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Messaggi - Phil

#1621
La questione dei centri commerciali domenicali è una coniugazione della situazione "liberale" dell'uomo occidentale contemporaneo: di fronte ad una possibilità (lo shopping domenicale), non c'è stata costrizione dall'alto, ma la massa si è orientata verso la sua piena accettazione... proprio come accade per altre "libertà": il fumare, il bere alcolici, le slot machine, l'uso della tecnologia, le "case chiuse" con bambole gonfiabili etc. certo, la macchina della persuasione sociale ci mette sempre lo zampino e molti vengono affabulati o persino fagocitati (v. dipendenze), ma in fondo il vecchio "fuma sigarette così sembri figo" ha lo stesso meccanismo base di "vai a messa così ti guadagni il paradiso" oppure "vota partito x così lavori meglio e combatti le ingiustizie", ovvero c'è sempre qualcuno che cerca di servirsi delle innate speranze e utopie della moltitudine per proprio tornaconto economico (questua, 8 o 5 o 2 x 1000, tasse statali, carriera politica, finanziamenti, o altro).
Rimproverare alla moltitudine di essere composta perlopiù da "schiavi", ingenui, polli da spennare, psicolabili, immorali, etc. forse significa dover riconsiderare cosa siano i fenomeni di massa, ma sin dalla notte dei tempi, senza voler crocifiggere manager ed economisti come se avessero appena portato sulla terra un male satanico senza precedenti. 
L'attualità dei fenomeni di massa forse impone anche una rilettura dell'imputazione di "epoca dell'individualismo" (tipica del "nostalgismo" da terza età) passando dalla categoria di "gruppo" a quella di "serie", per dirla con Sartre.

Ritornando al tema del topic, direi che in questo caso, almeno da quel che ho visto intorno a me, non c'è stata nemmeno una sfrontata campagna di marketing per invogliare la gente a fare shopping di domenica. Se la gente preferisce dunque passare la domenica in un centro commerciale, chiuderglielo per spingerla a fare altro (che la gente potrebbe già fare, ma forse non fa...) è un gesto di saggia premura paterna, oppure si fa lo sgambetto a chi è ben lieto di poter avere quella opportunità (e ne dovrebbe affrontare le ripercussioni)?
Forse c'è il rischio di dimenticare che chi lavora anche la domenica, magari lo preferisce all'esser disoccupato (vedi suddetta storia delle migliaia di posti a rischio), così come chi fa shopping la domenica non ha necessariamente nostalgia del poterlo fare solo durante i feriali, di corsa, dopo il lavoro, pur di avere la domenica libera per rinchiudersi in altri posti a spendere (cinema, bowling, etc.) o starsene a casa davanti a uno schermo a fare acquisti on line.


P.s.
Glisso (sarebbe un lungo e svogliato off topic) sulla necessità di una struttura gerarchica per far funzionare una società democratica e una qualunque economia (che non sia il baratto) e sulla necessità di rivisitare discorsi "scaduti" storicamente (non è una critica, ma una constatazione), aggiornandone in primis il linguaggio, così da renderli applicabili ai fenomeni della società attuale.

P.p.s.
@Sariputra
Se la figlia è in età lavorativa, non scommetterei che passerebbe il suo giorno libero con mamma e papà... ormai, se non sbaglio, la fantomatica "famiglia del Mulino Bianco" è stata soppiantata persino nell'omonima pubblicità; che non sia un caso?
#1622
@donquixote

Certamente il sacro è già una forma (arcaica) di filosofia, eppure... si può mangiare senza aver fatto filosofia, ma si può fare filosofia senza aver mangiato?
Probabilmente intendi la filosofia semplicemente come sinonimo di ragionamento, visione del mondo; è una sua interpretazione legittima, sebbene Aristotele e io la identifichiamo con qualcosa di meno estemporaneo e improvvisato.
Sul rapporto filosofia e bestialità, mi sembra che in fondo confermi quanto proponevo (anche se esordisci con "è invece esattamente l'opposto"), ovvero che la filosofia (dominante) è causa della (per te spiacevole) situazione attuale più di quanto ne sia moderatrice ed emendatrice (oppure ho frainteso?).

