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Messaggi - daniele22

#1501

Buon 2022 a tutti. Buongiorno Aspirante filosofo. Come già disse Viator, mi sembra, le tue istanze assomigliano più che altro a riflessioni esistenziali/sociali più che filosofiche. Da un punto di vista filosofico mi sembra che Kobayashi abbia posto bene la domanda chiedendo "quale sia la forza che dovrebbe indurre alla compensazione dei propri limiti tramite le virtù dell'altro e viceversa".
Io non so suggerirti alcun filosofo avendo solo vaghi ricordi di storia della filosofia, ma di sicuro in me puoi trovare un eretico dilettante del comune pensare. Di fatto potrei suggerirti più di qualche idea che possa corroborare almeno in parte il tuo pensiero, però mi sembra che tu parta da presupposti che richiedono una dose di fede a mio vedere eccessiva. Voglio cioè dire che un quantum di fede in qualche verità più o meno importante sia sempre presente nei nostri discorsi. Ricorrere però a concetti come "vita eterna", oppure postulare un'umanità perfetta evidenziando imperfezioni in un certo senso vaghe, a mio giudizio non corrisponde ad un approccio filosofico al tema che tu proponi. Ripeto, c'è del vero in quel che affermi, ma dovresti esplicitarlo in modo diverso. Potresti intanto cercare di dire dove dovremmo trovare queste parti che all'interno dell'umanità non collaborano. Chi è che non collabora? La mafia? La politica? La filosofia? I media? La scienza? Il papa?
Per come la vedo io la storiella che ha postato Ipazia potrebbe dare qualche buon spunto di riflessione.
Ci sentiamo
#1502
Tematiche Filosofiche / Sostanza dell'essere
14 Dicembre 2021, 10:41:04 AM





Ciao iano, ho letto quel che dici, alcune cose mi sono chiare, altre meno, cmq il discorso sull'assoluto mi è chiarissimo, condiviso e fondamentale. Ho notato che hai sottolineato il mio usare il termine significativo usando tu invece il termine funzionale. In quel caso, e anche in questo, col termine significativo esprimo l'idea che vi sia una causa di natura emotiva che permette la produzione della realtà e la successiva adeguata relazione con essa. Senza tale causa non vi sarebbe alcuna realtà, e forse nemmeno la vita, oppure la vita si svolgerebbe come fossimo degli automi, cosicché allora avrebbe ragione di esistere la cosiddetta superiorità intellettiva tra le specie e all'interno della nostra specie. Cosa questa che io nego, relegando l'espressione dell'intelligenza all'interno di un interesse più o meno maggiore da parte degli individui nei confronti della realtà in generale e anche delle sue particolarità (tipo l'esposizione di una teoria scientifica o anche la produzione di un'opera d'artigianato). In generale sarei propenso a dire che l'esercizio dell'intelligenza è strettamente connesso ad una maggiore o minore aggressività individuale in termini di azioni nei confronti dell'ambiente
#1503
Tematiche Filosofiche / Sostanza dell'essere
13 Dicembre 2021, 15:27:10 PM
Non so se ho ben capito, ma se vuoi dare a una pietra la consistenza di una idea dovremmo chiederci come mai il cane sappia (conosce) che se tocco il guinzaglio è ora di andare in giro. Quella è l'idea, ovvero una categorizzazione di azione nell'ambito di una scena. Il guinzaglio resta come forma sensibile. Il processo è identico a quello umano, penso. Quel che ha fatto la differenza nel passaggio all'umano, nell'andare oltre fino a determinare la strutturazione di un linguaggio che diverrà infine linguaggio di essere consapevole di se stesso fu dato dalle conseguenze della specializzazione nella segmentazione delle azioni per gestire pure la cura del fuoco, con indotti tecnologici che perdurano all'oggi. Non era Nietzche che ce l'aveva con gli adoratori del fuoco? Avrà pur avuto qualche buon motivo. Fatale fu, in questa piccola narrazione personale, quando categorizzammo l'azione di "parlare".
Per quel che riguarda l'essere mi ricordo che un giorno pensai che qualora fossi mai riuscito un giorno a "misurarmi" in un dato momento, proprio in quel momento sarei scomparso dal mondo. Però c'è qualcosa in te che non cambia da quando nasci a quando muori. Cmq, secondo me ha senso chiedersi cosa sia l'essere, ha senso almeno per schiarire una via che sembra sempre più smarrita
#1504
Tematiche Filosofiche / Sostanza dell'essere
10 Dicembre 2021, 08:13:14 AM
@iano
Sai ben che il mio pensiero intende che noi possiamo conoscere della realtà solo ciò che nella realtà è significativo. A tali significazioni noi umani siamo usi a dare un nome, ad esempio Dio, atomo, coscienza, l'essere, pietra etc. Accade pure che parole tipo Dio, oppure coscienza, oppure l'essere, non abbiano dei riscontri sensibili nella realtà condivisa.
Dopodiché, ogni sostantivo rappresenta un'idea, un'astrazione, ma il suo contenuto non è necessariamente intersoggettivo, nel senso che l'albero non ha la stessa significatività per una persona che vive nel deserto e trova un albero che per una persona che vive nelle alpi e trova un albero. Nel senso che l'albero può avere varie funzionalità che possono anche generare polemos. Però se ti rivolgi ad un vocabolario l'idea di albero diviene intersoggettiva al cento per cento.
All'essere manca un riscontro sensibile, ma il suo potenziale esser sensibile non sta nella natura come l'albero, bensì sta nella natura, quella che comprende i nostri discorsi, ovvero il suo esser sensibile sta nel nostro udire o leggere delle parole che cercano di inquadrarlo.
Ci intendiamo su questa base?
#1505
Tematiche Filosofiche / Sostanza dell'essere
07 Dicembre 2021, 10:56:53 AM

