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Messaggi - Vittorio Sechi

#16
Tutto molto bello, manca solo l'olio di ricino.
#17
Esistono tantissimi parametri per misurare il livello di democrazia di una comunità. Ognuno di essi propone alcuni parametri, ritenendoli preminenti ed irrinunciabili.

A parer mio il parametro più appropriato, quello che più di ogni altro rende al meglio quale sia il livello di democrazia raggiunto da una società sia "la garanzia del dissenso".

Una comunità è tanto più democratica quanto maggiore sarà la garanzia offerta al dissenso di esprimersi.
#18
Citazione di: Federico Mey2 il 11 Gennaio 2019, 20:24:24 PM
Salve. Ho presentato nella sezione Filosofia il mio concetto di Psicofilosofia; ora mi sono trasferito in questa sezione, ma se volete, andate a contribuire anche a quel dibattito.

In breve la Psicofilosofia vuole essere una nuovo spazio di argomentazione comprendente tra l'altro Religioni, Morale e Psicologia, che si occupa del tentativo dell'uomo di raggiungere il livello più elevato del proprio pensiero, l'Anima.
Il tentativo deve essere valutato come razionale, ma il modo di esprimerla non deve essere il linguaggio usato da ciò che oggi si definisce Filosofia, che ha l'atteggiamento di trattare la spiritualità analogamente e con lo stesso linguaggio che usa con la materialità.

Dato che si occupa di finalità e principi, di capire la direzione da prendere, le teorie psicofilosofiche sono normative, esortative, non descrittive.
Dicono cioè quello che DEVE essere, non quello che E'. Sono delle ideologie, insomma.
Io ho maturato una mia teoria e la vorrei esprimere: l'ho chiamata Teoria dell'Errore.

Il principio fondamentale è la ricerca della Perfezione. L'idea è che la Perfezione esista, è possibile, in antagonismo con altre teorie psicofilosofiche (ad esempio il Cristianesimo), per le quali è irraggiungibile, non esiste.
Per raggiungerla, la strada è semplice: si parte dal nulla. Nel nulla non c'è notoriamente nulla, quindi non c'è l'errore, quindi è perfetto (così ho anche dimostrato anche che la perfezione esiste!).
Poi che si fa? Si procede, stando attenti a non sbagliare, che per la mente significa non far sorgere in noi schemi di pensiero complessi o paure immotivate. Lo strumento al nostro fianco è la semplicità, essa è il nostro principio-guida.

Seguendo questa strada, ci imbatteremo con molti nemici: tra i più importanti, l'accoppiata Bene-Male, ai lati della strada. In quell'occasione, mangiate pure la mela un po' ammaccata lì per terra un po' sofferente e proseguite senza farvi distrarre, anche se si impegnano infinitamente.
E così fate se vedete altre coppie dualistiche ingannatrici: la strada è giusta, lo era all'inizio, semplicemente continua ad esserlo. Questo è il Monismo, perchè la strada giusta è una.

La TdE propone la Spiritualità, consistente nell'elevazione della propria coscienza fino al livello massimo, dell'Anima. Per raggiungerla serve la socialità (1 non va bene), ma bisogna rifuggire dalla dispersione, dal pluralismo (n non va bene). La conseguenza è che il numero perfetto è 2, consistente nella coppia eterosessuale (l'altro dev'essere dell'altro sesso per questioni di completezza).
Quanto dico è facilmente spiegabile con semplici ragionamenti psicofilosofici basati sulla valutazione della natura umana, che rappresenta un dato di fatto, e l'atteggiamento perfetto è limitarsi ad ammetterlo.
Un posto importante è quindi dato dalla Famiglia, a cui corrisponde la simbologia 0123: si parte come sempre dal nulla (0), poi si matura (1), poi si cerca un compagno/a, ci si sposa (2) e eventualmente si estende la famiglia (3+).
Non ci sono eccezioni.

A differenza di molte altre psicofilosofie, la TdE non condanna o reprime la passionalità, non vedendola in antagonismo con la ragione. La seconda è ovvio elemento di perfezione, ma anche la prima lo è: perchè è parte della natura umana, dà significato e motiva l'umano, lo completa. E la completezza è anch'essa perfezione.
Riguardo la condizione della donna, la TdE propone l'elemento di dominazione (limitata) del maschio sulla femmina, a seguito della natura fisiologica della specie umana, ma al tempo stesso la eleva al massimo livello di importanza nel suo ruolo di cocostruttrice dell'Anima e della Fede nell'ambito dell'unione della coppia, matrimoniale.

