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Messaggi - Phil

#1576
Citazione di: Lou il 11 Dicembre 2018, 19:18:32 PM
Citazione di: Phil il 11 Dicembre 2018, 01:46:11 AM
Citazione di: Lou il 10 Dicembre 2018, 18:55:07 PM
È preservata la libertà di volere?
Prima dell'istanza di preservarla: «libertà di volere», in fondo, che significa?
Una di quelle parolacce enfatiche in virtù di cui anche la negazione del libero arbitrio si inscrive quale lotta per essere affermata. :)
Negare il libero arbitrio è differente dal negare la pertinenza fra il concetto di libertà e quello di arbitrio... un po' come dire che una martellata non è calda, bensì fredda, è comunque differente dal sostenere che non abbia senso parlare della temperatura delle martellate (e che le martellate non vanno confuse con le marmellate ;D ).

Citazione di: Lou il 11 Dicembre 2018, 19:18:32 PM
Secondo me siamo, volenti o nolenti,  costretti dalla libertà.
«Ducunt volentem fata, nolentem trahunt» dove «fata» è antifrasticamente l'essere liberi?
Permane la domanda (e mi scuso per l'"accanimento maieutico"): liberi da/di cosa?
#1577
Citazione di: Ipazia il 11 Dicembre 2018, 10:29:23 AM
Personalmente non rinuncerei a questa "parolaccia" scritta in tutte le costituzioni e trattati sui diritti umani. Libertà da finalizzata a libertà di, non libertà di volere che, concordo, resta un nonsenso metafisico.
Non posso che sottoscrivere, poiché il mio punto di partenza cronologico (l'incipit del mio primo post sul tema) è proprio questo:
Citazione di: Phil il 06 Dicembre 2018, 18:51:41 PM
Credo che il concetto di libertà, per non collassare su se stesso, non debba essere assolutizzato: si è liberi sempre da qualcosa, mai in assoluto
La libertà assoluta, santificata e asintoticamente fluttuante nell'iperuranio, è quella che invece ascriv(ev)o a demagoghi, adolescenti e poeti (con annessa licenza).



Citazione di: Sariputra il 11 Dicembre 2018, 11:52:44 AM
I non-religiosi, che ritengono tutto il nostro agire non-libero ma determinato da cause e condizioni,  sono costretti ad agire come se il libero arbitrio esistesse
Non colgo la necessità di tale costrizione. Se mi considero una risultante dinamica di differenti elementi che mi compongono (psiche, volontà, biologia, etc.) e che mi eccedono e circondano (cultura, società, mondo materiale, etc.), non c'è alcun problema a ridurre il libero arbitrio a semplice arbitrio (inteso come discrezionalità), svincolandolo (liberandolo?) dalla connivenza di una libertà istrionica.
Ammettere che il proprio arbitrio sia condizionato, "costretto" ad essere ciò che è (nella sua mutevolezza) è come ammettere di avere il corpo che si ha senza averlo scelto con libertà, o di avere i gusti che si hanno senza averli scelti liberamente, etc.

Citazione di: Sariputra il 11 Dicembre 2018, 11:52:44 AM
non è possibile conoscere tutte le infinite cause e condizioni che fanno scegliere A invece che B.
Il non conoscere esattamente tutto ciò che determina ogni nostra scelta è piuttosto marginale; il non sapere esattamente quali discorsi ci hanno più influenzato da bambini e persino quali siano i nostri genitori, non ci impedisce di constatare che siamo come siamo (tale conoscenza delle cause influenzerebbe l'interpretazione del come siamo, non il come siamo).


«Libero arbitrio» è un po' come dire «calda martellata»: può essere caldo (e sempre relativamente ad altro da se) il chiodo, il martello, il muro, etc. ma la martellata non è propriamente né calda né fredda.
Voler indagare la temperatura della martellata risulterebbe una ricerca senza fine (in entrambi i sensi ;) ); tuttavia lo è perché è ardua, perché abbiamo limiti cognitivi, perché la scienza non è ancora pronta, perché la temperatura si disvela ritraendosi nell'Essere, oppure semplicemente perché è un falso problema o un problema mal posto?


