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Messaggi - Phil

#1636
Tematiche Filosofiche / Re:L'etica del nemico
18 Agosto 2018, 11:40:58 AM
Per istinto di sopravvivenza ognuno di noi è dotato di aggressività, necessaria per difendersi dalle minacce e per procurarsi ciò che serve; la civiltà ha reso superfluo il combattere contro altri animali, poiché non ci sono più branchi di lupi che ci attaccano di notte e il supermercato ci fornisce cibo senza cacciare (e nella caccia stessa, per quanto permanga un residuo adrenalinico, non c'è più molta aggressività fisica, si tratta di premere un grilletto e, se si manca il bersaglio, a casa il pasto non manca di certo). Tale aggressività arcaica è stata un po' inibita con lo sviluppo tecnologico e culturale, ma essendo ancora presente, ha trovato costante sfogo indirizzandosi verso il prossimo, sia in modo fisico, ma anche in modo verbale (essendo la violenza fisica punita e disprezzata sempre più; basti pensare al solito esempio delle sberle educative dei genitori: prima un "dovere" parentale, oggi un gesto estremo da somministrare con circospezione e senza lasciare traccia  ;D).

Tutto questo per introdurre la questione del ruolo funzionale (ma non troppo) del nemico come catalizzatore di tale aggressività (altrimenti inutilizzata): di per sé non avrebbe senso aggredire (verbalmente o fisicamente) chi non minaccia la nostra incolumità o la nostra sussistenza (escluderei l'ipotesi del furto  ;D ) , si potrebbe ignorarlo e vivere in pace; invece risulta (ancora) istintivo aggredirlo per eliminarlo (perché percepiamo la sua differenza come un fastidio che mette in discussione la nostra identità) o almeno per sottometterlo (secondo l'antica usanza di usare i vinti come schiavi). Al punto che il nemico non è più solo l'ostile, ma talvolta semplicemente il diverso (basti pensare a casi degenerati di violenza nello sport, oltre che in politica o per motivi razziali).

Certo, di base siamo tutti umani, ma è il nostro modo di declinarci e il contesto d'azione a sancire "amici" e "nemici": Tizio e Caio sono uomini, se dovessero difendersi da un attacco alieno (probabilmente) si aiuterebbero come fratelli; se fossero tifosi della stessa squadra canterebbero gli stessi cori allo stadio (e, per inciso, c'è stata un'epoca in cui alcuni cori, più che incitare la propria squadra, non a caso, aggredivano gli avversari o l'arbitro), ma magari in campo politico si vivono come "nemici".

Usare categorie belliche, guerriere (nemico, alleato, combattere, conquistare, ritirarsi, sconfiggere, etc.), in contesti di pace, è un modo proiettivo per alimentare quell'aggressività sopita ma non estinta (che è sfruttata dai manipolatori anche come leva subliminale), che può, se non addomesticata, spingere non alla competizione ma alla violenza (per quanto non necessaria).

Forse sarebbe opportuno distinguere fra "avversario" e "nemico": un amico può essere anche "avversario" (ad-versus, rivolto-contro) in qualche occasione, mentre quella di "nemico" ("colui che non si ama") mi sembra un'etichetta più indelebile e radicale.
#1637
Con questo tipo di temi, l'off topic è dietro l'angolo, eppure, secondo me, il discorso sul sacro (e quindi sulla eventuale sacralità della vita) è logicamente un punto di partenza prioritario rispetto alla tematizzazione diretta della pena di morte.
Se il sacro è un "espediente narrativo" della (post)modernità (ovvero una metafora sull'importanza di qualcosa, una copertura di alcuni dispositivi non-sacri) che nondimeno convive con le differenti tradizioni religiose e se la pena di morte è contemplata dal diritto di paesi in cui il sacro non è solo metaforico, è lecito chiedersi perché lo stato non debba decidere anche della vita di cittadini che hanno a loro volta deciso della vita di altri cittadini...
Se non c'è una sacralità della vita che prescinde dalla colpa e dai reati, se non c'è un'ordalia che rende superfluo il giudizio della legge umana (e nemmeno un capro espiatorio ad interrompere il ciclo della violenza, come ben osserva Kobayashi altrove), se l'essenza dello stato è essere approvato dai cittadini per poi poter disporre dei cittadini (secondo ciò che dovrebbe essere giusto e saggio) come conclude il condannato a morte la frase "no, non dovete uccidermi perché..."?
Se scardiniamo i concetti religiosi di "sacro", "colpa" e "perdono", il discorso sulla pena di morte diventa una questione fra giurisprudenza (pena proporzionale al reato) e sociologia (rieducazione sempre possibile?)... e non è detto sia un male  ;)
#1638
Citazione di: donquixote il 17 Agosto 2018, 09:18:03 AM
Citazione di: Phil il 16 Agosto 2018, 22:37:13 PM
Citazione di: donquixote il 16 Agosto 2018, 16:49:16 PMIl secondo link che hai riportato rimanda all'etimo che ho citato io (e che afferma l'opposto del significato di "separato")
Cito dal secondo link: "Il termine sacro deriva dal latino dotto, sac-ru(m), che a sua volta viene dalla radice sac- o sak-, della lingua indoeuropea e che ha il significato di separazione, recinto." Non che l'appoggio etimologico sia necessario o confortante, ma se c'è, non mi dispiace :)
Sotto alla descrizione c'è un link che rimanda al dizionario etimologico che ho citato nel mio messaggio precedente: come si spiega che tale dizionario traduce "sak" con "unito" e non con "separato"  e quindi smentisce in pieno la descrizione di quella pagina?
Onestamente non lo so; come dicevo, non sono un linguista  :)

