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Mostra messaggi MenuCitazione di: Apeiron il 11 Settembre 2018, 18:39:14 PM
@sgiombo,Citazionel'eventuale conoscenza completa del fenomeno non consentirebbe di stabilire se il fenomeno non "appare" in dipendenza di una realtà indipendente ("noumeno") (fenomenalismo)né il contrario: i fenomeni potrebbero anche apparire (0 essere reali) senza il "supporto" di tale "realtà indipendente (la cui esistenza credo per fede, non perché sia dimostrata né dimostrabile né tantomeno -per definizione- constatabile empiricamente.
Credo che qui ci sia il nostro punto di dissenso. Per me, una completa e certa conoscenza del fenomeno significa sapere con certezza tutte le sue proprietà. Tra queste vi è, secondo me, l'apparire (o meno) in dipendenza dal "noumeno". Ergo, credo che se ammettiamo che possiamo conoscere completamente il fenomeno dobbiamo anche ammettere che è possibile conoscere se esso appare (o meno) in dipendenza dal noumeno.Citazione
Ma questo lo sappiamo già a priori, per definizione, anche conoscendo poco o nulla del fenomeno (non é mai stato in dubbio).
Quello che mi sembra evidente che tu pretendi e che io nego recisamente é che il noumeno possa identificarsi col (concetto-limite di) fenomeno "perfettamente conosciuto", il che é un' evidente contraddizione, cioé la pretesa di identificare ciò che non é reale (il fenomeno sia pur "perfettamente conosciuto" allorché non accade in quanto tale) con ciò che é reale (il noumeno anche allorché il fenomeno, fosse pure "perfettamente conosciuto, non accade).
Visto che tale "conoscenza certa" del fenomeno implica anche una conoscenza certa (può anche essere parziale ma deve essere certa) del noumeno (in particolare, come minimo, o si constata la sua presenza o la sua assenza) e siccome l'inferenza dall'esperienza, la "fede" e la speculazione non possono dare tale conoscenza, l'unica via è l'esperienza diretta.CitazioneQualsiasi certezza e qualsiasi conoscenza sul noumeno può aversi unicamente per fede; pretendere di conseguirla per esperienza diretta significa cadere in una platealissima contraddizione (vedi sopra).
Se non si ammette che empiricamente non si può sapere se vi è il noumeno o meno, allora secondo me non è possibile avere una conoscenza completa del fenomeno.CitazioneMa nessuno che non sia affetto da delirio di onniscenza ha mai preteso di avere una conoscenza completa dei fenomeni (a parte il fatto che che non si possa empiricamente sapere se vi è il noumeno o meno non lo devo certo "ammettere", dal momento che é quanto ho sempre sostenuto).
Citazione di: InVerno il 11 Settembre 2018, 14:08:58 PMCitazione di: sgiombo il 11 Settembre 2018, 13:41:57 PM
Diciamoci la verità, "non tutti" sentono il bisogno di andare a messa la domenica, quello che si difende è una "festività marxista" a cui i liberisti giustamente non sentono alcun obbligo di aderire, tu pensi per ignoranza o per qualsiasi altro motivo, ma parecchie persone si sentono completamente a loro agio a lavorare alla domenica, a lavorare e qualsiasi ora, pur di lavorare.
Citazione di: anthonyi il 11 Settembre 2018, 20:07:04 PMCitazione di: sgiombo il 11 Settembre 2018, 13:36:17 PM
Mi sembra proprio che il "comunismo" (o meglio il socialismo reale), senza essere ovviamente un "paradiso terrestre" e pur fra limiti ed errori anche gravi, peraltro in gran parte da addebitarsi alla forsennata ostilità senza esclusione di colpi, senza scrupolo alcuno, da parte del coesistente e potentissimo mondo capitalistico, abbia prodotto risultati OTTIMI (fra questi -ma non sono i maggiori- il diritto qui da noi ai riposi festivi, alle ferie pagate, alla sanità, all' istruzione e alla pensione; che infatti il capitalismo reale da quando non é più dal s.r. arginato e condizionato si sta riprendendo integralmente).
