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Messaggi - green demetr

#1561
Tematiche Filosofiche / Caso e necessità.
15 Gennaio 2022, 22:21:41 PM
Non ho ben capito dove risieda la novità del pensiero.

Allora provo a riassumere, vediamo se ho capito.
Tu dici che l'indecidibilità sia comunque all'interno di una necessità.
Questo però andrebbe contro i principi di godel, che ha confutato l'impossibilità per un sistema di essere coerente al suo interno.
Ossia che necessiti di un altro piano che ne affermi i principi.

Ma dunque prendiamo i 2 casi.

Nel primo caso, quello classico, ammettiamo che i principi sia coerenti in base ai risultati di una ricerca random.
Nel secondo caso, ammettiamo che il sistema B dia al sistema A i principi necessari a che A scopra la sua coerenza interiore come nel caso classico.

Ora la necessità nel caso di A sia quella che i principi indeterminabili, siano dei fattori statistici che rispecchiano una legge altrimenti indecidibile.
La necessità nel caso B invece è la stessa legge statistica che decide della coerenza del sistema A.
Diciamo che il tuo discorso è forse capibile all'interno dell'esempio classico, dove la necessità è determinata a posteriori e quindi idecidibile se non nel suo farsi, perciò approsimativa.
Nel caso due invece è evidente l'aporia, infatti staresti dicendo che esiste una statistica che preveda una coerenza, ma questa coerenza in realtà è stata data soltato a posteriori, e il sistema B è la patch con cui la scienza si fa guerra in questi giorni sulla supposta coerenza interna DECIDIBILE.

In un qual senso penso di capire cosa intendi, all'interno di un sistema indecidibile, affermi non la coerenza come punto focale, ma la necessità stessa come chiave di lettura.

Rimane la critica che ha fatto bobmax comunque inaggirabile, infatti nessuno può dire che esista una necessità (men che meno nel caso in cui si lavori in un campo univoco, infatti le necessità sono tante e quante la legge statistica viene costruita).
Voglio dire che esisterebbe un grado di indecidibilità della necessità, il che è aporetico.

Comunque è interessante il cambio del punto di vista focale, in fin dei conti non è proprio quella che fa l'idelismo tedesco? Ossia partire a priori dal dato di una necessità, e poi svolgendo i suoi temi sulla indecidibilità. delle preposizioni.

A livello di matematica però non funziona nè nel primo caso, nè a maggior ragione, nel secondo caso.
O forse non ho capito bene il tuo pensiero.
#1562
Citazione di: Ipazia il 15 Gennaio 2022, 21:45:04 PM
Che la realtà obbedisca sovente all'eterogenesi dei fini sono l'ultima a negarlo. Ancor più spesso è generata da un'eterogenesi dei casi, inclusiva di chi non ha nemmeno la possibilità di possedere dei fini.

Ma ciò non vale nella ricerca scientifica, sia essa disinteressata o sponsorizzata. Semmai saranno i risultati della ricerca a seguire strade impreviste. Ma l'intenzionalità c'è, pesa, e condiziona il mondo del sapere. E la verità, possibile e transeunte, a cui attingiamo la nostra visione del mondo.


Ciao Ipazia, potremmo ben dire che però nell'eterogenesi dei fini si ha bisogno proprio della capacità tecnica di piegare l'opinione altrui.


In questo senso la scienza è di per se l'arma più potente. Non capisco perchè leggerlo come una questione impersonale sia tanto un problema (sto leggendo Preve).


In questo senso la tecnica usata politicamente (per il bene o il male che sia) ha comunque un effetto prevaricante, e questa prevaricazione crea un cortocircuito impazzito per cui poi qualsiasi comunismo decade.

Mi pare che la tua fede nella scienza (benefica o positiva che sia) manchi del buon senso di capire questa cosa (ossia come giustamente nota daniele, che la scienza è automaticamente una questione di prevaricazione umana, la scienza essendo fatta da uomini: che è una cosa storica tra l'altro!!!
???
Mi interessa tantissimo questo crocevia interessantissimo tra pensiero di sinistra e quello di destra.


Infatti in parte riconosco che l'accettazione passiva di un tale assunto, appunto la tecnica come destino del male sia una forma ideologica propria della borghesia imbolsita e incapace di dialogare col proletariato.
Dico in parte perchè non necessariamente l'accettazione porta ad un pensiero passivo (ma indubbiamente è giusta la critica previana).
Quante cose interessanti di cui parlare, è un peccato che forse ci fanno fuori  :D .
#1563
Citazione di: daniele22 il 13 Gennaio 2022, 12:23:44 PM

Tutti sappiamo quale sia la differenza tra una affermazione falsa ritenuta vera e una menzogna. Qual è il motivo per cui nella nostra società si dà, almeno apparentemente, così tanta importanza alla verità? E questo sembra innegabile quando si assistono a varie polemiche tra individui nei quali il motivo del contendere poggia sul determinare la verità di un fatto. A complicarci le cose interviene che molte nostre affermazioni, da altri ritenute false, non possano essere confutate sul piano logico. Sarà vero? Cosa può suggerire tutto ciò? La domanda che pongo infine è questa: Quale sarebbe il peso della falsità, quand'anche della menzogna, nel determinare le forme della nostra attuale realtà sociale?




La menzogna ha un peso rilevante nella nostra società poichè come insegna Macchiavelli, nasconde il vero obiettivo del politico.


Se io mento su un tema, non ho paura delle reazione del popolo, sia che il popolo la accetti, sia che non la accetti, l'importante è che non si accorga del vero intento del politico.
Poichè il popolo è distratto, il politico raduna l'esercito verso il luogo particolare da attaccare.
Dunque la menzogna è tattica, e la strategia è l'attacco militare (qui non è importante la distinzione se l'attacco sia interno o esterno).


Dunque al menzogna è una questione con cui si fa politica. Il politico che non mente, è uno sprovveduto.




Per quanto riguarda il tema della formalità della proposizione vera (o falsa) è legata alla questione giuridica, infatti la legge svia la realtà non tanto sui fatti avvenuti, bensì sulla loro interpretazione, di modo che i ricchi la fanno franca e i poveri no.
Basta che una proposizione sia indecidibile e il malvagio la fa franca.




La verità del fatto naturalmente è importante perchè riguarda l'utilità che ad essa si da priorità.


Se dunque è vero che il mio albero sconfina nel tuo giardino, ecco che il fatto che la parte dell'albero stia dentro il tuo giardino, vuol dire che l'albero è tuo.
E questo giuridicamente è vero.


Eppure è un fatto che l'albero è tuo e contemporaneamente mio.
Ma per evitare inutile spargimenti di sangue, la società ha bisogno di dare al fatto un grado di fatticità unilaterale.


In questo caso il fatto però esiste, comunque si tratta di un albero.


Chi invece mente dicendo che l'albero non è un albero Bè se uno non è scemo capiamo che siamo nell'ambito politico.


Dunque abbiamo un livello societario-unilaterale (giuridico), un livello giuridico-formale(politico) ed uno politico strategico (politico).


Dunque possiamo ben dire che la nostra società si basa sulla menzogna.


Ma la menzogna ha bisogno della verità.

Per questo la verità è così importante. Se non vi fosse verità, nessuno userebbe la menzogna per dominare.


Grazie degli elementi di riflessione, sono soddisfatto della mia risposta. (no non è una menzogna  ;) )
#1564
Citazione di: Jacopus il 15 Gennaio 2022, 17:08:59 PM
Ipazia. Quest'ultimo passo di Nietzsche è la prova di come il positivismo, se non diventa scientismo, sia fondamentale, per trovare un senso comune che superi il prospettivismo e che confuti il "parlare a caso" come a proposito degli istinti come "sete di dominio". Ne è stata fatta di strada a proposito della conoscenza dei nostri istinti, proprio grazie alla cultura "positivista", quella dei fatti oggettivi e i nostri istinti sono qualcosa di molto più complesso e variegato di una generica "sete di dominio".
Sete di dominio, nella descrizione nietzschiana, che ancora una volta riporta ad una visione distorta dell'uomo, o nel senso di auspicare una Civitas Dei, in grado di mondare l'uomo e la sua sete di dominio (posizione che Nietzsche, come noto, attacca), o nel senso di liberare quella "sete di dominio" dai suoi sensi di colpa, per permettere l'espressione creativa e totale dell'ubermensch. Nessuna delle due, queste sì, "interpretazioni" è reale. Questo discorso ne porta con sè, un altro. Ovvero quello di far parlare fra loro la filosofia e la scienza (in questo caso la biologia e le neuroscienze) poiché altrimenti restiamo appesi all'ipse dixit, oppure alla lettura della filosofia come un piacevole romanzo letterario alla Musil.