Citazione di: donquixote il 17 Agosto 2018, 09:18:03 AM
Più semplicemente si utilizzano criteri validi sempre e ovunque, anche confrontandoli con quelli di altre culture.
"Criteri validi sempre e ovunque" per valutare una cultura, che non siano anch'essi culturali, non riesco ad immaginarli (limite mio?).
Ad esempio, affermare che
Citazione di: donquixote il 17 Agosto 2018, 09:18:03 AM
se una collettività non si organizza in tal modo oppure i valori di riferimento sono valori che dividono e non uniscono allora è una cultura decadente o una non-cultura.
presuppone una visione della cultura come collante sociale che non considera quanto tali valori di riferimento siano necessariamente basati sulla discriminazione (in senso logico): la cultura tende ad unificare, ma la coesione interna è proprio ciò che forza la denotazione delle differenze che essa stessa (im)pone. La cultura decide e divide giusto/sbagliato, sano/malato, bello/brutto, sacro/profano, etc. e tutte le altre discriminazioni su cui fonda la sua stessa identità. Oggi non accade forse lo stesso, soltanto in modo più rapido e complesso?

Citazione di: donquixote il 17 Agosto 2018, 09:18:03 AM
se affermiamo che i concetti cambiano col tempo e dunque quel che per secoli è stata chiamata "mela" oggi si può con disinvoltura chiamare "pera"
"Mela" e "pera" sono oggetti, non concetti sociali: la cultura tende a cambiare questi ultimi (la storia docet) più che i primi.

Citazione di: donquixote il 17 Agosto 2018, 09:18:03 AM
(come "sacro" che da "unito" diventa "separato")
Al di là dell'etimologia, concettualmente, mi sembra che il sacro richieda divisione (come ho cercato di argomentare in precedenza e in seguito).

Citazione di: donquixote il 17 Agosto 2018, 09:18:03 AM
In qualunque modo si giudichi una cultura questa dovrebbe avere come minimo la caratteristica della coerenza interna.
Quella di oggi è una coerenza dinamica che, letta con le categorie più statiche del (recente) passato, può risultare inintelligibile; la sfida del contemporaneo è tutta qui.

Citazione di: donquixote il 17 Agosto 2018, 09:18:03 AM
Se il sacro (come conferma Levi Strauss e tutti coloro che ne hanno ancora una nozione corretta) attiene all'ordine significa che se lo sciamano aborigeno ha un suo ruolo e suo suo luogo "sacri" lo stesso è per i cacciatori, o le donne che curano i bimbi, o per i costruttori di villaggi, o per gli intagliatori del legno, o per chiunque svolga una particolare attività che sia funzionale all'ordine comunitario. Se lo sciamano è "separato" dal cacciatore allo stesso modo le donne sposate sono "separate" da quelle nubili e via elencando, ma tutto rimanda ad un ordine "sacro" in cui ognuno sta al proprio posto e svolge il proprio ruolo, ed è proprio questo che rende una comunità "sacra" nel suo complesso.
Eppure il sacro dello sciamano non è il sacro del cacciatore; l'ordine complessivo è fondato proprio su quelle divisioni e delimitazioni: di ruoli, di spazi, etc.... e se tutto è considerato sacro, il concetto di sacro si "inflaziona" sino a quasi perdere di senso.

Citazione di: donquixote il 17 Agosto 2018, 09:18:03 AM
Nelle società "profane" invece ognuno, come hai detto tu, definisce "sacro" ciò che ritiene più importante per lui, e dunque non vi è un ordine superiore condiviso a cui fare riferimento ma solo confusione, e solo in tali società "sacro" può significare "separato" perchè ciò che è sacro per qualcuno non è riconosciuto da tutti gli altri ma solo da lui stesso (il denaro, la terra, la salute, la vita umana, la democrazia, i confini eccetera) e oltretutto ognuno può attribuire "sacralità" (quindi importanza) a oggetti o concetti diversi nel corso della propria vita, negando quelli precedenti.
Si, attualmente il sacro è una categoria perlopiù metaforica e narrativa, molto meno metafisica e spirituale che in passato; già considerare questo è un inizio per tentare di decifrare la nostra cultura.


