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Messaggi - daniele22

#1636

Tutti sappiamo quale sia la differenza tra una affermazione falsa ritenuta vera e una menzogna. Qual è il motivo per cui nella nostra società si dà, almeno apparentemente, così tanta importanza alla verità? E questo sembra innegabile quando si assistono a varie polemiche tra individui nei quali il motivo del contendere poggia sul determinare la verità di un fatto. A complicarci le cose interviene che molte nostre affermazioni, da altri ritenute false, non possano essere confutate sul piano logico. Sarà vero? Cosa può suggerire tutto ciò? La domanda che pongo infine è questa: Quale sarebbe il peso della falsità, quand'anche della menzogna, nel determinare le forme della nostra attuale realtà sociale?

#1637
Citazione di: anthonyi il 12 Gennaio 2022, 05:16:49 AM
Ciao Daniele, io non ho detto che un folle non è razionale, ho detto che questo carattere non contraddistingue la follia, esattamente come la fede in qualcosa.
Avere fede in qualcosa é perfettamente normale, c'é chi ha fede in Dio, chi nella scienza, chi in nessuna delle due per questo è novax, eppure anche quest'ultimo ha fede in qualcosa, cioè in tutte le fake che trova scritte sul web.
La follia non è questo, la follia è perdere il senso sociale nel rapporto con gli altri, il non percepire più la loro alterità e vivere un delirio egotico.
E comunque la follia di qualcuno la stabiliscono sempre gli altri, il folle non é cosciente di essere tale, non puó esserlo.
Io, quando ho cominciato a rendermi conto di alcuni problemi della mia psiche ho cominciato automaticamente a gestire questi problemi, e ancora lo faccio, continuamente, perché mantenere la normalità psichica é un bisogno fondamentale di ciascuno di noi.


Dopo questo intervento sono senz'altro d'accordo. Hai anche evidenziato quel delirio del folle che sente il mondo intero girare attorno a lui. Del resto, come hanno già detto Bobmax e Kobayashy, che valore conoscitivo dobbiamo dare alle presunte verità del folle?
Eppure io vi colsi ugualmente una verità, col senno di poi naturalmente. O forse non v'è nessuna verità nella follìa, ma io, più o meno per caso, ne ho colta una analizzando i miei assurdi comportamenti e cogliendo all'interno di essi un particolare che ho sviluppato
#1638
Ciao Anthon, non sono d'accordo, o forse non ho ben capito, poiché a un dato punto fai riferimento giustamente all'opinione di chi osserva. Ma chi osserva non può vedere ciò che non è visibile. Quand'ero folle cmq, vinsi una partita a scacchi con un mio amico col quale a volte vincevo a volte perdevo a volte facevo pari. E ti assicuro che ero veramente folle. Il folle non manca proprio in materia di raziocinio. Quel che io intendo è che a poter far perdere il folle sono i vari principi di realtà sui quali si fonda quando agisce, non una mancanza di raziocinio nel condurre l'azione che compie. I mulini a vento sono professioni di fede, per noi forse sconcertanti, ma non per il folle. Caricato di questo fardello di credenze il matto va spensieratamente incontro alla società delle persone che lo accoglie, ed è da lì in poi che si determina la sua eventuale esasperazione e perdizione. Quanto terreno gli verrà concesso? Con quanta forza si intestardirà? Del resto, un qualsiasi tipo normale non potrebbe sentirsi legittimato a dire ad un credente "tu sei matto se credi in Dio". Ma il credente ti dirà che no, che non è matto, e perché mai dovrebbe esserlo? E continuerà a vivere secondo i suoi precetti svolgendoli razionalmente e confortato da molti altri
#1639

A prescindere dal fatto che possa essermi lecito estendere la mia esperienza al concetto generale di follìa, quel che più mi ha colpito dell'esperienza trascorsa è stata la presenza contemporanea di: a) esasperata pretesa di un agire razionale che, in vista di un obiettivo, può travalicare benissimo le convenzioni sociali in uso, come minimo. b) l'esistenza di segni che sono cmq oggetto di fede e dai quali si verrebbe in certa misura condizionati.
A ben osservare la situazione assomiglia un pochino a quella degli umani normali.
Il folle però, a mio giudizio, nella sua pratica di violentare il sistema in nome della ragione pura non si rende conto che è almeno in parte governato da una fede, oppure quasi certamente non la critica anche perché è costantemente immerso nell'agire sulla cresta dell'onda.
Le domande sono: quanto si attiene a tale fede? Detta fede, gli ordina di fare qualcosa? Rispondendo specialmente alla seconda domanda egli pone la prima pietra del suo incontro/scontro con la società dal quale può uscire illeso, magnificato o devastato.