P.s.
Non so se la fisica attuale riesca ad esprimersi persino su qualcosa di simile alla «temperatura della martellata», considerando differenziali termici o gradienti subatomici o affini, ma spero si capisca che qui è solo un esempio; avrei potuto parlare del «colore della martellata» o altri qui pro quo semantici.

P.p.s.
@sgiombo Stavolta sei stato tu ad anticiparmi (in parte) mentre scrivevo il post.
#1578
Citazione di: Lou il 10 Dicembre 2018, 18:55:07 PM
io non sono forse libero unicamente nel volere?
Libera da/di cosa? Senza determinazioni la libertà è per me solo una "parolaccia" enfatica.

Citazione di: Lou il 10 Dicembre 2018, 18:55:07 PM
Non sono libero dallo schiantarmi se sono in caduta da un ponte, ma resto libero di volermi non schiantare o schiantare? Sono libero di volere A o nonA?
Non credo si possa essere liberi di volere (salva l'ovvia constatazione che la mia volontà è libera dalla volontà altrui; circonvenzione e plagio a parte, come si diceva), poiché non si è liberi dalla propria volontà: se non voglio schiantarmi, sono davvero libero di volere il contrario? Forse solo a parole, nei fatti non ci riesco... e se ci riesco non è solo perché ho voluto volere altro, ma perché altro ha causato un mutamento della volontà (con «altro» intendo, ad esempio, un'intuizione, la follia, etc.).

Secondo me, siamo costretti a volere ciò che vogliamo più di quanto siamo "liberi" di volerlo (se proprio vogliamo applicare libertà/costrizione a volontà, arbitrio, etc. intreccio che non ritengo sempre necessario, detto fra noi ;) ).

Si può fare anche un esperimento: pensa a qualcosa che vuoi, poi prova a non volerlo più; ci riesci? Sei dunque davvero libera di/dal volere?
Certo, puoi dire e/o pensare "non lo voglio più!", ma è davvero cambiata la tua volontà? C'è davvero una meta-volontà che ci fa volere ciò che vogliamo o semplicemente vogliamo e basta (a causa di meccanismi psicologici, biologici e/o altro)?
Forse si può essere liberi di fare ciò che si vuole (se si vuole ciò che si può fare), ma non si può essere liberi di volere ciò che non si vuole.

Citazione di: Lou il 10 Dicembre 2018, 18:55:07 PM
È preservata la libertà di volere?
Prima dell'istanza di preservarla: «libertà di volere», in fondo, che significa?
#1579
Varie / Re:Varie
08 Dicembre 2018, 22:33:38 PM
Una solitudine, un'ombra, una goccia, una pagina, una carta da gioco?
#1580
Citazione di: sgiombo il 07 Dicembre 2018, 18:35:04 PM
anche tu tendi a pensare che "parlar male della filosofia "non sta bene"?
Il «non sta bene» mi fa pensare ad una consuetudine sociale, tendenzialmente affine al politicamente corretto e alla buona educazione; tuttavia, nel mio piccolo, parlar male (della filosofia o altro) non mi pare in sé un male: se lo si fa con cognizione di causa, può essere brusco spunto per un'utile critica; se lo si fa senza cognizione di causa, è un parlare innocuo, il cui significato è disinnescato dalla propria infondatezza.