Ne sei proprio sicuro sgiombo? E io che ero convinto che tutte queste conquiste sociali siano state rese possibili dallo sviluppo economico che ha avuto l'Italia dal dopoguerra in poi! Possiamo discutere quanto vogliamo sulla dimensione relativa delle fette di torta, resta il fatto che senza torta non si può fare nessuna fetta e il capitalismo (Tu lo chiami così, io più semplicemente lo chiamo sistema di mercato) è l'unico che a tutt'oggi si è mostrato capace di fare torte belle grosse.
Un saluto.
Citazione di: InVerno il 11 Settembre 2018, 12:58:25 PMCitazione di: sgiombo il 11 Settembre 2018, 07:50:35 AMNon cé condizione peggiore di quella dello schiavo contento di esserlo perché il padrone gli ha raccontato che é libero e benestante e lui ci crede!Sappiamo bene di essere su posizioni differenti al punto che non penso tu sia interessato a dialogare con me, in ogni caso sono (onestamente) curioso di sapere come definisci "schiavo" da un punto di vista veteromarxista (vetero nel senso positivo, di saggezza accumulata tramite l'osservazione dei fatti). Evitando propaggini sociologiche ma proprio contestualmente all'economia, cosa differenzia lo schiavo dal lavoratore dipendente.
N.B.: del "credere di essere libero e benestante" da parte dello schiavo che presta fede alla balle del padrone fa parte il ritenere "produttivi" manager, imprenditori, banchieri, economisti, pubblicitari, ecc.CitazionePer esempio il fatto che il primo non ha diritto a riposi festivi...
Sappiamo entrambi che Marx fu profondamente ispirato dalla guerra di secessione americana che almeno sul piano teorico venne combattutta sul tema dello schiavismo, compresa l'identificazione di questo status, ispirazione che terminò nella figura simbolica di Spartaco. Una certa parte del liberismo anglossasone poi continuerà fino alla prima parte del novecento a negare una reale differenziazione tra lavoro dipendente e schiavismo (proseguendo il detto di Lincoln che definiva il lavoro dipendente come : "schiavismo mobile") e terminerà nel populismo nordamericano su base sindacalista. In Eurasia questo tema sarà considerato fondamentalmente anarcoide, e la classe del lavoratore dipendente verrà legittimata attraverso la promessa di un "paradiso del lavoratore" che mai arrivò. Che cosa invece identifica lo schiavo moderno, e quale è il punto pivotale intorno al quale le due figure si differenziano secondo te?
Citazione di: Socrate78 il 11 Settembre 2018, 12:52:11 PM
@Sgiombo: A me sembra però che tu ragioni sempre in base ad uno schematismo in cui i padroni sono sempre sfruttatori e dalla parte del "male", mentre il lavoratore è sempre sfruttato e subisce. E' il pregiudizio marxista basato sulla lotta di classe, secondo cui l'imprenditore, il datore di lavoro è per forza uno sfruttatore cattivo mentre il proletariato è una vittima a prescindere. Non ti sembra che il comunismo nelle sue varie forme sia un'ideologia bocciata dalla storia perché ha prodotto risultati pessimi ed è stato di fatto un'oppressione dello Stato che ha stabilito ciò che era giusto e sbagliato per tutti, pretendendo di prevaricare quindi l'individuo? Alla fine anche il modo in cui ti poni bollando come "balle" le mie considerazioni rivela questo, infatti il marxista tipo si è sempre sentito portatore di una verità assoluta riguardo alla gestione della società e chiunque osasse contestare era visto dalla parte dell'errore o addirittura dell'ingiustizia e del male.
