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Messaggi - Phil

#1501
Citazione di: Ipazia il 07 Maggio 2019, 08:10:19 AM
Forse è il caso di meditare sulla prossimità che Wittgenstein pone, e  su cui lo stesso Nietzsche si sofferma, tra estetica ed etica, tra καλός e ἀγαθός.
Per come la vedo (en passant rispetto al topic): in pubblico, l'etico è estetico (è "bello" fare ciò che è giusto); in privato, l'estetico è etico (è "giusto" fare ciò che è bello).
Non a caso, la forza radicale del giudizio divino sarebbe quella di poter sbirciare anche nel privato (fin dentro l'intimo della psiche?).
Attualmente, il rovesciamento dialettico fra etico ed estetico, mi pare sempre più malcelato (per quanto dissimulato ai limiti dell'inconsapevole), essendo nell'epoca delle "case di vetro", della privacy difficile da tutelare, della religione/morale fai-da-te, dei sincretismi concilianti, etc.
Che, sotto le loro mentite spoglie assolutistiche, καλός e ἀγαθός cambino di pari passo con le epoche, è il classico segreto del Pulcinella omertoso: «si sa, ma non si dice».
#1502
Per me l'idea di fondo, oltre alla prospettiva del guadagno, è che «se chiunque può usare qualcosa, chiunque può anche abusarne»; principio che non fa eccezione nel campo della comunicazione, come dimostrano vari fenomeni già in atto nei social (haters, trolls, fake news, etc.). Probabilmente molti (ma non tutti) di coloro che scriverebbero messaggi inopportuni (per provocazione, per istintività, per disinformazione, etc.) non sono tuttavia disposti a pagare di tasca loro per farlo. Questo "filtro economico", per quanto possa suonare discutibile secondo alcuni (la comunicazione diventa "facilitata per i ricchi"), avrebbe lo scopo di garantire meno messaggi di disturbo, o fare in modo che (anche) i messaggi di disturbo producano almeno un guadagno per chi li ospita. Inoltre, in una società in cui commentare è ormai hobby nazionale, gratuito e spudorato, forse la carta stampata, anche nei sui alter ego virtuali, cerca qualcosa per distinguersi nella babele cacofonica ad ingresso gratuito: metterla sul piano economico è un'idea opportuna? Paga davvero con risultati qualitativi e/o economici?
Ai post(eri) l'ardua sentenza.
#1503
Nell'arte la dimensione astorica e atemporale del sacro gioca (secondo me) un duplice ruolo: da un lato, serve ad attualizzare il sacro (divinità o altro) inserendolo nella contemporaneità dell'artista, che è un modo per "(re)impossessarsene" e/o per celebrare la vitalità ancora pulsante del sacro, senza relegarlo ad un passato ormai lontano ed emotivamente distante. Da l'altro lato, la traslazione storica che decontestualizza gli eventi (biblici o altro), serve a sottolineare che il valore trascendente del sacro non è legato alla scansione del tempo umanamente intesa, per cui il conforto della Madonna, il sacrificio di Cristo, etc. sono sempre presenti, non hanno data perché il loro "senso" ha "durata" infinita. 
Per dirla in sintesi, il sacro può essere presentificato/presantificato dall'autore nella sua epoca perché il suo valore trascende il tempo umano ed è, a suo modo, sempre (nel) presente.

L'appropriazione e la rivisitazione laica dei temi religiosi in quanto classici (ovvero senza tempo) sono una pratica artistica anche della contemporaneità da Dalì (la "crocifissione cubista", la Madonna di Port Ligur, la Pietà) fino a "the other Christ" di Andres Serrano.


P.s.
Sarebbe comunque interessante allargare il discorso anche alle altre religioni.
#1504
Citazione di: davintro il 05 Maggio 2019, 23:53:02 PM
la negazione della possibilità, in sede teoretica, non filologica/storiografica, di astrarre tale modello dal contesto storico religioso, per riconoscerne una legittimazione razionale, poi si può discutere sull'effettivo rigore delle argomentazioni razionali
In merito ho citato la dimostrazione di Godel che, con inappuntabile rigore logico, dimostra la necessità dell'esistenza di Dio partendo... dall'esistenza come attributo necessario di Dio. Da un punto di vista logico, a quanto (mi) pare, non si può fare di meglio.
«Astrarre un modello da un contesto storico» comporta l'andare in direzione opposta rispetto al piano dell'esistenza: se astraggo da ogni democrazia storica, il modello della democrazia, è più probabile che mi stia dirigendo verso l'u-topia che verso l'esistenza.