P.s.
La hybris è un concetto filosofico-letterario, più che psicologico:
https://it.wikipedia.org/wiki/Hybris
#1623
Ho letto in giro (non fidatevi troppo) che la chiusura domenicale porterebbe anche alla "chiusura" di 50.000 posti di lavoro (essendoci turni in meno da coprire, serve meno personale). Se anche fossero la metà, direi che sono a sufficienza per valutare bene se "santificare la domenica" (con religione, pallone o attività extra, magari in musei o cinema in cui altra gente lavora...) valga davvero tutti quei posti di lavoro. 
Perdere lavoratori, senza dirlo, comporta un'economia che "gira" di meno e più sussidi di disoccupazione e affini (non proprio un toccasana per le casse dello stato). Certo, per le aziende è un risparmio, anziché vendere x (fabbisogno nazionale) in 7 giorni, lo vendono quasi identico (si parla del 10% in meno, forse assorbito in parte dal mercato onlinein 6 giorni, quindi si abbassano i costi di gestione, ma è anche vero che quei 50.000, faranno probabilmente un po' di spesa in meno... potranno in compenso godersi la famiglia, e non solo la domenica, purtroppo per loro  ;)

La domenica non è già più un "giorno speciale" per tutti coloro che lavorano a turni in molti settori e, in uno stato laico, non ha troppo motivo per essere considerata tale, soprattutto se produce disoccupazione e meno servizi (l'importante è avere un giorno libero). 
Concordo in generale con davintro.
#1624
Citazione di: donquixote il 09 Settembre 2018, 22:21:49 PM
Pare sia stato Thomas Hobbes ad inventare il detto "primum vivere, deinde philosophari", mostrando quanto in quei tempi il degrado e la dissoluzione culturali avessero già attecchito anche fra le menti più dotate; infatti non si può scindere temporalmente le due azioni poichè l'uomo, in quanto tale, "fa" costantemente filosofia, e decidere di non filosofare è già un filosofare.
Dice Aristotele (Metafisica, A, 2, 982a-983a):
"se è vero che gli uomini si diedero a filosofare con lo scopo di sfuggire all'ignoranza, è evidente che essi perseguivano la scienza col puro scopo di sapere e non per qualche bisogno pratico. E ne è testimonianza anche il corso degli eventi, giacche solo quando furono a loro disposizione tutti i mezzi indispensabili alla vita e quelli che procurano benessere e agiatezza, gli uomini incominciarono a darsi ad una tale sorta di indagine scientifica" (per Aristotele il concetto di "scienza" era affine a quello di filosofia, intesa come "scienza del sapere", e d'altronde oggi abbiamo, se non erro, corsi di laurea in "scienze filosofiche").
Adesso la società non è certo quella dei tempi di Aristotele, ma resta vero che una pancia vuota cerca cibo e con la sola filosofia (dati alla mano) non lo troverà facilmente. Questo è il senso che volevo dare a "primum vivere", quando l'ho citato in precedenza.

Ognuno ha inevitabilmente una sua visione del mondo, eppure non direi che, banalmente, tutti fanno filosofia: certo, tutti ragionano, eppure quel tipo di "philein" categorizzante, tipico della filosofia, non risiede tutte le menti (per fortuna, altrimenti ci estingueremmo presto  ;D ). Tutti riordiniamo la casa, magari compriamo suppellettili o spostiamo qualche mobile, di tanto in tanto, ma non per questo direi che ci possiamo tutti considerare architetti o arredatori di interni (al di là dell'esser pagati o meno per farlo).
"Decidere di non filosofare è già filosofare"? Non ricordo il contesto in cui Hegel (e forse non per primo) diede alla luce tale aforisma, tuttavia, se qualcuno dice che non vuole avere a che fare con la filosofia, le cui questioni giudica prive di interesse, fa certamente una affermazione filosofica (che non significa fare filosofia) solo se ha meditato adeguatamente su tale scelta; se invece (più plausibilmente) è un giudizio dettato da noncuranza, altri interessi o rifiuto del pensare a certi temi, non me la sentirei di dire che tale soggetto stia davvero facendo filosofia (tantomeno che sia un filosofo).

Mi pare che, salvo eccezioni, se si vuole lavorare e mangiare con la Filosofia, ci si debba rivolgere all'insegnamento (a tutti i livelli), se invece si vuole lavorare e mangiare "con filosofia" (e/o avere l'hobby della filosofia) è irrilevante il lavoro che si svolge; per fare filosofia, come dicevo, bastano matita e foglio, sebbene sia consigliato farla a stomaco pieno... fermo restando che, ironicamente, il disoccupato cronico e il milionario ozioso (essendosi estinta la possibilità di essere mantenuti da mecenati) sono quelli che hanno maggior tempo da dedicare alla filosofia (sia la loro o di altri).