Citazione di: davintro il 10 Settembre 2018, 20:34:25 PM
i contenuti fenomenici nella mia coscienza non sono prodotti arbitrari dell'Io, perché non sono il prodotto di una volontà di un Io, che liberamente decide di immaginare una certa cosa in un modo anziché in un altro, ma rappresentano l'essenza, il nucleo necessario della cosa, una volta spogliata, tramite l'epoche, degli aspetti che lo vincolerebbero a un determinato contesto empirico spaziotemporale, accidentale rispetto al suo senso.Citazione
Il fatto, su cui concordo, che i contenuti fenomenici nella mia coscienza (soltanto quelli direttamente percettivi involontari, non le immaginazioni o fantasie o speranze o illusioni o propositi per il futuro, N.d.R) non sono prodotti arbitrari dell'Io, perché non sono il prodotto di una volontà di un Io, che liberamente decide di immaginare una certa cosa in un modo anziché in un altro non significa affatto (non ne consegue necessariamente) che siano caratteristiche proprie di quella che é (se realmente c' é; come personalmente credo, ma non é dimostrabile né mostrabile in alcun modo) la realtà in sé, indipendente dai contenuti fenomenici stessi della mia coscienza, ma invece unicamente che sono meri insiemi – successioni di sensazioni reali unicamente come tali, se e quando e fintanto che accadono (anche se non ad libitum da arte mia) in quanto tali : "esse est percipi"
La sospensione del giudizio di esistenza spoglia la cosa di un attributo non necessario, per mettere in evidenza gli aspetti necessari ed essenziali.Citazione
La sospensione del giudizio di esistenza non può in alcun modo mettere in evidenza alcun aspetto (men che meno necessario ed essenziale) della "cosa" percepita (cioé della "cosa" in quanto insieme – successione di sensazioni fenomeniche), e ulteriormente men che meno della cosa in sé: la sospensione del giudizio é mero "mutismo", non dice nulla di nulla.
Torno sull'esempio con cui tempo fa avevamo discusso, la memoria. Che ogni atto soggettivo noetico, l'atto del ricordare da parte di un Io, implica un contenuto oggettivo, il noema, il fenomeno oggettivo del "ricordato".Citazione
L'atto del ricordare non implica necessariamente alcun contenuto oggettivo, può benissimo essere falso.
Se mi ricordo (male, falsamente) che da bambino sono andato a vedere il Giro d' Italia, mentre sono andato a vedere la Mille Miglia il mio ricordo non implica alcun contenuto oggettivo, realmente accaduto ma il rispettivo contenuto o noema, il fenomeno del "ricordato" ésolo qualcosa di soggettivo, puramente immaginario.
Ogni pensiero (compresi in particolare i ricordi) implica necessariamente un pensato inteso necessariamente come la connotazione o intensione cogitativa di un concetto e non affatto necessariamente come una denotazione o estensione reale.
Invece ogni percezione che non sia di concetti dotati di significato é un mero evento di coscienza, un fenomeno, non implicante necessariamente alcunché oltre o "al di fuori" di essa: l' albero che vedo é unicamente un insieme – successione di sensazioni o qualia reali solo in quanto tali e solo se e quando e in quanto accade che veda l' albero: nulla che esuli dalla mia esperienza cosciente (invece se qualcosa c' é' di reale che esula dalla mia esperienza cosciente qualora la mia visone dell' albero non sia allucinatoria od onirica, allora per non cadere in una patente contraddizione devo ammettere che si tratta di altro, di qualcosa di diverso dalle sensazioni fenomeniche o qualia soggettivi costituenti l' albero visto, la visione dell' albero).
La corrispondenza tra una noesi, ricordo, e un noema, un ricordato, non è una produzione soggettivistica e arbitraria dell'Io, ma una necessità strutturale dell'intenzionalità che caratterizza ogni coscienza, come ad ogni pensiero corrisponde un pensato, ad una percezione un percepito, ad un ricordo un ricordato. La dimostrazione di tale necessità è data dal fatto che essa è un residuo che resta presente anche una volta che, tramite riduzione fenomenologica, metto tra parentesi, cioè sospendo il giudizio circa la verità effettiva del ricordo, la corrispondenza fra rappresentazione mentale del ricordato e corrispondenza con l'effettiva realtà del passato: se anche fossi vittima di un'illusione circa il fatto che il mio ricordo rappresenti un evento del passato realmente accaduto, resta il fatto che non posso dubitare di stare provando un'esperienza cosciente intenzionalmente riferita al passato, avente una qualità vissuta distinta da quelle vissute nella percezione di un fenomeno presente, o di un'immaginazione rivolta al futuro.Citazione
Il fatto che Se anche fossi vittima di un'illusione circa il fatto che il mio ricordo rappresenti un evento del passato realmente accaduto, resta il fatto che non posso dubitare di stare provando un'esperienza cosciente intenzionalmente riferita al passato, avente una qualità vissuta distinta da quelle vissute nella percezione di un fenomeno presente, o di un'immaginazione rivolta al futuro (o anche se sospendo il giudizio circa la sua veracità o meno) di per sé, necessariamente non mi fa uscire dalla, non mi fa andare oltre la mia esperienza fenomenica cosciente, non mi fa attingere ad alcuna realtà in sé che la ecceda.
