. Ma poi, però, quando si indaga con la ragione, questa intuizione sembra anch'essa approfondirsi - ciò può a sua volta stimolare la ragione e così via. Porti l'esempio della matematica... qui direi che l'oggetto dell'intuito diventa la ragione stessa, almeno nei casi in cui si studia la matematica 'pura'. E quindi nello studio della matematica si può avere una comprensione intuitiva del ragionamento stesso...

E a questo punto si può anche notare un collegamento con l'arte. Come ben dici, come si può negare un 'legame' tra l'armonia della musica e la matematica? Matematica e scienza possono essere anch'esse l'oggetto della contemplazione estetica. Si parla, per esempio, della bellezza data dalla semplicità di alcuni 'leggi fisiche' - senso di bellezza che nasce dal vedere 'armonizzati' una grande quantità di fenomeni. O della bellezza della matematica...Bertrand Russell si esprimeva così sulla 'bellezza' della matematica (da Wikipedia):
CitazioneMathematics, rightly viewed, possesses not only truth, but supreme beauty—a beauty cold and austere, like that of sculpture, without appeal to any part of our weaker nature, without the gorgeous trappings of painting or music, yet sublimely pure, and capable of a stern perfection such as only the greatest art can show. The true spirit of delight, the exaltation, the sense of being more than Man, which is the touchstone of the highest excellence, is to be found in mathematics as surely as poetry.
CitazioneLa matematica, se vista rettamente, possiede non solo verità, ma anche una bellezza suprema - una bellezza fredda e austera, come quella della scultura, che non affascina alcuna parte della nostra natura più debole, senza gli stupendi orpelli della pittura o della musica, eppure sublimemente pura, e capace di una severa perfezione che solo la più alta arte può mostrare. Si può trovare nella matematica così come nella poesia, il vero spirito di incanto, dell'esaltazione, la sensazione che è oltre l'uomo, che è il termine di paragone della più alta eccellenza.
Ma lo studio della scienza ci può anche dare, credo, un differente tipo di 'esperienza estetica'. Qualcosa che non rientra nel 'bello' ma forse può essere considerato un sottotipo del 'sublime', per utilizzare la terminologia di Schopenhauer. Studiare, per esempio, l'evoluzione delle stelle e scoprire che esse, 'seguendo' regolarità, sono destinate ad avere un determinato processo vitale e spegnersi ci può far contemplare la transitorietà delle cose, che non rientra nell'esperienza del 'bello', anche se riprendendo nuovamente Schopenhauer può essere in un certo senso 'catartico', come la lettura di una tragedia.

Così abbiamo che da una parte lo stupore, la meraviglia, la contemplazione delle regolarità della natura, del mutamento ecc ci possono stimolare la ragione, abbiamo che può avvenire il procedimento inverso. E questo 'processo di feedback' può continuare a ripetersi.

D'altra parte, è anche vero che può succedere che si abbandoni questo 'elemento' 'intuitivo-estetico-contemplativo' (interessante, a mio giudizio, sarebbe anche riflettere sulle relazioni tra questi tre aspetti) per conservare un 'elemento' 'razionale' puramente 'pragmatico' e quindi 'freddo' - pensare la scienza in termini di 'qualcosa di utile' può certamente favorire questo processo. E magari può succedere anche l'inverso, ovvero che la razionalità venga 'abbandonata'.

Personalmente, quindi, ritengo che anche nel caso della scienza stessa, entrambi questi elementi debbano essere presenti  :)
#27
Personalmente credo che una 'intuizione' dell'universale nel particolare (in un certo senso) in realtà è presente nella scienza. Forse, anzi, essa è un aspetto centrale della scienza stessa. In fin dei conti, non ci sarebbe scienza se non si osservassero regolarità nei fenomeni e delle somiglianze tra di essi.

