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Messaggi - green demetr

#1636
(il male) Non vedeva e ora sa di non vedere (scrive Giovanni, ma seguendo una tradizione mistica molto anteriore).
E così è nell'Idiota di Dostoevsky, il cui cuore pulsante non è come scrive l'introduzione Einaudi il cristo,
ma il femminile, il femminile che porta con sè la shekinà, il bene, la madre ossia il paesaggio, che diventa malvagità, allorchè rispetto al bisogno di proteggere l'idiota si scopre borghese, ossia la femminilità si scopre malvagità, opacità, incapacità di auto-salvazione. Loro! le madri, che sono la salvezza, in quanto anima, tradiscono se stesse.
E infatti è la storia fallita di una salvezza, quella dell'idiota e chi fallisce è la femminilità, ossia non cambia il paesaggio, non si commuta dal male a cui è educata, al bene a cui è chiamata.
E' per questo che la shekinà è una forza portante dell'ordine del bene, ordine angelico, ordine sacrale, ossia compito del proteggere se stessa, l'anima del mondo.
E così nei Demoni (l'opera gemella dell'Idiota, in continuo dialogo tra loro), dove impara a essere se stessa, come forza portante dell'eros, come guida allo spettro nichilista del giovane Stavrogin, la cui anima è stata strappata via dall'ordine che governa, ossia dal moralismo.
Stavrogin da vittima si fa carnefice, come in un incubo.
E da carnefice si riscopre alla luce delle infinite Tatiane del Mondo, da opaco che era ridiventa trasparente.
La saggezza nasce dalla tragedia che diventa dramma, pensiero che si risveglia.
L'Idiota che invece è già trasparente, diventa lo specchio dell'opacità altrui.
Lezioni sulle Tatiane e sulle Sofie del Mondo.
Richiederebbero la lettura. Ma mi manca "i fratelli Karamazov", ossia spero nuove principesse nel mondo.
E non lo vogliamo aprire un GDL?
Questa discussione è un ripensamento delle proposte che il grande studioso Rella, ha compiuto nel suo ultimo libro.
A cui compimento sta l'opera che secondo lui riguarderebbe l'oggi contemporaneo, ossia il doctor faustus di thoma mann è la riflessione più alta sul male.
Mi manca anche quella lettura, aprirà gruppo di lettura (GDL) a breve su questi 2 libri fondamentali, e con quelli dialogherà questa discussione, che giustamente merita paragrafo a se stante.
Naturalmente la bibbia e lo zohar stanno già ad indicare una loro via.
#1637
L'amore salverà il mondo. Certo ma unire 2 persone, non è cosa così facile, non dovrebbe mai esserlo.
E non si trattano due persone con l'unione come se fossero oggetti, infatti si spostano due universi segnico-simbolici, con le loro collezioni di oggetti, e soprattutto con le recondite paure codificate dalle leggi, ossia con le loro presunzioni.
E dunque parlare con l'altro, diventa un'esperienza fallimentare, in quanto si scoprono forze portanti della soppressione dell'essere umani, ossia le forze portanti del male.
E entrare in contatto con il male, contagia il parlante, il feed-back, come un boomerang lanciato all'atro per salvare torna indietro e colpisce il salvatore.
Più cerchi di salvare più si sollevano le forze portanti della soppressione sociale, ossia della soppressione individuale, il male in parole semplici.
L'individuo si ritira ferito e non esce più o rimane colpito, e si contagia di male.
E' lo tzi-tzum, l'esplosione della luce, ammassa il male, lo fa diventare opaco, ed egli(l'uomo) si dispera.
Siamo fuori dall'Eden. Così la visione lurianica della cabala. Noi siamo frammenti di luce, ossia noi siamo anime, il cui compito è risalire, o discendere ancora di più, salire e scendere nei mondi sotterranei, i mondi addensati del male. Per ogni atomo di male distrutto, si ravviva la fiammella in alto, per ogni atomo di luce distrutto si forma un atomo di male in alto. E si addensa il male sotterraneo.
L'apocalisse è il tempo del ritiro della luce.
E' il nostro tempo, l'esercito della luce batte in ritirata e l'esercito del male prosegue vittorioso.
Una visione estatica, allegorica, che ha avuto molto successo nel mondo ebraico ucraino.
Perchè disegna uno scontro etico. Un dover essere. Che oggi agli ignoranti sembra una mera chimera.
E invece è letteratura.
#1638
Divagando un attimo (mica tanto un attimo ;) ), mi vengono diverse intuizioni.
Che anzitutto Dio non sia il Dio che crediamo: dovremmo ripensare alla letteratura ebraica, e alla letteratura che ne derivo, personalmente, e su cui rimando, con un parallelismo fortissimo, a mio parere (vedi il mio topic lettura della bibbia).