Questa qualità vissuta rappresenta un dato oggettivo, anche se intracoscienziale, in quanto non posto arbitrariamente dall'Io, ma riconosciuto come essenza necessaria del ricordo, essendo residuo della radicalizzazione del dubbio che elimina gli aspetti non-necessari.Citazione
Rappresenta un dato interamente, ineluttabilmente intracoscienziale, ergo: soggettivo, anche se reale e anche se non posto arbitrariamente dall'Io, ("ma riconosciuto come essenza necessaria del ricordo, essendo residuo della radicalizzazione del dubbio che elimina gli aspetti non-necessari" non capisco bene cosa significhi e cosa possa importare; come pure "individuare le varie distinzioni qualitative delle singole specie di atti con cui la coscienza attribuisce un senso alle cose del mondo" -vedi sotto: si tratta sempre ineluttabilmente di "operazioni interamente interne" alla mia coscienza, non minimamente in grado di attingere ad alcuna cosa in sé).
Una volta individuate le varie distinzioni qualitative delle singole specie di atti con cui la coscienza attribuisce un senso alle cose del mondo, possiamo stilare una "mappa" (spero così di riuscire a chiarire meglio il punto anche per Oxdeadbeef, oltre che per me stesso) delle varie modalità in cui la coscienza entra in relazione con il mondo sulla base dei vari atti di esperienza vissuta, distinguibili sulla base delle differenze in cui i loro oggetti vengono vissuti in essa.Citazione
No, così facendo non si può proprio stilare una "mappa delle varie modalità in cui la coscienza entra in relazione con il mondo, ma solo dei contenuti soggettivi della coscienza, dei vari atti di esperienza vissuta, distinguibili sulla base delle differenze in cui i loro oggetti (del tutto intrinseci ad essa: "esse est percipi"!) vengono vissuti per l' appunto in essa (evidenziazioni in grassetto mie).
Ad esempio, dalla distinzione qualitativa del ricordo rispetto al presente e al futuro, sarebbe possibile individuare una regione dell'Essere corrispondente alla conoscenza storica, cioè il modo in cui un Io si relaziona al passato, come ambito distinto dalle esperienze del presente e del futuro, e quindi dotata di caratteristiche, strutture e regole autonome.CitazioneMa non c' é alcuna certa distinzione qualitativa del ricordo rispetto al presente e al futuro che renda possibile individuare una regione dell'Essere corrispondente alla conoscenza storica, cioè il modo in cui un Io si relaziona al passato, come ambito distinto dalle esperienze del presente e del futuro, e quindi dotata di caratteristiche, strutture e regole autonome (parole a me un po' oscure).
Citazione di: Socrate78 il 10 Settembre 2018, 18:28:19 PM
Andrò controcorrente forse, ma io ritengo che non ci sia affatto corrispondenza tra la convenienza soggettiva e immediata del lavoratore e il benessere economico della società nel suo complesso: un lavoratore potrà anche beneficiare di maggior riposo, ma se quando si riposa non vende circola meno denaro e quindi l'economia si sviluppa meno e si crea un danno anche per lo stesso lavoratore che guadagna ovviamente di meno. Elementare, o no?