Citazione di: davintro il 05 Maggio 2019, 23:53:02 PM
l'idea di Dio a cui faccio riferimento, quella la cui esistenza sarebbe ragionevolmente richiesta dalla presenza della sua idea all'interno delle possibilità del pensiero umano
Il fatto che sia possibile pensare ad un dio ne rende possibile e/o necessaria l'esistenza? Sono le idee a necessitare l'esistenza reale dei loro contenuti o viceversa ("necessità" dal punto di vista umano, ovviamente)?
Ogni idea che abbiamo in testa è necessariamente "a misura d'uomo", poiché da lui è elaborata e da lui è decifrata. Ciò mi sembra valere anche per le idee a cui non sappiamo dare un contenuto empirico: ad esempio, l'idea di post-mortem non ha corrispondenza reale e non nasce (metempsicosi a parte) dall'esperienza (trascendente o meno) del suo contenuto; eppure c'è.
La presenza dell'idea di Dio, rappresenta l'astrazione del grado massimo di alcuni attributi pensabili sull'esistenza, fatti convergere in un unico ente: la temporalità diventa eternità, la mortalità diventa immortalità, la causalità diventa causa prima incausata, etc. è un'idea quasi "necessaria" come idea-limite del pensiero. Tuttavia, passare dall'ideale al sostanziale/esistente, è il passaggio inverso rispetto all'astrazione ed è il passaggio, mi pare, in cui non si incontrano indizi razionalizzabili sull'esistenza di un dio (se non una sua deduzione di matrice idealistica, sempre infalsificabile).

Ci sarebbero alcuni spunti sotto forma di teologie delle varie religioni, ma se, come proponi, togliamo all'idea di dio qualunque connotazione storico-culturale di rivelazione, incarnazione, etc. (seguendo in ciò il deismo, ancora molto attuale, in cui si rinnega la propria "cittadinanza" in una religione, ma non si riesce ancora a vedersi come a-polidi, quindi ci si inquadra in una meta-cittadinanza) allora credo diventi davvero difficile dire qualcosa che lo riguardi e, ancor più, indagarne le caratteristiche, poiché non si hanno elementi a disposizione su cui discutere.

Citazione di: davintro il 05 Maggio 2019, 23:53:02 PM
la discussione è ritenuta impossibile da ogni mio eventuale interlocutore
Più che impossibile è forse ritenuta impraticabile perché troppo possibilista, nel senso che si potrebbe teorizzare (quasi) di tutto, come (e non lo dico per scherno/scherzo) se si volesse parlare della famigerata "teiera di Russell".
#1505
Citazione di: Ipazia il 05 Maggio 2019, 13:02:36 PM
la questione etica nella corretta prospettiva storico-evolutiva, che corregge, allargando la prospettiva, l'impostazione relativista dura del gusto soggettivo arbitrario.
La questione etica, per elevarsi al di sopra della morbidezza del "gusto soggettivo arbitrario", avrebbe bisogno di un fondamento forte (soprattutto se vuole essere un'etica forte); se il fondamento non può (più) essere quello teologico (e quello meta-fisico pone problemi logici di autoreferenza), rimane in gioco il piano fisico.
A tal proposito è forse significativo notare che le prime istruzioni che vengono inculcate nei bambini (cuccioli di uomo non inculturati) sono quelle a fondamento delle società: non bisogna essere violenti (il bambino tende ad aggredire alcuni dei suoi simili), non si ruba (il bambino tende ad appropriarsi di ciò che vuole, non ha il concetto di proprietà privata), non si mente (il bambino tende a dire solo ciò che gli conviene / gli piace), etc. Al cucciolo di uomo vanno dunque impartite le regole della convivenza "civile" perché, naturalmente, egli non le possiede (ciò che possiede è invece una serie di istinti volti all'autosussistenza: cercare il seno-nutrimento, aggrapparsi per non cadere, etc.).