P.s.
Grazie per la segnalazione su Tonnies, cercherò qualche compendio online.
#1639
Citazione di: donquixote il 16 Agosto 2018, 16:49:16 PM
Il secondo link che hai riportato rimanda all'etimo che ho citato io (e che afferma l'opposto del significato di "separato")
Cito dal secondo link:
"Il termine sacro deriva dal latino dotto, sac-ru(m), che a sua volta viene dalla radice sac- o sak-, della lingua indoeuropea e che ha il significato di separazione, recinto."
Non che l'appoggio etimologico sia necessario o confortante, ma se c'è, non mi dispiace  :)

Citazione di: donquixote il 16 Agosto 2018, 16:49:16 PM
L'equivoco sta nel fatto che se ai tempi dei romani (che erano già una cultura in decadenza) e poi ai nostri (che siamo una cultura già ampiamente decaduta)
La storia del decadimento culturale, per quanto ormai pilastro del senso comune, non mi vede fra i suoi sostenitori: per me, una cultura non decade mai, semplicemente cambia; se si resta nella cultura precedente con il cuore, la testa giudicherà spesso l'attuale come decadente, ma solo perché si appella a criteri inattuali; è come usare un vecchio telecomando su una nuova televisione e lamentarsi se non funziona... solitamente l'età dell'oro è sempre alle spalle, e la nostra cultura è forse meglio di altre contemporanee, ma mai di quelle passate; forse si dice così ormai da secoli, eppure, guardandomi intorno, non ci giurerei...
Soprattutto: in base a quali indicatori metaculturali possiamo valutare se una cultura decade o fiorisce? Useremo paradossalmente i criteri di un'altra cultura? Oppure ricorreremo a indici quantitativi?

Citazione di: donquixote il 16 Agosto 2018, 16:49:16 PM
diverse una distinzione fra sacro e profano, nelle culture che si possono ancora definire "vive" questa differenza non sussiste perchè tutto è sacro, e ciò che per qualche motivo non lo è ancora vi deve essere ricondotto e quindi deve rientrare in un ordine armonico ed equilibrato. Non esiste uno spazio "separato" in cui vigano norme differenti, ma tutto ciò che fa parte di una comunità (dall'azione, o persona, o luogo, spiritualmente e simbolicamente più elevati a quelli più semplici e consueti) deve rientrare in un unico ordine che sia coerente e simbolicamente evocativo dell'ordine universale.
Se penso alle tribù aborigene, mi viene in mente lo stereotipo dello sciamano (ben distinto dagli altri membri del gruppo), con i suoi oggetti sacri e magari la sua sacra dimora o sacro luogo a cui gli altri non accedono liberamente; anche nel buddismo zen è "sacro" spazzare le foglie, tuttavia, esistono comunque i templi ben distinti dalle case, senza che ci si possa confondere fra le due; nell'induismo mi viene in mente il fiume sacro o altri templi... nelle culture laiche, la sacralità ha inevitabilmente valore solo metaforico: la terra è "sacra" per i contadini come il profitto è "sacro" per i banchieri, etc.... culture in cui il sacro non si identifichi e (auto)tuteli con i suoi confini, per quanto aperti, ammetto che, nel mio piccolo, non me ne vengono in mente... puoi farmi qualche esempio?