C'è scritto all'inzio: contro il positivismo!

Vedi come è bizzarra la lettura fallace del pensiero nicciano.

E' infatti nell'ordine delle cose, che il positivismo coltivi dentro di sè la pretesa del dominio della sua idea contro quello dell'altra.

Idem la lettura della psicologia sulla volontà di potenza.

La volontà di potenza non è qualcosa che si faccia addomesticare, ma invece proprio quella che determina le fantasie del positivismo (ossia il dominio dell'uno sull'altro) come ossessivamente da raggiungere.
E dunque opera una violenza supplettiva, direi crudele, sulla visione distruttiva delle istanze del positivismo.

La lettura di Musil non è qualcosa di piacevole, se si intende che le tempeste di Musil sono qualcosa anzitutto da introiettare.

Se non se ne ha la capacità è dovuto alla carenza affettiva, e la carenza affettiva è dovuta al vuoto pedagogico operato dal positivismo.

Affettivo qui intenso come sensibilità alla lettera, la lettera come educazione al sentimento.

Quando lessi i turbamenti del giovane torless, ne rimasi sconvolto, e quando pochi mesi iniziai a leggere (infine) l'uomo senza qualità, ne capii subito l'immensa portata.(ovviamente ho letto solo poche pagine iniziali  :D )

Vi sono autori che cambiano le vite, poichè ci portano a conoscere emozioni che noi abbiamo accuratamente sepolto o semplicemente non abbiamo mai vissuto.

Dunque leggere con piacevolezza questi autori, la dice lunga di molte altre cose, che però a me non interessano.
#1565
Citazione di: Kobayashi il 15 Gennaio 2022, 09:34:58 AM
A N. interessa spiegare la storia e la vicenda fisiologica di un valore, di un precetto morale, in modo che si realizzino due cose:
a) liberazione da quel valore che è sentito come un peso, come un meccanismo di assoggettamento (e va notato che la ricostruzione storica di tale valore può avvenire solo se già ci si sente distanti da tale valore, e lo si guarda come un problema);
b) e dopo l'epurazione ecco il momento positivo, cioè creare il proprio ideale, diventare legislatore di se stessi. La presenza di una positività, di un'offerta filosofica, diciamo così, secondo molti interpreti è un punto debole del pensiero di N., il quale non sarebbe andato al di là di una critica distruttiva. Invece bisogna capire che N. proprio in coerenza con il suo pensiero può essere al massimo l'"accompagnatore spirituale" di coloro che vogliono liberarsi dai precetti delle morali tradizionali e, arrivando a conoscere realmente se stessi, diventare quindi i legislatori di se stessi. Ma queste legislazioni non possono essere che singole, non possono che valere solo per il singolo individuo [su tutto ciò, il brano n.335, "Lode alla fisica!", in "La gaia scienza"].

Bisogna capire bene però da dove viene questo essere legislatori di se stessi.
Poichè se fosse così allora cadremmo di nuovo in una soggettività qualsiasi.
Il che mi pare strano e contradditorio rispetto al fatto che per Nietzche il soggetto è sempre fantastico.
Indubbiamente ad una prima lettura che va in profondità, ma non abbastanza, la questione della soggettività come appannaggio della religione (e del sacro) parrebbe portare ad un soggetto pronto a ri-giocarsi le carte del suo agire, o quantomento a ridefinire le strategie, e quindi di conseguenza le tattiche.

Ma in Nietzche il rapporto con l'originario è chiaro.
Infatti noi siamo deserti attraversati da un vento.

Il vento non è una questione del clichè storico-pragmatico come ti ha giustamente fatto notare
Paul.
Naturalmente come ho già spiegato a Paul, di quel vento Nietzche non parla.
O almeno non prima della parte prima.

Nella seconda parte, il viandante e la sua ombra, inizia (e anzi continua visto che lo scritto èstato scritto dopo lo zarathustra) la parte che contempla la vista dal deserto in cui siamo, dove si cominiciano a disegnare i temi più propri della filosofia nicciana.
La montagna, gli amici, l'allontanamento dagli amici (gli addii).

In questa seconda parte le questioni si complicano non poco e come ho già detto non riesco a seguirle fino in fondo.

Naturalmente ad una prima lettura di UTU le cose che meglio si ricordano sono quelle legate all'antimetafisica, che d'altronde tu meglio di Paul hai capito.
Ma nel contempo Paul legge meglio di te (virtualmente, poichè si ferma prima alla critica scientista del nostro) la questione dell'origine.

L'origine non si situa nelle tematiche del fenomeno, ma della relazione tra ciò che appare e ciò che teleologicamente lo porta ad apparire (il das ding di kantiana memoria).

Rendere relativo ciò che non può essere relativo vuol dire cadere nell'aporia.
Ma la metafisica si occupa della verità e non dell'opinione.
Ossia ricerca la relazione tra il das ding e il fenomeno.

Naturalmente la metafisica è caduta dall'essere all'oggetto.
E nel mondo degli oggetti, a mio parere, non si recupera niente dello spirituale.

Al massimo si collezionano idee e sentimenti.
Ma è appunto nel momento del collasso, ossia della disillusione che queste collezioni portano qualcosa di vero nella  nostra vita, che intuitivamente i filosofi più accorti intendono che il centro di gravità della felicità non sta nel feticcio, bensì nella relazione tra ciò che spira dal nostro animo, e il fenomeno.

In una analisi ulteriore e quindi ad un grado terzo di difficoltà, i massimi pensatori (Bruno, Leopardi, Nietzche) notano che il fenomeno ha un centro di gravità totalmente separato da quello che ci aspetteremmo.

Dunque se il soggetto è decentrato rispetto ai suoi feticci, il suo desiderio è decentrato rispetto ai fenomeni che osserva e indaga, ma non come oggetti bensì come relazioni.

dunque il soggetto che è decentrato rispetto alla collezione di oggetti che egli è e cioè decentrato rispetto alla natura, scopre astrattamente che il fenomeno appare lontano da quel logos che lui vorrebbe essere amico della natura.

esiste un logos del fenomeno che si avvita al male, e un logos del soggetto che si avvita alla relazione  con la natura (in quanto astrazione), e dunque pensa al male.

Il pensiero del male è esattamente il tema del destino, che nietzche chiama nichilismo.
leopardi più consonamente chiama natura, e gli ebrei chiamano male.

Dunque la natura è il male.

E l'astrazione da questo male è il bene.

Questo è il percorso delle religioni mitiche.

Ma i primi ad aver capito che tra il bene e il male esistono ulteriori entità, ossia gli angeli, sono stati gli ebrei.

Ma come poeta Rilke: chi oggi invoca gli angeli? chi è mai così pazzo da invocare il terrore fatto persona?

Oggi siamo bloccati in un pensiero borghese lassista, e senza alcun senso di marcia.

Eppure poeta Rilke o Lepardi; eppure di fronte al fenomeno quanti echi è in grado di percepire la nostra anima?

Sentiamo l'infinito,  chiamato sublime dai romantici.

Il pensiero Nicciano smaschera questo tema romantico, vede i fantasmi che abitano il romanticismo, e prefigura una via della luce, della ragione.

Ma questa ragione, ragiona con gli angeli.