Questa 'osservazione', secondo me, oltre ad essere un qualcosa di empirico è anche di fatto una sorta di 'intuizione'. Un'intuizione che ci spinge a credere, per esempio, che ci debba essere una 'ragione profonda' per queste regolarità e queste somiglianze. A mio giudizio, l'idea secondo cui la scienza è solo un efficace strumento di predizione e che essa non 'rivela' ciò che potremmo chiamare appunto 'ragioni profonde' rischia, se eccessivamente generalizzata, di essere fuorviante. Facendo un esempio, anche se la teoria di gravitazione universale non ci spiega - in un certo senso - 'cosa' è la gravità, è anche vero però che ci fa cogliere l'universale nel particolare: infatti anche se non conosciamo ciò che potremmo chiamare la 'natura ultima' della gravità, è chiaro che in un certo senso la 'ragione' per cui la Luna orbita attorno alla Terra è la stessa per cui i gravi cadono. Una 'legge' dalla quale riusciamo a predire con straordinaria accuratezza una enorme quantità di fenomeni. Se guardiamo alla storia della scienza, essa sembra essere un processo continuo di 'unificazioni'. Si osserva una molteplicità di fenomeni e si cerca di costruire una teoria, ovvero un sistema concettuale che cerca in primo luogo di predire accuratamente le osservazioni in laboratorio e, in secondo luogo, quando è possibile formulare un modello concettuale che cerca di integrare tutti questi fenomeni.  In ambo i casi, ritengo che si manifesta una certa intuizione dell'universale nel particolare.
La stessa 'speranza' che le nostre predizioni possano 'valere' anche nel futuro ci suggerisce che i fenomeni che si osservano in futuro debbano 'somigliare' a quelli che si osservano nel passato. Certo, il divenire non può essere negato ma concentrarsi solo sul cambiamento, sulla diversità . E questo non è solo qualcosa che possiamo pensare per quanto riguarda il divenire temporale. Una delle assunzioni fondamentali è che ci sia una certa 'omogeneità' anche nello spazio. In particolare, noi crediamo che le predizioni basate su ciò che si è osservato in un laboratorio nel posto X possano 'importare' qualcosa anche a chi lavora in un laboratorio nel posto Y. In altre parole, arriverei a dire che probabilmente in noi è addirittura 'innata' una 'convinzione' (per mancanza di una parola migliore) che ci sia una 'affinità' tra i fenomeni che osserviamo.

Quindi da una parte ci sono le distinzioni e la molteplicità, dall'altra queste regolarità, queste 'affinità', queste somiglianze, queste relazioni che ci spingono verso una visione 'unitaria'. Una sorta di 'mondo ambiguo' dove particolarità e universalità sembrano per così dire 'presentarsi' entrambe.
Direi che lo stesso pensiero scientifico necessita di questi due elementi.  Anche se si tratta solo di fare previsioni, si tratta di cogliere relazioni 'universali' nella molteplicità dei fenomeni particolari.
Personalmente, non vedo nell'intuizione dell'universale nel particolare un qualcosa che è in conflitto con il sapere scientifico. Anzi quest'ultimo sembra appoggiarsi, secondo me, anche su tale intuizione o qualcosa di analogo, ovvero che ci sia una spinta a trovare regolarità, qualcosa che accomuna i fenomeni osservati ecc.
#28
Attualità / Re:Il valore della libertà
25 Aprile 2020, 16:16:54 PM
Mi pare fuori da ogni logica chiedere pareri sull'efficacia di una terapia farmacologica ad un forum come questo - secondo me, ancora di più in questo caso, vista l'emergenza sanitaria in cui ci troviamo. Dev'essere la comunità scientifica a stabilire, tramite i dovuti protocolli, test ecc una cosa del genere. E ciò può richiedere tempo (e, secondo me, questo è uno dei motivi per cui serve controllare la diffusione dell'epidemia...). Così come assurdo mi pare parlare di 'secondi fini' come causa della mancata accettazione della validità dei trattamenti (tipo attribuendo tale mancata accettazione ad una volontà di 'mantenere alto il livello di paura'...).

Non ho nient'altro da aggiungere. Buona discussione!



#29
Attualità / Re:Il valore della libertà
24 Aprile 2020, 19:13:08 PM
Preciso, per evitare, fraintendimenti che è vero che mi sto concentrando di più sull'aspetto diciamo 'epidemiologico' ma non perché ignoro che ci siano ovviamente altri aspetti (che peraltro ritengo anch'essi molto difficili da valure e che quindi complicano ancora di più le cose...).