"A me gli aspetti dell'essere sembrano molteplici e diversi sono i gradi in cui li percepiamo."
Non mi è molto chiara questa tua affermazione, cmq proviamo ad andare oltre. Porre il problema dell "essere", fintanto che non si riesca a definirlo in termini abbastanza soddisfacenti equivale per me mettere sul piatto una sensazione, ovvero la sensazione dell'esistenza dell'essere. Sembra che tutti lo si percepisca, io compreso, ma non so di preciso quale sia la prova della sua effettiva esistenza al di là  della semplice parola che lo rappresenta (per me lo stesso vale anche per la parola Dio, o per la parola Coscienza). Tra l'altro ricordo che nel topic dove si parlava del senso della storia umana senza Dio tu mettevi in dubbio l'esistenza del concetto "storia umana".
Ora accade che io sia poco competente in storia della filosofia, quindi che possa dire delle stupidaggini, ma mi son fatto la sensazione che la filosofia non abbia risposto in modo esauriente quali siano le fattezze dell'essere. Non so se, da ultimo Heidegger, nel suo accostarlo al tempo, forse a farlo coincidere col tempo, ne abbia dato un'idea esaustiva. Ma se i suoi insegnamenti legittimano ad esempio l'emersione dell'idea che l'essere umano sia dominato dalla volontà di dominio, non riconoscendomi in questo atteggiamento non posso far altro che contestarlo (se non Heidegger, l'emersione di quell'idea). Non sarebbe cioè questo ciò che produce l'essere attraverso le immagini che io raccolgo dal divenire.
Ti rimando a questo punto al mio post precedente in cui esprimo io (la mia sensazione) dove dovrebbe svolgersi la ricerca dell'essere in modo tale da farlo apparire più chiaro, ma forse pure più scomodo (la duplicità nella sua unità). Ricordo tra l'altro quello che ha detto Ipazia circa l'unità psicofisica che ti porti dentro dalla nascita alla morte e Jacopus nel dire che le cellule del sistema nervoso son sempre quelle, non ricambiandosi, e suggerendo tra l'altro che lui cercherebbe semmai lì, se ci fosse, la sostanza dell'essere. E pure Viator con la sua definizione di "essere" come una condizione per cui ... le cose accadono. Per me, questi ultimi e molti altri non qui citati, rappresenterebbero tutta una serie di tasselli che concorrerebbero alla formazione di un quadro che dovrebbe risultare infine coerente
#1506
Tematiche Filosofiche / Sostanza dell'essere
06 Dicembre 2021, 07:48:50 AM
Un'intelligenza, la nostra, tanto fuori dal coro da risultare perfino stonata. A parte che saranno i posteri a valutare il successo della nostra specie, volevo esprimere un pensiero. Se l'evidenza della materia sta nell'atomo (presempio l'idrogeno: una carica positiva e una negativa) e l'evidenza della vita di un vivente sta nel rapporto tra bene e male (anche qui vige un gioco tra positivo e negativo), non vedo per quale motivo nelle nostre attenzioni all' essere tale duplice aspetto così pervasivo non sia posto in evidenza. O meglio, il motivo c'è, ma lo si fa ricadere nella metafisica