Se questi precetti "universali" (e forse anche altri) fondano la vita sociale e la morale globalmente praticata, bisogna tuttavia osservare che la riflessione morale dà per scontate queste basi e diventa invece problema (filosofico) su ben altre questioni, non certo ristrette al (né risolvibili con) "quieto vivere, senza omicidi, furti, stupri e menzogne... o almeno ci si prova".
Ad esempio, di fronte a una questione etica (immigrati, diritti lgbt, pena di morte, alzarsi per far sedere un anziano sul bus, etc.), su cosa si fondano la morale/i valori che ci fanno giudicare «questo è giusto/quello è sbagliato»?
A partire da questa domanda, ineludibile se si vuol parlare filosoficamente di morale, il problema centrale di ogni morale post-religiosa è (secondo me) sempre quello del fondamento.


P.s.
Per dare il buon esempio, non svicolo della domanda: la mia risposta è alla prima riga, rigorosamente fra virgolette poiché allude a discorsi lunghi e discutibili (come già ben sa Ipazia, una di quelli con cui ho tentato in passato di spiegarmi sulla questione).
#1506
Citazione di: 0xdeadbeef il 05 Maggio 2019, 11:12:07 AM
Trovo che il tuo punto di vista possegga certamente delle buone ragioni, ma che altrettanto
certamente sia permeato da grande (eccessivo...) ottimismo.
L'ottimismo sarebbe valutativo; mi sembra che il mio post sia invece piuttosto descrittivo. In che senso ti risulto ottimista? Lo chiedo perché non mi percepisco come tale e il modo in cui vengo letto è un feedback importante.

Citazione di: 0xdeadbeef il 05 Maggio 2019, 11:12:07 AM
Ma non
si può nel medesimo tempo dimenticare che nella "specie umana" vi sia stato, vi sia e
presumibilmente vi sarà sempre più marcata una "individuazione" (come nei secoli è venuta emergendo,
(dall'antica "tribù", passando dalla negazione ockhamiana degli "universali" e dalla "monade" di
Leibniz fino al moderno "individulalismo" - che vediamo ultimamente accompagnarsi ad una inquietante
ripresa del concetto di identità etnica - mascherata da "culturale").
Tale "individuazione" è sempre e comunque contestualizzata in un habitat sociale, che in quanto tale, per la sua coesione, necessita di un'etica (e di leggi) condivisa.
L'identità et(n)ico-culturale fa da contrappunto al (presunto) individualismo monadico, nel senso che il singolo ha comunque bisogno, per sopravvivere (anche psicologicamente, l'homo sapiens è animale da branco, non solitario), del contesto che lo identifica (e nella cui morale spesso si identifica).

Citazione di: 0xdeadbeef il 05 Maggio 2019, 11:12:07 AM
Quanto all'"autorità", che nella tua visione sarebbe perpetrata da "legislatori rappresentanti
del volere/valore popolare, mi limito a ricordarti la attualissima e profonda crisi in cui
versa la particolare forma politica della democrazia, oggi sempre più sostituita da una presunta
competenza "tecnica" (e sto chiaramente parlando dei paesi tradizionalmente a vocazione democratica...).
Nel rilevare che la demo-crazia sia in atto, non intendevo valutarla come in ottima salute (che sia questo il qui pro quo che ti ha fatto pensare ad un mio implicito ottimismo?).
Talvolta si tende a leggere (anche) fra le righe, senza preventivare che fra le righe ci possano essere solo, banalmente, spazi bianchi.
#1507
Citazione di: 0xdeadbeef il 04 Maggio 2019, 22:16:02 PM
sono sostanzialmente d'accordo con la tua risposta, con il distinguo però rappresentato proprio dalla "finzione" con cui viene velata la (almeno presunta) natura convenzionale del valore morale.
Concordo che la natura convenzionale della morale sia opportunamente (tra)vestita da "assoluto", per mano degli "stilisti della rettitudine" (gli addetti alla giustizia); anche se è un vestito che, con il logorio dei secoli (e del potere secolare), sta diventando sempre più trasparente...

Citazione di: 0xdeadbeef il 04 Maggio 2019, 22:16:02 PM
Che ne sarebbe del valore morale laddove emergesse chiaramente tale natura?
Perderebbe di fascino e di assolutezza, tuttavia, non verrebbe intaccata la sua necessità sociale.

Citazione di: 0xdeadbeef il 04 Maggio 2019, 22:16:02 PM
Credi forse che non ci sarebbe una generale presa d'atto che, in fondo, è solo la volontà di potenza che fonda la moralità?
Più che la volontà di potenza (troppo epica ed individuale, per come la ricordo), direi banalmente la necessità antropologica della convivenza sociale (e di una cultura aggregante e identitaria).