Citazione di: donquixote il 16 Agosto 2018, 16:49:16 PM
La moderna etica protestante ben descritta da Weber, che assegna "sacralità" alle leggi degli uomini come fossero diretta emanazione del divino, è significativamente paradigmatica perchè caratterizza le società moderne come dominate da un ordine "umano" (quindi profano) che però non prevede alcuno spazio in cui queste leggi possano essere impunemente violate in nome del "sacro", dunque queste permeano di sé ogni aspetto della società e sostituiscono di fatto il sacro di un tempo. Non ti sfuggirà certo il fatto che il richiamo alla "legge" (che attualmente è sempre una costruzione umana e fungibile) è presente ovunque e non derogabile, quindi l'ordine profano ha preso il sopravvento attribuendosi indebitamente l'attributo di sacro, di fatto relegando quest'ultimo nell'ambito della pura superstizione senza alcun intervento concreto nell'ordine sociale.
Concordo con questa analisi, oggi il "sacro laico" è il profano dominante (o maggioritario: la sacra volontà del popolo).
Comunque il sacro religioso-spirituale non lo inquadrerei come "senza alcun intervento concreto nell'ordine sociale"(cit.); certo, in passato era ben più rilevante, ma d'altronde siamo pur sempre in tempi di decadenza, no? 
Si scherza ;D
#1640
Citazione di: donquixote il 16 Agosto 2018, 15:19:09 PM
Citazione di: Phil il 16 Agosto 2018, 12:31:42 PMCuriosando ho trovato che l'etimologia di "sacro" può essere ricollegata anche all'accadico "sakaru" e alla radice indoeuropea "sak": interdire, sbarrare, recintare, separare ciò che è altro (il sacro dal profano, la spazio sacro del tempio dalla terra volgare della coltivazione, i giusti dai peccatori, etc.).
Guarda caso la radice indoeuropea "sak" ha il significato opposto a quello citato, come si può vedere qui
Le spiegazioni etimologiche a cui mi riferivo (non a caso introdotte da "anche" ;) ) le ho trovate:
per "sakaru" qui
http://www.etimoitaliano.it/2014/05/sacro.html
e per "sak" qui
http://semioweb.msh-paris.fr/corpus/scc/IT/_EncycloPubByThema.asp?motCle=&theme=ae2824a22-17ce-4892-8f5e-e600425f3e6e&nom=&video=Etimologia+del+sacro&src=1356_4175_formel_it&id=a7bf97fed-8624-486b-ab68-1f2a041f7f90
mi sono fidato perché non sono un linguista e mi sembrano tuttora pertinenti  :)
Ad esempio il fatto che
Citazione di: donquixote il 16 Agosto 2018, 15:19:09 PM
Studi antropologici seri (tipo quelli di Claude Levi Strauss) confermano che «è sacro ciò che attiene all'ordine dei mondi, ciò che garantisce questo ordine», e inoltre che «le cose sacre devono stare al loro posto e ciò che le rende sacre è il fatto che stiano al loro posto». Questo significa che il sacro attiene all'ordine, è qualcosa che nel suo ambito deve essere inamovibile
mi sembra pertinente e compatibile con quanto dicevo: lo "stare al proprio posto"(cit.) comporta anche l'essere "confinato" e separato da altro, il posto del sacro è un posto preciso ben distinto dagli altri (per topologia e, soprattutto, per "valore").

#1641
Citazione di: paul11 il 15 Agosto 2018, 23:01:17 PM
Agamben ha speso anni a studiare l'homo sacer del diritto latino, questa sacralità della vita appartiene allo Stato o Dio, non all'individuo singolo.Ma il paradosso è che in realtà non appartiene a nessuno per questo rimane "sacro".
Curiosando ho trovato che l'etimologia di "sacro" può essere ricollegata anche all'accadico "sakaru" e alla radice indoeuropea "sak": interdire, sbarrare, recintare, separare ciò che è altro (il sacro dal profano, la spazio sacro del tempio dalla terra volgare della coltivazione, i giusti dai peccatori, etc.).
Proprio il citato Foucault, se non erro, accomunava "sociologicamente" (al netto delle ovvie differenze) istituti detentivi e comunità residenziali di tipo religioso: dove c'è costrizione da parte di un potere "centripeto", dove vige un legame (re-ligio) con regole coercitive o immodificabili "dal basso", dove il bios è recintato da paletti che affondano nella zoè (non puoi uscire, e se esci, oltre ad acquisire uno status iniquo e deprecabile, dovrai occuparti personalmente della tua zoè, mentre "dentro" i bisogni primari sono garantiti dall'Istituzione che governa il tuo bios), tale potere centrale non può che (auto)imporsi come sacro e inviolabile (e i tentativi di violazione saranno perseguiti secondo le norme pertinenti).
La sacralità dell'Istituzione confligge solo apparentemente con la sacralità della vita individuale, poiché è la prima a legittimare (e strumentalizzare) la seconda: ogni sacralità va sancita, e per sancirla è necessaria una sacralità superiore, verticale (sia la verticalità della gerarchia politico-sociale o la verticalità del Cielo). La vita del senza-dio che vivesse lontano dalla società, sarebbe sacra come quella di una zanzara (agli occhi di molti, non di tutti); non a caso la dignità dell'eremita è sempre connotata religiosamente: eremiti sufi, cristiani, buddisti, etc. ad un passo dalla santità, mentre l'eremita che non si richiama a un'Istituzione è ritenuto spesso un selvaggio, un passo indietro rispetto alla civiltà istituzionale.