#1640

Di nulla Iano, grazie pure a te.
Una premessa: penso che  la storia di un individuo anche genetica, possa essere determinante a poter far sì che un folle possa o no rientrare nel mondo dei normali senza incappare nei servizi di igiene mentale.
Iano, tu parli di più maschere, ma io intendo in realtà una maschera. Semmai mi dirai.
Si tratta della maschera che viene alla luce grazie allo svilupparsi della razionalità espressa tramite il linguaggio per quel che attiene più che altro il suo aspetto speculativo e narrativo (contrapponendolo cioè agli usi della lingua più rivolti al da farsi del momento). Si tratta infine della maschera che ci dà la possibilità di mentire. Puoi chiamarla se vuoi la maschera della ragione. Anche qualche altra specie riesce ad ingannare con intenzione, ma noi siamo specialisti. Penso che sia letteralmente la nostra arma per eccellenza.


A tal proposito ti dirò che quando rientrai nel cerchio dei più iniziai a speculare sugli atteggiamenti di esasperata diffidenza che allora avevo provato nei confronti del prossimo e pure al cospetto di amici di lunga data. In quei momenti, appunto, sfoggiavo una sfacciataggine fuori di ogni misura finalizzata a chiarificare i miei dubbi. E se non riuscivo a risolvere il dubbio, che all'altro, se non offensivo, poteva a volte sembrare solo un dubbio ridicolo, altrettanto sfacciatamente mollavo l'osso e procedevo per altre vie. Il folle che era in me non lasciava alcuno spazio al dubbio. Laddove c'era il dubbio cercavo vie alternative ... a meno che non percepissi un segno di incoraggiamento che nel mio caso consisteva nell'interpretazione di segnali prevalentemente acustici (clacson di autovetture, porte sbattute, canto di uccelli etc.) ai quali spesso mi affidavo quando intraprendevo qualcosa. Loro mi avvisavano se dovevo procedere o fermarmi in base ad una grammatica che non so ben come si fosse strutturata.


Sarebbe pertanto da questa diffidenza di fondo che avrei dedotto l'opinione (naturalmente non ho approfondito l'indagine sulle follìe degli altri, anche se mi sembra che la diffidenza sia un tema ben presente nel folle in generale) che il folle, gettando questa maschera con la sua sfacciataggine anche offensiva, abbia in fondo (inconsapevolmente) la pretesa che pure gli altri gettino tale maschera. Ciò che trovo interessante e pure attuale di questo aspetto della mia esperienza sarebbe costituito dal fatto che il folle che era in me, provocando inconsapevolmente il senso comune del pudore con la sua impudenza linguistica, cercava sapientemente (anche se in modi goffamente esasperati) di superare le problematiche poste dall'eventuale presenza di menzogne dando per scontato che gli altri possano mentire in modo spontaneo quando vi sia terreno che offra spazio alla menzogna
#1641
Sono sostanzialmente d'accordo con Iano, anche se non condivido la casualità con cui esprime il manifestarsi della follìa. Ho personalmente vissuto l'esperienza della follìa per un breve periodo (un mesetto più o meno). E' stata un'esperienza altamente traumatica ... la diritta via era proprio smarrita ... spaventosa nei suoi primi momenti e gratificante successivamente. E' stato l'evento che ha destato in me una curiosità filosofica. Una cosa approssimativa che posso dire è che secondo me il folle è colui che va oltre la maschera che tutti noi sani ci portiamo sempre appresso. Sarebbe pertanto un momento di accrescimento di consapevolezza che lo porta a scorgere nudo il suo essere umano. C'è chi ne viene travolto. Per quel che riguarda le allucinazioni posso dire che mi son chiesto, col senno di poi però, non al momento in cui eventualmente le stavo vivendo, se certe persone che io vedevo fossero veramente reali nel senso fisico del termine, o fossero solo figure che venissero distorte dai significati che attribuivo loro nei miei folli voli mentali
#1642
Ciao Aspirante, citandoti:
"Ora vengo al discorso della collaborazione a livello di umanità. La difficoltà maggiore alla sua realizzazione, a mio avviso sta nell'ego che spinge i singoli uomini a voler essere primi in qualcosa (sport, carriera, fama, possedimenti, ecc... ecc..). L'ego, di fronte agli elogi delle masse, si gonfia fino all'inverosimile. E' un circolo vizioso da cui occorre uscire. E' necessario iniziare a pensare diversamente. Non c'entra alcun credo, alcuna fede. ...."