Che il problema della storia sia legato anzitutto, e questa è la mia proposta, al problema del soggetto, e secondariamente alla saggezza che i popoli determinano dalle loro miserie.
E come le miserie sono il frutto dell'incapacità di vedere la forma come esito morale.
Sto pensando ad alcuni gruppi della mistica ebraica per cui il dovere sociale, è il dovere che Dio ha dato al mondo.
Ma il dovere sociale, non è il procrastinamento della miseria e dell'ignoranza, ma dovrebbe essere un ripensamento non solo del sè, ma anche di dove il sè, si trova.
Certamente all'interno di quell'universo segnico-simbolico che si fa chiamare soggetto, ma anche rispetto alla finalità di quell'universo segnico-simbolico che chiamiamo oggetto.
E nella fattispecie, per portare a passo spedito la discussione, l'aspetto storico.
E' la relazione che si dispiega come consapevolezza della nostra miseria, fra ciò che siamo (e dunque non siamo) e ciò che è (e dunque non è).
Questa relazione che si dispiega come fine, è il fine di essere un pò di più ciò che siamo, e ciò che può diventare un pochino di più di quello che è (per noi, non per le macchine, sempre per stare dentro al nostro tempo apocalittico) appunto di dipanare la storia.
La storia non deve essere un modello salvifico, ma il conto dei nostri fallimenti.
E con storia dunque intendo anzitutto la storia personale di ciascuno rispetto alle storie degli altri.
Un lavoro sulla collezione di oggetti, colossale, che richiederebbe altro che Marx, che comunque ha pensato un modello di guida politica.
Ma la collezione di oggetti, oggi detta anche natura, non è reale.
Reale è la storia, e forse la sua apocalissi.
Ma rispetto all'apocalisse, se questo, e lo è stato sin dalla notte dei tempi, è il filo rosso della storia, cosa possiamo fare noi?
E' per questo che avevo mollato.
In un mondo che non riesce più a vedere l'invisibile, a che pro darsi da fare a pensare.
O meglio il darsi da fare a pensare, comporta thanatos, l'implosione del sè e della sua raccolta di oggetti.
Con un esito nefasto, la depressione, detta anche disperazione.
Senza più orizzonte, non esiste più motivo.
Ecco che ritorna l'eterogenesi dei fini, di cui Platone, Aristotele, Hegel parlano.
Ossia come dice il vlogger Dr.Divago, senza l'orizzonte democratico dell'agire, e del pensare, sopratutto, insieme, a che pro indagare l'invisibile (da soli, e non come dovrebbe essere insieme).
Forse come dice Severino, la fine dell'umanità come la conosciamo, è un esito spiacevole, ma inesorabile.
Eppure il pensiero religioso, non è questo.
Infatti il pensiero antico che ragionava dell'invisibile, con ben altra capacità e destrezza rispetto alla micragnosa miopia attuale, pensava ad una etica, perfettamente razionale, che imponeva al bene di dover essere, e al male di cessare.
Ecco quello che sembra essersi fermato è proprio questa domanda sull'invisibile.
Naturalmente farò i salti mortali per iniziare almeno, la lettura di Severino (anche se non si potrebbe, cercheremo di fare poche citazioni e stare alla sostanza dei testi).
Severino che pur segue il pensiero dialettico Hegeliano, ma che ne disconosce la negatività.
Per Severino l'essere non può che essere, perciò anche ciò che sembra male, è una mera illusione da poter fermare.
Il male è il male.
Ma infatti è il rapporto con il male il luogo dell'indagine.
Il male come nella teologia più ottusa, esiste davvero.
Il fine dell'eterogenesi dei fini (del soggetto e dell'oggetto, e dei loro fantasmi dei soggetti e degli oggetti), è la saggezza fra ciò che è bene e ciò che è male.
In fin dei conti se togliessimo queste categorie, che appartengono al vocabolario della bigotteria, non riusciremmo a intenderle veramente, ossia il contrario di ciò che pensa la bigotteria (senza arrivare all'estreimismo gnostico, che guida i potenti della terra, che Dio è cattivo).

Dunque sto dicendo che questi gruppi di lettura, sono un tentativo, o comunque un atto etico da fare, come molti lo stanno facendo per mostrare le contradizioni del tiranno platonico, nonostante tanti sanno benissimo che non c'è niente da fare.

Sono d'accordo non c'è niente da fare, ma forse questo atto etico era da fare prima, chi lo sà, forse non ero così solo a capire.

E invece no, sono il solo che potrebbe (e sottolineo mille volte potrebbe) capire qualcosa (non dico tutto, ormai siamo troppo lontani da quelle cime che erano i pensatori greci o ebraici del tempo che fu, tragico sì, ma drammatico nel suo titanico scontro con questa tragedia).
E certamente mi vengono in mente quali pensieri e intuizioni avrei potuto avere pensando a Sofocle o persino Euripide.
Ahimè lo sconforto ormai mi assale, la voglia di vivere è al minimo, e c'è e c'era (e ci sarà) così tanto da fare.