Citazione di: donquixote il 09 Settembre 2018, 22:21:49 PM
Mortificare quindi i propri valori individuali e quelli morali [...] sacrificandoli sull'altare della "sopravvivenza" è la palese abdicazione dalla più pura umanità come concetto filosofico per trasformarlo in un puro concetto biologico, e nemmeno "animalesco" perchè gli animali hanno un istinto di sopravvivenza che tende all'equilibrio ed all'armonia, ma "bestiale" poichè l'animale uomo è essenzialmente squilibrato e sono proprio la cultura e la "filosofia" ad assumere il compito di controllare e dominare questo squilibrio.
E se fossero state proprio la cultura e la filosofia (con la sua hybris) a mutare l'animalità dell'uomo in bestialità squilibrata?
I danni all'ambiente, le problematiche sociali e il biasimato "regime dittatoriale dell'economia", non sono forse figli della nostra cultura e di una certa filosofia che li ha alimentati, piuttosto che domarli?
#1625
Citazione di: paul11 il 09 Settembre 2018, 00:01:54 AM
si vede che sei ingegnere e fai il risentito.
Per quanto preferisca non parlare di me, devo smentirti: dico solo che "Phil" è sia inglese che latino (e non sta per Philippus), il resto lo lascio al tuo intuito... precisando inoltre che conosco un po' sia il mondo aziendale che quello della ricerca del lavoro, entrambi dall'interno, quindi più che "risentimento", c'è forse modesta consapevolezza.

Citazione di: paul11 il 09 Settembre 2018, 00:01:54 AM
Il mio discorso era general generico, e se un ingegnere frequenta un forum di filosofia, è perchè o la odia o ha una mentalità aperta.
Se ti va, prova a rileggere i miei interventi considerando che parlo dall'interno del discorso fatto da DeepIce (gli assomiglio più di quanto credi) e forse le mie osservazioni non ti appariranno critiche capricciose di un (presunto) ingegnere, ma considerazioni fondate, seppur personali, sullo stereotipo che i non-filosofi hanno dei laureati in filosofia (e sulla filosofia in genere).
#1626
@paul11 e @Socrate78

Una declinazione dello "stereotipo del filosofo dalla mente aperta" (già commentato) è proprio quella del "filosofo personaggio scomodo", implacabile grillo parlante e strenuo difensore della Ragione e del Bene; caricatura che ironicamente alimenta di riflesso lo stereotipo del filosofo che non sa tenere in mano un cacciavite... che è esattamente l'immagine di cui alcuni filosofi si lamentano, non avvedendosi di come sia un'effetto collaterale inevitabile della loro (auto)promozione.

Un filosofo ha difficoltà a farsi assumere in fabbrica perché "i padroni" temono che la sua visione disincantata sobilli rivolte del "proletariato", oppure perché ha una formazione che sconsiglia l'inserimento in un contesto totalmente avulso al suo curriculum (e si sa che la pazienza di insegnare è un lusso che oggi pochi si possono concedere)? 
Domanda (retorica) che mi sembra ancor più ragionevole e valida per altri ruoli che richiedono competenze ancor più specifiche e difficili da apprendere solo sul campo.
D'altronde, se doveste registrare operazioni contabili, curare un sito internet, organizzare un evento, etc. paghereste (di tasca vostra) un filosofo (senza altri titoli), rincuorati dal suo spiccato senso critico e analitico, oppure paghereste uno specialista? Siate onesti...
Non confondiamo filantropia e mecenatismo con il mercato del lavoro (che poi sia possibile sognare un mondo diverso, è fuor di dubbio...).

Il "filosofo disobbediente" (con in tasca "Il capitale" o "Così parlò Z." o "La critica della ragion pratica" o altro) è una macchietta fumettistica, disfunzionale nel senso deleterio del termine: se ogni ingranaggio volesse girare come e quando dice lui, sarebbero ben pochi i meccanismi funzionanti (non rispolvero la solita metafora del corpo umano...).
Se fossi filosofo e mi venisse chiesto di svolgere un compito esecutivo, di produrre un bene, o di fornire un servizio (che non trovo immorali e/o per i quali sono pagato), perché non dovrei obbedire e lasciare le mie velleità filosofiche sul comodino? Se poi ho la possibilità di proporre un miglioramento del servizio o una buona idea, difficilmente mi sarà impedito almeno di parlare (l'essere ascoltati e accontentati è altro discorso).