Posso essere senz'altro d'accordo, ma siamo ancora a livello di chiacchiere. Per quel che riguarda invece il credo, o la fede, forse tale fede si rivela anche quando affermi che c'è un circolo vizioso da cui occorre uscire. Perché bisogna uscire? Si ritorna quindi alla domanda di Kobayashy su quale forza dovrebbe indurre la compensazione dei propri limiti tramite l'altrui virtù e viceversa. Rinnovo quindi la domanda: perché bisogna uscire? Per me, un circolo vizioso c'è, però questa tua fede devi metterla alla prova. Ad esempio, dici: i singoli individui sono spinti a voler essere primi in qualcosa. Di sicuro puoi criticare questa tua affermazione solo in parte vera, quindi dedurne una gradazione diversa. Oppure potresti pensare a quale causa sia dovuta questa abitudine alla competizione che pur non coinvolgendo tutti sembra esser trainante all'oggi. Il pensiero dominante sembra dire cmq che è così che va il mondo, appellandosi all'evoluzione, ma la mia opinione non coincide con tale interpretazione dell'evoluzione

#1643

Buon 2022 a tutti. Buongiorno Aspirante filosofo. Come già disse Viator, mi sembra, le tue istanze assomigliano più che altro a riflessioni esistenziali/sociali più che filosofiche. Da un punto di vista filosofico mi sembra che Kobayashi abbia posto bene la domanda chiedendo "quale sia la forza che dovrebbe indurre alla compensazione dei propri limiti tramite le virtù dell'altro e viceversa".
Io non so suggerirti alcun filosofo avendo solo vaghi ricordi di storia della filosofia, ma di sicuro in me puoi trovare un eretico dilettante del comune pensare. Di fatto potrei suggerirti più di qualche idea che possa corroborare almeno in parte il tuo pensiero, però mi sembra che tu parta da presupposti che richiedono una dose di fede a mio vedere eccessiva. Voglio cioè dire che un quantum di fede in qualche verità più o meno importante sia sempre presente nei nostri discorsi. Ricorrere però a concetti come "vita eterna", oppure postulare un'umanità perfetta evidenziando imperfezioni in un certo senso vaghe, a mio giudizio non corrisponde ad un approccio filosofico al tema che tu proponi. Ripeto, c'è del vero in quel che affermi, ma dovresti esplicitarlo in modo diverso. Potresti intanto cercare di dire dove dovremmo trovare queste parti che all'interno dell'umanità non collaborano. Chi è che non collabora? La mafia? La politica? La filosofia? I media? La scienza? Il papa?
Per come la vedo io la storiella che ha postato Ipazia potrebbe dare qualche buon spunto di riflessione.
Ci sentiamo
#1644
Tematiche Filosofiche / Sostanza dell'essere
14 Dicembre 2021, 10:41:04 AM