Ragiona con l'infinito, senza volergli dare una maschera, è anzi consapevole delle infinite maschere che il soggetto di continuo è.
Egli le rifiuta tutte, questo è il compito dell'uomo morale.
E su questo penso tu kobayashi hai capito perfettamente l'input.

Ma rifiutare la maschera non significa cadere sull'oggetto.

Nietzche aveva una sua cosmologia, ma era irrilevante per la sua filosofia.

In quanto per dirla in breve, in quanto deserto, in quanto desertificato, e quindi senza maschera, ci scopriamo per quello che siamo contenitori di entità diverse.

Ma queste entità sono ciò che da origine alla vita. Ossia il vento.

Di questo vento noi possiamo parlarne, in quanto noi siamo deserti comunicanti.

Che cosa ci comunichiamo? Ci comunchiamo l'esistenza di queste forze naturali.

Queste forze naturali si chiamano angeli per la tradizione ebraica.

Ossia le forze del male.

Noi siamo testimoni della violenza inusitata e sproporzionata rispetto alla nostra desertificazione.

Ci accontentiamo dei cactus o al massimo dei cespugli volanti che popolano il nostro deserto, ma che ne sappiamo di quel vento?

Non sappiamo niente, se non che ci attraversano, e quando ci attraversano infiniti universi si agitano in noi.

Ma è solo un momento poi il vento cessa.

E di nuovo comunichiamo delle nostre tempeste, ad altri deserti.

E non è forse quello il LOGOS FONDAMENTALE?

Non è forse quello il luogo del pensiero, il pensiero non è forse l'esito di queste tempeste?

Non è forse la traccia di quello che è passato?

Perchè siamo comunicanti? Domanda che apre un mondo di fantasie, ma rimane il fatto che siamo comunicanti!

Il filosofo massimo parte da questa comunicazione, non si illude dei suoi fantasmi.

Anzi attende con apprensione e insieme desiderio che un nuovo vento lo colpisca lo investa lo ravvivi.

certi deserti invece credono che la risposta siano i cactus.

questa è la differenza tra l'uomo normale, e il il filosofo metafisico.

Per questo la filosofia è un intreccio necessariamente di logos e amore, o sentimento.

il logos si impianta, parte dagli sconvolgimenti dell'animo, ossia chiamiamo l'animo ciò che l'anima (anima mundi) lascia come traccia indelebile del suo passaggio.

Ecco perchè il bello, e l'arte e la poesia e la letteratura sono cose supreme.

Perchè ragionano con noi di questi passaggi.

Pensiamo a pensatori tellurici come Kafka, Dostoevskj o Rilke.

La loro capacità di portare il segno di questi passaggi, il vento che sembra magicamente passare dall'immaginario (il luogo dove il passaggio lascia la traccia) e portare a noi VIVO il senso di smarrimento rispetto a quei venti, a quelle tempeste.

Perchè mi sentivo vivo quando leggevo quegli autori? perchè mi hanno insegnato a ragionare di quei venti di quelle tempeste.

Vette insuperabili, a cui ci è toccato il dono di leggere.

Ma dentro di noi vi sono vette altrettanto alte. Le sappiamo comunicare, sappiamo lavorarci con i segni di quei passaggi?

Molto difficile. Ma dobbiamo essere onesti sul perchè non lo facciamo.
Per questo nessuno legge Nietzche e lui lo sapeva.





#1566
Citazione di: Kobayashi il 14 Gennaio 2022, 15:27:53 PM
Interpretazione molto interessante quella di Severino ma devo dire che la prima impressione è che esprima qualcosa di opposto allo spirito dei due brani più noti in cui Nietzsche parla dell'eterno ritorno ("Il peso più grande" [341] in "La gaia scienza" e "La visione e l'enigma" dello "Zarathustra").
Mi riferisco all'aspetto dell'eterno ritorno in quanto prova per capire fino a che punto si è pronti a dire sì alla vita. Prova che naturalmente se viene meno la "maledizione" della ripetizione all'infinito dello stesso istante perde completamente di senso, anzi, nell'ipotesi di poter cambiare la storia, e quindi anche la propria vicenda umana passata (ma poi come?), la singola azione non diventa troppo leggera?
Se poi il cambiare il passato viene inteso come semplice reinterpretazione della propria storia non mi sembra che la cosa abbia grande profondità filosofica: è infatti qualcosa che facciamo continuamente...
Ma devo leggere il testo di Severino per capirci qualcosa... mi riprometto di farlo nei prossimi mesi.


Credo Kobayashi che non dobbiamo leggere la volontà nicciana come una questione di azione nel mondo fisico, ma come di qualcosa di trascendente.
Comunque io e Jacopus ci stiamo riferendo ad una lezione che si trova su youtube non al libro intero.
Effettivamente prima dell'enigmatica pezzo dello zarathustra, ci sono i pezzi che parlando di cambiare la storia.
Quello che rimane enigmatico è comunque il pezzo sulla gaia scienza, non ho mai sentito alcuno pronunciarsi su quello.





#1567
Citazione di: Jacopus il 13 Gennaio 2022, 15:49:48 PM
Dico la mia solo sul punto 1 della discussione Paul/kobayashi, memore della lezione di Severino, facilmente rintracciabile su you tube. L'eterno ritorno non è il riproporsi di un mondo ciclico alla Vico ma qualcosa di più sofisticato che è collegato con l'immutabile, il divino e la creatività dell'uomo.
Sinteticamente, l'eterno ritorno è il contrario del ritorno ciclico della storia. In realtà è  la necessità di reimpossessarsi del passato, affinché il passato con la sua massa "fissata" dalla storia, non precluda la via all'eterno divenire. L'eterno ritorno è la figura sublime del mutare di tutte le cose e della necessità (non un sollen, specifica Severino) che il mutamento acquisisca anche la possibilità di mutare il passato, la storia, perché altrimenti quel accumularsi definitivo di eventi del passato non fa altro che distruggere la possibilità creativa dell'uomo e genericamente di tutto l'universo. Quindi non solo una teoria che abbandona la divinità e il suo servitore terrestre: la tradizione, ma una teoria che si affaccia al limite estremo del divenire, un divenire che deve intervenire, per realizzarsi, non solo nel futuro ma anche nel passato. L'eterno ritorno è quindi la possibilità di poter cambiare "filosoficamente" il passato o non considerarlo o reinventarlo, perché solo così è possibile il divenire come libertà e creatività dell'umano.
Ci sono ovviamente altre interpretazioni dell'eterno ritorno nietzschiano, ma questa di Severino mi sembra molto interessante e in grado di suscitare ulteriori riflessioni.


Molto bene!  ;)


Non vi è dubbio che la spiegazione di Severino è corretta.
Se non fosse che per Severino il tempo è la necessita della contraddizione originaria, ossia l'apparire del fenomeno.
Devo dire che Severino riesce a tematizzare la temporalità laddove Hegel ci lascia in eredità un bel punto interrogativo.

Peccato che la ricezione di Severino sia ancora embrionale in Italia.
In effetti ci sarebbe da pensare ancora molto. Una conferenza suppongo non possa esaurire la complessità di un libro intero (cit: Severino: l'anello del ritorno).
Anche se temo che Severino sterzi, portando il discorso sulle sue tematiche piuttosto che quelle di Nietzche.
#1568

IN BLU LE CONSIDERAZIONI DI PAUL

1) Nietzsche non si pone il problema di come l'universo si sia costituito, lo prende come dato di fatto ,da non considerare l'origine dell'universo.

Paul cosa c'entra l'origine dell'universo con la cultura?
Ricordiamoci che Nietzche non è un metafisico, non nel senso classico almeno.
L'origine dell'universo è solo una teoria, un matema.
Nulla infatti mi vieta di pensare l'universo come infinito e increato.

2) E' la ragione, la facoltà intellettiva il discrimine che origina la morale. L'uomo "ragionevole" per Nietzsche non è morale: e questo è un enorme errore. Si dice infatti che la natura ,gli animali privi di ragione ,non siano morali, l'uomo non è identico alla natura e Nietzsche daccapo non capisce la differenza fra natura e cultura. Non la supera affatto ,non avendola compresa.