Davvero i filosofi sono "svegli" e pensano con la loro testa? Davvero il tecnicismo a discapito della preparazione filosofica è un male "mentale" per chi lo preferisce? In fondo, anche la filosofia è una forma di tecnicismo, per quanto possa risultare più simpatica e aulica di altre...
Come ricordato, la filosofia ha come sbocco lavorativo principale (e logico) il campo dell'istruzione, dove molti filosofi fanno giusto il loro "compitino", non hanno il dovere di produrre merci, non aizzano rivoluzioni culturali e portano a casa il loro stipendio obbedendo a chi gli è superiore per gerarchia (non per altro)... che il "filosofo supereroe" (e stipendiato!) sia da considerare un'eccezione?
#1627
Lo stereotipo del filosofo dalla mente aperta, che pensa "out of the box", che innova con il suo pensare "laterale", si scontra di fatto con la realtà dei laureati in filosofia (ma non mi riferisco assolutamente a DeepIce!), spesso molto meno creativi e visionari di un ingegnere, confinati mentalmente nella prospettiva "monistica" del loro idolo (Abelardo, Nietzsche, Marx o Russell, non fa differenza) e che hanno studiato filosofia come se fosse letteratura o archeologia (ovviamente senza offesa per chi le studia, richiedono solo un'attitudine differente) . Certo, non tutti sono così, ma... preferisco non sbilanciarmi nell'azzardare una proporzione.
Anche il falso mito del laureato in filosofia che lavora nella "selezione del personale" forse andrebbe rivisto: se non erro, solo con quella laurea, oggi, quel ruolo è precluso ai filosofi; se prendono un master specifico, hanno qualche chance, ma in tal caso essere laureati in filosofia non è un vantaggio maggiore dell'essere laureati in psicologia, sociologia o altre discipline affini.
Marchionne era laureato in filosofia, tuttavia ricordiamoci che dopo quella laurea ne prese una in giurisprudenza e poi fece un master in business administration... altrimenti forse non avrebbe mai nemmeno incontrato quegli ingegneri "da prendere per i fondelli".
#1628
@DeepIce

Posso ben intuire l'umore della tua situazione, perciò mi permetto di suggerirti di usare la filosofia, oltre che per trovare lavoro, un po' anche su te stesso; se posso prendermi la libertà di darti qualche indizio:
Citazione di: DeepIce il 07 Settembre 2018, 18:37:56 PM
In sostanza non riesco a trovare lavoro, di nessun tipo.

Non riesco a capire che cosa ci sia di sbagliato in me o nel mio curriculum.
Il non trovare lavoro implica davvero che tu o il tuo cv siate "sbagliati"? Nell'incontro domanda/offerta di lavoro, ciascuno dei due è "giusto" o "sbagliato" per l'altro; come ben sai, non dipende da te più di quanto non dipenda dai posti disponibili (e da altre contingenze situazionali).

Citazione di: DeepIce il 07 Settembre 2018, 18:37:56 PM
Sono stato anche all'estero, ma - a dispetto di quanto molti sostengono - non è affatto facile: si cercano soprattutto persone con conoscenze nel campo dell IT, dell'informatica, dell'accounting, dell'ingegneria e cose del genere.

Ho provato in settori quali il marketing, la comunicazione, il copywriting, l'editoria; settori più affini alle mia capacità ed ai miei studi...il risultato è stato ed è zero!
Per quel che vale la mia opinione, ti fa onore l'aver tentato in altri paesi e in altri settori in cui (magari sbaglio), non avendo i titoli e/o l'esperienza richiesta, le possibilità erano effettivamente scarse... o magari ti sei solo trovato al posto giusto al momento sbagliato.

Citazione di: DeepIce il 07 Settembre 2018, 18:37:56 PM
Eppure mi sento un fallito. A volte mi ritrovo ad invidiare i pasticceri, i cuochi, i panettieri che trovano un lavoro facilmente, in Italia e all'estero.
Se l'assenza di lavoro ti fa sentire un "fallito" e invidi persone che sembrano trovare lavoro facilmente, hai già in mano qualcosa su cui lavorare filosoficamente (in attesa del lavoro), per indagare il senso che dai alla tua vita, plausibilmente con strumenti teoretici che non tutti i cuochi e i panettieri possiedono (senza con ciò voler prescindere dal "primum vivere deinde philosophari").

Citazione di: DeepIce il 07 Settembre 2018, 18:37:56 PM
Mi sento in colpa per aver fatto determinate scelte formative: se invece di perdere anni sui libri di filosofia avessi imparato un mestiere o studiato altro, forse ora sarebbe tutto più facile.
Eppure, potrebbe dirlo qualunque laureato disoccupato, no? "Se non avessi studiato ingegneria/chimica/arte/lingue/x, ma avessi imparato a fare il cuoco, ora lavorerei in una pizzeria in Germania!" così come, tuttavia, il cuoco disoccupato (si, esistono anche loro) può dire il contrario...