Citazione di: 0xdeadbeef il 04 Maggio 2019, 22:16:02 PM
E che fine fa la "autorità" nel senso classico in un tal quadro (e forse sarebbe già il caso di dire che fine ha fatto...)?
Sarebbe costituita da legislatori rappresentanti del volere/valore popolare; come, a quanto pare, già è.

Citazione di: 0xdeadbeef il 04 Maggio 2019, 22:16:02 PM
la convenzione ha pur sempre bisogno di fondarsi su un qualcosa cui si attribuisce una "qualità" (mentre la convenzione è per sua stessa natura quantitativa).
La qualità della convenzione è la sua funzionalità pragmatica; di generazione in generazione, le convenzioni si perpetuano con adattamenti agli eventi e ai tempi che mutano; adattandosi, proprio come gli uomini, le convenzioni sopravvivono (anche le lingue, non a caso, hanno un loro aspetto diacronico, per poter aderire meglio ai cambiamenti della realtà di cui devono saper parlare).

Citazione di: 0xdeadbeef il 04 Maggio 2019, 22:16:02 PM
Pensi che l'uomo è o sarà mai capace di accettare che la storia millenaria del suo pensiero finisca nell'accettazione razionale (perchè questo è l'unico esito possibile, cioè l'unico esito razionale) della volontà di potenza?
Non sono sicuro sia l'unico esito possibile, né l'unico razionale; ma forse dipende da come si declina il concetto di «volontà di potenza» (vaghe reminiscenze, ma non sono esperto di Nietzsche).
#1508
Citazione di: 0xdeadbeef il 04 Maggio 2019, 19:20:00 PM
Ad esempio, per poter parlare di "legittimità" bisogna che questo "sistema operativo neurologico"
possegga un riferimento che non è se stesso.
Chiaramente non è un sistema chiuso e isolato: l'apprendimento, l'influenza di esperienze dirette, l'interazione con altri, etc. modificano il sistema.

Citazione di: 0xdeadbeef il 04 Maggio 2019, 19:20:00 PM
Quindi riformulando l'amico Socrate78 io direi così: se non esiste una realtà-altra ove questi
concetti, per così dire, "acquistano oggettività", i valori morali sono mera illusione.
Oggettività e moralità risultano per me incompatibili, poiché la prima si ritiene, in generale, assoluta e indipendente dal soggetto (che si limiterebbe a constatarla, con le inevitabili deformazioni "prospettiche"), mentre la seconda, almeno nel (mio) pensiero laico, è puramente arbitraria, convenzionale e soggettiva (per quanto sia culturalmente canonizzata in regole comunemente accettate).
La differenza di base è quella del fondamento: difficile che l'oggettività e la moralità abbiano un fondamento comune, perché la prima si basa sui fatti (Tizio colpisce Caio), la seconda sulla loro valutazione (non è giusto / non è bene che Tizio abbia colpito Caio).
Quindi, secondo me, si può dire che «i valori morali sono mera illusione» (cit.) solo se ci si aspettava che potessero essere oggettivi; non sono invece un'illusione nel momento in cui regolamentano nella prassi (e nel diritto) la vita di una società, affermandosi come forma di (pseudo)oggettività concordata e condivisa (l'oggettività autentica dovrebbe essere eventualmente condivisa, ma non concordata).
Fra la soggettività individuale e l'"oggettività del reale", c'è inevitabilmente la mediazione alterante di una convenzione contingente (linguaggio, cultura, etc.).
#1509
Citazione di: sgiombo il 04 Maggio 2019, 15:25:23 PM
Se le parole con le quali parliamo hanno un senso, gli unici modi che hai per ottenere percezioni localizzate (di ciò che realmente c' é e accade) nella tua testa sono uno specchio e qualcuno che ti scopra chirurgicamente la volta cranica, oppure indirettamente l' imaging diagnostico (o al limite l' elettroencefalogramma o altri più moderni e sofisticati modi di rilevare le attività elettriche cerebrali).
Intendi che quando sento il mal di testa (o, dopo un po' di lavoro "mentale", mi sento mentalmente stanco) e lo localizzo nella testa, mi inganno?