#1639




Hegel si preoccupa in questi primi passaggi di assicurare che la nostra attenzione sia sulla problematica del soggetto.
Perciò assume la serietà del compito critico, rispetto alla svogliata indifferenza rispetto al sè.
L'io scrive ha orrore di pensarsi incapace di stare nell'assoluto, in quanto verrebbe meno la certezza assoluta dello starci.
Nasce dunque dallo psicologismo, il sè come previamente dato, l'intera genealogia della filosofia analitica.
In particolare il passaggio riportato, testimonia di una tematica a me carissima, evidentemente tra grandi pensatori ci si capisce al volo.
La pretesa posizione che la realtà coincida con la natura, mette (addirittura secondo il nostro) al bando la posizione estetica (come dice Nietzche nei suoi aforismi ogni etica è già una estetica), discreditando la "forma del fine".
Ossia la sua politica.
Nella parte su Aristotele, invece comincia a introdurre alcuni parallelismi possibili.
Mi pare che radicalizzi la posizione aristoteliana, dando nome al motore immobile, di soggetto.
Qua non si capisce se la traduzione sia adeguata.
Un motore immobile non può infatti riconoscersi.
Tenendo a mente la sequenza del ragionamento, probabilmente Hegel vede nella storia, una sorta di disvelamento dell'immobile nel suo motore.
Ossia il soggetto che si conosce come tale è motore è la storia.
Ma la storia è certamente il fine della forma, e dunque la forma si conosce come soggetto motore.
Ora dovremmo pensare alla forma come immobile?
Se nel senso di forma dell'immobile certamente sì.
Ma andrei piano con questi parallelismi.
Ricordiamoci l'errore che si esporrebbe una critica, che non pensando la sequenza del ragionamento hegeliano, e prendendo la frase a sè stante, potrebbe anche suonare come Dio è la Storia.
Mentre Dio è dentro la storia, ossia ne è la sua coscienza (critica).
Se Dio fosse la Storia torneremmo alle forme pan-salvifiche, che tanto contraddistinguono ciascuna fase storica.
Ossia forme di giustificazione del potere in atto, dentro la Storia, contro Dio, il Dio ascondito, naturalmente.
Ricordiamoci le avvisaglie sul problema del criticismo avanzate da Galli Carlo, nel post precedente!
#1640
continuiamo la lettura sommaria dell'introduzione




La forma non è la sostanza in quanto tale, data e poi adottata come certa, bensì è la sua Ex-Factualitas.
Effettualità, traduce Negri, anche se oggi, se dico effetto, intendo una causa sostanziale, e non trascendente.
Ma il punto è che Hegel intende chiaramente che la sostanzialità è trascendenza, pensiero di pensiero, interezza in tal senso. E il pensiero di pensiero è la forma della sostanzialità che si dà una forma, in quanto soggetto.

Ancora recentemente, sul sito migliore di filosofia su Youtube (per distacco) ossia l'istituto degli altri studi di Napoli, mi sono accorto, che il problema del sostanzialismo, sia rimasto ancora oggi.

Galli nell'intervento postato recentemente, ha sottolineato come il problema della dialettica è quello del realismo.
Ma non il realismo come analitica, come studio della sostanza che in quanto pensata (Cartesio: penso dunque sono) è reale.
Bensì sulla critica alla pretesa fattualità del soggetto, e di conseguenza nel pensiero sottosopra degli analitici di oggi (e come abbiamo visto anche di ieri, anche se i loro nomi non li conosco) che pensano l'oggetto come base della fattualità.
E invece il soggetto è già oggetto di critica, in quanto effettualità, originaria, trascendente.