Citazione di: DeepIce il 07 Settembre 2018, 18:37:56 PM
Non colpevolizzo la filosofia in quanto tale, è stata ed è la mia passione, però prendo atto che la filosofia e il mondo del lavoro sono agli antipodi.
La laurea in filosofia dà sbocchi lavorativi ben precisi (comunque, non più di tante altre discipline specialistiche), principalmente nel girone dantesco dell'istruzione (salvo aggiungere altri master post-laurea, dal costo certo ma dall'utilità incerta) e almeno, come dice una vecchia storiella, è la disciplina più economica da continuare a praticare anche in tempi di ristrettezze monetarie: basta una matita e un foglio (o una tastiera e un forum) e se anche questi mancano... basta avere una testa.
#1629
Effettivamente, come osservato da InVerno, è una domanda un po' sdrucciolevole... forse, più che "amore", la natura conosce (e fornisce) l'attrazione per qualcosa che si vuole conservare (ciò che è oggetto d'amore ci attrae a sé per goderne e non vogliamo averne mancanza), e, più che "odio", l'attrazione per qualcosa che si vuole eliminare (ciò che è oggetto di odio ci attrae a sé per essere annientato, eliminato o annichilito).
Sono comunque due tipi d'attrazione (concordo con paul11), conservativa e distruttiva, entrambe funzionali alla preservazione della vita: tutelare ciò che utile, rimuovere ciò che è dannoso.
#1630
Tematiche Filosofiche / Re:Scienza e scientismo
06 Settembre 2018, 13:41:30 PM
Ricorderei che la filosofia può applicarsi alla scienza ("filosofia della scienza", epistemologia o riflessioni filosofiche sulla tecnica), ma non il contrario (la "scienza della filosofia" non mi risulta): la scienza non può matematizzare e sistematizzare tutta la filosofia teoretica... la logica formale è infatti una zona di confine, non strettamente pertinente e applicabile a tutta la speculazione filosofica.
Se adottiamo un approccio filosofico (quindi un po' interdisciplinare per natura), possiamo guardare la scienza e trarne riflessioni del tipo di quelle di Oxdeadbeef; se preferiamo un approccio più settoriale, possiamo concentrarci sulle differenze fra i vari domini e rispettivi campi d'applicazione (come fa sgiombo, che tiene ben separati l'utilitarismo realistico della tecnica e la dimensione di senso esistenziale della religione).

Credo che lo scientismo muti il suo rapporto con la scienza anche a seconda di quale dei due approcci orienta il discorso: se si parte dalla filosofia come approccio verso le altre discipline, lo scientismo vincolerà la speculazione a criteri di metodo ben precisi (mutilando alcune possibilità teoretiche); se invece si parte da un approccio strettamente settoriale, lo scientismo risulterà applicabile solo ad alcuni ambiti, ma avrà un rapporto più forte e diretto con la scienza.

Ad esempio, il citato nichilismo, come ogni approccio filosofico non epistemologico (e non scientista), non è interessato, né pertinente, a verità descrittive o applicative: per un nichilista, o un edonista, o un marxista, o un nietzschiano, o un asceta qualunque, che la terra giri intorno al sole e che ci sia una formula per la velocità della luce, è pressoché irrilevante, ai fini della sua filosofia... per lo scienziato e per lo scientista, invece, si tratta di un'ennesima conferma della capacità della scienza di descrivere (e poi utilizzare) ciò che lo circonda.
Non sempre due discipline possono dialogare e confrontarsi fra loro "per amor di filosofia": se le domande che si pongono sono radicalmente divergenti (per tema o approccio), una non può aiutare o corroborare (né confutare) l'altra (e se ci prova, intorbida solo le acque o, seppur in buona fede, fa un buco nell'acqua).

P.s.
Concordo sulle perplessità di viator riguardo il rapporto fra "verità" e "assoluto", ma è un discorso su cui mi sono già dilungato altrove...
#1631
Citazione di: sgiombo il 02 Settembre 2018, 20:57:10 PM
Nego il relativismo etico qui illustrato: per me bene e male (senza virgolette) pur non essendo dimostrabili [...], sono d fatto  avvertiti dentro di sé da ognuno (salvo rarissimi casi chiaramente patologici)
Certo, ognuno avverte il bene e il male, ma, seguendo il determinismo, non il Bene e il Male (maiuscole metafisiche, dicevo...).

Citazione di: sgiombo il 02 Settembre 2018, 20:57:10 PM
[/size]Che necessariamente la sua velleitaria funzione "classica" di guida normativa a priori si impoverisce, depotenziandosi nel calderone degli input che condizioneranno inevitabilmente l'agire del soggetto (inteso come un elaboratore che processa meccanicisticamente i vari condizionamenti esterni e cheLe ripercussioni sulla politica, sulla visione esistenziale del mondo, e in ogni altro ambito di pensiero, non possono che essere genuinamente nichiliste: "combattiamo per il bene contro il male", per il determinismo forte, ha lo stesso valore di "laviamo i piatti dopo mangiato", poiché entrambe sono affermazioni che non potevano non esser dette (dato il causalismo) e dalle conseguenze già "ipotecate" non é affatto vero in linea di principio
Perché?
In linea di principio, destituiti il Bene e il Male metafisici (conseguenza del determinismo forte), mi pare che ciò che resta sia più o meno ciò che ho tentato di descrivere...