Citazione di: paul11 il 15 Agosto 2018, 23:01:17 PM
Ma il fatto che nonostante tutto lo stesso Stato compianga il morte in quanto il rito prevede una confessione religiosa(se lo desidera il condannato), e la salma non viene "disprezzata", fa capire che quella sacralità è "intoccabile,"rimane inviolabile persino per un condannato a morte.
Più che l'intoccabilità, ci vedrei proprio il toccare, l'"impugnare" il bios (oltre che la zoè) del condannato a morte: prima e dopo la sua esecuzione, egli resta costantemente nella salda presa dell'Istituzione che ha deciso della sua vita; l'Istituzione gli fornisce conforto spirituale e "ultima cena", l'Istituzione lo sopprime e l'Istituzione si occupa del suo cadavere. La sacralità della vita (e della morte) del condannato, è subordinata e inglobata da quella omnipervasiva dell'Istituzione.

Citazione di: paul11 il 16 Agosto 2018, 10:46:23 AM
Il problema è che un ente che non ha nulla  di fisico ed è impersonale per sua natura,quale lo Stato, decide di un essere e della sua "nuda vita".
Eppure senza la zoè dei suoi cittadini, e senza il loro bios culturale, il Leviatano sarebbe solo un fantasma... come quelli che vogliamo tener lontani e che ci spaventano al punto da rispettare anche il cadavere del più deplorevole fra i condannati a morte  ;)

Citazione di: paul11 il 16 Agosto 2018, 10:46:23 AM
Quindi lo Stato compie un atto di violenza sull'individuo violento,non ne è superiore come diritto, ma solo come potenza e monopolio della violenza.Lo Stato può uccidere, l'individuo no.
La sacralità dello Stato, in quanto sublimazione della sacralità di tutti i suoi membri possibili (non solo attuali), per essere davvero sacra deve dominare quella individuale di ogni singolo possibile, almeno dentro il recinto ("sak") dei confini "sacri" dello Stato (a scanso di equivoci: sto solo descrivendo, non valutando né approvando...).
#1642
Citazione di: bobmax il 13 Agosto 2018, 22:15:16 PM
Siamo noi, in perfetta solitudine, a stabilire ciò che è bene e ciò che è male.
Tuttavia, nella nostra apparente solitudine, siamo in compagnia delle molteplici "cause" da cui deriva il nostro stabilire (e che ci fanno essere ciò che siamo...).

Citazione di: bobmax il 13 Agosto 2018, 22:15:16 PM
Il Bene e il Male determinano chi noi siamo. Nel senso che ogni volta la nostra valutazione stabilisce il nostro essere.
Rovescerei il rapporto: noi siamo chi determina il bene e il male (con le maiuscole faccio fatica a scriverli  ;) ) e il nostro essere stabilisce la nostra valutazione...

Citazione di: bobmax il 14 Agosto 2018, 03:05:11 AM
Non vi è infatti alcuna prova di un evento davvero casuale.
Chiamiamo "casuale" ciò che è in realtà solo indeterminato.
[...]Proprio in quanto negazione della necessità il caso non è mai escludibile del tutto.
Eppure (parafrasando il titolo del topic) è possibile indagare razionalmente il caso?
Ovvero, come possiamo "certificare" che qualcosa sia davvero casuale, con la certezza che in fondo non sia semplicemente indeterminabile? Ancora più radicalmente: come dimostrare l'esistenza stessa del caso?
Possiamo dimostrare di non essere in grado di spiegare la regolarità o la legge insita in un fenomeno... ma (cavalcando la tua distinzione) come discernere attendibilmente fra "casuale"(caotico) e "indeterminabile"(per ora ancora fuori dalle nostre conoscenze)? E se il casuale fosse solo un beffardo travestimento dell'indeterminabile?

Se il caso "deve" esistere, pur essendo indimostrabile, allora sfioriamo il paradosso e/o il dogma; se il caso può non esistere, rischia di essere solo una congettura per dare un "contrario logico" all'ordine...
#1643
Spesso si possono indagare razionalmente alcune possibilità, ma non tutte: se lancio un dado, so già razionalmente che, quando si fermerà, la faccia superiore sarà un numero da uno a sei (ma in fondo è anche possibile che io perda i sensi prima di vederne l'esito); se gioco una partita a tennis, so già razionalmente che uno dei due vincerà, ma è anche possibile che venga sospesa e annullata... il possibile è quindi indagabile razionalmente in modo parziale, ma nondimeno probabilistico (secondo le informazioni disponibili e la casistica recente, è più probabile che io veda l'esito del lancio di dadi, piuttosto che io svenga ;D ).

Citazione di: bobmax il 10 Agosto 2018, 13:26:46 PMIl possibile coincide con il reale.
Non condivido, direi piuttosto che o il reale è un sottoinsieme del possibile (possono uscire sei risultati dal lancio di dadi, ma solo uno si realizzerà), oppure il possibile è lo scherno del reale, il gioco della fantasia umana nel campo dell'irreale (escludendo che possibile e reale siano concettualmente sinonimi).
Il possibile non è mai reale empiricamente (a differenza del reale), è sempre un "non più" (non è più possibile che il meteo di ieri sia differente, ma sarebbe stato possibile che lo fosse) o un "ancora" (è ancora possibile che domani piova... che è una declinazione di "la realtà è nell'oggi, non siamo ancora, e mai lo saremo, nel domani").
Il possibile è sempre decentrato nell'irreale, nel non presente, nel rimandato a dopo o nell'alternativa (irrealizzata) al prima.