Ciao iano, ho letto quel che dici, alcune cose mi sono chiare, altre meno, cmq il discorso sull'assoluto mi è chiarissimo, condiviso e fondamentale. Ho notato che hai sottolineato il mio usare il termine significativo usando tu invece il termine funzionale. In quel caso, e anche in questo, col termine significativo esprimo l'idea che vi sia una causa di natura emotiva che permette la produzione della realtà e la successiva adeguata relazione con essa. Senza tale causa non vi sarebbe alcuna realtà, e forse nemmeno la vita, oppure la vita si svolgerebbe come fossimo degli automi, cosicché allora avrebbe ragione di esistere la cosiddetta superiorità intellettiva tra le specie e all'interno della nostra specie. Cosa questa che io nego, relegando l'espressione dell'intelligenza all'interno di un interesse più o meno maggiore da parte degli individui nei confronti della realtà in generale e anche delle sue particolarità (tipo l'esposizione di una teoria scientifica o anche la produzione di un'opera d'artigianato). In generale sarei propenso a dire che l'esercizio dell'intelligenza è strettamente connesso ad una maggiore o minore aggressività individuale in termini di azioni nei confronti dell'ambiente
#1645
Tematiche Filosofiche / Sostanza dell'essere
13 Dicembre 2021, 15:27:10 PM
Non so se ho ben capito, ma se vuoi dare a una pietra la consistenza di una idea dovremmo chiederci come mai il cane sappia (conosce) che se tocco il guinzaglio è ora di andare in giro. Quella è l'idea, ovvero una categorizzazione di azione nell'ambito di una scena. Il guinzaglio resta come forma sensibile. Il processo è identico a quello umano, penso. Quel che ha fatto la differenza nel passaggio all'umano, nell'andare oltre fino a determinare la strutturazione di un linguaggio che diverrà infine linguaggio di essere consapevole di se stesso fu dato dalle conseguenze della specializzazione nella segmentazione delle azioni per gestire pure la cura del fuoco, con indotti tecnologici che perdurano all'oggi. Non era Nietzche che ce l'aveva con gli adoratori del fuoco? Avrà pur avuto qualche buon motivo. Fatale fu, in questa piccola narrazione personale, quando categorizzammo l'azione di "parlare".
Per quel che riguarda l'essere mi ricordo che un giorno pensai che qualora fossi mai riuscito un giorno a "misurarmi" in un dato momento, proprio in quel momento sarei scomparso dal mondo. Però c'è qualcosa in te che non cambia da quando nasci a quando muori. Cmq, secondo me ha senso chiedersi cosa sia l'essere, ha senso almeno per schiarire una via che sembra sempre più smarrita
#1646
Tematiche Filosofiche / Sostanza dell'essere
10 Dicembre 2021, 08:13:14 AM
@iano
Sai ben che il mio pensiero intende che noi possiamo conoscere della realtà solo ciò che nella realtà è significativo. A tali significazioni noi umani siamo usi a dare un nome, ad esempio Dio, atomo, coscienza, l'essere, pietra etc. Accade pure che parole tipo Dio, oppure coscienza, oppure l'essere, non abbiano dei riscontri sensibili nella realtà condivisa.
Dopodiché, ogni sostantivo rappresenta un'idea, un'astrazione, ma il suo contenuto non è necessariamente intersoggettivo, nel senso che l'albero non ha la stessa significatività per una persona che vive nel deserto e trova un albero che per una persona che vive nelle alpi e trova un albero. Nel senso che l'albero può avere varie funzionalità che possono anche generare polemos. Però se ti rivolgi ad un vocabolario l'idea di albero diviene intersoggettiva al cento per cento.
All'essere manca un riscontro sensibile, ma il suo potenziale esser sensibile non sta nella natura come l'albero, bensì sta nella natura, quella che comprende i nostri discorsi, ovvero il suo esser sensibile sta nel nostro udire o leggere delle parole che cercano di inquadrarlo.
Ci intendiamo su questa base?
#1647
Tematiche Filosofiche / Sostanza dell'essere
07 Dicembre 2021, 10:56:53 AM