Citazione di: sgiombo il 04 Maggio 2019, 15:25:23 PM
"Output che resta interno" é una perfetta contraddizione in termini.

Infatti alla frase (o meglio: alla sequenza di caratteri tipografici) "l'output resta interno al sistema che lo elabora / lo vive" non vedo come possa mai attribuirsi un senso.
Provo a spiegarmi con un esempio (restando nel parallelismo): un sensore interno al case rileva che la temperatura del processore inizia a farsi critica (input), quindi (output) aumenta la velocità di rotazione della sua ventola per raffreddarlo. Il tutto accade dentro il case, dentro il "sistema" di cui il video è solo la periferica esterna che ne rende visibile parte del contenuto (il video potrebbe mostrare indicatori per il controllo della temperatura, la velocità delle ventole, avvisi di rischio, etc.).
Giocando ancora metaforicamente con input/output: se leggo una frase (input) il mio cervello le dà un senso, la associa a ricordi, etc. (output) e ciò avviene all'interno del mio sistema cerebrale.
#1510
Citazione di: Jacopus il 03 Maggio 2019, 16:19:13 PM
Ma non può l'uomo conservarsi una parte sconosciuta e al di fuori del suo dominio?
Potrebbe conservarsela, ma pur non volendo, è inevitabile che tale zona d'ombra abbia sempre un passo di vantaggio nel cammino dell'uomo; è sempre indicata dalla domanda «perché?»: qualunque conoscenza ottenuta non è definitiva, basta chiedersene il perché e la ricerca, inevitabilmente, continua verso «la parte sconosciuta e al di fuori del suo dominio». Inoltre, non escluderei che anche all'interno del suo dominio, ci siano piccole zone d'ombra o ancora illuminate solo fiocamente.

Citazione di: Jacopus il 03 Maggio 2019, 16:19:13 PM
Qual'e' il costo di desacralizzare ogni cosa?
Il costo che paghiamo è quello dell'incanto, del mistero, dell'inquietante (in senso etimologico); ciò che otteniamo in cambio sono spiegazioni e fruibilità di procedure manipolative del reale. Non è detto che sia un baratto vantaggioso per tutti.

Citazione di: Jacopus il 03 Maggio 2019, 16:19:13 PM
Possiamo conservare un dominio del sacro e nello stesso mantenere il principio moderno di ottenere la verità come sfida umana e laica?
Se manteniamo il sacro nello "scrigno dell'infalsificabile", quindi metafisico, sarà abbastanza al riparo da ogni laica indagine sul vero; al sacro toccherebbe però "sacrificarsi" a rinunciare alla custodia del vero, per lasciarsi custodire dell'inverificabile (compromesso dignitoso, direi).
I due livelli possono coesistere nell'uomo, come dimostrano molti scienziati che hanno loro ipotesi non-scientifiche sul sacro.

Citazione di: Jacopus il 03 Maggio 2019, 16:19:13 PM
Se è tutto così material/ razionale perché continuiamo a sognare, ad ascoltare musica, a fantasticare sopra libri d'avventura o fantascienza?
Perché, secondo me, oltre a essere razionali, siamo spontaneamente simbolici, edonistici e "sognatori"... in una parola «estetici».

Citazione di: Jacopus il 03 Maggio 2019, 16:19:13 PM
Eppure, al solito ci si divide in due squadre: i razionalisti puri e gli spiritualisti puri, ma in questo mondo ciò che è puro ha di solito una faccia nascosta di violenza terribile.
L'uomo contamina da sempre la razionalità con l'estetica; questa può prevaricare sino a diventare spiritualismo, remando talvolta (ma non sempre) contro la ragione; tuttavia non credo che, inversamente, la ragione possa meccanizzarsi al tal punto da ridurre l'umano all'an-estetico.
Ciò non toglie che la dimensione estetica potrebbe avere una sua spiegazione razionale e materiale (v. neuroestetica); tornando all'esempio del dolore: sapere come esso funzioni fisiologicamente/materialmente, non lo rende un vissuto meno spiacevole, e lo stesso vale per il piacere di ascoltare musica, leggere, etc.

Sulla violenza: il «puro» può diventare (e storicamente lo è diventato più di una volta) un pensiero forte ed escludente, che vuole "purificare"/rimuovere il differente, imponendosi come pensiero unico. Il valore s(c)ommesso del pensiero debole, plurale e contaminato (quindi non puro) è invece proprio il tendere alla non violenza, con lo sfidante effetto collaterale di dover fronteggiare equilibri precari e dinamici, senza mai riposarsi in "puro" equilibrio.