Un'ultima considerazione sul 'caso Svezia'. Dicevo che ho recentemente cambiato idea sulla cosa. Vorrei qualificare con alcuni commenti questa affermazione. Anzitutto, secondo me non è un modello universalmente applicabile per varie ragioni (es demografiche ecc). Più interessante, secondo me, è il confronto con i paesi nordici vicini. Il principale punto a favore del 'modello svedese' , secondo me, è che se si riescono ad evitare criticità con meno restrizioni, anche se presumibilmente si viene colpiti più duramente alla prima ondata, si è meno suscettibili a essere colpiti duramente da ondate successive. D'altra parte, però, è anche vero che col tempo si potrebbero trovare trattamenti più efficaci  (e possibilmente anche un vaccino) ecc e, quindi, le successive ondate potrebbero portare meno conseguenze della prima anche dove non si è applicato tale 'modello'. Altri elementi da considerare, nel confronto, sono ovviamente le condizioni economico-sociali legate alle misure e ciò complica ancora di più il confronto. Ritengo che sia difficile ad oggi stabilire nel confronto tra i paesi nordici quale sia il modello 'migliore' - sempre che lo si possa fare anche in futuro visto che in fin dei conti, sarebbero valutazioni 'col senno di poi', con informazioni in più rispetto a quelle accessibili quando si sono prese le decisioni (e questo in realtà dovrebbe essere un criterio da considerare anche quando si fanno valutazioni e confronti su altri casi...).

In generale, ritengo anche io che non si possano fare facilmente confronti tra le situazioni dei vari paesi. Non che questi siano inutili ma le cose da considerare sono molto di più di quelle che si pensano. Come dicevo, è una situazione secondo me molto complessa.

Lascio, infine, un link di un interessante articolo del Financial Times sull'evoluzione dell'epidemia nel mondo: https://www.ft.com/coronavirus-latest
#30
Attualità / Re:Il valore della libertà
24 Aprile 2020, 18:56:55 PM
Vorrei, anzitutto, presentare un grafico, secondo me, che può aiutare a riflettere sulla situazione nello stato di New York: https://www.thenewatlantis.com/imgLib/20200420_CovidweeklydeathsNYv4includingNYC.jpg , (lascio il link, sperando che funzioni)
Il grafico si trova in questo articolo della rivista 'The New Atlantis'. Cito dall'articolo - che consiglio di leggere - solo la spiegazione del grafico:
Citazione
Because the number of weekly Covid-19 deaths in New York is now larger than the typical number of weekly deaths from all causes, we are omitting most of the individual causes from the chart. And because the state's population has been highly stable over the time periods considered — decreasing by just 0.7 percent since 2017, according to the latest Census Bureau estimates — we have chosen to show both absolute deaths and deaths per capita. The causes shown are:

    Covid-19 deaths, starting from March 2. (Covid Tracking Project)
    The 2017-18 flu season, with week 1 beginning on October 1, 2017. (CDC)
    All deaths from all causes for the same period as the 2017-18 flu season. (CDC)
Traduzione:
Citazione
Siccome il numero di morti settimanali legate al Covid-19 a Ney York [lo stato n.d.t.] è ora più grande del numero di morti settimanali dovuto a tutte le cause, omettiamo molte delle cause individuali dal grafico. E siccome la popolazione dello stato è rimasta piuttosto stabile nei periodi considerati - è diminuita solo dello 0.7 % dal 2017, secondo le ultime stime del Census Bureau - abbiamo scelto di mostrare sia le morti assolute [ovvero il numero totale di morti avvenute per settimana] e le morti pro-capita [il numero di morti per milione]. Le cause mostrate nel grafico sono:
Morti legate al Covid-19, a partire dal 2 Marzo (Covid Tracking Project)
La stagione influenzale 2017-2018, con la prima settimana che inizia il 1 Ottobre del 2017 (CDC)
Tutte le morti dovute alle altre cause per lo stesso periodo della stagione influenzale 2017-2018. (CDC)
Dal grafico, si nota anzitutto l'aumento estremamente rapido delle morti registrate avvenute nello Stato di New York nelle 6 settimane successive al giorno 2/03.  Quando parlavo di 'situazioni di criticità' intendevo proprio questo tipo di cose. Se si lascia 'diffondere liberamente' un virus di questo tipo, senza adottare misure restrittive (che presumibilmente devono essere 'aggiornate' seguendo l'evoluzione della situazione), si può notare come si crea in tempi molto brevi una mortalità estremamente alta.

Riporto di seguito alcune ragioni per cui ritengo che la situazione sia molto complessa.