"A me gli aspetti dell'essere sembrano molteplici e diversi sono i gradi in cui li percepiamo."
Non mi è molto chiara questa tua affermazione, cmq proviamo ad andare oltre. Porre il problema dell "essere", fintanto che non si riesca a definirlo in termini abbastanza soddisfacenti equivale per me mettere sul piatto una sensazione, ovvero la sensazione dell'esistenza dell'essere. Sembra che tutti lo si percepisca, io compreso, ma non so di preciso quale sia la prova della sua effettiva esistenza al di là  della semplice parola che lo rappresenta (per me lo stesso vale anche per la parola Dio, o per la parola Coscienza). Tra l'altro ricordo che nel topic dove si parlava del senso della storia umana senza Dio tu mettevi in dubbio l'esistenza del concetto "storia umana".
Ora accade che io sia poco competente in storia della filosofia, quindi che possa dire delle stupidaggini, ma mi son fatto la sensazione che la filosofia non abbia risposto in modo esauriente quali siano le fattezze dell'essere. Non so se, da ultimo Heidegger, nel suo accostarlo al tempo, forse a farlo coincidere col tempo, ne abbia dato un'idea esaustiva. Ma se i suoi insegnamenti legittimano ad esempio l'emersione dell'idea che l'essere umano sia dominato dalla volontà di dominio, non riconoscendomi in questo atteggiamento non posso far altro che contestarlo (se non Heidegger, l'emersione di quell'idea). Non sarebbe cioè questo ciò che produce l'essere attraverso le immagini che io raccolgo dal divenire.
Ti rimando a questo punto al mio post precedente in cui esprimo io (la mia sensazione) dove dovrebbe svolgersi la ricerca dell'essere in modo tale da farlo apparire più chiaro, ma forse pure più scomodo (la duplicità nella sua unità). Ricordo tra l'altro quello che ha detto Ipazia circa l'unità psicofisica che ti porti dentro dalla nascita alla morte e Jacopus nel dire che le cellule del sistema nervoso son sempre quelle, non ricambiandosi, e suggerendo tra l'altro che lui cercherebbe semmai lì, se ci fosse, la sostanza dell'essere. E pure Viator con la sua definizione di "essere" come una condizione per cui ... le cose accadono. Per me, questi ultimi e molti altri non qui citati, rappresenterebbero tutta una serie di tasselli che concorrerebbero alla formazione di un quadro che dovrebbe risultare infine coerente
#1648
Tematiche Filosofiche / Sostanza dell'essere
06 Dicembre 2021, 07:48:50 AM
Un'intelligenza, la nostra, tanto fuori dal coro da risultare perfino stonata. A parte che saranno i posteri a valutare il successo della nostra specie, volevo esprimere un pensiero. Se l'evidenza della materia sta nell'atomo (presempio l'idrogeno: una carica positiva e una negativa) e l'evidenza della vita di un vivente sta nel rapporto tra bene e male (anche qui vige un gioco tra positivo e negativo), non vedo per quale motivo nelle nostre attenzioni all' essere tale duplice aspetto così pervasivo non sia posto in evidenza. O meglio, il motivo c'è, ma lo si fa ricadere nella metafisica
#1649
Tematiche Filosofiche / Re:Sostanza dell'essere
04 Dicembre 2021, 21:47:53 PM
Coscienza, Essere, a sentire sin qui i discorsi a me vien quasi da pensare che si tratti della stessa cosa, due termini fuggevoli e pure così pregnanti. Certo dovrebbe essere che siamo gli unici ad usarli. Ma quella che noi chiamiamo "coscienza" non possiamo trasporla al mondo degli atomi? Può esserci qualcosa di assimilabile alla coscienza in un atomo? Uno status di quell'ente che lo mette in relazione all'ambiente? Concetti tipo l'affinità elettronica oppure l'elettronegatività, oppure il punto di fusione, o quello di ebollizione, non rappresentano in qualche modo la conoscenza che non è saputa dall'atomo stesso eppure che determina la sue forme di vita in relazione alle sue potenziali azioni? La coscienza potrebbe pertanto essere uno status che ti permette uno spazio di gioco più o meno ampio, più o meno costretto rispetto all'ambiente che ti sovrasta
#1650
Anche le tartarughe quando escono dalla sabbia sanno dove andare ad incontrare l'acqua del mare. Partendo da lì, la realtà, anche se non si è esseri umani, sta in primo luogo dentro il nostro essere individui ed è cosa individuale in quanto selezionata in corso di vivere. Selezionata dalle nostre pulsioni, emozioni, sensazioni, passioni, paure, fobìe etc. etc. Però non si può comprendere tutta la realtà. Se non fossimo così antropocentrati, io mi levo fuori dal circolo, la cosa sembrerebbe quasi autoevidente. La realtà parallela, quella che sta fuori di noi e di cui cerchiamo di farci immagine confrontadoci col nostro simile, quella che esperiamo individualmente, spesso accidentalmente, e che accertiamo con una metodologia che sembra essere della stessa natura del metodo scientifico, quella infine di cui parliamo spesso senza capirci, arriverebbe con un attimo di ritardo temporale rispetto a quella interna, tanto che in questo ritardo andrebbe poi a costituirsi verbalmente e mentalmente la sua non oggettività. Sembra quasi un paso doble!