Citazione di: Lou il 07 Dicembre 2018, 17:35:18 PM
Scusate, chiedo in estrema sintesi, ma non vi risulta che concettualmente il libero arbitrio si configuri quale "libertà di", non "libertà da"
Secondo me, schematizzando: libertà di "verbo-x" = libertà da tutto ciò che impedisce "verbo-x".
Il volere come "terzo incomodo" fra libertà e arbitrio, merita indagini anche con altre "grammatiche" (su cui mi pongo le domande del post n. 174).
#1581
Citazione di: Ipazia il 07 Dicembre 2018, 09:14:52 AM
Il significato metafisico di quella "parolaccia vetero-umanista tanto cara ai demagoghi e agli adolescenti" penso lo conosca più di chiunque altro un un animale rinchiuso in  gabbia.
Come dicevamo, si può essere liberi da qualcosa e la gabbia è infatti un qualcosa; di fisico, non metafisico. Forse la lezione che l'animale ci dà (coniugando Ockham e Nietzsche) è proprio che si apprezza la libertà fisica senza bisogno di un «significato metafisico».
Certo, le metaforiche gabbie metafisiche esistono, tuttavia il passepartout della prassi può talvolta aprirne la serratura (senza nemmeno bisogno di distruggere la gabbia); se ne può anche uscire, o magari solo cambiare gabbia, volendo... e a «lasciar perdere l'arbitrio» (parafrasandoti) che potrebbe almeno motivare la volontà di uscire, potrebbe essere (qui non mi riferisco più a te) l'accomodarsi di una ragione sedentaria che ha trovato la sua pace in quella gabbia, al punto da chiamarla "casa" e da tener chiusa la porta dall'interno (e le gabbie, solitamente, non hanno nemmeno il campanello...).
D'altronde, come biasimare chi preferisce dormire in gabbia piuttosto che sotto un ponte?
In fondo, forse ogni situazione ha le sue libertà determinate (in gabbia si è almeno liberi dall'incombenza di trovar rifugio), per quanto ogni libertà non escluda altri vincoli; per quella assoluta, invece, bisogna chiedere ai poeti (oltre che ai demagoghi e agli adolescenti).


Citazione di: sgiombo il 07 Dicembre 2018, 11:25:02 AM
Ottimo assist per incoraggiare Ipazia, che già tende a farlo da sola, a parlar male della filosofia!
Se lo fa, dipende dalla sua libertà, dal suo libero arbitrio o non può non farlo? Dopo l'«Encomio di Elena» di Gorgia, scriveremo l'"encomio di Ipazia"?  ;D
#1582
Citazione di: Ipazia il 06 Dicembre 2018, 20:07:52 PM
Citazione di: Phil il 06 Dicembre 2018, 18:51:41 PM
Non si rischia di confondere la "libertà" dell'arbitrio con quella della sua attuazione pratica?
Può essere ma almeno in pratica si mostra, anche metafisicamente, un certo grado di libertà
Quell'«almeno» (in cui intravvedo "50 sfumature" di rombante e sconsolata compensazione), allude a un'insuperabile esigenza teoretica o ad un accontentarsi con i cocci di un filosofema infranto?

Citazione di: Ipazia il 06 Dicembre 2018, 20:07:52 PM
Citazione di: Phil il 06 Dicembre 2018, 18:51:41 PM
Se quindi, fino a prova contraria, non si può essere liberi dalla propria volontà né da come si ragiona, qual'è la "libertà" del libero arbitrio, da cosa si è liberi?
Si è liberi di volere ciò su cui si è ragionato.
Non so se ho ben capito: si potrebbe forse non essere liberi di volere ciò su cui si è ragionato?