Torno ora ad commentare il 'tasso di mortalità', spiegando perché secondo me la situazione è molto complessa. Come ho detto e ripetuto, ritengo che esso non dev'essere preso come una 'proprietà intrinseca del virus', diciamo. Questo non significa che esso non dia informazioni sul virus. Ma essendo calcolato come 'numero di morti/numero di contagiati' (effettivi), esso dipende da molteplici fattori. Cerco di elencare, ora, una lista di ragioni che possono portare ad una variazione di tale numero. Tale lista non è esaustiva. Lo faccio con un semplice ragionamento generico:
1) Sappiamo che ci sono fattori di rischio (es: età, presenza di patologie pregresse). Ergo, supponiamo che in due nazioni si contagiano lo stesso numero N di persone. Ma in una delle due vengono contagiate più persone nelle categorie più a rischio. Ci aspettiamo che in tale nazione, il rapporto aumenta.

2) Conta anche la velocità in cui avviene il contagio, visto che se si arriva ad avere un elevato numero di persone che tutte assieme necessitano di cure ospedaliere, è più difficile fornire un adeguato trattamento. Ovvero, giusto per fare un esempio (fin troppo) 'semplificato': un conto è avere M persone che necessitano di terapia intensiva in una settimana, un altro conto è avere M persone che necessitano lo stesso trattamento in un mese. In questo esempio 'M' non cambia (assunzione peraltro discutibile), e si può pensare che se esso viene distribuito in più tempo, è più gestibile. Se tale numero viene raggiunto in un tempo breve la difficoltà a dare cure adeguate aumenta (si devono creare molti nuovi letti di terapia intensiva (sempre che si riesca a farlo...), il numero di operatori sanitari può essere insufficiente a seguire tutti i casi ecc). In condizioni di aumento esponenziale del contagio, questa pressione sul sistema sanitario aumenta esponenzialmente anch'essa (magari con un certo significativo sfasamento rispetto all'aumento del contagio...).

3) Chiaramente, un sistema sanitario preparato (dispositivi di sicurezza ecc) a gestire un'epidemia riesce a 'resistere' di più alla pressione di uno meno preparato. 

4) se si riescono a trovare adeguati trattamenti, il trattamento migliora.
E così via, potrei andare avanti ancora. Ritengo che i fattori sono molteplici.
Ritengo che le misure di distanziamento sociale e di prevenzione, possibilmente anche 'modulate' sulle categorie a rischio, riescono a far diminuire il rapporto 'morti/contagiati'. Inoltre,  oltre ai punti (1) e (2), questo tipo di misure danno tempo anche per i punti (3) e (4). Questo significa che il 'tasso di mortalità' stesso in realtà è una variabile che dipende da vari fattori, tra cui appunto le misure adottate.
Nelle nostre valutazioni, inoltre, della 'curva dei decessi' e della 'curva dei contagi accertati', dobbiamo però stare attenti nuovamente anche a vari fattori, secondo me. Ad esempio, ritengo che contino fattori come:

1) il tempo di incubazione causa un ritardo nella comparsa della 'positività';
2) Se l'aggravamento della patologia avviene con un sostanziale ritardo rispetto all'inizio dei sintomi, c'è un ulteriore sfasamento sia per quanto riguarda i decessi (che possono essere ancora più sfasati in modo rilevante), sia per quanto riguarda il numero di persone che necessitano trattamenti intensivi (da qui il motivo per cui ci può essere anche un ritardo molto elevato nell'effetto del 'lockdown' sui decessi);
3) Se il personale sanitario è impegnato con un gran numero di persone che richiedono ricovero e terapia intensiva, diventa più difficile anche fare i controlli, visto che è appunto il personale sanitario a farli...Risultato -> si fanno meno 'test'.

4) Se si ha un numero di kit per fare i test insufficienti, aumenta il rischio di avere i cosiddetti 'casi sommersi'.

Dunque, una eventuale 'lentezza' della discesa del numero di casi registrati può dipendere da molti fattori. Idem per il numero di morti. E, inoltre, questi ragionamenti hanno anche incidenza sul rapporto 'numero di morti/numero di casi registrati' e 'numero di morti/numero di casi effettivi'. Questi due rapporti in realtà cambiano nel tempo per i fattori che dicevo prima.
Inoltre, come dicevo ieri, nelle nostre considerazioni, si dovrebbe anche tener conto del fatto che un virus 'nuovo' riesce ad infettare più persone.
Ad ogni modo,  non ho la pretesa di aver fatto una lista esaustiva.

La mia impressione è che la complessità venga spesso sottovalutata - non perché ci sia un'intenzione a farlo - perché talvolta i dati stessi presentano difficoltà di lettura. Mi pare assurdo che all'occorrenza di situazioni così complesse si possa formare una grande convinzione di manipolazioni, secondi fini ecc. Almeno, così sembra a me.