Posizione rispetto ad alcune altre psicofilosofie che conosco (limitatamente):
Cristianesimo - E' imperfetta in ogni suo elemento, ha l'imperfezione come fondamento. Fa eccezione per l'eresia di un Uomo-Dio, condanna la completezza dell'umano e la sua passionalità, esalta un dualismo (il Bene (l'amore) e il Male (la sofferenza)), fa eccezioni evidenti sul percorso di vita familiare che per me è unico per tutti.
Islam - La lodo in quanto, con una sua visione ampia, tralasciando i dettagli, la vedo finalizzata (basandomi sull'evidenza storica di quando si è formata) a contrastare il Cristianesimo, soprattutto la sua eresia di un Uomo-Dio e vedo il suo rivolgersi all'unico Dio come elemento di Assoluto, perfezione. La critico un po' per l'eccessiva politicizzazione, e qualche elemento nazionalistico e razzistico, tutte cose poco spirituali.
Buddismo Zen - La lodo in quanto ripercorre molto la strada che ho descritto prima. La critico un po' perchè mi sembra troppo focalizzata sull'evitare il problema del disequilibrio psichico, e per questo tende a rifiutare lo sforzo di comprensione filosofica e spirituale, mentre per me il caos psichico si può superare affrontandolo.

Spero vi affascini!


Nel Nulla non vi è nulla: non vi è errore, neppure perfezione (così è dimostrato che se i presupposti sono errati, l'intera architettura è errata).
#19
Sbagliando, si ritiene che il fascismo germini, germogli, fiorisca e si sostenti in ambienti o congiunture in cui la cultura latiti. Ovverosia, che, in foggia liquida, espandendosi, vada ad occupare spazi disertati dalla cultura, intesa nella sua accezione più comune, cioè "L'insieme delle cognizioni intellettuali che una persona ha acquisito attraverso lo studio e l'esperienza, rielaborandole peraltro con un personale e profondo ripensamento così da convertire le nozioni da semplice erudizione in elemento costitutivo della sua personalità morale, della sua spiritualità e del suo gusto estetico, e, in breve, nella consapevolezza di sé e del proprio mondo". Se così fosse, un processo razionale andrebbe a supplire e rimodulare, modificandola, un'istanza dello spirito. Il fascismo non è analfabetismo culturale, è, invece, sostanzialmente analfabetismo emozionale. La risposta non può essere di carattere intellettivo o raziocinante, andrebbe a cozzare contro una coltre di sofismi, deve, invece, contemplare una radicale educazione alla bellezza.

#20
Mi inseriresti il link relativo all'argomento su Leopardi?

Grazie
#21
Da Sgiombo: "Colgo l' occasione per manifestare il mio totale dissenso dal riciclaggio da parte di Vittorio Sechi della concezione arendtiana del "totalitarismo" che pretenderebbe di identificare due posizioni teoriche e politiche in reciproca "opposizione polare" quali nazismo e leninismo di Stalin (che non pretese mai di "fondare uno "stalinismo" contrariamente a Hitler fondatore del nazismo)."

Se ho ben interpretato le ragioni del tuo "totale dissenso", rilevo un presumibile fraintendimento. Stalinismo e nazismo rappresentano i due versi di un'unica medaglia. Ciascuno per una sua intima ragione presenta le tipicizzanti caratteristiche del fascismo, che li identificano in due forme solo nominalmente antitetiche ed in dissidio. Essi sono la voce storica e la plastica raffigurazione della medesima istanza. Che Stalin intendesse o meno "fondare uno stalinismo" non rileva ai fini della sua caratterizzazione.

Come già scritto nel precedente post, quando le circostanze o la congiuntura non sono favorevoli, il fascismo ama mimetizzarsi celandosi dietro una coltre di sofismi che a prima vista, in assenza di un'analisi profonda che includa pro, contro ed obiettivi, soprattutto quelli non dichiarati, possono apparire neutri o sensati. La mimesi sovente rende complesso identificarlo per ciò che effettivamente è.

È corretto inferire che il fascismo, esprimendosi in forme totalitarie, tenda a ricondurre tutto a sé, contraendo o addirittura violando gli spazi riservati all'altro da sé. È nella sua genetica.