P.s.
@sgiombo
Il mio sentire i pensieri nella testa è una percezione localizzata, non un mero atto linguistico non pronunciato ad alta voce. Posso sbagliarmi, tuttavia, fino a prova contraria, mi fido della mia percezione.
Il parallelismo fra computer (case, in inglese, per essere esatti) e cranio ha senso finché non si mischiano i due piani del paragone; la differenza fra un output a una periferica esterna (computer/video) e un output che resta interno (cervello/cervello) non prevede l'ingerenza di "omuncoli" o simili, ma è proprio ciò che differenzia i due piani del parallelismo e spiegherebbe come mai aprendo il cranio non si vedono i pensieri (l'output resta interno al sistema che lo elabora / lo vive).
La scommessa sulla plausibilità di questo parallelismo è chiaramente mia personale, la scienza seria "gioca" a ben altri "giochi".
#1511
Citazione di: sgiombo il 03 Maggio 2019, 23:16:22 PM
Spazio (estensione) ce l' hanno i processi neurofisiologici cerebrali (per esempio miei nella tua esperenza cosciente), non affatto i pensieri (per esempio i miei nella tua cosienza; o viceversa).
Sento (per quanto i sensi possano ingannare) che i (miei) pensieri hanno un loro spazio di "residenza", quello contenuto nel cranio, proprio come i processi neurofisiologici; certo, non posso fare l'esperimento di asportarmi il cervello e poi controllare dove sento i pensieri o se sia ancora in grado di pensare... per questo, riguardo la materialità dei pensieri, parlavo di «scommessa» priva di certezze empiriche.
Parimenti la scienza "scommette" che chi osserva le reazioni di un cervello abbia a sua volta un cervello che funzioni in modo approssimativamente simile, sorvolando quindi sul discorso mio cervello/tua coscienza e tuo cervello/mia coscienza.

Osservando l'interno del cranio non si vedono i pensieri così come osservando l'interno di un computer non si vedono i programmi, che pure stanno funzionando in quel momento; sappiamo già che i programmi sono materiali e funzionano grazie all'interazione materiale fra le componenti materiali interne del computer. La differenza cruciale nel parallelismo con la mente/coscienza/pensiero è che, nel caso del computer, il monitor che rende visibili i programmi è una periferica esterna, osservabile da tutti, mentre la mente/coscienza/pensiero non può essere "mostrata" agli altri, nel suo essere esperita internamente in prima persona.
Almeno, questa è la tesi su cui scommetterei i miei quattro spicci di fiducia.
#1512
Citazione di: Ipazia il 03 Maggio 2019, 18:18:54 PM
Nel caso della cultura il medium non è il messaggio. "Panta rei" rimane tale, scritto in un papiro o in un tablet, e non è nè il papiro nè il tablet.
Eppure il messaggio può essere davvero immateriale? «Panta rei» non è sempre, di volta in volta, materia (input visivo o fonetico o altro) che innesca la mia area cerebrale linguistica che gli attribuisce un senso, etc.?
Nel più intimo dei casi, «panta rei» è un pensiero, ma se i pensieri sono immateriali si ritorna alle problematiche cui accennavo...

Citazione di: Ipazia il 03 Maggio 2019, 18:18:54 PM
La chiusura causale non vale se la mente è una proprietà emergente immateriale. L'immateriale non penetra: trascende.
Il che dà un nome alla relazione fra materia e immateriale: emergenza. Resta il problema di come studiare tale emergenza a cavallo fra materia e immateriale (e se c'è di mezzo persino la trascendenza, non sarà uno studio facile). Certo, anche le neuroscienze asservite al materialismo hanno davanti una "salita" da affrontare non indifferente, ma quantomeno è epistemologicamente percorribile ed empiricamente sperimentabile... fattore non da poco, secondo me.

Citazione di: Ipazia il 03 Maggio 2019, 18:18:54 PM
L'immateriale, dalla mia prospettiva, è evidente in tutti i fatti culturali, artistici, etici, ideologici. La matematica stessa è un ente immateriale.
Con «immateriale» intendi «astratto»? Se è astratto, è sempre tale per un cervello che la pensa e... ci risiamo: i pensieri sembrano avere spazio e tempo (come i fatti culturali, artistici, etc. e le interpretazioni che essi innescano) quindi, nel mio piccolo, potrei ancora scommettere che possano essere materiali, senza bisogno di immaterialità supplementare.