Citazione di: bobmax il 10 Agosto 2018, 13:26:46 PM
Tuttavia, può esservi un evento che potrebbe effettivamente accadere, ma non accade? Ossia il passato avrebbe potuto essere diverso? 
Il determinismo (senza voler dirottare troppo il discorso) che conosce solo causa/effetto, mal si coniuga con bene/male: se ciò che è stato non poteva non essere, e ciò che accade non può non accadere in altro modo, allora ogni "mister x" ha fatto semplicemente ciò che era destinato a fare (sia egli filantropo o criminale), giudicarlo bene o male è solo un questione di contingente etichetta morale, ma se davvero non gli era possibile fare altro, "il Bene non è un bene e il Male non è un male" poiché "tutto è solo come può essere".

Citazione di: bobmax il 10 Agosto 2018, 13:26:46 PM
Non resta pertanto che accettare, se vogliamo credere nel Bene, che tutto ciò che avviene "doveva" avvenire. Anche ciò che è male. 
Che d'inverno le foglie cadano, è un bene o un male? Questione di prospettiva relativa e soggettiva (come il voler credere nel Bene  ;) ), ma Bene e Male con la maiuscola, mi sembrano inconciliabili con una prospettiva deterministica, poiché tutto funziona e scorre nell'unico modo possibile e non c'è ulteriore possibilità (ovvero, non faccio né bene o né male a nessuno, faccio solo ciò che posso fare, e ciò che "posso" essendo deterministicamente e univocamente causato, coincide meccanicisticamente con ciò che "non posso non fare"...). 

Ci si potrebbe persino chiedere, dall'interno: il determinismo stesso è Bene o Male? O semplicemente è come è (se è)?.
#1644
Citazione di: Carlo Pierini il 04 Agosto 2018, 17:15:23 PM
Sei talmente poco filosofo (come quasi tutti i filosofi di questo ultimo secolo) che dimentichi sempre la possibilità (affermata in tutto l'arco della storia del pensiero) di un Principio-Dio-Tao che governa OGNI aspetto dell'essere.
Possibilità a cui non credo, perché alle fiduciose affermazioni, dopo più di duemila anni, mi pare non siano ancora seguiti minimi indizi concreti (magari sbaglio); anche l'avvento degli angeli dell'apocalisse è una possibilità da ponderare, nondimeno, mentre l'aspettiamo, suscita tutta la mia perplessità...

Citazione di: Carlo Pierini il 04 Agosto 2018, 17:15:23 PM
SU COSA si fonda la tua certezza che etica, estetica e teologia siano incompatibili con un Principio ultimo, il quale, OLTRECHE' principio di verità, sia ANCHE principio di armonia tra tutti gli enti e, quindi, ANCHE principio etico ed estetico? Perché l'etica e l'estetica non dovrebbero contenere in sé alcun ordine oggettivo di carattere universale?
Se sai cosa sono etica, estetica e teologia, e soprattutto qual'è la loro storia, non dovrei aggiungere altro... se non lo sai, perdonami, ma non sono in grado di sintetizzarlo in un post.
Ciò non significa che tu non possa legittimamente ipotizzare un principio che le possa conciliare (le ipotesi hanno sempre carta bianca!), risolvendo ogni pluralismo e contraddizione, abolendo ogni arbitrarietà e ogni relativismo, tuttavia, per adesso e fino a prova contraria, per me resta un'utopia... Cassirer, Foucault e gli altri che citi hanno forse avuto più fortuna di te?
Soprattutto: conosci davvero bene la filosofia di tutti quelli che hai citato (compresi i loro "vocabolari" ;) ) oppure è solo una questione "compilativa" di fare una ricerca filologica filtrando i testi per "parole chiave" ed accatastando citazioni decontestualizzate (come già fatto per altri)? Ad esempio, chiedo: Schleiermacher, Rosmini e Putnam sono davvero complementari sul piano etico?