Nietzche non critica la natura, ma critica la cultura.
Il soggetto morale non è un soggetto naturale.
Non vi è insomma la solita contrapposizione tra naturale e culturale (che per esempio anima secondo alcuni il pensiero antico, anche se io nego anche questa ipotesi).
Nietzche è un critico del Platone etico-morale.
Sebbene io identifichi l'etica come un processo di morale critica piuttosto che di morale naturale (come invece ho appreso recentemente da Cacciari sia la vera radice significante)
Insomma capisco benissimo Nietzche che la morale o etica che si voglia dire è una morale dell'uomo che si eleva criticamente sul mero dato di fatto (che per Nietzche appunto non esiste in quanto tale, ma in quanto processo storico).
Ma in fin dei conti la questione di questa critca morale è a monte, appunto nella nuova metafisica che disegna, tramite domande e indicazioni sulle future nuove strade dell'umanità (il superuomo per abbreviare).
L'uomo che va tratteggiando nei pezzi da te citati, non è il superuomo, ma l'uomo normale, normato, non naturale, anzi giammai naturale.
Ma siccome il giammai naturale, si è rivelato un pensiero troppo in là per te ed altri amici del forum, possiamo anche rimanere al fatto che Nietzche non è interessato all'uomo naturale.
Dunque non è una questione che non distingue, la distinzione è reputata cioè scorretta in termini analitici(critici), nel substrato superiore che noi chiamiamo linguaggio.
Se il linguaggio determina qualsiasi fatto, allora anche il fatto naturale, sarà artificioso (e dunque non naturale).
Per recuperare la naturalità possiamo cioè dire che l'uomo deve trascendere il proprio discorso, ed arrivare al pessimismo Leopardiano.
Nietzche e Leopardi pensano la stessa cosa.
La naturalità è l'apparire del destino mortale e illusorio del mondo.
Dove l'illusione e il mondo sono concetti umani e il destino è il concetto metafisico.
Rispetto alla metafisica classica manca la relazione tra natura (matrigna) e umanità, ma questo perchè sia Nietzche che Leopardi vedono chiaramente la relazione come una illusione.
Altri come Hegel o Kant o Platone o Aristotele vedono una ordinazione.
Altri ancora come te Paul o me o Heidegger, ragioniamo sull'ordinazione in fieri, ovvero come destino (non ancora scritto).   
Una ordinazione in fieri, una lavoro di comunione filosofica questa è per la metafiscia classica la strada.
Ma per Nietzche questo lavoro è stato anzitutto dimenticato, e poi reso impossibile dalla morale.
Sul fatto che non esista una etica naturale in Nietzche di livello metafisico come da Platone a Leopardi, ci porta poi a pensare che il suo naturalismo meccanico sia inferiore a quello dei pensatori su menzionati.
Abbiamo già detto che accogliamo volentieri questa critica, ma bisogna capire come mai il nostro non ragioni e mediti su questo particolare segno fenomenico.
Perchè egli non fa altro che una cronistoria di come stanno le cose: che il meccanicismo e lo scientismo sono l'oggi e che questo oggi è determinato da questioni del passato.
Ossia possiamo immaginare che Nietzche avesse a mente questo meccanicismo, ma che lo adottasse solo per i suoi fini, ossia quello di smontarlo pezzo a pezzo fino a distruggerlo.
Non era interessato dunque al meccanicismo in sè, ma del come si fosse giunti alla sua accettazione, al di là che probabilmente anche lui avesse in mente una sua cosmologia.
Noi gli rimproveriamo questo calo di concentrazione, ma teniamo conto che veniamo da un secolo di grandi rivolgimenti scientifici dove ogni cosa certa è stata smantellata e sostituita da modelli e teorie per lo più di origini statistica.
Nietzche viveva ancora in un periodo di certezze fisiche.
Ma la sua grandezza viene da un pensiero molto più originario.
Per noi metafisici si tratta di trovare quelle traiettorie del pensiero che si intersecano col Maestro, che senso ha Paul concentrarsi sulle sue mancanze.
Sono mancanze per noi ricordiamocelo, non possiamo estenderle universalmente. O almeno non possiamo pretenderlo da un anti-metafisico come Nietzche.


3) l'irresponsabilità nasce dalla considerazione che non essendovi morale l'uomo non è responsabile degli effetti delle azioni, ma non solo l'uomo non ha una libera volontà.
Apre al concetto utilitaristico moderno che surroga la morale. Nietzsche è un conformista, altro che profeta rivoluzionario.


No appunto lui insieme ai moralisti francesi critica l'utilitarismo.
Semplicemente descrive la modalità in cui l'uomo si appiattisce, rinunciando alla libera volontà.
Non vuol dire affatto che egli vi partecipi.


4) l'uomo saggio di Nietzsche è un vaneggiamento privo di fondamenta ragionevoli. Cosa significa saggio? Socrate e Platone lo definiscono al contrario di Nietzsche, in quanto uomo di conoscenza, di morale e di responsabilità.

L'uomo Socratico è un uomo ordinato (al bene), il super-uomo è l'uomo che convive con il caos (Leopardi).
Ossia non esiste alcun bene (Leopardi).
Possiamo ben dire che Leopardi e Nietzche sono le gigantomachie che guardano negli occhi la morte e decidono che la morte sia il male.
E dunque desiderano la morte, poichè desiderare la morte è il sacrificio supremo.
L'uomo greco invece si ordina a morire.
Per entrambi la metafisica è l'ordine del discorso che attendendo la morte si fa comunità, ossia entrambi puntano l'oltrepassamento del terrore della morte.
Entrambi abbattono la madre.
E questo è eroico e immortale.
Perciò non resta che morire stoicamente come fece Socrate.
Eroico e immortale è cioè proprio questo morire.
E questa è la saggezza di tutti i tempi.
La razionalità a cui invece tu ti riferisci è una semplice modalità dell'intelletto, ma l'intelletto non è ancora anima, e l'anima non è ancora Dio.
Dunque perchè pensare che la razionalità sia il cuore pulsante della filosofia?
Non lo è affatto.
La razionalità è solo un mezzo per arrivare alla metafisica, ma ve ne sono altri.
Nietzche ha tracciato una nuova strada con le sue sole forze: lo trovo straordinario, sopratutto perchè l'orizzonte che dischiude è molto più ampio di chi pretende l'ordinazione (sopratutto matematica come pretendevano i pessimi Platone e Aristotele).
Non sono mai stato con loro, anche oggi, in questo tempo che disperatamente avrebbe bisogno di imparare da Platone e Aristotele.
Io vedo la loro etica come una tappa, non una meta.
Ma suppongo che siano punti di vista.

5) Nietzsche è convinto di una evoluzione progressista, daccapo questo è conformismo positivista, in cui sono caduti tutti gli pseudo rivoluzionari moderni (che infatti non sono riusciti a cambiare di un niente il sistema cultur tecnico moderno), compreso lui stesso.