Citazione di: Ipazia il 06 Dicembre 2018, 20:07:52 PM
Io preferisco parlare di gradi di libertà di  soggetti all'interno di un contesto storico-naturalistico dato. E lascio perdere l'"arbitrio".
Condivido l'esigenza interpretativa di contestualizzare accuratamente e "graduare" la libertà, guardando quindi (se non ho frainteso) più alla prassi che a questioni di principi almeno un po' metafisici.
#1583
Credo che il concetto di libertà, per non collassare su se stesso, non debba essere assolutizzato: si è liberi sempre da qualcosa, mai in assoluto (altrimenti scatterebbe l'aporia autoreferenziale). Parimenti l'arbitrio è sempre arbitrio di qualcuno, quindi presuppone una struttura interpretativa del reale non assoluta, ma soggettiva.
Se l'arbitrio rimanda all'individuo nella sua singolarità, la libertà non può rimandare alla volontà (non posso non volere ciò che voglio, nemmeno quando voglio cambiare idea) né ai meccanismi decisionali (non posso scegliere secondo logiche e prospettive che non siano state prima integrate dai/nei miei stessi meccanismi decisionali). 
Se quindi, fino a prova contraria, non si può essere liberi dalla propria volontà né da come si ragiona, qual'è la "libertà" del libero arbitrio, da cosa si è liberi? 
Non si rischia di confondere la "libertà" dell'arbitrio con quella della sua attuazione pratica?
Cerco indizi pensandola via negationis: come limitare la "libertà" del libero arbitrio? Cosa rende un arbitrio "non libero" (e da cosa)? Tutta questione di circonvenzione e plagio, o si tratta di fare una tassonomia di ciò che rende tale il "nostro" arbitrio?
Cosa si perderebbe a parlare semplicemente di «arbitrio», senza usare quella "parolaccia vetero-umanista" tanto cara ai demagoghi e agli adolescenti?


P.s.
Chiaramente, si può deviare da tale questione percorrendo differenti strade: quella dell'istanza teologica (con le sue antinomie e "misteri" che legano libero arbitrio e peccato), quella storico-culturale (con riflessioni politiche o antropologiche sulle declinazioni delle libertà), quella epistemologica (con il causalismo che assedia sempre più l'apparentemente casuale), quella esistenziale (con l'interrogarsi estetizzante sul "peso" della eventuale libertà), quella etica (figlia di quella teologica e madre di quella giuridica, in cui la libertà è "incatenata" alla responsabilità, e vengono entrambe pesate sui piatti della bilancia para-utilitaristica «bene/male»), etc.
#1584
Sul tema dell'interazione fra uomo e AI (per andare al di là dei celeberrimi «2001 Odissea nello spazio» e «Matrix») mi permetto di suggerire la visione di «Transcendence» e «Il tredicesimo piano»: due film con due prospettive differenti sul tema, due punti di visita che ho trovato per nulla banali, quasi filosoficamente interessanti per leggere possibili scenari e temi trasversali. 
Come sempre, se si evita di leggere la trama prima della (eventuale) visione, l'impatto esperenziale del film sarà più profondo (come le domande che lasceranno in sospeso...).
#1585
Forse suonerà male, ma è quasi impossibile non dare importanza alla bellezza esteriore (quella interiore è, non a caso, solo una metafora): oltre a una inconscia dimensione "geometrico-matematica" (proporzioni auree, armonie cromatologiche, etc.), c'è una pulsante dimensione biologica che rende istintivo essere attratti dal bello (che ha dunque una sua funzionalità e sue caratteristiche archetipiche).
Chiaramente l'abito non fa il monaco (anche se un monaco senza abito è spesso poco credibile), ovvero una «persona bella» non è sempre una «bella persona», ma il fattore di sensualità (nel senso più ampio) è ineliminabile dalla percezione (ma lo è dalla considerazione generale) dei propri simili, anche se pur sempre da considerare al netto delle differenti finalità e situazioni, che fanno spesso la differenza, rendendo talvolta insignificante la bellezza, per quanto comunque percepita.
Fermo restando che l'esteta non si limita all'essere cliente dell'estetista, anche per coloro che non hanno un approccio filosofico-estetico al mondo, ci sono parametri (innegabilmente anche culturali) che rendono di default "il bello" (s)oggetto di concupiscenza, ricerca o almeno fascinazione.

Sull'importanza del possibile ruolo esistenziale (né riproduttivo né possessivo) del bello, è tutto già scritto in esergo ai post di Lou (similmente a quanto ricorda Ipazia), mentre il fatto che l'estetica si rapporti all'etica (non solo graficamente) è una questione che spazia dall'approcciare con morigerato bon ton qualcuno (per)che si ritiene bello (non mentite "colleghi": il tenere una porta aperta o il far passare davanti è spesso più una scusa per lasciar indugiare l'occhio su una fascinosa pulzella, piuttosto che atarassica esecuzione di galateo o noblesse oblige), fino al confondere i due piani nella lingua (almeno italiana) parlando di «bel gesto» riferendosi ad una scelta moralmente encomiabile, o una «bella storia» parlando di una vicenda con insegnamento morale (slang giovanile a parte... e sorvolando su quando "bello" diventa quantificativo di intensità: «dare un bella spinta», etc. o ironico: «combinare un bel casino», etc.).