Citazione di: davintro il 08 Settembre 2018, 17:49:19 PM
Il puro riconoscimento kantiano dell'Io penso come appercezione trascendentale non è a mio avviso sufficiente a colmare il fossato tra fenomeno e noumeno (cioè a superare il rischio dello scetticismo). L'Io penso, inteso come puro atto soggettivo unificatore di tutte le mie rappresentazioni, ancora non legittima l'idea che i contenuti oggettivi delle rappresentazioni siano descrivibili in base a leggi a-priori e necessarie, manca cioè il collegamento intenzionale tra noesi, atti soggettivi di coscienza, e noemi, contenuti oggettivi intenzionati dalle noesi, su cui tanto insiste la fenomenologia. L'io-penso kantiano è una noesi del cui accadere possiamo essere certi, ma che non riesce a implicare la certezza delle attribuzioni di qualità essenziali ai suoi noemi oggettivi, la certezza dell'Io penso resta una certezza di qualcosa di soggettivo, non accompagnata dalla certezza di un sapere oggettivo, anche se fenomenico, perché l'approccio kantiano, probabilmente ancora troppo influenzato dall'empirismo, identifica l'oggettività con la trascendenza del realismo ingenuo, delle cose del mondo esterno nella misura in cui non sono fenomeni, e siccome, giustamente, Kant riconosce che non ha senso pensare ad un'oggettività senza che sia data fenomenicamente a una coscienza (altrimenti come potremmo pensarla?), allora deduce, erroneamente secondo me, che non sia possibile una conoscenza dell'oggettività tout court. Invece la lezione fenomenologica consiste nell'affermare la possibilità di un sapere oggettivo, non nel senso del realismo ingenuo, che separa totalmente le cose dalla coscienza che ne ha esperienza, ma nel senso di un' oggettività intrafenomenica, cioè residuo della certezza della coscienza soggettiva, collegata ad essa tramite la relazione (intenzionalità) noesi-noema: una volta che mi rendo conto che il mio Io cosciente resta come residuo indubitabile dopo la messa fra parentesi della pretesa di esistenza delle cose al di là del mio Io, intuisco che in questo residuo resta non solo l'Io come attività soggettiva (noesi), ma anche i propri contenuti fenomenici oggettivi (noemi), che anche una volta non associati più a cose esistenti nel mondo trascendente, restano comunque come contenuto dei nostri vissuti esperienziali registrati nella coscienza. Anche quando comincio a dubitare che la percezione dell'albero rimandi a un albero reale, perché potrei essere vittima di un'allucinazione, non per questo l'immagine percettiva dell'albero cessa di restare contenuto nella mia coscienza. E una volta appurato questo punto, inizia la trattazione analitica vera e propria, individuare e discernere nel complesso dei contenuti fenomenici, le sfumature che segnano le varie diversità qualitative a cui far corrispondere i differenti ambiti nei quali la realtà è strutturata in tutti i suoi aspetti, riuscendo a sviluppare una "mappa" delle varie dimensioni dell'essere e delle corrispondenti punti di vista soggettivi tramite cui la coscienza attribuisce loro un determinato senso (compresi anche le varie discipline scientifiche) ad esse ordinate, evitando sovrapposizioni, confusioni di approcci ecc. La validità oggettiva della mappa sarebbe garantita dal fatto che le qualità oggettive dei fenomeni da cui l'analisi ha mosso piedi sono necessariamente implicate nella relazione con l'indubitabilità della coscienza soggettiva che le comprende. Credo sia questo a grandi linee il senso della cosiddetta "ontologia regionale" proposta da Husserl, con le "regioni" dell'essere a cui corrispondono le diverse specie di fenomeni oggettivi, qualitativamente distinte nell'analisi, almeno per come penso di aver capito la cosa, con tutti i miei grandi limiti...
Citazione di: Apeiron il 09 Settembre 2018, 19:14:10 PM
@sgiombo,
anche se rimaniamo su due posizioni diverse abbiamo varie convergenze. Inoltre, è stato un vero piacere per me questa discussione
CitazioneAnche da parte mia.CitazioneSe ammettiamo che il noumeno sia in qualche modo legato al fenomeno allora, se conoscessimo esattamente la natura del fenomeno (anche senza che sia necessaria l'onniscienza ma solo una limitata comprensione corretta del fenomeno) secondo me non avremmo affatto alcuna conoscenza, nemmeno parziale del noumeno, che é tutt' altra cosa.