Rispetto ai primi 15 minuti della lezione intervista, addentriamoci nei problemi della critica della dialettica, che poi è la cosa che mi interessa di più.
I problemi che sono emersi da Hegel fino ad oggi sono 3.
Il fattualismo normativo, o normale, per cui la dialettica arriva ad ammettere un soggetto, normale, ossia così come è.
Vale a dire che sostiene la posizione cartesiana, che seppure non si domandava del pensiero dietro il pensiero, accettava comunque che il pensiero fosse normale, appunto assertivo.
Questo tipo di dialettica, mi pare, oltre che fuori strada, anche fuori luogo, non si capisce infatti come tale posizione possa giustificarsi.
Scrive infatti Hegel più sopra, che il pensiero pensato, è soltanto il frutto di una levigazione ben lontana da intaccare il suo centro, la sua origine, il suo fondamento come diciamo rispettivamente Paul ed io.
E dunque ciò che il pensante, che è puro pensiero, ottiene come pensiero di se stesso, è solo un fantasma.
E' impossibile perciò ogni normativismo (o normalismo), che poi è ovvio che finiscano negli infiniti formalismi della filosofia analitica (la filosofia che non pensa, la filosofia mathema, la filosofia algebra).
Il secondo problema è invece quello corretto, infatti la dialettica che accetta il soggetto, solo come storico, è la dialettica che critica il fantasma, assumendone un ruolo politico (di guida dice Galli, una volta, precisa però, che si è capito di cosa si tratta).
La politica è dunque la politica del soggetto storico, e della sua forma più alta, ossia quella di popolo.
Il popolo è nella storia, annota il Dr.Divago, un videoblogger che stimo tantissimo, è la cattiva politica della modernità che non intende le forme del suo dispiegamento, e perciò la spinge fuori della storia, senza più pensiero di chi eravamo, non mai chi saremo.
Ma anche in questo caso, i cani dell'impero, i think tank dell'ingiustizia, e dell'antidemocrazia (ancora Dr.Divago: Platone ce l'ha insegnato, il tiranno è la forma dell'anti-filosofia, in quanto la filosofia è solo nella democrazia) intervengono a fianco del padrone.
Il problema che con stupore immenso vedo interessare l'accademia napoletana, è quello della frase fatta: tutto ciò che reale è razionale.
Ossia il problema della giustificazione del reale.
Vale a dire che il reale è tutto ciò che riguarda il soggetto. Ossia (Galli è un filosofo politico, ma come già detto, oggi la filosofia deve per forza essere politica anzitutto, e quindi va bene così) che il discorso politico supporti il discorso scientifico, in parole povere, se vedo a, allora è a.
Quello che mi sconcerta è perchè porsi in tale ambasce, per tali affermazioni senza senso dei think-tanker, o dei filosofi continentali che vogliono fare amicizia per forza con quelli analitici.
Mi pare che basterebbe la prefazione, quella che stiamo leggendo su e giù, per capire che tale posizione è ridicola.
Infatti Hegel usa il termine scienza, nel senso di saggezza, non certo in termini di analitica della sostanza.
Ma anche se fosse, se volessimo partire dalla fattualità, come vorrebbero questi manigoldi del pensiero, se fossimo critici, diremmo subito che si tratta sempre di una effettualità. Ossia qualcosa che è in essere, ma essendo diviene perpetuamente.
L'effettualità è quindi certo nella storia.
Possiamo certo pensare forse in maniera storicista, a pensare ad un pensiero politico, sulla relazione della fattualità nella storia (appunto delle effettualità).
Ma faremmo un torto ad Hegel, che invece pone la critica non sul piano del politico, ma su quello del metafisico.
Il piano politico va ripensato, una volta che questo periodo di tirannia sarà finito (catastrofi escluse),e  finirà, come sempre sono cadute le tirannie, che vivendo di continue contraddizioni alla fine rovinano su se stesse.
Nel ripensamento, sarebbe da pensare il politico, ossia la fattualità storica (o effettualità), come critica secondaria, a quella principale, che come abbiamo già visto riguarda il soggetto.
Prima di fare politica mi devo chiedere: CHI SONO?
E' sempre stato quello il problema del mio dissentire, purtroppo parlo nel deserto, ma noi infatti parliamo DAL DESERTO come dice Nietzche, la cui lettura dobbiamo ancora iniziare.
Dunque il problema della scuola storicista della (critica) dialettica, non è affatto se la effettualità sia da considerare una fattualità (anche perchè appunto sarebbe una effettualità, con buona pace degli analitici e degli amici del tiranno) bensì come questa effettualità riguarda il soggetto, appunto il problema del soggetto, prima ancora del soggetto storico.
Il che mi sorprende sempre come anche persone intelligenti e colte, si facciano sempre cogliere impreparate su questo.
Il terzo problema della dialettica (ad oggi) è quella del totale disconoscimento di qualsiasi effettualità come rappresentazione dell'intero.
Questa posizione nella sua radicalità è valida, ma nella sua forma critica, ossia politica, è ridicola.
Infatti se diciamo che il reale è il fantasma, o meglio se neghiamo alla realtà la possibilità di arrivare al fantasma ( e di condurlo, perchè quella è la politica), stiamo dicendo, come anche Galli, non manca di dire, che ogni cosa vale, e infatti da queste file si arriva all'occasionalismo, una forma della negazione della storia, tanto più ridicola, quanto essendo noi tutti dentro lo spazio e il tempo, dice di come sia poi impossibile fare politica, ma poichè l'occasionalista fa politica, ossia pone il soggetto che lui è in relazione con gli oggetti, può al massimo arrivare a posizioni ciniche (ponendosi il problema del soggetto come errato in partenza), ma nella maggior parte dei casi si arriva a posizione che di fatto fanno comodo al tiranno.
Ma ponendosi il problema del soggetto come errato, o come impossibilità di raggiungimento del fantasma(origine fondamento intero etc...), così nega il soggetto che lui è.
Non tanto la posizione cinica in cui il soggetto si conosce come tale, ma proprio la negazione del cinismo come condizione di un soggetto, e quindi di inveramento di una parte del fantasma che noi siamo.
D'altra parte il cinismo è una forma politica e se pensato, porta in fin dei conti a delle forme della cura del sè.
Ma il cinismo de-pensato è ovviamente un occasionalismo, un de-pensamento del reale, più che una sua critica.
Infatti la critica parte sempre dal soggetto che noi siamo.
Come dicevo sempre ai miei giovani amici: chi sta parlando?

Insomma 3 problematiche di una critica che evidentemente o non legge Hegel (forse leggono quello che gli amici analitici scrivono di Hegel), o, e questo è assurdo per me, che proprio non lo capisce.
#1641
yes sir Paul!

grazie dell'intervento sulla trinità-
Ci devo pensare sopra.
Per spezzare una freccia a favore di Kant bisogna ricordare che però la sua ultima opera è la critica dei costumi (che sarebbe poi il quarto tomo della sua ricerca monumentale).
Dunque non è che la storia sia completamente dentro il noumeno, come asserisce Paul.
Trovo molto difficile la questione dello stare dentro la negatività.
#1642
Citazione di: Kobayashi il 16 Dicembre 2021, 09:02:28 AM
Citazione di: green demetr il 30 Novembre 2021, 11:36:46 AM

Sinceramente a parte me, non vedo nessuno che abbia anche solo cominciato a capire di che cavolo parla il nostro.

Bene rileggiamolo insieme!!! forse lo capisco, forse lo capisco. >:(

C'è da chiedersi se sia il caso di continuare con questo atteggiamento per cui fare filosofia è capire i testi e la massima beatitudine è padroneggiarne la tradizione.