#1507
Tematiche Filosofiche / Re:Sostanza dell'essere
04 Dicembre 2021, 21:47:53 PM
Coscienza, Essere, a sentire sin qui i discorsi a me vien quasi da pensare che si tratti della stessa cosa, due termini fuggevoli e pure così pregnanti. Certo dovrebbe essere che siamo gli unici ad usarli. Ma quella che noi chiamiamo "coscienza" non possiamo trasporla al mondo degli atomi? Può esserci qualcosa di assimilabile alla coscienza in un atomo? Uno status di quell'ente che lo mette in relazione all'ambiente? Concetti tipo l'affinità elettronica oppure l'elettronegatività, oppure il punto di fusione, o quello di ebollizione, non rappresentano in qualche modo la conoscenza che non è saputa dall'atomo stesso eppure che determina la sue forme di vita in relazione alle sue potenziali azioni? La coscienza potrebbe pertanto essere uno status che ti permette uno spazio di gioco più o meno ampio, più o meno costretto rispetto all'ambiente che ti sovrasta
#1508
Anche le tartarughe quando escono dalla sabbia sanno dove andare ad incontrare l'acqua del mare. Partendo da lì, la realtà, anche se non si è esseri umani, sta in primo luogo dentro il nostro essere individui ed è cosa individuale in quanto selezionata in corso di vivere. Selezionata dalle nostre pulsioni, emozioni, sensazioni, passioni, paure, fobìe etc. etc. Però non si può comprendere tutta la realtà. Se non fossimo così antropocentrati, io mi levo fuori dal circolo, la cosa sembrerebbe quasi autoevidente. La realtà parallela, quella che sta fuori di noi e di cui cerchiamo di farci immagine confrontadoci col nostro simile, quella che esperiamo individualmente, spesso accidentalmente, e che accertiamo con una metodologia che sembra essere della stessa natura del metodo scientifico, quella infine di cui parliamo spesso senza capirci, arriverebbe con un attimo di ritardo temporale rispetto a quella interna, tanto che in questo ritardo andrebbe poi a costituirsi verbalmente e mentalmente la sua non oggettività. Sembra quasi un paso doble!
#1509
Citazione di: iano il 30 Novembre 2021, 01:38:04 AM
Anche se non lo conosciamo, noi siamo noi in base a un preciso senso.
Nel momento in cui trovassimo quel senso non saremmo più noi, perché una volta noto il senso esso diverrebbe soggetto al dubbio e conseguente confutazione.
Ma che il senso secondo il quale percepiamo la nostra individualità inizi a mostrare le sue crepe lo si evince dalle diverse problematicità che mi sembrano ormai argomento di cronaca .
Fra questi argomenti quello a me più caro è il rifiuto della tecnologia come cosa altra da noi, perché non riusciamo a percepirla come nostra parte .
La additiamo come causa di alienazione, e sicuramente non si può che sentirsi alienati quando rifiutiamo di percepire una parte di noi, o se si preferisce, manchiamo di ridefinire la nostra individualità.
Non è facile ridefinire ciò che ci è ignoto, ma prima o poi ciò che è ignoto inizia a mostrarsi .


