Riprendiamo la lettura del Negri.
Siamo al paragrafo 22 e seguenti.
In questo momento Hegel sta cercando di dare delle definizioni sommarie, cercando anche di fare esempi, come il parallelo possibile con il motore immobile aristoteliano.
Ciò che a Hegel interessa è distinguere il soggetto dal suo oggetto, ovvero far capire che è l'oggetto ad avere il suo soggetto.
Questo oggetto originario, lo prova a chiamare come "sè per sè", "pura negatività", "auto-movimento".
Ma queste sono solo definizioni approssimative di quello che invece per Hegel è l'assoluto.
Ossia l'assolutamente altro rispetto al soggetto e i suoi oggetti annoterei a latere io.
In questo senso la frase "Dio è l'assoluto" è senza senso, infatti prevedrebbe un Dio che diventa soggetto (come nella tradizione cristiana), e questo non ha alcun senso, anzi è l'esatto opposto della verità che è contenuta unicamente nel verbo essere. Dunque annotiamo a latere l'unica frase con senso è "l'essere è".
Annotiamo come questo sia il vero principio di non contraddizione (da Aristotele a Severino, stendendo il solito velo pietoso sui formalisti).
Nel paragrafo 25 continua nel tentativo di essere il più possibile esplicativo al riguardo di questo oggetto.
Aggiunge che questa modalità del negativo, si realizza essenzialmente in noi (soggetti) come sistema.
Il sistema è dunque la scienza del negativo, dell'assolutamente altro costituentesi etc...
Che cos'è lo spirito di cui la scienza è la fenomenologia?
E' appunto il nome che diamo per comodità a tutto quanto detto fino ad ora riguardo quell'oggetto.
Annotiamo per non lasciare indietro nessuno (sebbene Hegel sembra più interessato agli attributi dell'essere) che questo oggetto non è l'oggetto dell'analisi del soggetto.
Non esiste un soggetto che analizzi lo spirito, in quanto lo spirito è un sistema.
Per ragioni personali non userò mai l'attribuzione di auto-conoscenza e altre automatiche cose in quanto vi è un alto pericolo che la gente pensi questo automatico come qualcosa di oggettivo, e dunque indagabile.
L'assoluto non ha attributi in realtà: è la scienza che si compie come atto umano (e dunque soggettivo), e questa scienza si chiama fenomenologia.
Possiamo ben dire che anche oggi la fenomenologia è l'unica disciplina che si possa dire filosofia.
Ma fenomenologia del sistema, e non formalmente come purtroppo oggi continuano a fraintendere i giovani accademici, collezione di oggetti.
Il sistema altro non è che la dimensione temporale dell'essere, come dirà più avanti Heidegger è il Dasein, tradotto genialmente da Chiodi con Esserci.
L'Esserci non è l'esserci del soggetto, ma l'esserci è il sistema stesso, in perenne movimento come il tempo.
Severino andando oltre lo stesso Hegel ci spiegherà poi che questo dimensione temporale, è la dimensione della follia, ossia della necessaria contraddizione (a che si formi il sistema stesso).
Per conto mio e qui dò la mia opinione, non mi sembra sensato tanto perdere tempo sulle attribuzioni, quanto sullo spostarsi rapidamente sul problema del soggetto, che come abbiamo già visto, lo stesso Hegel ha già indicato come compito futuro della filosofia.
Certamente capisco anche Hegel, soprattutto vedendo come tanta gente, si areni subito su queste attribuzioni di circostanza, e peggio ancora come queste attribuzioni di circostanza vengano assunte come assunzioni certe.
Nel paragrafo 26 abbiamo la famosa sentenza che l'in sè deve dare conto del suo essere per sè.
Il dare conto è al soggetto.