P.s.
Ovviamente, la bellezza, come altre qualità, ha il suo campo d'applicazione ben delimitato: i nobel, i santi e gli eroi non diventano tali per "movenze callipigie" o lo sguardo ammaliatore.
#1586
Tematiche Filosofiche / Re:Cos'è la verità
21 Novembre 2018, 16:20:40 PM
Citazione di: Ipazia il 21 Novembre 2018, 14:35:39 PM
Le differenze - e ancor più le analogie di branco - di legificazione rendono fragile tale ipotesi. Molto più coerente l'ipotesi dell'antropologia e del materialismo marxista. O della scuola ionia, che con Senofane afferma:
Non è che fin dal principio gli dèi abbiano svelato ogni cosa ai mortali, ma a poco a poco gli uomini ricercando trovano il meglio.
Magari non «ogni cosa», ma come essere accontentati dalle azioni umane (v. ethos) e cosa potevano dare in cambio, gli dei lo dicevano (o lo dettavano) solitamente «fin dal principio»; l'arte delle promesse elettorali è nata così  ;D

Citazione di: Ipazia il 21 Novembre 2018, 14:35:39 PM
Quindi che fondamento etico poteva istituire una tautologia che partendo dall'uomo tornava all'uomo passando per gli dei, la cui illusorietà era già nota ? ma potresti avere ragione tu ...:
A l'aver ragione, preferisco le informazioni (noi pensatori deboli siam fatti così :) ): oltre al buon Senofane, la massa dell'epoca, la maggioranza, si affidava a quanto dicevano gli dei (o meglio, i portavoce umani degli dei) o ponderavano saggiamente e laicamente il meglio per la polis?
Da allora sino ad un secolo fa, mi pare che la risposta sia la medesima (senza voler mancare di rispetto alle eccezioni).
Possiamo davvero affermare che ai tempi di Senofane (non per Senofane) gli dei erano illusori e non legiferavano sull'ethos (il che, ripeto, non vuole essere un giudizio sull'effettiva esistenza degli dei)?
Visto che si parlava di maieutica, mi sembra che anche al processo di Socrate furono tirati in mezzo gli dei in rapporto all'ethos, e fecero, come di consueto, la loro parte...

Citazione di: Ipazia il 21 Novembre 2018, 14:35:39 PM
Ci vuole tanta ottimistica fantasia per parlare di possibile eterogenesi dei fini, quando bisognerebbe parlare piuttosto di taumaturgia dei fini, alla fine di mille anni di inquisizione ed efferato totalitarismo ideologico che Pol Pot a confronto è un dilettante *. Non funzionò così.
Intendevo che, trattandosi di esigenze sociali reali (il non uccidere, non rubare e poco altro), magari anche se gli dei fossero stati screditati e si fosse tutti atei da mille anni, non escludo che ci saremmo potuti ritrovare oggi con una morale affine a quella attuale (ad esempio, evito di ritrovare i punti comuni fra comunismo e cristianesimo, nonostante l'eterogenesi dei fini mancante poiché il paradiso non è il regno del proletariato; tuttavia... ;) ).