Direi proprio di no, basta che ti leggi i suoi pezzi giovanili contro la storia!
Anzi è proprio questa negazione del progresso della storia, che Nietzche è una lettura inutile per molti marxisti.
Ripeto tu stai a torto o a ragione criticando la questione del meccanicismo fisicalista in cui il nostro è caduto.
Ma Nietzche non si interessa a quello per niente!
Probabilmente come gli studiosi delle fonti di Nietzche hanno appurato, Nietzche si era fermato alle teorie di Bosckovic, in cui si respira l'atomismo di Lucrezio.
Dove in un sistema unitario a si muovono infinite particelle, infinite di numero ma non di traiettoria in quanto in un sistema unitario sono costrette a percorrere prima o poi lo stesso tragitto.(qualcuno ha unito questa teoria rivoluzionaria e ancora oggi poco studiata, mi pareva di aver capito all'epoca, con la questione dell'eterno ritorno, per cui anni fa dicevo che questa cosa dell'eterno ritorno, al massimo è la cosmologia di Nietzche, ma non vi sono elementi filosofici rilevanti, siamo noi, oggi che vediamo molto bene come i modelli scientifici una volta messi a soqquadro da Godel (una volta per tutte) sono istericamente improntati ad affermazioni grossolane (anche quando argomentate con finissimi strumenti matematici), e in costante guerra tra loro, che ragioniamo dell'eredità pesante del neo-positivismo e delle sue conseguenza politiche. Nietzche è il profeta delle astrazioni più complesse del pensiero, ma non dei vari matemi, a cui invece era molto appassionato (la sua biblioteca di fisica era copiosa a testimonianza di una grande curiosita scientifica).
Nietzche non è mai stato un critico della scienza, ma degli uomini, e poichè la scienza è fatta da uomini, ha predetto senza tema di smentita che la scienza avrebbe portato a determinati esiti (nichilismo).
La capacità predittiva e il suo grande testamento è spirituale, egli non ha mai tematizzato una critica della scienza, come hanno fatto alcuni pensatori del novecento (khun o fayerbard), nè ha mai potuto pensare radicalmente la scienza nazista o la psichiatria russa.
Non vi è una critica della morale nel senso di una messa tematica di cosa sia la morale, ma piuttosto tutto ciò che viene prima della messa a tematica di qualsiasi cosa (e dunque anche della morale).
La genealogia e la filosofia a martello, sono strumenti non tematiche.
Le tematiche di Nietzche sono quelle meno lette e meno pensate, perchè riguardano questioni metafisiche come il trascendente.
Oggi qualcuno che non sia uno gnostico riesce anche solo a  reggere quelle considerazioni?
Io penso di no! perchè ancora siamo nel tempo in cui come diceva Montale "Ah l'uomo che se ne va sicuro, agli altri ed a se stesso amico, e l'ombra sua non cura che la canicola stampa sopra uno scalcinato muro!".
Io capisco che è facile fuggire da Nietzche, ma un intellettuale onesto, non deve farlo.

6) L'uomo è innocente, poichè non ha creato le sue condizioni esistenziali: su questo sono d'accordo se Nietzsche intendesse questo.
L'uomo sula Terra non deve espiare nulla, l'uomo non ha colpe.


L'espiazione ebraica è il tema del male amico Paul.
Non è che l'uomo ha colpe: semplicemente il male è dentro la sua vita.
E questo male è quello tematizzato da Leopardi (forse anche più di Nietzche).
Mentre Leopardi e Nietzche lo tematizzano come scontro singolo, gli ebrei antichi lo tematizzano come scontro religioso ossia di comune accordo.
L'espiazione è proprio la convivenza con il male.
Nella Bibbia la terra maledice l'uomo e gli angeli.
La colpa dell'uomo è rispetto alle sue radici.
L'uomo ha tradito le sue radici, la sua storia.
Esattamente come nel pensiero antico greco (e non solo ovvio), la tematica centrale è l'unione dell'uomo e la sua terra (che diverrà la natura per i greci e giù di lì fino allo stato).
Chi siamo noi? I discendenti dell'angelo Adam.
Ma questo simbolica cosa significa? cosa sono gli angeli?
In Nietzche non viene tematizzato il vento che soffia nei deserti.
Si tematizza piuttosto il deserto che noi siamo.
L'ebreo tematizza il vento.
Il cristiano dice scemenze sul fatto che vi è un soggetto che non è un deserto e che il vento sia una pietra catacombale.
Vi sono studi recenti sulla vicinanza pazzesca del pensiero nicciano con quello ebraico.
Lo stesso nice capisce la potenza del pensiero ebraico.
Heidegger ne capisce la potenza de-sacralizzante, e ne mette in discussione la veridicità (di questo vento).
Caro Paul come al solito mi fa piacere che in te queste tematiche fanno scatuire dei piccoli campanelli d'allarme.
Certo la trattazione è l'esatto opposta di quella platonica.
Anzi recentemente è comparso un video assai chiaro sulla differenza TOTALE tra grecia e ebraismo.
Tu stai col matema platonico,io con la complessità ebraica.

https://youtu.be/txrxntUebxQ

Lo consiglio a tutti, un video abbastanza breve 20 minuti, dai che li trovate!!
Dove si spiega molto bene la differenza di due tradizioni antiche.

#1569
Citazione di: niko il 02 Gennaio 2022, 00:33:39 AM
Citazione di: green demetr il 31 Dicembre 2021, 21:07:50 PM
Ma nessuno vuole essere agnello.
E infatti siamo tutti lupi. Volersi tenere fuori dall'equazione significa non aver capito niente.
Si pensa che la violenza sia importata dal mondo nomade, ma il mondo nomade è violento per mangiare della carne dell'agnello, è il lupo che fa il lupo.
Ma è la civiltà sedentaria che effettua la consegna alla violenza.
Infatti per non sbranarsi a vicenda, sbrana l'animale.
Tutti gli alfabeti iniziano con la lettera a, che significa agnello sacrificale.
Ossia la violenza è consegnata al sacro. Come Agamben sta dicendo da anni, la violenza è il sacro.
Lo stato di eccezione è invece il continuo erodimento del sacro, ossia un continuo erodimento del confine della violenza.
Laddove l'impuro è il violento, ossia il confinato, ossia l'animale.
Il violento è l'agnello.
E' curioso come nel mondo moderno, dove più nessuno studia più un cazzo, Agamben venga considerato uno strano, infatti Agamben sta semplicemente riscoprendo ciò che gli antichi sapevano benissimo.
Ossia che noi siamo lupi.

E' all'interno della comunità che sovviene il problema della salvezza.
La comunità essendo la forma del D-o (Dio).

Per capire queste due cose, serve studio caro Niko.
E' per questo che il frivolo non si salverà mai, e nemmeno saprà perchè è necessario salvarsi.
Naturalmente il teologo idiota, penserà che frivolo voglia dire piacevole, e quindi sesso.
Tutte cazzate, frivolo è chi non studia.
Ovvero tutti noi poveri imbecilli che viviamo ad ovest, e tutti gli imbecilli che sono a oriente e che ora ci seguono da  bravi vitelli pasciuti per il massacro. (2024, ormai è proprio una certezza, visto quello che stanno combinando).
Altro che 2024 inizio di una nuova era di bene: è l'esatto contrario!!! E' l'inizio del trionfo del male.
Ma uno che non studia un cazzo che ne vuole sapere.
No caro amico, io sto con le forze portanti del bene, sebbene nella mia vita ho disseminato solo karma negativo, non avendo studiato mai niente.
Il che mi fa ridere, perchè sin da bambino pur da famiglia ignorante venendo, l'ho sempre saputo, come se le mie vite passate continuassero a dirmi: salvati, salvati....e io cazzo ho fatto? niente.
E come me, tutti voi, e con tutti voi dico tutti ma proprio tutti, esiste tradizione spirituale che legga la bibbia con occhi colti? lasciamo perdere va.
Non mi rimane che in questi due ultimi anni, raccogliere le briciole, BOT permettendo e pazienza dell'amministratore a pagare la bolletta del telefono.
La situazione è gravissima ma tutti ridono e ballano. Così va il mondo.
E lo capisco molto bene.

Per quanto riguarda Nietzche ti rimando alla discussione che ho aperto, ma che non ho ancora iniziato. Non che mi aspetti dei contributi da qualcuno: figuriamoci, non esistono nel mondo accademico, figuriamoci nel piccolo spazio che ci siamo ri-tagliati, nell'oria d'aria dalle prigioni d'acciaio.
A caro CB come mi manchi!




Scusa eh, ma rispondermi con la presunta data precisa del "trionfo del male" mi sembra una mancanza di serietà da parte tua nello sforzo condiviso di costruire insieme una discussione seguibile, senza saltare di palo in frasca e senza passare direttamente alla spiritualità, diciamo così, "spicciola".

Anche se fosse vero e tu avessi appena indovinato e saggiamente individuato l'anno dell'apocalisse/catastrofe cosmica di turno?! che cosa ci azzecca ??ok per il sempreverde nesso bibbia-apocalisse, ma non dirlo come se fosse una risposta a me, che io ovviamente non voglio entrarci, in una disquisizione del genere in questa sede, e non mi sembra di averti dato indizi di volerci entrare.