A conclusione del secondo volume di "Umano, troppo umano", nel "Viandante e la sua ombra", N. fa dire all'ombra, compagna del pensatore solitario in presenza della luce (=di una conoscenza che vuole fare chiarezza tra le oscurità romantiche, religiose, metafisiche):

"Di tutto ciò che hai detto, nulla mi è piaciuto più di quella promessa: diventerete di nuovo buoni vicini delle cose prossime".

Si riferisce al fatto che finora si è ignorato ciò che conta di più per i singoli (saper impostare la propria condotta di vita: il rapporto con gli amici, il lavoro, l'alimentazione, il sonno, le condizioni più propizie per il proprio pensiero etc.) a causa di una tradizione idealista che valorizza l'opposto: la salvezza dell'anima, il rispetto dello Stato, la fede nel progresso della scienza, in generale cose che una cultura che si pone come universale dichiara essere utili all'umanità.

Si può dare questa interpretazione: la traiettoria dello spirito libero tratteggiato in "Umano, troppo umano" si chiude al di là della tradizione filosofica (della metafisica), nell'abbozzo di un sapere (un nuovo Rinascimento?) che sembra voler andare al di là dell'alternativa tra cultura e vita concreta, nell'abbozzo della costruzione di una nuova spiritualità.
Invita a non farsi irretire da vecchie nostalgie, a dirigere la propria ragione verso ciò che conta di più per la vita di ciascuno, il che significa preparare e realizzare trasformazioni reali nell'ambiente in cui si vive.


Forse ti stai riferendo alle pratiche spirituali.


Ma questo "voler comprendere la tradizione" è la rinascenza! non che la visione politica "della futura comunità degli amici" sia la rinascenza, come anche tu intuisci, che senso avrebbe senza una pratica del quotidiano?


Tutto bene, ma il mio allontanamento dagli amici, anche quelli di Milano, è per via del fatto che non vedo come queste pratiche siano possibili.


Non basta vedere come hanno tradito tutti? A partire dai rabbini.
Direi che la pratica spirituale che coincide proprio con la separazione degli amici, sia sinceramente marcia alla sua base.


No! ci vuole una comprensione infinitamente maggiore per poter parlare di stili di vita in ordine al discorso filosofico o spirituale che si voglia.


Ma questa comprensione da dove nasce se non dalla lettura?


Senza lettura, e con lettura si intenda lettura critica, anche con gli amici, e forse sopratutto con quelli, come ci possono essere i prodromi per qualsiasi futura politica?


Sinceramente la lettura solitaria potevo farla in  giovinezza, da adulto ho smesso.
Questo che vedi scritto è solo una traccia.


Una traccia, un tentativo di ripresa di lettura, che si inabissa nelle incomprensioni, a partire da questo forum, in forma ovviamente, in quanto virtuale, leggera, e in maniera dura, con la fuga degli amici, nei loro problemi, nella realtà vissuta.
Questa è una spirale che non ha via di fuga, saremo tutti inabissati o morti.
E' proprio di fronte a questo orrore che sto tornando a leggere.
Addirittura ne sto facendo una cosa etica, perchè la sento all'improvviso come una cosa etica, senza più nè ma, nè però.
La trovi una cosa comoda? certamente lo è.
Ma in condizioni di stress non si riesce a lavorare.
E dunque il muro etico consiste proprio nell'erigere una barriera fra se e i problemi degli altri.
Anche perchè i problemi degli altri sono sempre di origine etica, sono stufo di dire alla gente cosa dovrebbero fare per se stessi, e successivamente cosa dovremmo fare insieme.
Non si riesce MAi ad andare oltre l'anticamera del pensiero.
Anzi vi si soggiorna nei casi migliori, e nei peggiori si va al bar a far baldoria.
Tutto ciò potevo farlo al prezzo di un lacerante dolore interiore, perchè comunque amo gli esseri umani, anche nelle loro debolezze.
Ma oggi amico, sinceramente qualcosa è cambiato dentro di me.
E' esattamente quello che vuole il sistema?
Certo che è così, e funziona.
La tecnica non ammette repliche.
Ma la tecnica non conosce, non sa niente.
E dunque non mi scompongo alle solite critiche sulla inutilità della filosofia.
La filosofia segue la sua strada da sola o con gli amici.(da socrate in poi).
#1643
Citazione di: Kobayashi il 09 Dicembre 2021, 17:10:14 PM
Citazione di: Alexander il 09 Dicembre 2021, 10:23:22 AM
Ma perché poi l'"Uomo saggio e innocente" dovrebbe essere preferibile all'attuale o all'uomo del passato? Non c'è alcuna motivazione. Infatti non è dimostrabile che saggezza e innocenza aumentino la piacevolezza della vita, che in sostanza è ciò che cercava N. L'uomo attuale comprende infinitamente più dell'uomo del passato, ma è più felice? Non troviamo in N. la stessa non-accettazione dell'esistenza "così com'è" quando si sogna una trasformazione che renda "più uomo" l'uomo? Il concetto di evoluzione come continuo miglioramento è tipicamente tardo ottocentesca, ma l'attualità sembra dirci altro al riguardo.