Ma come tra le righe scrive, il soggetto è una delle forme con cui si dà il sistema. Ma appunto l'avevamo già detto prima! in quanto l'essente è, e dunque ogni essente è, e quel particolare essente che è il soggetto non deve dare conto a nessuno per davvero (nemmeno a se stesso, ammesso che esista un sè stesso, invero no, se abbiamo già capito)
Questo è per sottolineare ancora come la ricerca di attributi finisca solo per creare confusione nel lettore meno smaliziato, e addirittura veri e propri non-sensi letterari da chi è un lettore "professionista", ma che non riesce a capire assolutamente nulla del Nostro.
Dunque l'in sè e per sè di romanzesca memoria dai licei, sarebbe da riscrivere come dimensione temporale del negativo, o dimensione perennemente altra dal suo manifestarsi fenomenologico.
Sebbene preferisca per me l'ultima, per far capire il lettore meno attrezzato useremo l'espressione "dimensione temporale del negativo" piuttosto che "l'in sè e per sè", che ha scelto Hegel.
Nel paragrafo 29 specifica che la ricerca è il modo in cui procede la memoria del dispiegamento del negativo (l'in sè che diventa per sè), in quanto il negativo si dà fuori dalla sua forma originaria (ossia nella sua essenza) solo come memoria. Ossia decade a memoria, e solo come tale può essere inteso il suo procedere, e dunque come memoria diventa storia, detto in altra maniera più chiara.
L'originario si invera solo nella studio del processo della memoria, in quanto critica, aggiungerei io.
Nel paragrafo 30 chiama questo modo, rispetto al soggetto che noi siamo, rappresentazione.
L'originario lo conosciamo dunque come toglimento, e il resto, ciò che rimane, rimane solo come rappresentazione e non più come attribuzione.
Introduce inoltre il concetto di sapere: il sapere è ciò che va contro la rappresentazione, in quanto la rappresentazione non intende minimamente il sistema (ne è solo la traccia come abbiamo già detto).
Aggiungo io come intuizione personale del momento: il sapere è il sapere di non sapere, dunque!
O meglio il sapere che Hegel intende come modalità totale del sistema, non può venire rappresentato.
D'altronde in nuce questo si capisce immediatamente quando parliamo piuttosto che del'in sè (en sich, consiglia Negri), della modalità del negativo.
La rappresentazione è quel negativo, ossia la caduta dell'originario nella sua dimensione mnemonica.
Rimane da capire se è l'unico negativo individuato da Hegel, o se ve ne sono di più (ovviamente per me ne esistono di più pensiamo ai demoni o al male o agli angeli).
Nel paragrafo 31 abbiamo una critica della fenomenologia che tollera o accetta la rappresentazione come fondamento: questo non permette alcun passo in avanti nel sapere.
Come anche su questo forum spesso ho scritto, il fondamento è la rovina del fondamento, il resto, ora forse meglio identificato nel suo costituirsi come idea.
Nel paragrafo 32 troviamo una espressione decisiva che poi Severino renderà famosa (pensavo fosse una sua invenzione, ma non lo è a quanto parte, ndr):cit "Il circolo che riposa in sè chiuso e che tiene, come sostanza, i suoi momenti, è la relazione immediata, che non suscita, dunque, meraviglia, alcuna.". Dirà Severino molto similmente il circolo della terra chiusa, è il sotterraneo che abita l'occidente", che nulla sà della gloria, ossia della terra senza il cielo: è la terra separata.
E' l'intelletto che ha la forza di questa separazione dall'originario.
E chiamiamo spirito quella forza che è in grado di sostenere la cosa che più deprechiamo la morte, lo spirito è in grado cioè di guardare oltre la morte.
Se l'intelletto separa la vita dalla morte, potremmo dire noi, compito dello spirito è quello di riunirli.
Anche questo tema fondamentale in Severino. Tutto nella capacità di lettura a fondo di un semplice paragrafo, seminale.
Il paragrafo 33 è una critica ai tempi formali in cui siamo, dove la rappresentazione è conosciuta solo astrattamente come universale e non viene usata come invece era solito nell'antichità per conoscere tutti gli aspetti della vita quotidiana.