Insomma la discussione è tua e ci fai quello che vuoi, ma io la lascio.


Insieme alla risposta per te ho fatto alcune considerazioni a latere come la previsione di entrata nell'anno 2024 nell'età dell'oro da parte della teosofia e di alcune new age. (ovviamente ironica).
Non era riferita a te.
Per quanto riguarda l'apocalisse in nesso alla bibbia, ne dobbiamo ancora parlare, poco più avanti a dire il vero.

La risposta per te era semplicemente che il nostro obiettivo non è essere agnelli (portatori di pace) ma dei lupi consapevoli (che rinunciano all'odio non certo per amor di pace).

Siccome mi parevi interessato ho aggiunto anche la questione storica del vitello (non agnello, ho sbagliato) sacrificale.

Ma mi pare che volevi una risposta breve, per onore di risposta visto che l'ho aperto io questa discussione, te l'ho data ora.

Mi spiace che lasci (eri l'unico interessato  :D) d'altronde è così che il mondo va, tutti lasciano, e va  bene così.
#1570
@eutidemo@ipazia@phil
due rette si incontrano all'infinito (dunque è un cerchio).
si tratta di un assioma fatto dalle matematiche alternative a quella di euclide, ormai ce ne sono tante, ma quella è la principale avendo riscontro in campo di fisica nucleare.

L'infinito diventa misurabile nel momento che lo computo come tale, ossia come simbolo matematico
dimodo che ininito-1= infinito.
assumendolo come assioma, da lì arriva la logica di godel etc...
il concetto di infinito è invece altra cosa.

Insomma Eutidemo non si tratta tanto di capire in maniera reale, ma di applicare le formule e dire che quelle formule sono il reale (capirai bene che quindi litigano per qualcosa di grosso).
io comunque sono propenso all'intersezione infinita dei piani.
non ho ricevuto feedback forse serve immagine.

#1571
Tematiche Filosofiche / L'infinito non c'è
03 Gennaio 2022, 00:59:46 AM
Citazione di: bobmax il 02 Gennaio 2022, 22:58:41 PM
L'infinito è un concetto necessario. Questa necessità deriva dal corrispondente concetto di finito.
Senza l'infinito, infatti, il finito richiederebbe come controparte... il nulla.

Ma il nulla è inaccettabile per il pensiero razionale, per cui il finito deve necessariamente riproporsi ogni volta, senza fine...
Ecco l'infinito!

È tuttavia a mio avviso interessante notare come pure il finito, a volerlo indagare davvero, altro non sia che a sua volta infinito.
Nel senso, che se non voglio arrendermi accettando la presenza del nulla, devo necessariamente presupporre che quel punto di transizione che determina il finito esista senz'altro, sebbene raggiungibile soltanto... all'infinito.

Così l'infinito è ineliminabile.
Indispensabile protagonista di ogni nostra elucubrazione.

E pur tuttavia allo stesso tempo non c'è.
Non è "cosa".
È presente solo in potenza.

Se ci fosse davvero, potrebbe allora essere preso.
Ma si può prendere solo il finito.
Almeno illudersi di poterlo prendere, cercando però di non pensare quanto sia in realtà infinito...

L'infinito non c'è.

Ma la nostra è l'epoca del nichilismo.
Per il quale nulla ha valore.
E questo convincimento nasce proprio dal credere di aver compreso!
Di conoscere perciò pure l'infinito!
Di possederlo!

Paradossalmente, più è forte il convincimento della realtà dell'esserci e più nulla ha in definitiva valore.

Ma l'infinito non c'è.
E questo suo non esserci annuncia il Nulla origine di ogni cosa.

È proprio il Nulla dell'esserci a donare valore a tutta l'esistenza.


Puntuale come al solito bobmax  :)


E' vero, infatti il buon Hegel più che di infinito parlava di assoluto.


Ma assoluto vuol dire ciò che è destinato a perire.


Ma a perire infatti è il finito. Ma noi siamo molto oltre, infatti pensiamo l'infinito.


Infinito, assoluto, negativo, sono tutte la stessa identica cosa. E' la nostra anima che è molto di più della semplice nozione di infinito come invece critica (a sproposito o da bravo formalista, dipende da che parte sta della barricata) iano essere meramente finita (il che ovviamente è vero o meno a seconda se si è formalisti oppure no)

#1572
Citazione di: Kobayashi il 01 Gennaio 2022, 08:57:57 AM
Foucault dal 1979 fino alla morte si è occupato del potere non come forza esercitata dall'esterno ma come dispositivi che agiscono nell'interiorità, come autocontrollo che l'individuo stesso mette in atto sentendo che una verità condivisa pretende da lui l'esercizio di una certa performance.
Dalla pratica cristiana della continua riflessione su di se', della continua confessione, fino alla figura dell'imprenditore di se stesso che cerca di migliorare la propria efficienza, o degli individui che in continuazione cercano di programmare miglioramenti etc.
Analizzare ciò, farne delle genealogia minuziose, serve ad essere poi in grado di prendere distanza da questi dispositivi per essere più liberi.
Nietzsche direbbe: conoscere queste strategie, queste potenze, in modo da rendere possibile lo spirito libero.
Si tratta di un atteggiamento che si può definire politico, o etico, quello che si vuole, l'importante è capire che in questa ermeneutica del soggetto, che appare all'inizio come profondità, come spiritualità, bisogna saper vedere il dispositivo di controllo che ti impone di cambiare, di migliorare.
Nell'antichità greco-romana invece, secondo Foucault, non è presente questa ossessione della riflessione su di se' finalizzata al raggiungimento della propria verità, alla propria autenticità, ma si tratta piuttosto soltanto di addestrarsi per essere più autonomi, più forti, e quindi più liberi.
Una differenza importante tra cristianesimo e antichità pagana dal punto di vista degli esercizi spirituali.

Detto questo, mi sembra talmente insensato quello che dici su una presunta tendenza di Foucault a riappropriarsi di un qualche potere, per non parlare dell'idiozia di averlo messo nella cricca di Sartre (quando alcuni critici hanno valutato la direzione del suo pensiero proprio come una reazione al moralismo di Sartre), che non c'è molto da dire se non che alla lunga una discussione che si basa sui fraintendimenti generati dall'ignoranza di uno che costringono l'altro a continue spiegazioni si rivela essere spiacevole.
Come è spiacevole e meschino mettere insieme un riferimento attinente le possibilità di sovvertimento della filosofia con la normalità o banalità della mia vita privata.
Ma avendoti conosciuto la cosa non mi sorprende.

La comunità degli amici è fatta di persone reali.
Tanto ti da fastidio correggere gli errori degli altri ma non è mai stato un mio problema.
Io ti sto facendo solo notare che la costruzione del soggetto forte, è una mera finzione, in quanto non siamo noi che costruiamo.
E' la comunità che lo fa.
E la comunità ha a che fare con le nostre nude vite, e di come decidiamo di vivere la nostra vita (in una società che lo permetta, non certo questa comunque sia).
La vita è relazione all'altro non a se stessi.
La cura a se stessi è la cura morale etica, alla possibiltà di questa relazione.
Ma la filosofia deve ancora parlare di questa relazione.
Perchè nella vita reale sono tutti dei buffoni grossolani. Nessuno lavora per davvero.
E comunque sia di questa indecenza ora ne cogliamo i suoi frutti maturi, ovvero che non c'è più spazio per alcuna relazione, i corpi nudi sono stati requisiti.
Se ancora vuoi fare filosofia devi stare su questi livelli.
Per il lavoro in questa società di corpi schiavi, bisogna lavorare, acchè il pensiero indaghi i modi con cui questa gente diceva una cosa e ne faceva un altra.
Vedi io a questo lavoro sono pronto, sono pronto a recuperare tutte le clip del nostro eroe Focault e delle cose orribili e tremende che ha detto!!!
Strano da una che teorizzava la cura, poi la politica era qualcosa di sinistro a dire poco.
Ne sono talmente schifato, che faccio fatica anche solo a parlarne.
Le masse non sono al servizio della filosofia, sono il suo nemico più acerrimo.
E la loro ideologia è quella che informa il soggetto, che poi pensa il proprio sè.
C'è tutto un lavoro da fare prima, ma amico tu non hai mai voluto fare questo lavoro con me, quindi smettiamola per favore.
E poi a me di possedere i libri di storia della filosofia non me ne frega niente.
A me interessa quello che poi uno ci fa nella sua vita.
Tutte cose che si vivono sul proprio vissuto non certo sui libri o su un forum.
La nostra chance ce l'abbiamo avuta, e abbiamo fallito miseramente.
A questo punto tutto quel lavoro mai fatto, lo faccio ora.
Dici che Focault è importante? aprirò subito altra discussione.