Dunque una conoscenza anche parziale del noumeno (se c'è) innanzitutto é impossibile per via empirica per definizione; inoltre, anche ammesso e non concesso, non ci ci permetterebbe affatto di comprendere in pieno il fenomeno.
E parimenti la conoscenza completa del fenomeno non potrebbe assolutamente anche dirci se c' é o non c'è noumeno.
se, ad esempio, diciamo che il fenomeno "appare" (perdona la rindondanza, ma voglio fare il pignolo) in dipendenza da una "realtà" indipendente dalla nostra coscienza (noumeno), allora secondo me se fosse possibile una conoscenza completa del fenomeno, tale conoscenza ci darebbe una conoscenza parziale anche del noumeno (visto che tra le varie "proprietà" del fenomeno, vi è quella che appare in dipendenza da una realtà indipendente dalla nostra coscienza). Inoltre, visto che l'inferenza applicata all'esperienza, la "fede" e la speculazione intellettuale non ci danno alcuna conoscenza del noumeno, risulta necessariamente (secondo me) che non è nemmeno conoscere in modo certo totalmente il fenomeno (visto che sapere "che appare in dipendenza dal noumeno" implica che si conosca anche il noumeno)
A meno che, tale conoscenza non venga in modo empirico. Ma questo ci porta al "paradosso" (?) che il noumeno (se c'è) possa essere conosciuto empiricamente (ammetto che non sono sicurissimo che sia possibile!). Ovviamente, anche la posizione secondo cui non c'è una realtà indipendente (fenomenalismo) è da "verificare" (per avere la certezza che sia vera). E nuovamente, l'unica verifica possibile è data da una conoscenza completa (che in questo caso escluderebbe il "noumeno"). La mia posizione è che una conoscenza completa dei fenomeni sia in linea di principio possibile. Ma è un'assunzione abbastanza arbitraria. E sono dell'idea (e anche qui forse sbaglio) che per quanto detto sopra, tale conoscenza ci potrebbe dare informazioni sul "noumeno" (anche in senso "negativo", ovvero confermando la sua eventuale non-esistenza).
CitazioneNon vedo alcuna consequenzialità logica fra l' ammettere che il fenomeno appare in dipendenza da una realtà indipendente dalla nostra coscienza (noumeno), e la pretesa che allora se fosse possibile una conoscenza completa del fenomeno, tale conoscenza ci darebbe una conoscenza parziale anche del noumeno; (che tra le varie "proprietà" del fenomeno, se realmente esiste, vi è quella che appare in dipendenza da una realtà indipendente dalla nostra coscienza già lo sappiamo a priori, indipendentemente da quale che sia la completezza della nostra conoscenza dei fenomeni).
Modifica: ad essere pignoli l'eventuale conoscenza completa del fenomeno non dimostrerebbe, nel caso in cui si stabilisse che il fenomeno non "appare" in dipendenza di una realtà indipendente ("noumeno"), strettamente parlando " la posizione secondo cui non c'è una realtà indipendente (fenomenalismo)" ma solo che i fenomeni appaiono senza il "supporto" di tale "realtà indipendente". Ovviamente, ciò non toglie che ci possa essere una realtà indipendente ma completamente slegata dai fenomeni (e quindi anche dalle coscienze ecc) - ovvero senza alcuna relazione con fenomeni e coscienze ecc.Citazionel'eventuale conoscenza completa del fenomeno non consentirebbe di stabilire se il fenomeno non "appare" in dipendenza di una realtà indipendente ("noumeno") (fenomenalismo) né il contrario: i fenomeni potrebbero anche apparire (0 essere reali) senza il "supporto" di tale "realtà indipendente (la cui esistenza credo per fede, non perché sia dimostrata né dimostrabile né tantomeno -per definizione- constatabile empiricamente.
Concordo che Ovviamente, ciò non toglie che ci possa essere una realtà indipendente ma completamente slegata dai fenomeni (e quindi anche dalle coscienze ecc) - ovvero senza alcuna relazione con fenomeni e coscienze ecc. (é un' ipotesi non autocontraddittoria, dunque pensabile sensatissimamente).
Citazione di: DeepIce il 09 Settembre 2018, 22:38:25 PM
Innanzitutto vorrei ringraziare per le risposte, parlarne fa sicuramente bene.