Nei paragrafi successivi Hegel si sofferma una voltà di più sugli attributi dell'oggetto.
Insistendo sulla metafora del per sè che ritorna nel in sè.
Ma appunto poi ricordandosi lui stesso che stiamo parlando semplicemente del negativo. (possiamo aggiungere il toglimento, la separazione, è uguale!).
Nel 38esimo paragrafo fa una breve considerazione sul formalismo che forse ha paura o scambia il negativo con il falso, il che metterebbe a rischio il punto fondamentale della filosofia che è la verità (tutte sciocchezze ndr!).
Spiega poi come il negativo sia solo un movimento, e di come sia il dogmatismo (nel 40esimo) ad attribuire la verità meramente agli oggetti, ma appunto pre-supposti oggetti.
Dunque la verità è un attributo (formalismo) e non una ricerca (che come abbiamo già detto pensa l'oggetto come mera traccia).
Nei paragrafi successivi continua le critiche al formalismo, ricordo solo come "la dimostrazione per assurdo", diremmo oggi noi, dei greci sarebbe impossibile senza uscire dal formalismo dell'oggetto preso in considerazione.
Dobbiamo saltare fino al 54paragrafo per tornare di nuovo a parlar degli attributi dell'oggetto.
Qui si introduce il pensiero: il pensiero è l'oggetto per cui il soggetto può darsi il suo oggetto.
Ossia dico io: è il toglimento necessario per diventare il soggetto tale quale noi ci conosciamo.
Nel paragrafo 55 specifichiamo meglio il concetto:
il pensiero è (dunque) il soggetto.
Questo intelletto che si determina come pensiero è dunque in quanto traccia razionalità.
Ossia l'intellettualità è il pensiero e la razionalità è l'atto della separazione formale tra soggetto e oggetto conosciuto. (come già detto il ribaltamento del pensiero kantiano, che invece formalizza il pensiero ponendo la razionalità prima del pensiero).
Ricordiamoci che il pensiero è il toglimento delle forme ottenute dal razionalismo.
Il pensiero essendo la forma per eccellenza della negatività, ossia come il soggetto la esperisce.
Il soggetto si esperisce come effetto di un toglimento, e questo toglimento è il suo stesso pensiero.
Nel 56esimo paragrafo ricorda come questo razionalismo sia necessario, infatti lo speculativismo è la forma dell'essente.
Direi di sorvolare su questo tecnicismo logicista.
(infatti riguarda i nostri oggetti, e non il soggetto, che in tutto questa ridda di attributi forse scordiamo essere la vera ricerca futura).
Nel 57 torniamo ad una critica del formalismo, in quanto la detenzione della verità è sempre una questione politica, io stato detengo una verità che tu stato nemico non hai etc..
Ma appunto la verità non si detiene essendo invece come già detto parecchi paragrafi sopra un sistema, la cui nostra ricerca è la sua semplice modalità progressiva (la traccia).
Nessuno sa del sistema, ma ognuno sa del pensiero.
Nel 58 paragrafo Hegel fa una strana dichiarazione: l'attribuzione è l'anima, salvo poi smentirsi subito dopo (l'anima è qualcosa di superiore).
In effetti è abbastanza evidente la pena con cui il Nostro eroe procede nel voler illustrare quello che per lui è il lavoro massimo dell'attribuzione, che lui chiama qui infine concetto.
Per lui l'attribuzione (in sè e per sè, pensiero negativo, alterità assoluta) è il concetto. E i concetti vanno assolutamente saputi a memoria.
Sinceramente non capisco questo accanimento: chi vuol capire, capisce già, gli altri a casa a fare altro.
Ma ognuno esperisce una modalità diversa di conoscere la propria sapienza, Hegel la conosce tramite sofferenza evidentemente.
Siamo al paragrafo 22 e seguenti.