In sintesi:
Fare minuziose genealogie va bene, ma poi deve corrispondere qualcosa di reale dall'altra parte.
Perchè è inutile fare la genealogia critica sul pensiero altrui, se poi non si è in grado di fare una genealogia di quello che pensiamo noi. E pensando agiamo.
Se Sartre era il mostro che era, perchè gli erano amici? se non per convenienze personali? Se non perchè era il loro cucciolotto amoroso dudù dadà. (i mandarini di Beauvor ne lascia una intelligentissima traccia).
Non mi pare convincente per nulla amico mio.


PS: Nietzche NON costruisce un soggetto politico, tutti quelli che lo pensano e lo pensano in molti, non hanno capito un acca di Nietzche.
#1573
Riprendiamo la lettura del Negri.
Siamo al paragrafo 22 e seguenti.
In questo momento Hegel sta cercando di dare delle definizioni sommarie, cercando anche di fare esempi, come il parallelo possibile con il motore immobile aristoteliano.
Ciò che a Hegel interessa è distinguere il soggetto dal suo oggetto, ovvero far capire che è l'oggetto ad avere il suo soggetto.
Questo oggetto originario, lo prova a chiamare come "sè per sè", "pura negatività", "auto-movimento".
Ma queste sono solo definizioni approssimative di quello che invece per Hegel è l'assoluto.
Ossia l'assolutamente altro rispetto al soggetto e i suoi oggetti annoterei a latere io.
In questo senso la frase "Dio è l'assoluto" è senza senso, infatti prevedrebbe un Dio che diventa soggetto (come nella tradizione cristiana), e questo non ha alcun senso, anzi è l'esatto opposto della verità che è contenuta unicamente nel verbo essere. Dunque annotiamo a latere l'unica frase con senso è "l'essere è".
Annotiamo come questo sia il vero principio di non contraddizione (da Aristotele a Severino, stendendo il solito velo pietoso sui formalisti).
Nel paragrafo 25 continua nel tentativo di essere il più possibile esplicativo al riguardo di questo oggetto.
Aggiunge che questa modalità del negativo, si realizza essenzialmente in noi (soggetti) come sistema.
Il sistema è dunque la scienza del negativo, dell'assolutamente altro costituentesi etc...
Che cos'è lo spirito di cui la scienza è la fenomenologia?
E' appunto il nome che diamo per comodità a tutto quanto detto fino ad ora riguardo quell'oggetto.
Annotiamo per non lasciare indietro nessuno (sebbene Hegel sembra più interessato agli attributi dell'essere) che questo oggetto non è l'oggetto dell'analisi del soggetto.
Non esiste un soggetto che analizzi lo spirito, in quanto lo spirito è un sistema.
Per ragioni personali non userò mai l'attribuzione di auto-conoscenza e altre automatiche cose in quanto vi è un alto pericolo che la gente pensi questo automatico come qualcosa di oggettivo, e dunque indagabile.
L'assoluto non ha attributi in realtà: è la scienza che si compie come atto umano (e dunque soggettivo), e questa scienza si chiama fenomenologia.
Possiamo ben dire che anche oggi la fenomenologia è l'unica disciplina che si possa dire filosofia.
Ma fenomenologia del sistema, e non formalmente come purtroppo oggi continuano a fraintendere i giovani accademici, collezione di oggetti.
Il sistema altro non è che la dimensione temporale dell'essere, come dirà più avanti Heidegger è il Dasein, tradotto genialmente da Chiodi con Esserci.
L'Esserci non è l'esserci del soggetto, ma l'esserci è il sistema stesso, in perenne movimento come il tempo.
Severino andando oltre lo stesso Hegel ci spiegherà poi che questo dimensione temporale, è la dimensione della follia, ossia della necessaria contraddizione (a che si formi il sistema stesso).
Per conto mio e qui dò la mia opinione, non mi sembra sensato tanto perdere tempo sulle attribuzioni, quanto sullo spostarsi rapidamente sul problema del soggetto, che come abbiamo già visto, lo stesso Hegel ha già indicato come compito futuro della filosofia.
Certamente capisco anche Hegel, soprattutto vedendo come tanta gente, si areni subito su queste attribuzioni di circostanza, e peggio ancora come queste attribuzioni di circostanza vengano assunte come assunzioni certe.
Nel paragrafo 26 abbiamo la famosa sentenza che l'in sè deve dare conto del suo essere per sè.
Il dare conto è al soggetto.
Ma come tra le righe scrive, il soggetto è una delle forme con cui si dà il sistema. Ma appunto l'avevamo già detto prima! in quanto l'essente è, e dunque ogni essente è, e quel particolare essente che è il soggetto non deve dare conto a nessuno per davvero (nemmeno a se stesso, ammesso che esista un sè stesso, invero no, se abbiamo già capito)
Questo è per sottolineare ancora come la ricerca di attributi finisca solo per creare confusione nel lettore meno smaliziato, e addirittura veri e propri non-sensi letterari da chi è un lettore "professionista", ma che non riesce a capire assolutamente nulla del Nostro.
Dunque l'in sè e per sè di romanzesca memoria dai licei, sarebbe da riscrivere come dimensione temporale del negativo, o dimensione perennemente altra dal suo manifestarsi fenomenologico.
Sebbene preferisca per me l'ultima, per far capire il lettore meno attrezzato useremo l'espressione "dimensione temporale del negativo" piuttosto che "l'in sè e per sè", che ha scelto Hegel.
Nel paragrafo 29 specifica che la ricerca è il modo in cui procede la memoria del dispiegamento del negativo (l'in sè che diventa per sè), in quanto il negativo si dà fuori dalla sua forma originaria (ossia nella sua essenza) solo come memoria. Ossia decade a memoria, e solo come tale può essere inteso il suo procedere, e dunque come memoria diventa storia, detto in altra maniera più chiara.
L'originario si invera solo nella studio del processo della memoria, in quanto critica, aggiungerei io.
Nel paragrafo 30 chiama questo modo, rispetto al soggetto che noi siamo, rappresentazione.
L'originario lo conosciamo dunque come toglimento, e il resto, ciò che rimane, rimane solo come rappresentazione e non più come attribuzione.
Introduce inoltre il concetto di sapere: il sapere è ciò che va contro la rappresentazione, in quanto la rappresentazione non intende minimamente il sistema (ne è solo la traccia come abbiamo già detto).
Aggiungo io come intuizione personale del momento: il sapere è il sapere di non sapere, dunque!
O meglio il sapere che Hegel intende come modalità totale del sistema, non può venire rappresentato.
D'altronde in nuce questo si capisce immediatamente quando parliamo piuttosto che del'in sè (en sich, consiglia Negri), della modalità del negativo.
La rappresentazione è quel negativo, ossia la caduta dell'originario nella sua dimensione mnemonica.
Rimane da capire se è l'unico negativo individuato da Hegel, o se ve ne sono di più (ovviamente per me ne esistono di più pensiamo ai demoni o al male o agli angeli).
Nel paragrafo 31 abbiamo una critica della fenomenologia che tollera o accetta la rappresentazione come fondamento: questo non permette alcun passo in avanti nel sapere.
Come anche su questo forum spesso ho scritto, il fondamento è la rovina del fondamento, il resto, ora forse meglio identificato nel suo costituirsi come idea.
Nel paragrafo 32 troviamo una espressione decisiva che poi Severino renderà famosa (pensavo fosse una sua invenzione, ma non lo è a quanto parte, ndr):cit "Il circolo che riposa in sè chiuso e che tiene, come sostanza, i suoi momenti, è la relazione immediata, che non suscita, dunque, meraviglia, alcuna.". Dirà Severino molto similmente il circolo della terra chiusa, è il sotterraneo che abita l'occidente", che nulla sà della gloria, ossia della terra senza il cielo: è la terra separata.
E' l'intelletto che ha la forza di questa separazione dall'originario.
E chiamiamo spirito quella forza che è in grado di sostenere la cosa che più deprechiamo la morte, lo spirito è in grado cioè di guardare oltre la morte.
Se l'intelletto separa la vita dalla morte, potremmo dire noi, compito dello spirito è quello di riunirli.
Anche questo tema fondamentale in Severino. Tutto nella capacità di lettura a fondo di un semplice paragrafo, seminale.
Il paragrafo 33 è una critica ai tempi formali in cui siamo, dove la rappresentazione è conosciuta solo astrattamente come universale e non viene usata come invece era solito nell'antichità per conoscere tutti gli aspetti della vita  quotidiana.
Nei paragrafi successivi Hegel si sofferma una voltà di più sugli attributi dell'oggetto.
Insistendo sulla metafora del per sè che ritorna nel in sè.
Ma appunto poi ricordandosi lui stesso che stiamo parlando semplicemente del negativo. (possiamo aggiungere il toglimento, la separazione, è uguale!).
Nel 38esimo paragrafo fa una breve considerazione sul formalismo che forse ha paura o scambia il negativo con il falso, il che metterebbe a rischio il punto fondamentale della filosofia che è la verità (tutte sciocchezze ndr!).
Spiega poi come il negativo sia solo un movimento, e di come sia il dogmatismo (nel 40esimo) ad attribuire la verità meramente agli oggetti, ma appunto pre-supposti oggetti.
Dunque la verità è un attributo (formalismo) e non una ricerca (che come abbiamo già detto pensa l'oggetto come mera traccia).
Nei paragrafi successivi continua le critiche al formalismo, ricordo solo come "la dimostrazione per assurdo", diremmo oggi noi, dei greci sarebbe impossibile senza uscire dal formalismo dell'oggetto preso in considerazione.
Dobbiamo saltare fino al 54paragrafo per tornare di nuovo a parlar degli attributi dell'oggetto.
Qui si introduce il pensiero: il pensiero è l'oggetto per cui il soggetto può darsi il suo oggetto.
Ossia dico io: è il toglimento necessario per diventare il soggetto tale quale noi ci conosciamo.
Nel paragrafo 55 specifichiamo meglio il concetto:
il pensiero è (dunque) il soggetto.
Questo intelletto che si determina come pensiero è dunque in quanto traccia razionalità.
Ossia l'intellettualità è il pensiero e la razionalità è l'atto della separazione formale tra soggetto e oggetto conosciuto. (come già detto il ribaltamento del pensiero kantiano, che invece formalizza il pensiero ponendo la razionalità prima del pensiero).
Ricordiamoci che il pensiero è il toglimento delle forme ottenute dal razionalismo.
Il pensiero essendo la forma per eccellenza della negatività, ossia come il soggetto la esperisce.
Il soggetto si esperisce come effetto di un toglimento, e questo toglimento è il suo stesso pensiero.
Nel 56esimo paragrafo ricorda come questo razionalismo sia necessario, infatti lo speculativismo è la forma dell'essente.
Direi di sorvolare su questo tecnicismo logicista.
(infatti riguarda i nostri oggetti, e non il soggetto, che in tutto questa ridda di attributi forse scordiamo essere la vera ricerca futura).
Nel 57 torniamo ad una critica del formalismo, in quanto la detenzione della verità è sempre una questione politica, io stato detengo una verità che tu stato nemico non hai etc..
Ma appunto la verità non si detiene essendo invece come già detto parecchi paragrafi sopra un sistema, la cui nostra ricerca è la sua semplice modalità progressiva (la traccia).
Nessuno sa del sistema, ma ognuno sa del pensiero.
Nel 58 paragrafo Hegel fa una strana dichiarazione: l'attribuzione è l'anima, salvo poi smentirsi subito dopo (l'anima è qualcosa di superiore).
In effetti è abbastanza evidente la pena con cui il Nostro eroe procede nel voler illustrare quello che per lui è il lavoro massimo dell'attribuzione, che lui chiama qui infine concetto.
Per lui l'attribuzione (in sè e per sè, pensiero negativo, alterità assoluta) è il concetto. E i concetti vanno assolutamente saputi a memoria.
Sinceramente non capisco questo accanimento: chi vuol capire, capisce già, gli altri a casa a fare altro.
Ma ognuno esperisce una modalità diversa di conoscere la propria sapienza, Hegel la conosce tramite sofferenza evidentemente.
#1574
Cesare Preve per la casa editrice Evangelista darà quella che anche negli ultimi anni di vita chiamerà la sua proposta.
Il convitato di pietra è del 91, Assalto al cielo è del 92 e infine la trilogia si conclude con Il tempo della ricerca che è del 93.
Leggiamolo insieme!