Citazione di: sgiombo il 02 Settembre 2018, 20:57:10 PM
ed é inoltre platealmente smentito empiricamente di fatto per esempio dai casi di molti rivoluzionari francesi e sovietici che erano fortemente deterministi in teoria e attivissimi, spesso eroici combattenti per un mondo migliore (letteralmente: più buono) in pratica, per molti versi incarnando proprio il soggetto audace e padrone del suo destino (cioé libero da determinazioni e condizionamenti estrinseci, N. d. R), caro all'umanesimo e all'illuminismo.
Se il loro affascinante atteggiamento eroico smentisce le conseguenze logiche del determinismo, forse il problema è la loro capacità di essere coerenti al determinismo fino in fondo... nel momento in cui professano valori e ideali per cui combattono e muoiono, stanno servendo il Bene e il Giusto trascendenti ogni causalità (altrimenti niente maiuscole e porta aperta al relativismo  ;) ), oppure stanno seguendo una immanente catena causale priva di valori morali intrinseci? Un determinista coerente ha solo una riposta possibile.
In fondo tali eroi (sedicenti deterministi) quanto sono lontani dall'essere
Citazione di: Phil il 02 Settembre 2018, 16:46:56 PM
attori, fiduciosamente e romanticamente convinti del valore e della libertà trascendentali delle loro gesta, inconsapevoli dell'assenza di senso intrinseca al casualismo indeterministico
?

Citazione di: sgiombo il 02 Settembre 2018, 20:57:10 PMLa libera (da condizionamenti estrinseci, ma intrinsecamente determinata dalle proprie qualità morali e non dal mero, banalissimo caso, N.d.R) adesione a valori politici, teologici o altro é necessario fondamento di una libera adesione a valori politici, teologici o altro
[Sottolineatura mia: "la libera adesione etc. è fondamento della libera adesione etc."; "x è fondamento di x", non mi quadra troppo...]
Non ho tirato mai in gioco il caso, è il prezzo da pagare per cercare di entrare nell'ottica deterministica forte (come sto provando a fare); l'adesione a valori politici o altro è libera da condizionamenti estrinseci? Davvero non contano e non sono condizionanti i discorsi ascoltati, i libri letti, tutti gli input esterni, etc.? Ne dubito; se così fosse sconfineremmo nell'innatismo (senza offesa per gli innatisti, ma qui il topic è altro) o in un solipsismo eremitico piuttosto sparuto...

Citazione di: sgiombo il 02 Settembre 2018, 20:57:10 PM
e non affatto espressione di sovrastrutture semantiche edificate sul piano portante ed "inevadibile" della casualità indeterministica.
Parlavo di "causalità deterministica", non di "casualità indeterministica"; se le confondiamo, divento ancora più incomprensibile del solito  :)

Citazione di: sgiombo il 02 Settembre 2018, 20:57:10 PMIl resto (una pretesa etica fondata sull' indeterminismo, N.d.R)
Qui mi spiazzi: "l'etica fondata sull'indeterminismo" non appartiene al mio discorso... da dove sbuca adesso?  ;D
#1632
@sgiombo