Definire il fascismo e le sue peculiari caratterizzazioni non aiuta però a comprendere cosa invece sia ciò che ad esso si oppone – che per comodità di trattazione è accomunato in un'unica definizione: antifascismo -, quale sia la sua natura costitutiva ed il suo differente modo di guardare il mondo. Per delinearne i contorni, spesso soffusi e certamente meno marcati di quelli del fascismo, non credo sia troppo utile valutare le caratteristiche oppositive, o per meglio dire derivare dai suoi tratti caratteriali oppositivi quelli caratteristici che contraddistinguono il suo manifestarsi nel mondo. L'antifascismo, infatti, non si esaurisce nei suoi tratti antitetici rispetto al fascismo.

Nel post di esordio di questo thread, non so con quanta intelligenza, ho sostenuto che l'antifascismo abbia dei contorni assai meno delineati rispetto al suo omologo contrario e che sia meno agevole delinearne il perimetro entro cui è espressa la sua ragion d'essere, poiché questo, una volta stabiliti ed individuati i parametri di divaricazione, risulta essere assai più ampio e variegato.

Una volta condiviso il concetto che il fascismo sia sostanzialmente una modalità dell'essere volto alla chiusura, all'introflessione ed alla preservazione e stabilizzazione del già dato, l'antifascismo, di contro, si apre al confronto. Suo habitat ideale è il mondo di Utopia.

Abitare il mondo di utopia significa abitare un non luogo (dal greco u 'non' e topos 'luogo').
La sensazione che si vive è quella dello spaesamento, della perdita di radicamento, della permanenza al di fuori da sé: un'erranza solitaria, in compagnia della sola ombra, che accoglie, infondendolo nelle carni, l'impulso generativo del moto inesausto verso un non luogo, poiché non vi è meta.
L'ombra, unica compagna, è l'addensarsi del passato che s'incanala ed incunea nel presente per aprirsi verso il futuro, condensandosi nell'individuo.

L'etica del viaggio è gravida di dubbio, il quale opera come forza che imprime il moto ad ogni passo che si compie nel percorso che conduce verso l'altrove: una non meta; ed è anche il fondamento dell'errare, inteso nella duplice forma che può assumere: 'sbagliare', da cui, appunto, l'insorgere del dubbio, oppure può esprimere, come conseguenza, la metafora del viaggio, che mai approda ad una confortevole meta. Perché il dubbio non consente durevoli soste, solo brevi pause in foggia di celebrazione di un precario sapere, cui la ragione dà il suo momentaneo consenso.

Muoversi verso un non luogo partendo da un non luogo, dunque.

Ciò che meglio impersona l'abitatore del non luogo è senza dubbio la figura del viandante, la cui Odissea è una continua ripresa del viaggio, seppur privo di meta. La metafora del viandante è stata poeticamente illustrata da Nietzsche, in un suo celebre aforisma tratto da 'Umano, troppo umano':

«Il viandante.
Chi anche solo in una certa misura è giunto alla libertà della ragione, non può poi sentirsi sulla terra nient'altro che un viandante, non un viaggiatore diretto a una meta finale: perché questa non esiste. Ben vorrà invece guardare e tener gli occhi ben aperti, per rendersi conto di come veramente procedano le cose nel mondo; perciò non potrà legare il suo cuore troppo saldamente ad alcuna cosa particolare: deve esserci in lui stesso qualcosa di errante, che trovi la sua gioia nel mutamento e nella transitorietà.»
#22
Ritenere la riflessione sul fascismo desueta e facente parte di un retaggio culturale datato, non più attuale, da relegare nelle polverose stanze della storia trascorsa, oggetto di culto per vanagloriosi nostalgici dei fasti e delle glorie trascorse è un comodo rifugio che apre spazi sempre più ampi a rivendicazioni retrive, sia in ambito sociale che civile.

Sebbene nella lotta politica si manifestino con maggior chiarezza e furore, fascismo ed antifascismo non sono categorie politiche. Sono entrambi il riflesso di un mondo interiore, caotico e ribollente, che si costituisce in ideologia, eleggendosi a sistema organizzato. In quanto tali, non è pensabile una loro estinzione o un dissolvimento, in ragione dello scorrere del tempo e del mutare di esigenze ed obiettivi, della forza propulsiva che li anima. Esistono dentro ciascuno di noi. Sono costitutivi del nostro essere.