Per N. il processo della conoscenza non può essere interrotto. Anche se ci si rende conto che la filosofia è contro la vita, non si può fare un passo indietro.
Allora si può solo cercare di scovare, in questo avanzamento, qualcosa di meno desolante del presente.
In effetti ci si potrebbe chiedere se questa non sia un'ultima forma di ottimismo. Un'ultima illusione. Pensare cioè che dalla conoscenza possa saltare fuori un uomo saggio e innocente.
Perché, secondo me, che uomini saggi e innocenti siano meglio degli uomini-iene del nostro tempo, è sicuro.
Che dagli uomini-iene però possano nascere uomini saggi e innocenti, beh, in effetti questo è tutto un altro discorso...
Ed è un discorso che contraddice l'invito del brano [71] di vivere senza speranza...


Nietzche rifiuta lo storicismo, nelle sue tesi contro strauss, fa una critica al pensiero progressista.
In questo senso la speranza (le sorti progressive etc..con cui anche leopardi ironizzava) va negata.


Ma non è che per Nietzche non esista un progetto, così come nella ginestra anche leopardi non manca di fare notare.


Il punto è legato al dolore. Leopardi come l'ultimo Nietzche cadono di fronte all'inanità del mondo.
Figuriamoci se avessero visto in che razza di incubo stiamo per sprofondare.
Ma in fin dei conti che si sia sotto le macchine o sotto il tiranno, o tutti e 2, non cambia perchè ciò che conta è l'inanità dell'altro, ossia del poveraccio che sta davanti a noi.
"di che reggimento siete fratelli?"
sono voci del dolore che si spengono nella poesia.
#1644
Citazione di: Alexander il 09 Dicembre 2021, 10:23:22 AM
Buongiorno a tutti


Ma perché poi l'"Uomo saggio e innocente" dovrebbe essere preferibile all'attuale o all'uomo del passato? Non c'è alcuna motivazione. Infatti non è dimostrabile che saggezza e innocenza aumentino la piacevolezza della vita, che in sostanza è ciò che cercava N. L'uomo attuale comprende infinitamente più dell'uomo del passato, ma è più felice? Non troviamo in N. la stessa non-accettazione dell'esistenza "così com'è" quando si sogna una trasformazione che renda "più uomo" l'uomo? Il concetto di evoluzione come continuo miglioramento è tipicamente tardo ottocentesca, ma l'attualità sembra dirci altro al riguardo.

Per dirla con Marx, perchè siamo completamente alienati.
Alienati a cosa? Ovviamente a noi stessi.
Ma chi siamo noi?
Etc..etc..
La filosofia nasce da esigenze interiori, che tu non senti.
O meglio ti hanno educato a non sentirle.
Infatti i sentimenti sono cose da imparare, leggendo molta letteratura da giovanni, almeno questo è quello che feci all'epoca.
Poi ci sono esigenze interiori che comunque emergono in maniera sintomatica, come la depressione che caratterizza il nostro tempo.
Siamo drug-addicted, fino a poco tempo fa si diceva.
Come dicec Byoung-Chul, questa è la società che non vuole sentire dolore.
Ma la filosofia di Nietzche parte e finisce esattamente nel dolore.
L'individuo che non sente dolore nel proprio cuore, difficilmente arriverà mai a capire Nietzche fino in fondo.
SI può comunque leggerlo analiticamente.
Se poi non vogliamo sentire dolore, e il solo pensare arreca dolore, come è nella mia esperienza, il sentire di centinaia di gente, bè forse per sfogarsi questo non è il posto migliore. Di certo non questa discussione  ;)
Scambiare la felicità per mancanza di dolore, ahimè.
#1645
Citazione di: Kobayashi il 09 Dicembre 2021, 09:45:08 AM
La contraddizione descritta sopra è forse solo apparente:
- abbiamo visto che per N. non c'è responsabilità morale perché la scelta di una certa azione non è presa liberamente, ma è il risultato di un conflitto interiore che si risolve con il prevalere di quella motivazione che, per cause organiche o ambientali, ha raggiunto, rispetto a tutte le altre, l'intensità maggiore;
- nello stesso modo va giudicato l'uomo della conoscenza: non ha meriti per la scelta di perseguire le sue ricerche, esattamente come il ladro non va condannato moralmente per i suoi furti;
- ma la conoscenza, essendo rivelazione di questi stessi meccanismi, rompe questo ciclo di necessità: la consapevolezza della realtà delle cose, svelando l'inganno, toglie forza alle motivazioni interne, scioglie dalla lotta (Schopenhauer?);
- la civiltà è destinata a crescere in conoscenza, anche in conoscenza di questi fattori su cui hanno prosperato morale e religione, e un giorno, nella sua parte più evoluta, potrà produrre l'uomo saggio e innocente;

In conclusione della seconda parte nel brano [107] si legge:

"L'abitudine ereditaria di valutare, amare e odiare erroneamente può ben continuare a regnare in noi; sotto l'influsso della crescente conoscenza diventerà tuttavia più debole: una nuova abitudine, quella di comprendere, di non amare, di non odiare, di guardare dall'alto, si radica a poco a poco in noi sullo stesso terreno, e tra migliaia di anni sarà forse abbastanza potente da dare all'umanità la forza di produrre l'uomo saggio e innocente".


La cotraddizione è solo apparente, lo vado dicendo dal giorno numero 1.