Sostenere che
Citazione di: Phil il 12 Agosto 2018, 21:29:11 PM
se ciò che è stato non poteva non essere, e ciò che accade non può non accadere in altro modo, allora ogni "mister x" ha fatto semplicemente ciò che era destinato a fare (sia egli filantropo o criminale), giudicarlo bene o male è solo un questione di contingente etichetta morale, ma se davvero non gli era possibile fare altro, "il Bene non è un bene e il Male non è un male" poiché "tutto è solo come può essere".
significa riconoscere, di fatto, l'esistenza delle etichette "bene" e "male", ma non l'esistenza, di diritto, del "Bene" e del "Male" in sè come "ispirazioni metafisiche" delle nostre scelte possibili, essendo ogni scelta solo un'apparenza ingannevole... il contraccolpo di tale prospettiva è che ogni etica produce solo una relativa tassonomia a posteriori (etichette, appunto), mentre la sua velleitaria funzione "classica" di guida normativa a priori si impoverisce, depotenziandosi nel calderone degli input che condizioneranno inevitabilmente l'agire del soggetto (inteso come un elaboratore che processa meccanicisticamente i vari condizionamenti esterni, non più il soggetto audace e padrone del suo destino, caro all'umanesimo e all'illuminismo).
Le ripercussioni sulla politica, sulla visione esistenziale del mondo, e in ogni altro ambito di pensiero, non possono che essere genuinamente nichiliste: "combattiamo per il bene contro il male", per il determinismo forte, ha lo stesso valore di "laviamo i piatti dopo mangiato", poiché entrambe sono affermazioni che non potevano non esser dette (dato il causalismo) e dalle conseguenze già "ipotecate". Per i soggetti coinvolti, il vissuto (psicologico, emotivo, etc.) delle due frasi sarà ovviamente ben differente, ma nell'ottica globale e meta-personale del processo deterministico, si tratta solo di due ennesimi risultati delle rispettive cause; non c'è effettiva differenza di "Valore" (maiuscola metafisica) fra piano morale e piano igienico-domestico, perché entrambi sono sovrastrutture semantiche edificate sul piano portante ed "inevadibile" degli ingranaggi impeccabili della causalità (non della libera adesione a valori politici, teologici o altro).
Il resto sono mere etichette convenzionali apposte dai vari attori, fiduciosamente e romanticamente convinti del valore e della libertà trascendentali delle loro gesta, inconsapevoli dell'assenza di senso intrinseca alla catena causale... se non è nichilismo questo  ;)
#1633
@Kobayashi

Nel complesso concordo, ma avrei alcune osservazioni: forse c'è un lieve cortocircuito fra
Citazione di: Kobayashi il 25 Agosto 2018, 10:53:21 AM
la questione della necessaria contestualizzazione non può preoccupare il filosofo autentico,
e
Citazione di: Kobayashi il 25 Agosto 2018, 10:53:21 AM
La filosofia come partenogenesi?
Mi sa che l'analogia non regge... da qualche parte dovrà pur venire il materiale genetico di base...
Per (r)assicurarsi di avere consapevolezza del proprio imprinting culturale, e per potenziarlo con ulteriori strumenti teoretici, un po' di sana contestualizzazione (del "materiale genetico") credo non possa che giovare alla comprensione e all'attività filosofica (se la contestualizzazione non resta fine a se stessa, ovviamente).

Condivido che
Citazione di: Kobayashi il 25 Agosto 2018, 10:53:21 AM
quella della filosofia sia una riproduzione sessuata con fecondazione multipla attraverso cui viene generata una creatura rabbiosa per via della presenza oppressiva e inadeguata (come sempre) di tanti padri...
Secondo me, la contestualizzazione, sempre da capitalizzare con l'attualizzazione, forse può aiutare a investigare meglio l'inadeguatezza dei padri, rendere meno oppressiva la loro presenza (in virtù della distanza contestuale) e magari anche facilitare l'elaborazione del lutto (in fondo, ci opprime lo spettro dei padri, e lo spettro, in quanto tale, è sovra-contestuale, ma forse questo è un altro discorso...).