Lo stalinismo ed il nazismo sono la più recente ed esplosiva espressione storica del fascismo (anche e soprattutto in senso militaresco). In essi son ben presenti tutti gli elementi caratterizzanti: il culto della personalità, il dirigismo accentrato, la negazione di ogni dialettica, la chiusura verso l'esterno, l'avversione profonda e radicata nei confronti delle diversità, l'esaltazione della tradizione (malintesa). Entrambi hanno comunicato al mondo che il respiro della tirannide e del dispotismo, denso di prevaricazione, morte e violenza, non è un semplice verificarsi di eventi che s'inscrivono nel tempo.

Talvolta, provvisoriamente sconfitto, il fascismo si camuffa, indossando abiti meno sgargianti, dismette contrassegni imbarazzanti e la tipica ridicola gestualità. Se le condizioni non sono proficue, permane in vita in condizioni semi vegetative, in foggia di vibrazione cosmica che permea del suo mormorio l'intero dipanarsi della storia. Riemerge con vigore, espandendosi, non appena la mutata situazione presta il fianco al suo protervo modo di pretendere.

Il fascismo è la negazione della dialettica, ricusa qualsiasi forma di confronto con il mondo esterno. È un'architettura autarchica ed autoreferenziale, che si autosostenta in virtù della prepotenza insita nella sua genetica. Non è una forma mentis, perché ciò presupporrebbe una preminente e predominate componente razionale. Il "corpus filosofico" che lo accompagna e sostenta è sostanzialmente espressione comunicativa di quanto in effetti ribolle nel suo profondo esistenziale.
#23
Riprendo il filo del ragionamento inaugurato qualche post fa.

Da quanto riportato sopra deriva che l'antifascismo, nella sua configurazione essenziale, non sia riconducibile, sict et simpliciter, ad un'ideologia, cioè ad un processo razionale - seppur sempre presente - che, inteso in tutte le sue complesse articolazioni, innesca l'azione ed impregna di sé la particolare modalità d'essere dell'individuo. Questa – l'ideologia – più che altro è un sostrato culturale congeniale a ciò che la profondità abissale di ciascuno di noi in filigrana lascia trasparire. In questo fondo si radica, incistandosi. Sebbene per esprimere il messaggio di cui è portatrice, l'ideologia attinga ad un ambito preminentemente culturale, essa attiene pienamente alla nostra specificità umana, da cui è originata, la quale ne rappresenta l'humus nutritivo e la linfa vitale. Trattandosi di un aspetto inerente all'intimo profondo della persona, nella sua essenzialità, si configura come un modo di essere: per meglio dire, è un'istanza dell'anima che, come già scritto precedentemente, si oppone con forza a forme autoritarie di concepire e percepire l'umanità di ciascuno di noi.

Fascismo ed antifascismo (destra e sinistra sono le loro conformazioni spaziali) occupano i due poli opposti del filo teso fra diverse modalità di concepire la società umana, difficilmente riconducibili ad una sintesi: l'una chiusa, che rifiuta le diversità antropologiche e si distingue nella dichiarata avversione rispetto ad innesti culturali esogeni, l'altra aperta all'evoluzione sociale in consonanza alle mutazioni sopravvenienti in una realtà viva e protesa verso il futuro, che si apre alla mutevolezza e alla diversità, quale riconoscimento ed accettazione del prodotto naturale del divenire.

Il fascismo, ricusando i caratteri più propri della natura umana, quelli che ci distinguono dal restante mondo animale: propensione ad identificarsi con l'altro diverso da sé, solidarietà, empatia ed immedesimazione, o esaltandone solo alcuni a scapito di altri: individualismo, egocentrismo, configura l'essere in una modalità chiusa e tendenzialmente individualista. Da ciò deriva il richiamo ai fasti del passato e l'utilizzo di una simbologia aggressiva e tesa alla preservazione ed al consolidamento dello status quo. Simbologia di chiara ed evidente natura marziale, improntata all'esaltazione della personalità e della figura eroica in chiave militaresca o cameratesca. Sintomatologia di un approccio nerboruto ai variegati e complessi quesiti ed alle istanze che, nella sua mutevolezza di forme, la società pone.