Citazione di: Carlo Pierini il 04 Agosto 2018, 17:15:23 PM
Non ho mica proposto di mettere fuori legge o di mandare al rogo i filosofi che sparano cazzate. Voglio semplicemente dire che, così come la Scienza ha cancellato un gran numero di superstizioni e di teorie palesemente false, altrettanto succederà alla filosofia quando anch'essa, grazie alla scoperta di un proprio criterio di verità, sarà in grado di mandare in pensione delle filosofie infondate, superstiziose o palesemente false.
Profezia antica... ma all'epoca avevano l'attenuante, come già dicevo, di non aver vissuto il '900  ;)

Citazione di: Carlo Pierini il 04 Agosto 2018, 17:15:23 PM
COSA si oppone a questa possibilità, al di là dei tuoi rigidi dogmi personali?
La sua storia e la sua direzione attuale, sempre "per adesso e fino a prova contraria"... la mia interpretazione ha certamente i suoi dogmi (come tutte?), anche se qui direi che forse si tratta quasi di dati di fatto: come la vedi la filosofia contemporanea? Riesci a interpretarla come orientata al raggiungimento del principio unico, e quindi siamo più "avanti" di un secolo fa? Possiamo essere ottimisti, i risultati raggiunti finora fanno ben sperare? Non ho proprio alcun motivo di essere scettico mentre mi trastullo con i miei dogmi pluralisti?
#1645
Tematiche Spirituali / Re:Che cos'è la Fede^
04 Agosto 2018, 16:00:25 PM
@Oxdeadbeef   @Kobayashi

L'idiota è (etimologicamente) l'uomo dell'"idios", del "proprio" anche nel senso di "privato", esattamente come sono private e personali (proprie) la spiritualità e la fede; egli è anche (storicamente) l'"uomo privato" nel senso di inadatto a cariche pubbliche, in quanto non colto, ingenuo, proprio come la fede viene spesso tacciata di ingenuità culturale da parte dei "sapienti". L'idiota condivide con il bambino la capacità di illudersi (da ludere, giocare) ovvero di aggiungere un senso "altro" a ciò che è tiepidamente ordinario; lo fa per timore della noia, dell'odio altrui, delle proprie passioni, della morte? Per un insidioso sentore di orrore? Secondo me, si, ma solo se per orrore intendiamo l'"horror vacui": il vuoto fa paura, i bambini temono il buio non perché è nero, ma perché lo vedono come (il) vuoto, che infatti la loro fantasia riempie subito con ciò che il vuoto suscita: paure... colmare tale vuoto con speranza, o fosse anche con sofferenza o violenza, forse è una reazione istintiva per non dover accettare il vuoto di senso e lasciarlo vuoto...
#1646
Citazione di: Carlo Pierini il 04 Agosto 2018, 11:56:59 AM
Certo, ma un giorno dovremo pur distinguere la Storia della filosofia - che è un labirinto infernale in cui si dice tutto e il contrario di tutto - dalLA Filosofia, che sarà, invece, una vera e propria scienza rigorosa (Husserl), cioè, una visione unitaria e coerente del mondo costituita da tutte le idee filosofiche vere e reciprocamente complementari.
(sorvolo sull'ovvietà che il buon Husserl non ha potuto fare i conti con il '900, mentre noi ne abbiamo la possibilità) La filosofia comprende l'etica, l'estetica e persino la metafisica e la teologia, tutte discipline costitutivamente incompatibili con il concetto di idea definitivamente vera (non sono falsificabili, si diceva) o necessariamente complementare alle altre (per fortuna, secondo me).
In questo scenario il pluralismo è la tutela della libertà di interpretazione e di costruire visioni del mondo soggettive; se togliamo questo, possiamo anche smettere di parlare di filosofia, sbattere fuori dalla porta ciò che non è epistemico e fare solo scienza (come la farebbero degli automi), anche se temo che quei problemi (etici, etc.) rientrerebbero subito prepotentemente dalla finestra... valli a capire questi umani che non vivono di sola scienza  ;D

Un'unica filosofia che metta tutti d'accordo in virtù della sua (presunta) evidenza? Ammiro l'ambizione del tuo progetto ma, personalmente, preferirei di no (anche qualora fosse un risultato spontaneo, in assenza di imposizioni, che spesso vanno a braccetto con alcuni monismi); è come (paragone) se tutti ascoltassimo la stessa musica o (non paragone) vedessimo il mondo alla stessa maniera: o saremmo tutti "illuminati" (utopia, direi) o sarebbe una mesta stasi culturale perchè mancherebbe... il momento negativo, l'antitesi, come direbbe qualcuno  ;)