Citazione di: Ipazia il 21 Novembre 2018, 14:35:39 PM
L'etica moderna, se è, è malgrado il cristianesimo.
So che sai già che il cristianesimo non è la chiesa (e quanto talvolta la distanza sia stata notevole), per cui non voglio mettere né la dottrina (e il suo impatto storico-culturale) né l'istituzione ecclesiastica (idem) sul banco degli imputati per giocare a "poliziotto buono (io) e poliziotto cattivo (tu)"; in fondo è un topic sulla verità e sappiamo già qual'è quella di ciascuno dei due interrogati e quel'è quella di "noi poliziotti"  ;)
#1587
Tematiche Filosofiche / Re:Cos'è la verità
20 Novembre 2018, 12:22:52 PM
Citazione di: Ipazia il 20 Novembre 2018, 09:07:25 AM
Citazione di: Phil il 19 Novembre 2018, 21:15:25 PM
Allora chiederei ancora: se una pistola rotta è una «pistola falsa», cos'è veramente una pistola rotta? Qual'è (se c'è) la sua "verità"? O meglio, qual'è la causa finale di una pistola rotta?
Un rottame; lo smaltimento
«Rottame», più che la "verità" della pistola rotta, mi sembra la classe di appartenenza di cui la pistola rotta è elemento (e l'elemento va distinto dalla classe, per non mischiare i piani logici...).
Lo smaltimento come «causa finale»? Non confonderei "il fine"(telos) progettuale con "la fine"(discarica) fattuale.

Citazione di: Ipazia il 20 Novembre 2018, 09:07:25 AM
Basta applicare l'abc dell'ermeneutica storica e antropologica alle tavole mosaiche e si trovano tutte le risposte. "Non uccidere, non rubare, non mentire, non violentare la donna d'altri" è il minimo sindacale per la sopravvivenza di ogni branco umano di impostazione patriarcale. Dopo sono arrivati i numi.
Concordo che le prime due (sulla terza ho qualche riserva; la quarta appartiene solo alle società post-tribali, romanticismo a parte) siano il collante minimo per una proto-società, tuttavia che i numi siano arrivati dopo, ancora non mi convince: abbiamo tracce di una società arcaica senza numi a legiferare sull'ethos?
Non propongo certo di credere oggi che una voce sia davvero scesa dal cielo (sono ateo, se può aiutarti a capirmi), ma sicuramente se le masse dell'epoca non avessero creduto a tale voce, la storia e la cultura che ci hanno portato al "senso etico" attuale, avrebbero forse seguito un altra trama (che, per "eterogenesi dei fini", magari avrebbe portato alla medesima etica comune, non lo escludo...).


P.s.
Citazione di: Ipazia il 20 Novembre 2018, 09:07:25 AM
Ma una cosa mi chiedo: com'è possibile che ad un sì acuto maiueuta si debbano spiegare verità così elementari ?
Perché sono solo uno stagista, e in fondo lo scopo della maieutica è ricevere spiegazioni, non darle  :)

Citazione di: Ipazia il 20 Novembre 2018, 09:07:25 AM
Forse che contemplando il cielo della metafisica non si è avveduto della buca ideologica dove i fatti si adeguano alla narrazione ?
Solitamente contemplo il cielo non per la metafisica (altrove ho parlato di «bluff metafisico»), ma per predire il raccolto; posso affittare il tuo frantoio? Fammi un buon prezzo, siamo fuori stagione...

Citazione di: Ipazia il 20 Novembre 2018, 09:07:25 AM
O, magari, è solo una questione di tessere non dichiarate ?  ;D
Intendi oltre a quelle dei supermercati e al postamat? Le altre sono tutte scadute e non rinnovate  ;)
#1588
Tematiche Filosofiche / Re:Cos'è la verità
19 Novembre 2018, 21:15:25 PM
Citazione di: Ipazia il 19 Novembre 2018, 19:51:38 PM
Citazione di: Phil il 19 Novembre 2018, 17:47:13 PM
Dunque la sua «piena veridica forma»(cit.), quella che la identifica, è quella della causa formale o finale?
Come chiedevo, una pistola rotta è una pistola falsa?
Sì, perchè le 4 cause aristoteliche vanno tutte rispettate per un corretto funzionamento.
Allora chiederei ancora: se una pistola rotta è una «pistola falsa», cos'è veramente una pistola rotta? Qual'è (se c'è) la sua "verità"? O meglio, qual'è la causa finale di una pistola rotta?
Mi sarei risposto con «il non funzionare», se non fosse che non è stata progettata per questo, ma si è ritrovata ad essere/diventare tale (quindi non credo sia totalmente corretto parlare di «causa finale»...).