A tal proposito mi chiedo, restando alla cronaca ,se gran parte del lavoro per produrre i vaccini è fatto dalla intelligenza artificiale, e se noi rifiutiamo l'intelligenza artificiale come disumana, allora perciò rifiutiamo il vaccino?
Sarà un caso, ma prima di ciò i vaccini non venivano rifiutati.
Però ammetto, è solo un vago indizio, che vale solo come possibile esempio.
Ma il fatto è che in questo strano e imprevisto  caso del vaccino  nessuno riesce a trovarci un senso, come se lo avessimo smarrito , come se si stesse avverando  l'apocalittico regno della confutazione.



Bravo iano, contrariamente ad altri tuoi post che non riesco del tutto a seguire, questo mi sembra molto chiaro.
Nella prima parte del tuo intervento immagino che tu voglia dire che una volta conquistata una certezza (verità per te) questa divenga una nuova base sulla quale tu puoi muoverti e che comunque produrrà nuova incertezza (c'è ancora bisogno di una verità da raggiungere) . Trasponendo ad una collettività il discorso, noto come sia in uso dire che l'unione fa la forza, ma ciò che fa emergere un'Unione (in linea teorica – ovvero fintanto che le malefedi non intervergano anch'esse a comporla) dovrebbe essere una comune verità. Essendo poi che l'Unione si manifesta con una prassi, nel momento in cui detta Unione trovi una critica nella prassi, se la critica è ben posta potrebbe indebolirla (ovvero indebolire la verità che la tiene in piedi) quanto più tale critica fosse via via più condivisa. La domanda a questo punto diventa: Cos è che si critica? Ciò che sta all'interno dell'unione (discorsi sulle prassi da mettere in atto), oppure il fondamento dell'unione?
Io penso che allo stato attuale sia in corso d'opera una critica inconsapevole al fondamento dell'Unione.


Dopodiché parli di crepe nel nostro senso di percepire e porti ad esempio il rifiuto della tecnologia come cosa che percepiamo "altra" da noi. Ingrandisco l'osservazione facendo notare che percepiamo tutto come "altro" da noi, anche la nostra terra. Termini poi il periodo dicendo che prima o poi ciò che è ignoto comincia a mostrarsi.
Giusto.


Poi concludi con una domanda. In risposta, sarebbe ragionevole pensare che tutti acclamino al vaccino, se le cose in seno all'Unione fossero percepite in modo omogeneo. Per quel che mi riguarda non so dare giudizi sull'intelligenza artificiale (non la conosco). Forse non mi è chiaro quel che vuoi dire poi sul senso del vaccino, ma provo a dare la mia versione. Per come la vedo io la causa del senso smarrito di cui parli sta proprio nella parentesi che ho aperto dopo aver parlato di ciò che fa emergere un'Unione. Infatti dicevo : in linea teorica, ovvero fintanto che non intervenga pure la malafede tra coloro che vanno a comporla. Mi sembra fosse sant'Agostino che diceva che uno mente quando pensa una cosa e fa qualcosa di diverso, quindi la malafede può cambiare veste a seconda che si tratti di contraddizioni più o meno inconsapevoli, oppure nel caso di mettere in atto una truffa. Quanto infine può pesare la presenza della falsità degli individui nel disorientare il nostro senso smarrito? Quanto pesa questa maschera che ci portiamo sempre appresso nell'ostacolare la visione chiara di un nuovo orizzonte collettivo? Ciao
#1510
Citazione di: Alexander il 26 Novembre 2021, 09:24:06 AM
Buondì a tutti