Per quanto concerne l'insegnamento, almeno in Italia la filosofia è rimasta insegnamento scolastico. In molte nazioni europee nelle scuole superiori la filosofia non esiste, quindi ancora peggio per chi la studia.
Il problema del lavoro per il filosofo si è cominciato a porre con l'avvento della società industriale. Precedentemente i filosofi erano 1) appartenenti alle classi più elevate e benestanti; 2) mantenuti dalle corti o da ricchi magnati; 3) tutori privati per i figli di ricche famiglie (se non sbaglio Hegel ha fatto il tutore per un certo tempo). Con l'avvento della società industriale, di massa, per i filosofi si è posto il problema di come guadagnarsi il pane producendo "qualcosa". I pochi fortunati entravano (ed entrano) nelle università (anch'esse parte della società industrializzata=diplomifici), il resto fa la fame.
Citazione di: Carlo Pierini il 09 Settembre 2018, 17:00:39 PMCitazione di: sgiombo il 09 Settembre 2018, 15:22:11 PMCitazione di: Carlo Pierini il 09 Settembre 2018, 10:18:21 AMCARLO
Beh, se l'effetto placebo ha la stessa efficacia causale della somministrazione di un farmaco (cioè, se la mente può guarire il corpo), i medici e gli psichiatri dovrebbero smetterla di sostenere la tesi monista-riduzionista e riconoscere la validità del dualismo-interazionismo il quale contempla sia la possibilità di azioni causali cervello-mente (la sola ammessa dal monismo), sia quella di azioni causali mente-cervello. E, insieme a loro, tu dovresti riconoscere che ti sbagliavi quando tempo fa mi contraddicevi con grande veemenza scrivendo che:
<<Mente e cervello si corrispondono biunivocamente senza reciproche interferenze causali. (...) Se considerassi la mente come un ente COMUNICANTE col corpo, violerei la chiusura causale del mondo fisico, ergo: manderei a farsi benedire la conoscenza scientifica (non potrei, se non contraddittoriamente, considerarla possibile)>>.
SGIOMBO
More solito non hai capito nulla di quanto affermo, che citi del tutto a sproposito (poco male, non é obbligatorio; ma mi sembra doveroso precisarlo).
Non c' è alcun bisogno di invocare impossibili interferenze causali fra coscienza (e in particolare mente) e cervello per comprendere l' effetto placebo, che é perfettamente inquadrabile in un divenire "parallelo su piani ontologici incomunicanti" e non causalmente interferenti di cervello e coscienza.
CARLO
Infatti, per me è impossibile capire come un non-ente (cioè, qualcosa che non esiste) possa guarire una malattia organica senza comunicare col corpo. E dubito che qualcun altro possa capirlo.CitazioneTranquillo, io e tanti altri lo capiamo benissimo!
Le sostanze fisiche le più svariate che possono produrre affetto placebo sono tutti enti realissimi che interagiscono con ' organismo realissimamente.
E poiché vi é una necessaria corrispondenza biunivoca fra cervello e coscienza a determinati mutamenti cerebrali corrispondono determinati mutamenti di coscienza.
SGIOMBO
Ma da quando in qua "i medici" (Quali medici? Certamente non io) e gli psichiatri (in toto) sosterrebbero "la tesi monista (materialista suppongo) riduzionista ? ! ? ! ? !
CARLO
Beh, il DSM (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali) non fa altro che collegare cause fisiche e patologie mentali. E pur quella esigua minoranza di psichiatri che esprime dissenso col DSM si limita a stigmatizzare la mancanza di prove scientifiche di questa "causalità organica" delle psicopatologie, senza pronunciarsi sul paradigma monista. Tu conosci qualche psichiatra (o medico) professionista che contesta il monismo? Non escludo che ce ne siano, ma è certo che la stragrande maggioranza propende per il monismo.CitazioneNon conosco il DSM ma mi sembra una tua valutazione soggettiva (dovrei sentire varie "campane" di psichiatri di diverse scuole prima di pronunciarmi).
Colleghi medici dualisti ne conosco parecchi.