Citazione di: Ipazia il 03 Maggio 2019, 18:18:54 PM
Gli oggetti immateriali popolano il mondo ed hanno pure un prezzo (brevetti, copyright)
Brevetti e copyright sono astratti o immateriali? Non dipendono, di volta in volta, dalla materia con/in cui si presentano? Senza materia ne resterebbe solo il pensiero, perlopiù mnemonico, e... di nuovo, vedi sopra.

Citazione di: Ipazia il 03 Maggio 2019, 18:18:54 PML'oggetto mentale immateriale "progetto" agisce sul materiale, ad es. una casa, non direttamente, ma attraverso il materiale (materie prime, lavoro).
L'«oggetto mentale» è «immateriale» come è "immateriale" un ricordo o un pensiero? Anche qui, il suo avere uno spazio e un tempo, mi fa pensare che possa essere materiale (sarà ormai chiaro che per «materiale» non intendo solo esterno al corpo, tangibile con le mie mani, etc.).

Citazione di: Ipazia il 03 Maggio 2019, 18:18:54 PML'oggetto
Anche il lavoro, nella sua parte cognitiva, ha caratteristiche di immaterialità (formazione, studio, invenzione sul campo,...)
Mi sembrano tutte attività materiali (in senso empirico e cerebrale); in che senso la formazione è immateriale? Non si tratta di ascoltare lezioni, leggere libri, pensarne i contenuti, etc.? Dov'è che viene meno la materia (grigia o altra)?
#1513
Citazione di: Ipazia il 03 Maggio 2019, 07:24:40 AM
Intendo l'esistenza di uno stadio evolutivo della materia che si immaterializza. Una specie di salto quantistico che potremmo chiamare salto evolutivo. Un salto che ha come nucleo la psiche e le sue funzioni, che so essere correlate alla fisiologia cerebrale umana, ma che funziona in maniera totalmente diversa producendo non oggetti biochimici, ma pensieri, i quali a loro volta producono oggetti immateriali che si materializzano in oggetti materiali.
Intendi che i pensieri non sono materiali? Secondo me, da profano in materia (in entrambi i sensi), si potrebbe trattare di una materialità "sottile e sfuggente", ma pur sempre materiale: un pensiero sarebbe materiale se fosse "allocato" nel mio cervello (ciò che occupa uno spazio in un determinato tempo è materiale, giusto?) anche se non potrei prenderlo e appoggiarlo sul tavolo.
Lo stesso ritengo sia possibile per idee, intuizioni, scelte, concetti, etc.

Chiaramente è solo una mia "scommessa", non ho certezze empiriche in merito; come credo tu non ne abbia per «la materia che si immaterializza» con una «specie di salto quantistico» (per quanto devo ammettere che la mia scommessa, non scomodando né la quantistica né l'immateriale post-religioso, sia decisamente scialba e sciatta).

Citazione di: Ipazia il 03 Maggio 2019, 07:24:40 AM
Il (falso) problema di come l'immateriale interagisca col materiale è tutto in carico al materialismo meccanicistico e in tale sede non risolvibile ne fisicamente ne metafisicamente. Invece nel materialismo evolutivo si risolve tranquillamente per via empirica considerando l'universo degli oggetti immateriali (la cultura) che a sua volta ha prodotto un universo artificiale di oggetti materiali
Anche qui, non scommetterei che la cultura sia immateriale: il suo propagarsi di bocca in orecchio è materiale (fonetico-cerebrale), il suo essere vista, emulata e introiettata è materiale (visivo-psicologico), etc. la sua stessa formalizzazione concettuale in regole pensate e memorizzate, potrebbe essere materiale (mnemonico-cerebrale, vedi sopra).