In questo momento Hegel sta cercando di dare delle definizioni sommarie, cercando anche di fare esempi, come il parallelo possibile con il motore immobile aristoteliano.
Ciò che a Hegel interessa è distinguere il soggetto dal suo oggetto, ovvero far capire che è l'oggetto ad avere il suo soggetto.
Questo oggetto originario, lo prova a chiamare come "sè per sè", "pura negatività", "auto-movimento".
Ma queste sono solo definizioni approssimative di quello che invece per Hegel è l'assoluto.
Ossia l'assolutamente altro rispetto al soggetto e i suoi oggetti annoterei a latere io.
In questo senso la frase "Dio è l'assoluto" è senza senso, infatti prevedrebbe un Dio che diventa soggetto (come nella tradizione cristiana), e questo non ha alcun senso, anzi è l'esatto opposto della verità che è contenuta unicamente nel verbo essere. Dunque annotiamo a latere l'unica frase con senso è "l'essere è".
Annotiamo come questo sia il vero principio di non contraddizione (da Aristotele a Severino, stendendo il solito velo pietoso sui formalisti).
Nel paragrafo 25 continua nel tentativo di essere il più possibile esplicativo al riguardo di questo oggetto.
Aggiunge che questa modalità del negativo, si realizza essenzialmente in noi (soggetti) come sistema.
Il sistema è dunque la scienza del negativo, dell'assolutamente altro costituentesi etc...
Che cos'è lo spirito di cui la scienza è la fenomenologia?
E' appunto il nome che diamo per comodità a tutto quanto detto fino ad ora riguardo quell'oggetto.
Annotiamo per non lasciare indietro nessuno (sebbene Hegel sembra più interessato agli attributi dell'essere) che questo oggetto non è l'oggetto dell'analisi del soggetto.
Non esiste un soggetto che analizzi lo spirito, in quanto lo spirito è un sistema.
Per ragioni personali non userò mai l'attribuzione di auto-conoscenza e altre automatiche cose in quanto vi è un alto pericolo che la gente pensi questo automatico come qualcosa di oggettivo, e dunque indagabile.
L'assoluto non ha attributi in realtà: è la scienza che si compie come atto umano (e dunque soggettivo), e questa scienza si chiama fenomenologia.
Possiamo ben dire che anche oggi la fenomenologia è l'unica disciplina che si possa dire filosofia.
Ma fenomenologia del sistema, e non formalmente come purtroppo oggi continuano a fraintendere i giovani accademici, collezione di oggetti.
Il sistema altro non è che la dimensione temporale dell'essere, come dirà più avanti Heidegger è il Dasein, tradotto genialmente da Chiodi con Esserci.
L'Esserci non è l'esserci del soggetto, ma l'esserci è il sistema stesso, in perenne movimento come il tempo.
Severino andando oltre lo stesso Hegel ci spiegherà poi che questo dimensione temporale, è la dimensione della follia, ossia della necessaria contraddizione (a che si formi il sistema stesso).
Per conto mio e qui dò la mia opinione, non mi sembra sensato tanto perdere tempo sulle attribuzioni, quanto sullo spostarsi rapidamente sul problema del soggetto, che come abbiamo già visto, lo stesso Hegel ha già indicato come compito futuro della filosofia.
Certamente capisco anche Hegel, soprattutto vedendo come tanta gente, si areni subito su queste attribuzioni di circostanza, e peggio ancora come queste attribuzioni di circostanza vengano assunte come assunzioni certe.
Nel paragrafo 26 abbiamo la famosa sentenza che l'in sè deve dare conto del suo essere per sè.
Il dare conto è al soggetto.