Riprendo una riflessione apparsa in alcuni post che sostiene: se ci fosse un unico significato, certo ed evidente, della storia umana questa finirebbe per perdere il suo appeal. Tanti significati/sensi soggettivi invece l'arricchiscono, la rendono imprevedibile. Ognuno di noi può cercare il SUO senso all'interno di questa vanità oggettiva di significato. Potremmo quasi dire che i lavoratori dell'ipotetica vigna troverebbero maggior piacere sapendo che non lavorano in vista della vendemmia, ma per il proprio piacere personale , con nessun altro obiettivo se non quello di "realizzarsi" in quello che stanno facendo. All'apparenza sembrerebbe quasi un vantaggio. Consideriamo però la visione opposta:se i lavoratori della vigna del padrone lavorano in vista della vendemmia, la loro fatica non è vana, in quanto finalizzata al raggiungimento di un risultato.  Naturalmente la vendemmia non potrà essere un evento freddo, anonimo, puramente "tecnico", ma invece dovrà essere una FESTA. In ogni caso qualcosa di "buono". In Genesi appare l'idea del sabato, cioè del momento in cui ci si ferma  e si vede che le cose fatte sono buone, e si GIOISCE di questo . Così il lavoratore che partecipa alla festa della vendemmia realizza che la sua fatica è stata buona, benfatta (BENE fatta-costituita di bene).Il faticare dell'individuo NELLA storia, nel suo svolgersi, non sarà più in balìa di un umore soggettivo, di un'incertezza di senso, di un sentirsi abbandonati in una vigna priva di padrone, costantemente in lotta con infestanti e uccelli ladri, senza che mai possa vedersi una fine a questa lotta, senza l'evento finale, l'epilogo dela storia:la vendemmia. Se però c'è un padrone/Autore che dà un significato a questa fatica, seppure strano, dal comportamento apparentemente incomprensibile, che fa arrabbiare i lavoratori, che si sentono ingiustamente presi in giro, la fatica stessa diviene fonte di gioia. La fatica acquista un senso. Il significato di una cosa non può stare nella cosa stessa. Il significato della fatica di vivere non può dimorare nella vita stessa, che è solo condizione. La vigna da sola non può fornire un senso , in mancanza della vendemmia finale. La storia umana, in mancanza di una "vendemmia" come gioioso epilogo, mi appare quindi proprio come quella vigna sterile, che non produrrà mai, in definitiva, un SABATO.


Buondì Alexander. Essendo uno che non si pone più di tanto il problema dell'esistenza di Dio, facendo riferimento ad una "rivelazione", penso che se Dio dovesse manifestarsi, cercando anche di ridurre gli accesi antagonismi tra atei e credenti, lo farebbe tramite una persona che fosse in grado di lanciare un messaggio ecumenico. E' la persona, o Dio che agisce tramite la persona? Boh! Nel nostro passato occidentale, conosco un solo messaggio ecumenico ... tolomeo copernico . Ecumenico occidentale però, giacché non tutti i popoli della terra la pensavano allo stesso modo. Vi erano pure anche altre astro-logie.
Tu vorresti giustamente un Autore ... Trova quella persona e avrai trovato Dio, sia per il credente che per l'ateo, senza quella persona Dio resta oscuro, sempre sia per il credente che per l'ateo. Tieni pur conto che c'è sempre un ribelle che vende cara la pelle