Direi anzi che la contraddizione è il modo di sbarazzarsi dei lettori più superficiali, per questo pensa che nessuno potrà leggerlo o che forse un giorno qualcuno potrà.


Penso che l'uomo del 21 sec, ossia noi, possiamo cominciare a intenderlo sul serio, sia per via del fatto che le sue profezie cominciano ad avverarsi, sia perchè la reazione al positivismo ha portato una grande libertà nella costruzione del soggetto.


In Nietzche come nell'ebraismo, il soggetto non viene creato ex-cathedra, ma diventa saggio per via degli errori commessi. Ma questo era già Hegel, o i moralisti francesi.


La comprensione di ciò che noi siamo poi sfocia nella vera etica della liberazione, appunto la comunutà degli amici, e si è amici solo in virtù del riconoscimento dell'erranza, esattamente come l'ebro errante sa da giorno numero 1.


In questo senso la tematica della violenza, il cavallo stamazzato della poesia di Montale, ossia il cavallo di Nietzche, il nostro non riesce a cavarsela e implode.


In questo senso sto apprezzando meglio il pensiero severiniano o ebraico, che invece accetta la violenza come traccia del Dio.


Mancherebbe dunque il ripensamento dell'uomo come agone politico, forse in Nietzche non c'è, e questo forse a chi è in cerca di risposte facili da fastidio.


(in realtà c'è è appunto "la goccia pesante che cade", ossia l'uomo che ragiona su stesso, in attesa di arrivare all'uomo più vicino al pensiero pensantesi, che al pensiero che diviene collezione di oggetti, ossia soggetto (il nucleo fondante sia del moralismo francese che di Nietzche).


C'è una anelazione, una forza portante del bene.
Della benevolenza, del benedire.

#1646
Citazione di: Kobayashi il 08 Dicembre 2021, 16:18:37 PM
Citazione di: green demetr il 07 Dicembre 2021, 15:58:00 PM
Per esempio solo Cacciari si è accorto che l'eterno ritorno è il discorso della scimmia e non del suo autore ossia della sua filosofia.
In che senso? Perché dell'eterno ritorno N. ne parla sempre come del suo pensiero più grande.
Viene dalla scimmia nel senso di un inganno necessario?


No l'eterno ritorno è quello che pensa la scimmia, invece il pensiero più grande è quello che Severino ha spiegato nel suo libro, io lo so per via di una sua intervista, ossia che l'oltre uomo VUOLE sovvertire anche l'ultimo dei lacci dell'automa, ossia il tempo.
Dunque non il tempo come eterno ritorno dell'uguale, ma il tempo rifiutato dalla volontà di potenza.
Io vado oltre il tempo, oltre la storia, naturalmente questo io, è l'io che sempre si inganna.
Cacciari fa notare come sarebbe una contraddizione senza senso che Nietzche il pensatore dell'impermanenza, credesse proprio in un pensiero immobile, e quindi permanente.
In questo senso l'amor fati, non è da intendere come un accettare il tempo che fu, ma uno scardinare il tempo che fu, in quanto siamo noi che ci limitiamo al tempo che fu, e invece il pensiero va oltre il tempo. Ovvero pensa fuori dal tempo, come già molti teologi dicono di Dio.
La vicinanza del pensiero di Nietzche alla matrice ebraica è evidente. I grandi pensatori arrivano tutti alla stessa conclusione.
Con la differenza che essendo filosofia si esplicita in un pensiero dialettico, e non letterale.

#1647
Citazione di: paul11 il 08 Dicembre 2021, 13:58:47 PM


L'uomo non è solo natura, Nietzsche deve farsene una "ragione", essendo appunto l'uomo anche cultura, ragione. La morale non è una invenzione intellettuale e neppure naturale. È entrambe.
Non essendovi una natura morale, animali morali, gli umani essendo istinto e ragione hanno costruito relazioni particolari. La morale è necessaria nell'uomo ,non nei vegetali e negli animali, poiché è la relazione dell'armonia ed equilibrio che decide fra la volontà di potenza umana e il rapporto con la natura e gli altri umani come società. Essendo l'uomo potente, poiché con la ragione costrusce armi, tattiche e strategie superiori ai viventi,  o quell'istinto edonista viene in qualche modo temperato, armonizzato modualto, limitato, oppure non poterebbe esistere l'uomo sociale.
Il "guerriero" nitzscheano deve sapere quando essere spietato e quando misericordioso.
Non regge uno "spontaneismo" individuale dentro un sistema organizzato sociale umano, la relazione fra individuo e sociale ha una zona di rispetto e di libertà,in cui l'individuo può vivere in sicurezza.
Quindi sì, la morale è un principio generale, ma non è individuale. Oggi è molto individuale e sta collassando la relazione sociale. La ricerca può essere individuale e soggettiva, ma la narrazione non può essere individuale. La Bibbia e il Corano sono racconti di tribù nomadi che una unica narrazione ha unificato come nazione di popolo e poi come Stato. Per questo la religione è potente, è  direttamente morale, poiché la scrittura rivelata  ha all'interno la morale. Per certi versi anche il marxismo quando storicizza lo sfruttamento compie una morale.
Lo Stato non impone una morale, perché esso stesso come Stato è nato da una morale, di tragedie storiche, di territorio. Lo Stato impone la Legge che non è la morale.


