Citazione di: Alexander il 26 Ottobre 2021, 01:01:53 AM
Naturalmente rifiutando l'immagine ingenua e stereotipata del credente che avete, obietto che il cercare nella filigrana della storia la presenza del divino non toglie nulla alla scoperta, giorno per giorno, del divenire storico. Il credente semmai sente un compito più pressante del non credente: dare ragione della propria fede attraverso e malgrado il senso di vanità della storia umana che avverte. Leggere una eventuale storia nascosta che scorre assieme a quella ordinaria che tutti viviamo. Compito arduo perché l'inganno è sempre in agguato. L'inganno però gioca con ognuno di noi, credente o non. Il credente non conosce l'epilogo della storia, certo non più del non credente. L'unica differenza sta nelle fede in un autore e che questi sappia quello che fa. Riprendendo l'esempio del bambino che ascolta una storia, si dirà allora che il credente ha fiducia che ci sia un narratore che conosca l'epilogo. Attende allora la scoperta di questo epilogo. E questo è un atto di fede. La storia nel suo divenire allora lo interpella e vaglia la sua fede, perché è là, nella mancanza di senso, che può trovare o rifiutare il Dio/ autore, diventando così, con la sua scelta di ascoltare o meno, un custode oppure un imbrattatore del racconto. Frumento da granaio o pula.
Buongiorno a tutti: estraggo due parti di discorsi sentiti
Ipazia:"Il concetto di "vanità" è assai labile e soggettivo. Ciascuno lo applica ai valori dell'altro senza vederlo nei propri."
Kobayashy: "Alexander ha sottolineato la necessità di distinguere il racconto della propria vicenda privata dalla storia collettiva. Ciò che manca non sono le favole con cui intrattenersi nello spazio privato o attraverso cui decifrare i fatti della propria vita. Ciò che manca è un senso da assegnare all'avventura collettiva, che pretende verità, oggettività, universalità."
Chiedo perdono Alexander, comunque ho detto che la maggior parte dei credenti sarebbero per me dei superstiziosi, non tutti i credenti. D'altra parte ci sarà pur un motivo per cui si dice che Dio è morto.
Vanità? A cosa debba riferirsi il senso di vanità di cui narra Calvino? La mia sensazione, ovvero la mia opinione, è che morto un Dio se ne farà un altro, anzi, si fa da sè. Come può essere che Dio sia morto? E' morto poiché è arrivata pian pianino la ola dello spirito ateo. Sappiamo da dove e da quanto tempo è partita questa marea, almeno in occidente. L'io non vuole più Dio e comincia a spingere e lo fa sempre più, con una forza simile a quella fatta a suo tempo dall'idea di Dio, ma in tempi più brevi se vediamo la cosa rispetto all'idea generale di un culto all'oltre vita. Vedi qualche nuovo Dio all'orizzonte? Dovrebbe esserci in giro da qualche parte. Lì sta il nuovo Dio e lì dovrebbe evidenziarsi l'epilogo della storia umana. Forse Calvino rappresentò nel suo personaggio il senso di vanità riferendosi all'inefficacia dell'agire umano per uscire dal cerchio degli dei. Questa sfida (intellettuale), se uno ci crede e sempre ammessa l'esistenza di qualche candidato a Dio in giro per le strade, potrebbe pure costituire un dar senso alla vita.
Finché scrivevo Ipazia ha prodotto un post su Nietzche, che purtroppo non conosco