Non essendovi fra queste due visioni punti di contatto, se non talvolta effimeri e transeunti, non è agevole sintetizzarne i contenuti in un'unica matrice ideologica che li racchiuda entrambi. Al più, e questo è più che sensato ed immaginabile, è possibile rinvenire nella realtà fattuale una differente gradazione di sensibilità nel modo di creare relazione con il mondo, dovuta a diversificate screziature cromatiche degli appartenenti ai due opposti poli. Forse solo il cattolicesimo, nella sua declinazione ecclesial papista, può in una certa misura rappresentare una proposta di mediazione. In effetti, in esso son ben visibili i segni dell'apertura verso il mondo, quanto il comodo rifugio in facili dogmi indiscutibili. In esso sussistono, in un singolare, alchemico ed instabile equilibrio, la forza del dogma imposto e preservato dall'uomo solo al comando e, di contro, lo sporgersi oltre sé stessi per favorire l'incontro con il diverso, almeno nella sua articolazione post conciliare.
#24
In questi ultimi tempi, con l'avvento di un movimento politico che erige il qualunquismo ed il populismo a sua bandiera, si sta diffondendo l'idea che fascismo ed antifascismo siano categorie desuete, da relegare fra le polveri di una soffitta.
Il fascismo non è un credo politico, al più questo sarebbe la manifestazione esteriore di un particolare modo di vedere e guardare il mondo e, come conseguenza, di relazionarsi con esso. Sostengo che alcune ben precise caratteristiche facciano parte del bagaglio culturale di tanti individui. Prima dell'avvento del movimento politico, nella prima metà del secolo breve, questo insieme di caratteristiche distingueva la persona autoritaria, tiranna e poco propensa a misurare le proprie certezze con le diversità.
Il fascismo gli ha solo apposto un'etichetta.
#25
 
L'antifascismo è davvero un residuato ideologico che, per consentire che si possano affrontare con profitto ed intelligenza le sfide che ci propongono la mutevolezza dei tempi e la nuova epoca del mondo virtuale, deve essere accantonato, denegato, ricusato e relegato fra le polveri della soffitta del nostro essere interiore? A questa domanda, con enfasi e convinzione, risponde con una affermazione recisa, netta, che non lascia scampo il montante mainstream della clickmania compulsiva. Destra e sinistra sono solo due concezioni della mente, il locus amoenus entro cui rifugiarsi quando gli eventi e gli stravolgimenti della vita reale travalicano le capacità di comprensione, lasciando mente ed anima disabitate. Materiale di risulta, dunque.

Non credo che la risposta sia così scontata come vorrebbe farci credere la nuova religione dell'indifferenziato. Penso, invece, che considerare l'antifascismo una mera concettualizzazione del mondo oramai desueta sia eccessivamente riduttivo. Non si tratta di una posizione politica avversa ad un'altra, che, in quanto tale, nella contrapposizione esaurisca l'energia propulsiva. Nasce da un insieme di spinte interiori che si oppongono ideologicamente ed intimamente a tutto ciò che il fascismo e la sua concezione dell'uomo rappresentano: il culto della forza, dell'uomo della provvidenza, della personalità, del pensiero monocorde che nega spazio alle differenze, il concetto stesso di cultura egemone. È un coacervo di pulsioni, più che d'idee, e vanno a costituire un unico corpo, spesso anche confuso, che intride di sé interamente l'animo di chi si oppone intimamente e senza indulgenza all'imposizione nerboruta di un'unica visione del mondo. È ciò che in definitiva, apre al confronto, al dialogo e rifugge dalla tentazione di fornire un'eccessiva semplificazione della realtà. Per cui la vita stessa si traduce in dubbio, in ricerca, in scoperta e meraviglia, praticamente in un inesausto cammino.

Trattandosi di viaggio, non è mai una stasi. È, invece, un vagare fra mete provvisorie, il cui percorso è punteggiato da pietre miliari, che son poi tutto quel che induce a rifiutare l'esaltazione dell'Io e delle tetragone certezze che mai si flettono neppure al cospetto della sconfitta decretata dalla storia, e mai si piegano all'evidenza di una verità fasulla, imposta con violenza, chiusa al confronto ed alla possibilità di un clamoroso abbaglio. Ed i compagni di viaggio sono anch'essi eternamente provvisori.