Dalla prefazione del 91, Preve parla di inabissamento sia del marxismo teoretico sia del comunismo politico.
La sua ricerca lo ha portato su posizioni solitarie.
A suo avviso è necessario capire chi sia stato il convitato di pietra di mozartiana memoria, ossia qualcuno che è stato zitto sino alla fine, e si è trascinato poi gli agenti dell'opera (Don Giovanni, aka il comunismo e il marxismo) all'inferno.
In particolare ovviamente si riferiva alla crisi dell'89.
A suo modo di vedere la critica al marxismo che pure aveva ottenuto buoni risultati anche nei bui anni 80, quando cioè i vari partiti comunisti avevano già cominciato ad essere ingoiati dal capitalismo.
Ha poi cessato di aver alcun senso.
Nessuna più comunità è oggi possibile senza un serio confronto con questo convitato il cui nome è nichilismo.
I nomi degli anni 80 sono quelli dei maestri su cui Preve costruisce la sua critica iniziale, ossia Althusser, Lukacs e Bloch.
I nomi per intendere il nichilismo sono quelli vecchi di Nietzche e Heidegger.
Per Preve il nichilismo è dunque il problema della tecnica, e non una mancanza di moralismo.
Ecco il punto è come ripartire da una teoria che però si faccia sempre prassi.
Ossia che capisca che al contrario di Nietzche e Heidegger, il nichilismo è comunque una risposta sociale.
In particolare la tesi di Preve è quella non di lasciare l'universalismo dei principi, ma bensì di raccogliere le sfide per un rilancio ed una integrazione di tutte quelle mancanze che il post-marxismo non ha saputo vedere, riconoscere per poter poi ripensare un suo modo di produzione.(essendo il modo di produzione il cardine della socialità, ed avendo la socialità come nemico sempre lo stesso vecchio capitalismo).
Vedremo insieme come argomenterà il nostro.

Pongo questo 3d in cultura e società in quanto oscilla tra filosofia e socialismo. ( o almeno così mi era parso di capire, in caso chiederò all'admin di spostarlo definitivamente in filosofia)
#1575
Tematiche Filosofiche / Filosofi nel 2021
31 Dicembre 2021, 23:00:34 PM
Citazione di: niko il 19 Giugno 2021, 15:34:52 PM
Sui nessi tra marxismo e nichilismo individuati da Preve di cui parlavo sopra, ecco link a un suo articolo, rimanda al punto uno, ma si può sfogliare in avanti.


Costanzo Preve su nichilismo e marxismo I (kelebekler.com)



Stavo rileggendo questo topic a caso:




Interessante la diatriba tra te e Ipazia. Ma poi la cosa è mai proseguita?