Citazione di: Kobayashi il 25 Agosto 2018, 10:53:21 AM
Anzi, si può dire che la filosofia sia nata come critica della religione, quindi come un radicale ripensamento di ciò che in una comunità è dato come indiscutibile, come portatore di un valore in se'.
Il filosofo è per eccellenza un personaggio scomodo.
Impossibile pensarlo come il creatore di una visione assoluta che abbia un'origine e una fine, che sia funzione delle necessità religiose o metafisiche di un popolo.
Piuttosto il risorgere della religione deriva proprio dalla mancanza di autentica filosofia, una filosofia che sappia fornire al singolo quella prospettiva, quel punto di vista, attraverso cui potersi difendere dalle forze oppressive del mondo e sperimentare il senso di ciò che ci riguarda.
Certamente, la filosofia è nata come critica della religione (e di altro), o almeno di quella intesa in senso comunitario e ingenuamente popolare; tuttavia la teologia (o comunque il discorso teoretico sulla divinità), è sempre stata una componente scontata e ovvia del/nel discorso filosofico, almeno fino a un paio di secoli fa. Forse proprio la scissione "recente" fra i due discorsi ha comportato la sopravvivenza dell'una (teologia) e l'indebolimento dell'altra (filosofia, che tenta di restare "forte" flirtando, contestualmente, con la propria storia e con le altre scienze umane).
#1634
"I limiti della contestualizzazione", secondo me possono essere valicati, e al contempo valorizzati, dall'attualizzazione (paul11 mi ha battuto sul tempo): dopo aver individuato e lasciato tra parentesi ciò che è inscindibile dal condizionamento del contesto storico sull'autore, possiamo rivolgerci "dialogicamente" a ciò che l'autore ha da dirci che può "funzionare" ancora oggi.
Chiaramente non si esce dal "circolo ermeneutico" (Gadamer docet): la precomprensione con cui approcciamo un testo (non siamo "tabule rase"), la sua "storia degli effetti" (tutte le interpretazioni "vincolanti" che vi si sono stratificate nel tempo), le stesse finalità del nostro sfogliare il testo (studio, cultura personale, ricerca, etc.), tutti questi fattori (e altri) condizionano pesantemente il dialogo "in differita" con l'autore (dialogo che non è mai faccia a faccia, ma sempre "distorto" dai suddetti fattori).
Concordo che l'autore non vada totalmente estratto ed astratto dal suo contesto, ma per continuare ad essere "nani sulle spalle dei giganti" abbiamo bisogno di estrarre ed astrarre l'apporto teoretico che può dare l'interpretazione dell'autore (in entrambi i sensi del genitivo, soggettivo ed oggettivo).
#1635
Per come la vedo, l'alfabetizzazione si basa su capacità/abilità (leggere, capire, esporre, etc.), la conoscenza si basa su nozioni (più o meno specialistiche), la saggezza è sia un sapere che un fare, è un saper fare sul piano umano (anche quando si sceglie di non fare nulla).
Credo che questi tre ambiti, per quanto affini e "confinanti" l'un l'altro, vadano tenuti ben distinti: essere alfabetizzati, nel senso a cui alludeva Sileno (essere in grado di capire e utilizzare informazioni anche complesse), non significa essere eruditi (avere molte nozioni in testa) e nessuno dei due significa essere saggi (fare la "scelta giusta" in un'ottica complessiva).

Sileno, se non fraintendo, ha proposto di tematizzare l'alfabetizzazione (o il suo impoverimento), come capacità di gestire informazioni complesse e articolate, capirle adeguatamente, saperle "manipolare" e eventualmente usarle per (ri)produrne il senso. Questa capacità può avere come campi d'applicazione la ricerca della (presupposta) verità, l'analisi della contemporaneità sociale, la fruizione estetica di opere artistiche o altro, ma si tratta di un'unica abilità basilare che può avere mille utilizzi e declinazioni: l'abilità di rintracciare un senso attraverso un medium che ce lo porge e diventarne "padroni".

In fondo, i saggi del passato, quante credenze ingenue avevano in campo cognitivo? La loro "alfabetizzazione" non è nozionisticamente paragonabile a quella di un qualsiasi buono studente delle superiori, che si giostra con disinvoltura fra trigonometria, due lingue straniere, secoli di storia della filosofia, padroneggia le ultime tecnologie informatiche e magari sa anche suonare uno strumento. Eppure, quanti antichi sciocchi, illiberali schiavisti e pedofili che credevano in bizzarre divinità e pianeti maldisposti, che non sarebbero pronti per prendere nemmeno la licenza media, hanno molto da insegnarci della nostra vita, pur avendo vissuto un'altra epoca? Ricambieremmo degnamente il favore spiegandogli la meccanica quantistica e come usare Whatsapp? Non saprei...
Inseguire titoli e diplomi, attribuendo all'erudizione un valore culturale sbilanciato (l'ignorante che  si sente inferiore all'erudito solo per i titoli che non ha) ha portato all'epoca dei laureati 30enni disoccupati e del nozionismo rapido di Wikipedia e Google;, tuttavia, ciò che nessun motore di ricerca e nessuna laurea ci garantisce è la capacità di saper gestire proficuamente tutte le informazioni che ci circondano.

L'alfabetizzazione più spendibile oggi, secondo me, non è quella che ci fa citare a memoria frasi in latino, o ci fa conoscere le province italiane in ordine alfabetico o ci rende capaci di spiegare ai bambini formule di fisica astronomica, piuttosto è quell'alfabetizzazione che ci rende in grado di analizzare, creare collegamenti e cogliere i sensi possibili delle informazioni che ci "arrivano" (similmente a come fanno le nostre "brutte copie", incapaci di filosofare e provare godimento estetico: i computer).
Tale alfabetizzazione può costituire un'emancipazione dell'individuo da una visione ingenua del mondo, lo rende più padrone della sua vita e lo aiuta ad orientarsi nel turbinio semantico della società contemporanea? Non necessariamente (sono già stati citati nichilismo e scetticismo), dipende sempre da qual'è la cornice di senso in cui ci si pone... vuotare la tazza zen, trovare e servire la Verità oppure combattere le oligarchie multinazionali? "Fate il vostro gioco"  ;)