Citazione di: viator il 04 Agosto 2018, 13:35:38 PM
Ma la vogliamo piantare di considerare antagonistiche materialità e spiritualità ?
Le ho citate solo come esempio fugace (senza star a sottilizzare troppo) per ragionare sul "pierinismo"... il "viatorismo" non era ancora in oggetto  ;D
Sul calderone che comprende: immateriale, spirituale, concettuale, mentale, animico, psicologico, etc. non basterebbero due tomi per far chiarezza; comunque partire dalle definizioni, come sempre, aiuterebbe a distinguere sinonimi, contrari, supplementi, derivazioni, opposti contraddittori e opposti complementari (come direbbe qualcuno... ;) ). Tuttavia, non è onestamente di mio interesse, è un ambito che mi risulta un po' indigesto perché contiene troppa metafisica classica (anime, spiriti, iperuranio, etc.).
#1647
Citazione di: Carlo Pierini il 03 Agosto 2018, 20:54:21 PM
Non cambia nulla. Anche intere posizioni filosofiche possono contenere aspetti che contraddicono certi aspetti di altre intere posizioni filosofiche; il pdnc vale anche per essi.
Per fortuna, in filosofia, ci sono posizioni ed orientamenti contraddittori... e il pdnc ci dice solo che non possiamo essere contemporaneamente ferventi seguaci di (esempio) materialismo e spiritualismo; sottolineavo come fosse invece inutile applicarlo in ambito ermeneutico, ma... "non insisto" (autocit.  ;D ).

Citazione di: Carlo Pierini il 03 Agosto 2018, 20:54:21 PM
Si diceva anche che attribuire a un medesimo termine dei significati tra loro incompatibili significa mettere l'intelletto "fuori servizio" e ridurre il linguaggio a un rumore molesto.
Hegel non usa affatto il medesimo termine: se non erro, userebbe "opposizione" (logica) e "contraddizione" (dialettica) con significati ben distinti; se non riusciamo ad entrare nel "vocabolario" di un filosofo, non lo capiremo mai, comunque... "non insisto", anzi, come già suggerivo
Citazione di: Phil il 02 Agosto 2018, 18:50:49 PM
non indugio in merito, qui il focus è bene resti sulla tua filosofia  ;)
#1648
Citazione di: Carlo Pierini il 03 Agosto 2018, 19:15:36 PM
C'è poco da discutere: il pdnc vale SIA per le teorie scientifiche che per qualunque proposizione (o coppia di proposizioni). Se in relazione ad un certo argomento l'una contraddice l'altra, una delle due è falsa, o sono entrambe false, oppure entrambe contengono elementi di falsità.
Non parlavo, come specificato, di singole proposizioni logiche, ma di "intere" posizioni filosofiche, di paradigmi, di interpretazioni ermeneutiche, a cui dare un singolo valore di verità comporta (oltre che snaturarle drasticamente) i disastrosi (solo filosoficamente ;D ) effetti collaterali di cui sopra, ma non insisto oltre...

Citazione di: Carlo Pierini il 03 Agosto 2018, 19:15:36 PM
...Ma come? Prima mi dai dell'approssimativo, e poi non ti prendi la responsabilità di giustificare il tuo epiteto? ...Lo so io perché non ti prendi questa responsabilità: perché lo scritto da te citato (l'ho trovato on-line: https://archive.org/stream/ScienzaDellaLogicaVol2#page/n68/mode/1up ) da ragione a me: Hegel non distingue l'opposizione contraddittoria dall'opposizione dialettica tesi-antitesi.
Si diceva che confrontarsi con i filosofi è anche comprendere il loro "vocabolario": mi sembra che Hegel intenda con la parola "opposizione" la contraddizione logica ("a" e "non-a") con il termine "contraddizione" il momento negativo della dialettica (antitesi)... prova a usarli come legenda interpretativa  ;)
#1649
Tematiche Spirituali / Re:Che cos'è la Fede^
03 Agosto 2018, 17:38:15 PM
"Sarò ateo anch'io" ma se alla fede togliamo la possibilità di sbirciare nell'al di là e dettare qualche dogma per dare due coordinate all'azione dell'uomo nel mondo, non ne resta molto di fruibile; "sarò ateo anch'io" ma se le religioni sopravvivono ancora dopo che sono state confutate, rinnegate, decostruite e scalzate da mille discipline settoriali, probabilmente la fede ha per l'uomo un fascino senza tempo; "sarò ateo anch'io" ma le mutande e le bare sono le due uniche certezze dell'uomo dalla notte dei tempi, e se la fede riesce ad arroccarsi lì, è un ottima mossa strategica; "sarò ateo anch'io" ma la fede che "pulsa" non conosce (e non ne ha bisogno) né Galileo né la dotta teologia; "sarò ateo anch'io" ma se cerchiamo miracoli non servono buchi neri o nuvole parlanti, basta innaffiare una pianta ed aspettare; "sarò ateo anch'io" ma la fede salda non sa nulla di imprecazioni al cielo ostile e invettive omofobe, ma sa molto di speranza e di autotutela; "sarò ateo anch'io" ma non mi stupisce che la scienza abbia i suoi fatti e la religione le sue speranze... "sarò ateo anch'io" ma se non avessi avuto fede, non saprei cosa significa davvero essere ateo  :)
#1650
Apro gli occhi,
ma è ancora notte;
ritorno a ieri...