#1511
Citazione di: Phil il 24 Novembre 2021, 18:48:58 PM
@daniele22

L'infalsificabilità di un dio e l'infalsificabilità di alcune doxa sono forse i due estremi che racchiudono il campo del "senso" esistenziale: da un lato il Senso sommamente assoluto (sovrastorico, trascendente, etc.), dall'altro la "semantica" soggettivistica, contingente e potenzialmente mutevole. Su tale mutevolezza: concordo che non sia facile, in età adulta, mettere in questione le proprie doxa, perché ciò richiederebbe tempo ed energie mentali (e magari strumenti "da adulti", come la filosofia) che non sempre sono a disposizione. Lo dimostra la tendenza alla semplificazione, alla polarizzazione (come accennato prima), alla resistenza al cambiamento di prospettiva, la pulsione ad identificarsi con un "noi che la pensiamo così", etc. abbandonata la famiglia originaria, che dà regole e protezione, anche da adulti cerchiamo "clan", "branchi" e fazioni che ci diano regole e protezione a patto di condividerne i principi e l'identificazione; esattamente il contrario della situazione di rischio (esistenziale, psicologico, sociale, etc.) che richiederebbe una doxa esposta a continua autocritica (è più agevole "difendere" la propria prospettiva dall'interno piuttosto che collaborare a "collaudarla" con chi è all'esterno; d'altronde il comfort psicologico è un'esigenza, e lo dico senza sarcasmo alcuno, per cui una continua autoanalisi è un gioco che potrebbe non valere la candela, soprattutto se ci si incaglia in falsi problemi...).





Forse mi hai frainteso. Non intendevo mettere in questione le proprie opinioni nel senso di doverle negare. Se nemmeno la scienza (l'episteme) può falsificarle, come potremmo deciderle sulla base di opinioni che si trovano deficitarie di una solida base d'appoggio. Intendevo in realtà di riaggiustarle, di ridimensionarle, alla luce del fatto che nel transito dall'adolescenza all'essere adulto cambia prepotentemente il tema principale delle nostre attenzioni. Vi sarebbe cioè qualcosa di inaudito alla nostra esperienza giovanile che interviene in campo nel passaggio dal mondo del gioco e dello studio al mondo del lavoro. Perché prepotentemente e pure inaudito? Perché verrebbe a cambiare di gran lunga il valore del premiato rispetto a quello dello squalificato, o del premiato minormente, soprattutto in termini spirituali e materiali. Vi sarebbe cioè a mio avviso un sovradimensionamento di questi due carichi che, pur traendo origine in natura, peserebbero in modo poco naturale (naturale, ma patologico secondo il mio punto di vista) permanentemente nelle nostre vite. Naturalmente quelli che stanno nel mondo di sotto possiedono una maggiore sensibilità a rilevare questo status di opprimente sudditanza. Non che quelli che stanno di sopra ne siano avulsi, ma questa è altra storia.
Pertanto, ognuno si tenga pure la propria opinione maturatasi in seno alla propria storia, ma contiamoci almeno in parlamento. Dico ... Spetta alla sinistra cogliere la voce che non vede, o che non vuole sentire (opto per la seconda). Ci vorrebbe cioè un movimento con almeno un valore, oltre a quello della propria vita, che determini per le persone che lo condividono la messa in atto di una politica trasparente agli occhi di quelle stesse persone. Una politica cioè volta chiaramente a quel valore. Ovvio che l'economia debba riferirsi a quel valore e altrettanto ovvio che si possa pagare dazio, in cambio però di qualcosa d'altro



#1512
Leggendo gli ultimi post, mi vien da dire che se volessimo trovare un senso per la vita si dovrebbe prendere atto del fatto che da quelle doxa citate da Phil (ricordo anche Ipazia: "Nell'orizzonte ideologico di senso ci sta pure la scienza. Allo stato attuale della cui falsificabilità, il bigbang se la gioca alla pari col creazionismo teistico, marziani e sospensione di giudizio.") si produce di fatto la nostra storia individuale e umana. Quindi, se è vero che l'idea di Dio non è falsificabile in quanto dogmatica, resta pur sempre un fatto che la scienza non possa falsificare le doxa di tizio caio sempronio e philonio. Tutto ciò giustifica per intero un comportamento senza fallo alcuno per la propria opinione.


