@Apeiron
Trovo molto interessante e da approfondire la tua definizione: "Qualcosa non va". Nel caso di Yeoshwa è bene non dimenticare il suo lato umano. Infatti viene teologicamente definito come Vero Dio e Vero uomo, ad indicare la sua prossimità con la nostra totale e completa situazione esistenziale. Nel farsi uno come noi Yahweh assume su di sé l'intera condizione umana e pertanto anche la nostra solitudine e la nostra incostanza, non dimenticando il sentimento base della nostra vita, ossia la paura. Era inevitabile quindi anche per Yeoshwa stesso provare questa sensazione, questo dubbio, pena il non essere veramente un uomo come noi. Doveva assumere su di sé la condizione di nuovo Adam per portare a compimento il progetto redentivo pensato da Yahweh nel momento stesso in cui ha creato ex nihilo il Tutto. Quello che tu definisci come "Qualcosa non va" diventa un pungolo, un'urgenza (samvega) ad andare oltre, ma anche ad accettare la sua presenza nella nostra esistenza ( L'accettazione infine per Yeoshwa è "...non la mia, ma la Tua volontà si compia...". Per Gotama Siddharta sarà l'urgenza dell'ascesi, dell'abbandono della falsa e illusoria felicità derivata dal vivere nella ricchezza).
Sono d'accordo che non si può essere cristiani togliendo tutto l'aspetto e la struttura teologica soprasensibile, pena la riduzione del cristianesimo a mera filantropia. Tuttavia non è nemmeno vero l'inverso. "Tre cose alla fine rimangono" afferma Saulo di Tarso "la Fede, la Speranza e la Carità. Ma di queste la più grande è la Carità. Infatti uno può dire: -Tu mostrami la tua fede e io ti mostrerò le mie opere".
La comprensione della profondità e delle implicazioni dell'agape è il tratto veramente distintivo del cristianesimo, come la comprensione profonda del carattere doloroso (dukkha) e insoddisfacente dell'esistenza lo è di quello "buddhista". Non bisogna dimenticare infine la grande importanza che , in ambedue le religioni, viene data alla vita umana. Infatti Siddharta arriverà a definirla preziosissima usando il famoso paragone della tartaruga marina. E' più facile per una tartaruga che affiori una volta ogni cento anni, dice il Buddha, infilare con la testa un anello nel mezzo dell'oceano, che un essere possa nascere in forma umana. Da qui tutta l'importanza data al non "sprecare" inutilmente in vani piaceri l'esistenza, ma di dedicarla alla ricerca di una soluzione proprio per quel "Qualcosa non va" di cui parli.
Rovesciando la tua affermazione si potrebbe anche dire: per compassione del dolore di infiniti esseri senzienti bisognerebbe mettere al mondo più figli possibili. Proprio perché è solamente nella condizione umana che questi esseri senzienti potranno liberarsi dalla catena del dukkha.
( avendo le risorse per farlo ovviamente...). I due estremi del dolore e dell'amore sono intrecciati come tralci di vite. "Vedendo" la sofferenza degli esseri senzienti sorge spontaneamente l'amore; "amando" si com-prende la sofferenza di tutti gli esseri senzienti.
E infatti, nel caso di Yeoshwa, il momento del supremo dolore ( la Croce) diventa il momento del supremo amore. Siddharta, in preda ai dolori della morte, ormai debolissimo, rimprovera Ananda che non permette ad un asceta di avvicinarsi all'Illuminato, desideroso di conoscerne l'insegnamento, rivelando fino alla fine l'aspetto compassionevole della Mente di Buddha.
Trovo molto interessante e da approfondire la tua definizione: "Qualcosa non va". Nel caso di Yeoshwa è bene non dimenticare il suo lato umano. Infatti viene teologicamente definito come Vero Dio e Vero uomo, ad indicare la sua prossimità con la nostra totale e completa situazione esistenziale. Nel farsi uno come noi Yahweh assume su di sé l'intera condizione umana e pertanto anche la nostra solitudine e la nostra incostanza, non dimenticando il sentimento base della nostra vita, ossia la paura. Era inevitabile quindi anche per Yeoshwa stesso provare questa sensazione, questo dubbio, pena il non essere veramente un uomo come noi. Doveva assumere su di sé la condizione di nuovo Adam per portare a compimento il progetto redentivo pensato da Yahweh nel momento stesso in cui ha creato ex nihilo il Tutto. Quello che tu definisci come "Qualcosa non va" diventa un pungolo, un'urgenza (samvega) ad andare oltre, ma anche ad accettare la sua presenza nella nostra esistenza ( L'accettazione infine per Yeoshwa è "...non la mia, ma la Tua volontà si compia...". Per Gotama Siddharta sarà l'urgenza dell'ascesi, dell'abbandono della falsa e illusoria felicità derivata dal vivere nella ricchezza).
Sono d'accordo che non si può essere cristiani togliendo tutto l'aspetto e la struttura teologica soprasensibile, pena la riduzione del cristianesimo a mera filantropia. Tuttavia non è nemmeno vero l'inverso. "Tre cose alla fine rimangono" afferma Saulo di Tarso "la Fede, la Speranza e la Carità. Ma di queste la più grande è la Carità. Infatti uno può dire: -Tu mostrami la tua fede e io ti mostrerò le mie opere".
La comprensione della profondità e delle implicazioni dell'agape è il tratto veramente distintivo del cristianesimo, come la comprensione profonda del carattere doloroso (dukkha) e insoddisfacente dell'esistenza lo è di quello "buddhista". Non bisogna dimenticare infine la grande importanza che , in ambedue le religioni, viene data alla vita umana. Infatti Siddharta arriverà a definirla preziosissima usando il famoso paragone della tartaruga marina. E' più facile per una tartaruga che affiori una volta ogni cento anni, dice il Buddha, infilare con la testa un anello nel mezzo dell'oceano, che un essere possa nascere in forma umana. Da qui tutta l'importanza data al non "sprecare" inutilmente in vani piaceri l'esistenza, ma di dedicarla alla ricerca di una soluzione proprio per quel "Qualcosa non va" di cui parli.
Rovesciando la tua affermazione si potrebbe anche dire: per compassione del dolore di infiniti esseri senzienti bisognerebbe mettere al mondo più figli possibili. Proprio perché è solamente nella condizione umana che questi esseri senzienti potranno liberarsi dalla catena del dukkha.

E infatti, nel caso di Yeoshwa, il momento del supremo dolore ( la Croce) diventa il momento del supremo amore. Siddharta, in preda ai dolori della morte, ormai debolissimo, rimprovera Ananda che non permette ad un asceta di avvicinarsi all'Illuminato, desideroso di conoscerne l'insegnamento, rivelando fino alla fine l'aspetto compassionevole della Mente di Buddha.