Ma come tra le righe scrive, il soggetto è una delle forme con cui si dà il sistema. Ma appunto l'avevamo già detto prima! in quanto l'essente è, e dunque ogni essente è, e quel particolare essente che è il soggetto non deve dare conto a nessuno per davvero (nemmeno a se stesso, ammesso che esista un sè stesso, invero no, se abbiamo già capito)
Questo è per sottolineare ancora come la ricerca di attributi finisca solo per creare confusione nel lettore meno smaliziato, e addirittura veri e propri non-sensi letterari da chi è un lettore "professionista", ma che non riesce a capire assolutamente nulla del Nostro.
Dunque l'in sè e per sè di romanzesca memoria dai licei, sarebbe da riscrivere come dimensione temporale del negativo, o dimensione perennemente altra dal suo manifestarsi fenomenologico.
Sebbene preferisca per me l'ultima, per far capire il lettore meno attrezzato useremo l'espressione "dimensione temporale del negativo" piuttosto che "l'in sè e per sè", che ha scelto Hegel.
Nel paragrafo 29 specifica che la ricerca è il modo in cui procede la memoria del dispiegamento del negativo (l'in sè che diventa per sè), in quanto il negativo si dà fuori dalla sua forma originaria (ossia nella sua essenza) solo come memoria. Ossia decade a memoria, e solo come tale può essere inteso il suo procedere, e dunque come memoria diventa storia, detto in altra maniera più chiara.
L'originario si invera solo nella studio del processo della memoria, in quanto critica, aggiungerei io.
Nel paragrafo 30 chiama questo modo, rispetto al soggetto che noi siamo, rappresentazione.
L'originario lo conosciamo dunque come toglimento, e il resto, ciò che rimane, rimane solo come rappresentazione e non più come attribuzione.
Introduce inoltre il concetto di sapere: il sapere è ciò che va contro la rappresentazione, in quanto la rappresentazione non intende minimamente il sistema (ne è solo la traccia come abbiamo già detto).
Aggiungo io come intuizione personale del momento: il sapere è il sapere di non sapere, dunque!
O meglio il sapere che Hegel intende come modalità totale del sistema, non può venire rappresentato.
D'altronde in nuce questo si capisce immediatamente quando parliamo piuttosto che del'in sè (en sich, consiglia Negri), della modalità del negativo.
La rappresentazione è quel negativo, ossia la caduta dell'originario nella sua dimensione mnemonica.
Rimane da capire se è l'unico negativo individuato da Hegel, o se ve ne sono di più (ovviamente per me ne esistono di più pensiamo ai demoni o al male o agli angeli).
Nel paragrafo 31 abbiamo una critica della fenomenologia che tollera o accetta la rappresentazione come fondamento: questo non permette alcun passo in avanti nel sapere.
Come anche su questo forum spesso ho scritto, il fondamento è la rovina del fondamento, il resto, ora forse meglio identificato nel suo costituirsi come idea.
Nel paragrafo 32 troviamo una espressione decisiva che poi Severino renderà famosa (pensavo fosse una sua invenzione, ma non lo è a quanto parte, ndr):cit "Il circolo che riposa in sè chiuso e che tiene, come sostanza, i suoi momenti, è la relazione immediata, che non suscita, dunque, meraviglia, alcuna.". Dirà Severino molto similmente il circolo della terra chiusa, è il sotterraneo che abita l'occidente", che nulla sà della gloria, ossia della terra senza il cielo: è la terra separata.
E' l'intelletto che ha la forza di questa separazione dall'originario.
E chiamiamo spirito quella forza che è in grado di sostenere la cosa che più deprechiamo la morte, lo spirito è in grado cioè di guardare oltre la morte.
Se l'intelletto separa la vita dalla morte, potremmo dire noi, compito dello spirito è quello di riunirli.
Anche questo tema fondamentale in Severino. Tutto nella capacità di lettura a fondo di un semplice paragrafo, seminale.
Il paragrafo 33 è una critica ai tempi formali in cui siamo, dove la rappresentazione è conosciuta solo astrattamente come universale e non viene usata come invece era solito nell'antichità per conoscere tutti gli aspetti della vita quotidiana.