Volevo poi fare una considerazione sulla produzione delle doxa di carattere esistenziale, tenendo presente che di fatto dovrebbe essere un problema di fondo a generarle.  Ebbene, secondo voi, i contenuti di tali opinioni non potrebbero essere innescati da una deriva dei nostri comportamenti pregressi di fronte alla realtà (dalla tenera età alla tarda adolescenza, età presumibile in cui l'orizzonte delle nostre attenzioni si rivolge a tematiche esistenziali)? Sarebbe cioè mera opinione il pensare che si abbia la tendenza a costruirci delle teorie che giustifichino il proprio "senso della vita o della storia" sulla base degli individuali pregressi comportamentali? In questo caso bisognerebbe rilevare che i vari "sensi", opinioni, sarebbero viziate ab ovo non avendo mai subito di sicuro un'autocritica in precedenza. Quanto saremmo disposti semmai a riaggiustarli, dato pure che questo accadrebbe quando passiamo dallo stato di reclute a quello di effettivi nel mondo degli adulti? Io ho la sensazione che le doxa si riaggiusterebbero se non vi fosse il gravio del mondo del lavoro così com'è attualmente
#1513

Per la nostra testa, a qualsiasi fatto che notiamo (che di fatto diviene storico) diamo implicitamente un senso (a meno che non si tratti di fatti routinari). Credere il contrario significherebbe per me ammettere l'oggettività del reale (ammetto infatti solo l'intersoggettività, ma questo è un altro discorso).


Premesso ciò mi chiedo quale possa essere individualmente il nostro senso per la vita se non quello di vivere decentemente?

La risposta alla domanda si esplicita nelle nostre pratiche quando diamo un senso ai nostri gesti, sia rivolgendoci ai prossimi 5 minuti come ai prossimi 5 anni. Ognuno lo fa in modi diversi (sia assecondando Dio che senza assecondarlo). Da ultimo viene il senso della vita che si rivolge ai problemi esistenziali (c'è chi ha più interessi materiali e chi meno materiali). Vi sono insomma delle sfere temporali sotto l'occhio delle quali noi rivolgiamo il senso dei nostri gesti. Per quel che ne so io, l'ultima viene spesso un po' bistrattata se non messa a margine.
Ma sempre per quel che ne so io, ancora quest'ultima, nelle gesta a lei dedicata (mosse da religioni o ideologie), è solo un amplificazione spontanea del gesto di senso rivolto ai 5 minuti o ai 5 anni.


Dopodiché, la sommatoria dell'agire di ciascun individuo del pianeta, col concorso di queste sfere d'azione, produce quel che vediamo, tutto in corso d'opera, sia la nostra vita individuale che la storia umana, quest'ultima per chi se ne interessa
#1514
Sì, se così fosse. Ma mi riferivo più che altro al rapporto che vi è tra il maschio ed il coraggio. Nell'immaginario collettivo, per varie ragioni, il coraggio è prevalentemente associato alla virilità. Sarebbe punto di debolezza soprattutto per il maschio un'espressione del tipo "non lo faccio .. ho paura". Il maschio concede alla femmina l'aver paura senza che la dignità di questa ne venga più di tanto scalfita. Naturalmente, dall'alto della sua superbia, non si cura nemmeno di interpellare la femmina in proposito. Ma il coraggio non si esprime solo attraverso funamboliche piroette mentali o corporee che siano, ma si può esprimere anche dicendo no. Il prezzo può esser carissimo per un singolo o per pochi, ma non per una nutrita schiera di individui. Le persone non sono lobotomizzate del tutto, percepiscono malessere, ma non riescono ancora a razionalizzarlo in modo soddisfacente. Questa è la complicità forse prettamente maschile che io imputo nel processo di sostentamento del sistema
#1515
Ho capito. Concordo, forse è solo perché sono un uomo che percepisco una complicità