Per istinto di sopravvivenza ognuno di noi è dotato di aggressività, necessaria per difendersi dalle minacce e per procurarsi ciò che serve; la civiltà ha reso superfluo il combattere contro altri animali, poiché non ci sono più branchi di lupi che ci attaccano di notte e il supermercato ci fornisce cibo senza cacciare (e nella caccia stessa, per quanto permanga un residuo adrenalinico, non c'è più molta aggressività fisica, si tratta di premere un grilletto e, se si manca il bersaglio, a casa il pasto non manca di certo). Tale aggressività arcaica è stata un po' inibita con lo sviluppo tecnologico e culturale, ma essendo ancora presente, ha trovato costante sfogo indirizzandosi verso il prossimo, sia in modo fisico, ma anche in modo verbale (essendo la violenza fisica punita e disprezzata sempre più; basti pensare al solito esempio delle sberle educative dei genitori: prima un "dovere" parentale, oggi un gesto estremo da somministrare con circospezione e senza lasciare traccia
).
Tutto questo per introdurre la questione del ruolo funzionale (ma non troppo) del nemico come catalizzatore di tale aggressività (altrimenti inutilizzata): di per sé non avrebbe senso aggredire (verbalmente o fisicamente) chi non minaccia la nostra incolumità o la nostra sussistenza (escluderei l'ipotesi del furto
) , si potrebbe ignorarlo e vivere in pace; invece risulta (ancora) istintivo aggredirlo per eliminarlo (perché percepiamo la sua differenza come un fastidio che mette in discussione la nostra identità) o almeno per sottometterlo (secondo l'antica usanza di usare i vinti come schiavi). Al punto che il nemico non è più solo l'ostile, ma talvolta semplicemente il diverso (basti pensare a casi degenerati di violenza nello sport, oltre che in politica o per motivi razziali).
Certo, di base siamo tutti umani, ma è il nostro modo di declinarci e il contesto d'azione a sancire "amici" e "nemici": Tizio e Caio sono uomini, se dovessero difendersi da un attacco alieno (probabilmente) si aiuterebbero come fratelli; se fossero tifosi della stessa squadra canterebbero gli stessi cori allo stadio (e, per inciso, c'è stata un'epoca in cui alcuni cori, più che incitare la propria squadra, non a caso, aggredivano gli avversari o l'arbitro), ma magari in campo politico si vivono come "nemici".
Usare categorie belliche, guerriere (nemico, alleato, combattere, conquistare, ritirarsi, sconfiggere, etc.), in contesti di pace, è un modo proiettivo per alimentare quell'aggressività sopita ma non estinta (che è sfruttata dai manipolatori anche come leva subliminale), che può, se non addomesticata, spingere non alla competizione ma alla violenza (per quanto non necessaria).
Forse sarebbe opportuno distinguere fra "avversario" e "nemico": un amico può essere anche "avversario" (ad-versus, rivolto-contro) in qualche occasione, mentre quella di "nemico" ("colui che non si ama") mi sembra un'etichetta più indelebile e radicale.

Tutto questo per introdurre la questione del ruolo funzionale (ma non troppo) del nemico come catalizzatore di tale aggressività (altrimenti inutilizzata): di per sé non avrebbe senso aggredire (verbalmente o fisicamente) chi non minaccia la nostra incolumità o la nostra sussistenza (escluderei l'ipotesi del furto

Certo, di base siamo tutti umani, ma è il nostro modo di declinarci e il contesto d'azione a sancire "amici" e "nemici": Tizio e Caio sono uomini, se dovessero difendersi da un attacco alieno (probabilmente) si aiuterebbero come fratelli; se fossero tifosi della stessa squadra canterebbero gli stessi cori allo stadio (e, per inciso, c'è stata un'epoca in cui alcuni cori, più che incitare la propria squadra, non a caso, aggredivano gli avversari o l'arbitro), ma magari in campo politico si vivono come "nemici".
Usare categorie belliche, guerriere (nemico, alleato, combattere, conquistare, ritirarsi, sconfiggere, etc.), in contesti di pace, è un modo proiettivo per alimentare quell'aggressività sopita ma non estinta (che è sfruttata dai manipolatori anche come leva subliminale), che può, se non addomesticata, spingere non alla competizione ma alla violenza (per quanto non necessaria).
Forse sarebbe opportuno distinguere fra "avversario" e "nemico": un amico può essere anche "avversario" (ad-versus, rivolto-contro) in qualche occasione, mentre quella di "nemico" ("colui che non si ama") mi sembra un'etichetta più indelebile e radicale.