Quel «per via empirica» (cit.), secondo me, non «risolve» il rapporto fra materiale e immateriale: se fosse una spiegazione basata solo sulla constatazione, non sarebbe una buona spiegazione, ma rischierebbe di essere solo un'interpretazione; giusto?
Forse la "via empirica" suggerisce piuttosto che l'immateriale non ci sia (tautologia?); tutelando così la famigerata "chiusura causale del mondo fisico" che, altrimenti, esigerebbe una spiegazione di come ci sia uno spiffero-pneuma d'immaterialità a penetrare tale chiusura (l'immateriale non è evidente, al netto dei miti e delle tradizioni culturali, e l'onere della prova di esistenza spetterebbe solitamente a chi l'afferma).
Detto altrimenti, (pre)supporre un rapporto causa/effetto che coinvolga pacificamente immateriale e materiale, non è gesto teoretico che si possa basare sulla mera osservazione solo di una parte (il materiale), perché desterebbe il sospetto che l'altra parte (l'immateriale) sia una spiegazione interpretazione ad hoc, un escamotage (non lo uso in modo offensivo) per non lasciare in sospeso il tentativo di spiegare l'evento.
#1514
Citazione di: Socrate78 il 02 Maggio 2019, 19:21:48 PM
Se si riduce tutto a semplice materia [...] Anche il sentimento più nobile diventerebbe una fredda reazione chimica tra atomi e scadrebbe a mera illusione.
Secondo me, non sarebbe mera illusione, ma mero vissuto; come tutti gli altri d'altronde. Se scoprissi che la gioia è l'esperienza corporea (innescata da input esterni) della stimolazione di alcune parti del cervello, secrezione di sostanze, etc. ciò non renderebbe illusoria la mia esperienza diretta della gioia, perché non sarebbe illusorio né il sentire tale emozione né "ciò" che si sentirebbe; proprio come il processo materiale-fisiologico del dolore fisico, non lo rende esperienza/vissuto illusoria/o.

Citazione di: Socrate78 il 02 Maggio 2019, 19:21:48 PM
Se quindi non esiste una realtà oltre la materia, diventa almeno dal mio punto di vista legittimo lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo, poiché verrebbe meno il concetto stesso di dignità dell'essere umano e i valori morali stessi sarebbero illusori.
Anche loro, come il «sentimento più nobile» di cui sopra, non sarebbero «illusori» (almeno non nel senso di inesistenti), bensì, appunto, materiali (per quanto si tratterebbe di un materia piuttosto difficile da studiare). Anche questo forum su cui stiamo scrivendo è materiale (server, antenne, processori, codici binari e altri elementi materiali che non vediamo), tuttavia, pur consapevoli di ciò, non possiamo ritenere che sia un'illusione né ciò che si presenta sullo schermo né la nostra interazione con esso: è solo l'ultimo anello percepibile di una catena materiale che origina lontano dai nostri occhi.
Gli stessi concetti di «legittimo», «dignità», «sfruttamento», etc. potrebbero avere una loro presenza materiale nel nostro "sistema operativo" neurologico.



Citazione di: Ipazia il 02 Maggio 2019, 22:14:24 PM
Tutto ciò che ha che fare con la psiche, pur essendo immanente, ovvero avendo una genesi "materiale", dà origine a realtà immateriali quali il comportamento umano razionale
In che senso il «comportamento umano razionale» è una «realtà immateriale»? Intendi che la razionalità è immateriale?
Se così fosse, si (ri)proporrebbe l'atavico (falso) problema di come l'immateriale (razionalità) interagisca con il materiale (corpo fisico "abitato" dalla razionalità); di escamotage metafisici se ne possono trovare già nei libri o anche approntare (parimenti infalsificabili) con un avveduto fai-da-te.
Se invece ti riferisci ad altro, allora non ho capito cosa intendi per realtà immateriale del comportamento umano razionale.
#1515
Citazione di: bluemax il 30 Aprile 2019, 12:37:31 PM
Questa la drammatica situazione che ogni studente buddista si trova a dover affrontare nei primi mesi/anni di studio... la scoperta di questa TREMENDA verità.
Questa (lo saprai meglio di me) è, a suo modo, la prima nobile verità del buddismo; finché la si trova «tremenda» si ha bisogno del buddismo (la solita storia della zattera...). La seconda verità razionalizzerà quel «tremenda» (causa/effetto); la terza verità introdurrà la speranza di superare quel «tremenda»; la quarta verità, forse la più in salita, porterà alla disillusione da quel «tremenda» (che quindi non sarà più tale).
Buon cammino.

P.s.
Parafraserei il titolo del topic: è la sofferenza che "crea" il buddismo, è da lì che esso muove (il che non toglie che i primi passi possano essere un po' sofferti).