Nei paragrafi successivi Hegel si sofferma una voltà di più sugli attributi dell'oggetto.
Insistendo sulla metafora del per sè che ritorna nel in sè.
Ma appunto poi ricordandosi lui stesso che stiamo parlando semplicemente del negativo. (possiamo aggiungere il toglimento, la separazione, è uguale!).
Nel 38esimo paragrafo fa una breve considerazione sul formalismo che forse ha paura o scambia il negativo con il falso, il che metterebbe a rischio il punto fondamentale della filosofia che è la verità (tutte sciocchezze ndr!).
Spiega poi come il negativo sia solo un movimento, e di come sia il dogmatismo (nel 40esimo) ad attribuire la verità meramente agli oggetti, ma appunto pre-supposti oggetti.
Dunque la verità è un attributo (formalismo) e non una ricerca (che come abbiamo già detto pensa l'oggetto come mera traccia).
Nei paragrafi successivi continua le critiche al formalismo, ricordo solo come "la dimostrazione per assurdo", diremmo oggi noi, dei greci sarebbe impossibile senza uscire dal formalismo dell'oggetto preso in considerazione.
Dobbiamo saltare fino al 54paragrafo per tornare di nuovo a parlar degli attributi dell'oggetto.
Qui si introduce il pensiero: il pensiero è l'oggetto per cui il soggetto può darsi il suo oggetto.
Ossia dico io: è il toglimento necessario per diventare il soggetto tale quale noi ci conosciamo.
Nel paragrafo 55 specifichiamo meglio il concetto:
il pensiero è (dunque) il soggetto.
Questo intelletto che si determina come pensiero è dunque in quanto traccia razionalità.
Ossia l'intellettualità è il pensiero e la razionalità è l'atto della separazione formale tra soggetto e oggetto conosciuto. (come già detto il ribaltamento del pensiero kantiano, che invece formalizza il pensiero ponendo la razionalità prima del pensiero).
Ricordiamoci che il pensiero è il toglimento delle forme ottenute dal razionalismo.
Il pensiero essendo la forma per eccellenza della negatività, ossia come il soggetto la esperisce.
Il soggetto si esperisce come effetto di un toglimento, e questo toglimento è il suo stesso pensiero.
Nel 56esimo paragrafo ricorda come questo razionalismo sia necessario, infatti lo speculativismo è la forma dell'essente.
Direi di sorvolare su questo tecnicismo logicista.
(infatti riguarda i nostri oggetti, e non il soggetto, che in tutto questa ridda di attributi forse scordiamo essere la vera ricerca futura).
Nel 57 torniamo ad una critica del formalismo, in quanto la detenzione della verità è sempre una questione politica, io stato detengo una verità che tu stato nemico non hai etc..
Ma appunto la verità non si detiene essendo invece come già detto parecchi paragrafi sopra un sistema, la cui nostra ricerca è la sua semplice modalità progressiva (la traccia).
Nessuno sa del sistema, ma ognuno sa del pensiero.
Nel 58 paragrafo Hegel fa una strana dichiarazione: l'attribuzione è l'anima, salvo poi smentirsi subito dopo (l'anima è qualcosa di superiore).
In effetti è abbastanza evidente la pena con cui il Nostro eroe procede nel voler illustrare quello che per lui è il lavoro massimo dell'attribuzione, che lui chiama qui infine concetto.
Per lui l'attribuzione (in sè e per sè, pensiero negativo, alterità assoluta) è il concetto. E i concetti vanno assolutamente saputi a memoria.
Sinceramente non capisco questo accanimento: chi vuol capire, capisce già, gli altri a casa a fare altro.
Ma ognuno esperisce una modalità diversa di conoscere la propria sapienza, Hegel la conosce tramite sofferenza evidentemente.

Mi sa che pure l'anno prossimo questa incomprensione durerà.
(nonostante tutto)