Citazione di: Ipazia il 19 Novembre 2018, 19:51:38 PM
Da marxista la vedo diversamente. Sono le condizioni storiche determinate, ovvero l'ethos, a dettare le tavole della legge che poi si incarnano nelle norme religiose e civili.
Non sono sicuro che nella "tessera marxista" sia inclusa anche la licenza per derogare dall'ordine cronologico degli eventi storici  :) : non è forse vero che le grandi religioni hanno dettato le loro norme a cui l'ethos di quei popoli si è poi conformato nei secoli, così profondamente che oggi anche il senso etico comune laico ne è ancora impregnato? La religioni rivelate non sono tali proprio per il loro avvento "dall'alto"? Certo, se hanno attecchito, significa che c'erano le condizioni propizie per farlo, tuttavia non è il germoglio a causare la semina; sbaglio?
Ad esempio, l'ethos italiano ha la sua matrice nel cristianesimo, o viceversa?


P.s.
Spero che questa "maieutica da stagista" non venga presa per "accanimento terapeutico"  ;)
#1589
Tematiche Filosofiche / Re:Cos'è la verità
19 Novembre 2018, 17:47:13 PM
Citazione di: Ipazia il 19 Novembre 2018, 14:20:04 PM
Citazione di: Phil il 19 Novembre 2018, 11:48:01 AM
Citazione di: Ipazia il 19 Novembre 2018, 10:01:05 AM
Una pistola inceppata non dice la verità. Usando una tua bella espressione può ancora semanticamente proiettare l'immagine ontologica di tal senso, ma la sua ontologia reale ha perso un pezzo essenziale per strada.
Proporrei di riporre la pistola poiché, seppur inceppata, qualcuno potrebbe farsi male cercando di (sovra)caricare la causa finale senza passare per quella formale (per dirlo con Aristotele, ma soprattutto con Bacone), il che rischia di far esplodere in mano il concetto primario di identità (persino della propria, in quanto umano...).
Se ci limitiamo agli apprendisti stregoni funziona così. Ma tenendo conto che ogni semantica richiede un interprete sapiente, si rimuove l'inceppamento e si riporta la pistola alla sua piena veridica forma. Senza che nessuno si faccia male.
Dunque la sua «piena veridica forma»(cit.), quella che la identifica, è quella della causa formale o finale?
Come chiedevo, una pistola rotta è una pistola falsa?

Citazione di: Ipazia il 19 Novembre 2018, 14:20:04 PM
l'etica non viene dal nulla. Essa guida l'agire nell'ethos solo dopo che l'ethos ha dato le dritte. E' questa la gerarchia reale. Solo dopo l'etica retro-agisce sull'ethos norma-lizzandolo.
Non ne sono persuaso; storicamente mi pare siano i modelli etici a dare le direttive che l'ethos talvolta accetta (v. circa tutte le religioni del mondo); l'accettazione "a furor di popolo" è crono-logicamente successiva alla proposta etica. Se mi concedi il ricorso alla mitologia: fu l'ethos a dettare le tavole a Mosè, o fu Mosè a dare le tavole al popolo, impattandone l'ethos? Sono le religioni ad aver plasmato l'ethos dei popoli o viceversa?

