Citazione di: davintro il 08 Ottobre 2016, 01:38:51 AMCoscienza, pensiero volontà, sensazioni... possono essere considerate come "parti" dello spirito solo in senso metaforico, figurato, non reale. Il concetto di parte ha un senso reale solo se si parla del piano materiale, il piano nel quale qualcosa occupa uno spazio ed occupandolo esclude l'occupazione dello spazio ad un'altra cosa, producendo una separazione che fà sì che l'unità materiale sia sempre un'unità esteriore e fittizia. Pensiero, volontà ecc. sono diverse forme di espressioni della spiritualità, non sono propriamente "parti", non seguono il principio fisico, dell'impenetrabilità dei corpi, ma sono nel complesso della vita interiore della persona costantemente intrecciati, reciprocamente condizionati, tra loro vi è una compenetrazione, e questa compenetrazione è il segno della tendenza all'unità data dalla nostra componente spirituale. Le convenzioni non sono l'identità, ma i suoi limiti, in quanto riguardano dei ruoli che assumiano in relazione al mondo esterno, alla società, non sono l'espressione di una forza spontanea interna alla persona, le convenzioni riguardano la superficie della persona, cioò che è visibile esteriormente, non ciò che consideriamo quando ci rivolgiamo verso noi stessi, quando nell'introspezione ci rivolgiamo verso la nostra profondità. Nell'essere umano, che in virtù della sua finitezza ontologica è sintesi di attualità e potenzialità, corrisipondente alla sintesi di spiritualità e materialità, non si deve pensare all'identità nè come qualcosa di innatamente del tutto giù compiuto, tesi che non considererebbe la dipendenza per lo sviluppo delle nostre potenzialità naturali da certe condizione offerte dal mondo esterne, nè come una mera convenzione o illusione, tesi che non considera la capacità dell'Io attraverso la ragione di riflettere su se stesso, valutare quanto un'azione, un impulso, possa essere coerente con i nostri valori e la nostra personalità, restando libero di poter seguirlo o reprimerlo. L'identità nell'uomo va vista come una sorta di tendenza interiore a realizzare il proprio sè in un certo modo e la nostra identità si costruisce quanto più tale tendenza viene coerentemente seguita nel corso della vita e si perde quando più disperdiamo la nostra vita nel caso della frammentarietà delle situazioni, non seguendo un riferimento morale costante che ci rappresenti. Cioè nell'uomo l'identità è qualcosa che si realizza "più o meno" in base alla forza psichica ed alla razionalità degli individui. Ma questi non sono limiti riguardanti il concetto di "identità" considerato in sè, ma solo l'identità di un ente imperfetto e limitato come l'uomo. L'identità umana non è l'identità tout court, ma solo una sua particolare declinazione
Ciò che "tende all'unità ", che vedo assunto arbitrariamente a priori come dare per scontata una sostanza al portatore introvabile delle parti, degli aggregati che compongono l'essere vivente ( non intesi ovviamente solo in senso di "parti" spazio-temporali come comunente designate e percepite, ma pure come processi dinamici pscicologici, comunemente designati come processi psicologici o mentali) è proprio quello che ho definito/designato convenzionalmente come la "sete d'esistere, oppure come la "volontà di esistere" ( in eterno, durevolmente, stabilmente, godendo in eterno di appagamento che non può essere appagato, ecc.). In ogni caso l'essere vivente e senziente è "anche " diviso in parti comunemente designate come tali nello spazio e nel tempo. A meno che si voglia affermare che il corpo abbia una parvenza illusoria, si deve ammettere che mente e corpo sono un'unità di parti ben distinte, che agiscono insieme e reciprocamente si determinano. Non penso che, se ad un corpo vengono amputati tutti e quattro gli arti, ciò non provochi un cambiamento anche nella mente e nelle sue dinamiche psicologiche e viceversa sappiamo bene come gli stati mentali influenzino la salute del corpo.
Dovremmo quindi considerare la persona nella sua interezza funzionale di mente e corpo , come vengono convenzionalmente designati. Che le "parti" siano materiali o immateriali, fisse o dinamiche, con forma o senza forma, conscie o inconscie, sorgono sempre in dipendenza da altre "parti", come convenzionalmente designate da un agente esterno alle "parti" stesse. Una mancanza funzionale di una parte si ripercuote infatti nella funzionalità delle altre parti; così anche nella "nave di Teseo" la rottura del timone comporta l'impossibilità di dirigere la nave. Un essere terribilmente menomato nei sensi ( cieco, sordo e muto) non riesce a sviluppare alcun tipo di intelligenza come viene comunemente designata, ma solo una forma di intelligenza ridotta alla sensazione tattile ( come la povera Adriana, nome finto, che imbocco a volte la sera e l'unica cosa che riesce a fare è aprire la bocca a scatti come un uccellino nel nido...agendo in lei la "sete d'esistere" nonostante tutto).
Sono d'accordo con la seconda parte del tuo intervento, che mi sembra però dimostri che il concetto di identità non può essere definito in alcun modo se non convenzionalmente da un agente esterno. infatti se la poni come un "qualcosa che si sviluppa nel tempo per forza delle dinamiche interiori e delle esperienze materiali" già inizi a scomporla, inserendo il fattore tempo, e non essendo più identica a se stessa, ma in divenire, non può certo essere l'identità, ma semmai l'identità convenzionalmente data da un agente esterno o arbitrariamente assunta dalla riflessione interiore che finisce per identificarsi con i propri mutevoli processi dinamici mentali e corporei, che sempre hanno origine in dipendenza da altro. Giustamente, come scrivi, l'identità non può aver limiti, se non quelli convenzionalmente dati da un agente esterno, in quanto processo dinamico di "nutrimento" ( mentale e materiale) della volontà d'esistere e di eternamente tentar di trovare appagamento.
P.S.Consapevole che ogni mio ulteriore intervento non farebbe che ribadire la mia convinzione che l'identità non è ontologicamente fondata ma solo convenzionalmente designata, concludo qui la mia riflessione sull'interessante paradosso de "La nave di Teseo". Che poi la riflessione sull'identità porti ad aprire finestre su quella relativa allo "spirito" o "anima", come comunemente definiti, è evidente ma forse è il caso di aprire apposito spazio di discussione. Sono oltremodo allergico a termini come "spirito" o "anima" che spesso vengono posti aprioristicamente come base della riflessione e, nonostante le mie non giovanissime primavere, confesso che non ho ancora ben compreso a che cosa si riferiscono...