È il ritratto del viandante. Un nomade che, dall'inquietudine che l'informa interamente, trae le ragioni per condurre una ricerca continua. È la filosofia dell'utopia che esalta il viaggio e non la meta, poiché sa che non può darsi al suo peregrinare un porto definitivo che lo accolga.

Ciò che intride ed innerva l'animo non è un pensiero, ma una passione, ovverosia quella che un teologo, peraltro ai margini dell'ortodossia cattolica, chiama 'principio passione', e che spinge a prestare aiuto, a sacrificio spesso della propria vita, ad un perfetto sconosciuto incrociato per caso lungo il cammino. È anche la parabola del 'buon samaritano'.

È dall'impossibilità di trovare certezze e mete definitive che scaturisce anche il rifiuto di tutto quello che impregna il fascismo e lo stalinismo. Due lati della stessa medaglia, e, per ragioni un po' diverse, ma comunque assai pregnanti, anche il cattolicesimo e le religioni istituzionalizzate, in genere, che sono anch'esse configurazioni dell'anima che si esprime in maniera eccessivamente assertiva attraverso dogmi e verità indissolubili.

In pratica non si tratta di una precondizione ideologizzata e sclerotizzata, che andrebbe ad istituire ciò che io con arbitrio chiamo ideologismo, ma un sentimento che definisce l'intima sostanza di un'ideologia che è istituita da una passione che osserva il mondo con lo sguardo teso alla scoperta.
#26
In primo luogo confondi constatazione con consiglio. Nella mia frase non c'è alcun consiglio. Secondo aspetto, non ho alcuna spiegazione preconfezionata di cosa possa essere la spiritualità e francamente non m'interessa neppure confezionarne una che restringerebbe l'esperienza con il mondo della trascendenza entro uno spazio recinto con spesse mura, mentre credo che la spiritualità sia un qualcosa che scarti di lato e poco avvezza a farsi inscatolare per essere esposta in una teca alla vista dei curiosi.
Tutto qui.
#27
Citazione di: giona2068 il 25 Giugno 2017, 17:47:03 PM
Maestro di spiritualità?
L'albero si riconosce dai frutti!
Se  Cannata fosse un maestro di spiritualità - luce del mondo e sale  della terra - non scriverebbe tanti sermoni ai quali non crede neanche lui. Il maestro di spiritualità, donna o uomo che sia, è ricercato ed anche calunniato perché è la luce che infastidisce le tenebre,
parla di ciò che vive e vive di ciò che parla e il suo vivere in Pace è il segno che è veritiero
In maestro di spiritualità non cerca di convincere altri della sua "professione" e non la scrive sul profilo.
Il maestro di spiritualità è il  Santo Vangelo Vivente e non cerca visibilità perché le sue opere parlano, non ha bisogno di visibilità.
Il maestro di spiritualità non parla delle sue idee, il Signore Dio parla nella sua bocca e per questo è sapiente intelligente ed ha sempre la giusta risposta. Non è sapiente perché lui lo e ma perché il suo Spirito è Spirito di Sapienza.
Chi si da da solo il titolo di guida spirituale  nel contempo  dichiara di essere sapiente , ma non lo è, è un lupo vestito di agnello che inganna innanzitutto se stesso perché gli ingannatori fanno una brutta fine.
La guida spirituale non può dichiarare di essere ateo perché il Signore è in lui non rinnega se stesso.


Ecco, per esempio, questo mi sembra un evidente coacervo di luoghi comuni. Strali lanciati senza né capo né coda. Un insieme di brodose frasi fatte attinte acriticamente a destra e a manca. Che dicono tutto senza aver contenuto.
#28
Non hai compreso cosa intendevo con 'oltre che trascende la materia'. Intendo dire che non tutto nell'uomo si limita alla materia e ciò che la trascende è appunto il campo della spiritualità, che non ha alcuna necessità di rivolgersi ad un Dio per poter essere tale.
#29
Sovente non c'è alcuna attinenza fra spiritualità e religione, la quale troppo spesso si preoccupa eccessivamente di formalizzare la gestualità simbolica del rito, ponendo in subordine quel che attiene a quell'oltre che trascende il  nostro essere materia.
#30
C'è più spiritualità nella produzione filosofica di Nietzsche o in quella letteraria di Leopardi di quanta ne potresti trovare in mille 'maestri' di spiritualità.