Citazione di: Ipazia il 19 Novembre 2018, 14:20:04 PM
[...]rapporta tra etica ed etologia (umana) che ridefinisce continuamente il concetto di bene, non certo omologandosi, ma superando la prassi comune quando questa viene intersoggettivamente falsificata:
[...]Anche i manuali etici hanno una loro testabile funzionalità verità. Alcuni principi delle tavole mosaiche sono tuttora perfettamente funzionanti. Il che significa che i fondamenti etici, i valori, sono a priori della technè che agisce sull'ethos.
Chiedo per conferma: inquadri l'etica non come prescrittiva (religiosa), né circoscrittiva (filosofica), bensì come descrittiva (sociologica); ovvero, finché una certa etica "funziona" socialmente (è accettata dalla maggioranza e non porta all'implosione della società), allora è veridica.
Se così fosse, l'unico passaggio che per me è "a vuoto" (forse perché non lo rintraccio nella mia prospettiva) è il nesso con la verità: affermare che l'etica vigente è vera/veridica, mi pare semanticamente ridondante («è vero che è bene lasciar posto agli anziani sul bus»), oppure significa che tale etica è reale, in atto («è vero che solitamente si lascia posto agli anziani sul bus») e qui si torna al funambolico barcamenarsi sul crinale che separa realtà (falsificabile e compilativa) e verità (interpretativa e non sempre falsificabile, nel caso un concetto non si esaurisca nella sua applicazione empirica, come nel caso del Bene di cui si occupa l'etica classica; concordo con te che attualmente l'etica possa avere un "taglio" ben differente).

Citazione di: Ipazia il 19 Novembre 2018, 14:20:04 PM
concordo col tuo, mi pare, discorso sulla non equivalenza dei diversi sistemi morali.
Confermo.
#1590
Tematiche Filosofiche / Re:Cos'è la verità
19 Novembre 2018, 11:48:01 AM
Citazione di: Ipazia il 19 Novembre 2018, 10:01:05 AM
Una pistola inceppata non dice la verità. Usando una tua bella espressione può ancora semanticamente proiettare l'immagine ontologica di tal senso, ma la sua ontologia reale ha perso un pezzo essenziale per strada.
Proporrei di riporre la pistola poiché, seppur inceppata, qualcuno potrebbe farsi male cercando di (sovra)caricare la causa finale senza passare per quella formale (per dirlo con Aristotele, ma soprattutto con Bacone), il che rischia di far esplodere in mano il concetto primario di identità (persino della propria, in quanto umano...).

Citazione di: Ipazia il 19 Novembre 2018, 10:01:05 AM
Un'etica inceppata - non più sincronizzata con le mutate condizioni etologiche - va messa fuori uso e sostituita con una che funziona. La veridicità di una progettualità etica non può essere autoreferenziale, ma, come ogni buona tecnica, va testata sul campo. Spesso i risultati sono imprevedibili.
Provo a parafrasare: un'etica «funziona» quando è «sincronizzata con le condizioni etologiche». Anche qui (come sopra), a parer mio, si inverte una gerarchia, quella (crono)logica fra l'etica che (per definizione) dovrebbe guidare l'agire, e l'agire etologico (altro tautos: etologia e etica sono "sorelle etimologiche" in ethos) che si trova a dettare il tempo della sincronia dell'etica (e se lei va fuori tempo, viene eliminata dal televoto ;D ).
L'etica è quindi mansueta amanuense delle vicende umane (e non più ambiziosa bussola che indica il bene) che è veridica se (de)scrive le abitudini, non più veridica se suggerisce altro dalla prassi comune?

Proporre che una teoria etica possa essere verificata funzionalisticamente come si verifica un meccanismo (e quindi si può prospettare persino un falsificazionismo etico) significa ridefinire (e rieccoci alla centralità concettuale del linguaggio) il concetto di «bene», tratteggiando una "etica 2.0" (più affine al percorso, o meglio, al binario di un'A.I.: funziona=1, non funziona=0).
Gesto teoretico certamente possibile, in cui il reale ("test lab" di ogni techné) viene invitato a sottomettere le aspirazioni trascendenti della storia del pensiero etico, rimpiazzando gli immutabili comandamenti religiosi con gli aggiornabili trattati di sociologia, psicologia delle masse, etc. Proposta squisitamente postmoderna (che quindi non mi lascia indifferente), ma che consiglierei di esporre con cautela e solo in circoli di fidati "carbonari"; l'imputazione di eretica empietà e di destabilizzazione dell'ordine verrebbe probabilmente testata come veridica e "funzionante"  ;)