I totem e tabù sono morali quanto Dio.




Citaz Green
Mi stupisce solo che non vedi questa lotta interna allo stesso Nietzche.


Io le ho chiamate contraddizioni, dicendo che non è questa una "brutta" parola ,perchè in fondo la vita e noi stessi siamo un contraddittorio. Nietzsche è quindi da un certo punto di vista l"uomo".


Ma appunto! Nietzche impatta direttamente con la contraddizione che l'uomo è.
Infatti anche se fosse un materialista (come molti pensano che sia, poniamo un Cacciari), cosa conterebbe rispetto al pensiero che si ripensa giammai come sola Natura!
Anzi l'uomo va oltre la natura (oltre-uomo), in quanto va oltre se stesso.


Nel fare questo la sua filosofia è dunque una metafisica senza contraddizioni.
Infatti se io ripenso l'automa che io sono, automaticamente non sono più l'automa che io penso di essere, e mi scopro fuori da ogni automatismo e nel caos cosmico.
Caos del pensiero non dell'entropia.
#1648
Citazione di: paul11 il 08 Dicembre 2021, 12:02:32 PM
@Green,
Nietzsche o è venerato o odiato, vie di mezzo sono difficili e ognuno ha una sua lettura, perché Nietzsche non scrive filosofia in maniera organica e strutturata. Confrontarsi sul testo è l'unico modo per dirimere interpretazioni differenti , o comunque per chiarirsi,anche se poi ognuno rimanesse del proprio parere.


Nietzsche è un esteta perché ama l'arte e questa è costruita sulle intuizioni non sui concetti.
Per questo Nietzsche segue istinti-impulsi-intuizioni e si scontra con ragione-concetto-logica.


Cosa intendi che Nietzsche sia un moralista? Se si scaglia contro la morale religiosa e metafisica , quale morale allora dichiarerebbe e fondata su cosa?


Se tu stesso infatti ammetti che Socrate/Platone e Aristotele direi molto meno  e Gesù nei Vangeli  sa legare i sentimenti e i concetti dentro la morale, tant'è che uno costituisce una maieutica costruita sul pensiero dialettico, l'altro costruisce le parabole che sono narrazioni di esempi morali. Adatto che Nietzsche si scaglia proprio contro entrambi? O è in contraddizione o non si capisce, o non ha capito lui niente.
Nietzsche  sposa la dottrina del sensibile intesa come natura fisica scientifica, non gli va la metafisica, l'oltre il sensibile.


Nietzsche accetta Kant poiché quest'ultimo inventandosi il noumeno non andò oltre il trascendentale del pensiero che significa attenersi all'empirico , Hegel è completamente diverso e quindi inviso da Nietzsche, è la presenza dello Spirito nel mondo  in Hegel che aleggia.
L'imperativo categorico kantiano è una motilità intestinale dove la morale è fondata sul nulla. Senza metafisica non si è mai riusciti a costruire una morale "alternativa": questo è un punto determinante nella costruzione dell'identità individuale e collettiva dei popoli e del decadimento attuale .
La morale è la narrazione storica di un popolo nella tragedia e nell'amore, senza questo ricordo nella tradizione un popolo unito si frantuma in individui che non sanno condividere.


Nietzsche è soggettivista, come tutti i moderni.
I moralisti francesi non hanno una morale....trovo ridicolo secondo cui Montaigne sarebbe un moralista quando è un precursore di Nietzsche. Allora i mistici cosa sarebbero ?


La morale non va cercata solo nell'uomo, questo è l'errrore dei moderni che non lo hanno trovata nemmeno nello psicologismo.
Questi antropologhi e psicologi da due soldi non sanno capire la morale di un cannibale o tagliatore di teste, da un sacerdote caldeo o dall'ermetismo egizio. La morale non è il costume di un popolo, semmai i costumi che vediamo per il mondo indicano il loro modo di vivere ,di essere e stare nel mondo che implica la morale. L'etica è ciò che vediamo, i comportamenti, mentre la morale è ciò che sottende all'etica e persino alle legislazioni ed è generalmente raccontata nelle tradizioni dei popoli, è un vero e proprio arche-tipo. La morale non è la tavola delle leggi di Mosè, è il "patto", la relazione fra Dio e uomo che costruisce l'universale-naturale-umano. Il nomos di Pindaro da cui deriva la sovranità nasce dalla morale.La morale quindi precede la formazione di un popolo, di una polis è la sua narrazione, la sua tradizione storica, la sua identità. Questo Nietzsche o non lo ha capito, e per questo politicamente capisce "na mazza", o non afferra le relazioni fra uomo naturale e uomo culturale e la sua storia. Se ogni popolo della terra ha una morale, ha una religione, significa che non è l'intellettualismo filosofico il problema, non era questa l'analisi da fare per arrivare a distruggere la morale.
La morale è il pensiero costruito su relazioni fondamentali , su come pensiamo che funziona il mondo nella sua essenza, mentre l'etica è la pratica, il comportamento che prendiamo  come consono all'idea di mondo che ci siamo costruiti. Ecco perché c'è differenza fra giustizia come idea morale e la legge come concetto politico e il motivo per cui la morale dichiara le virtù e i vizi, il bene e il male. La legge politica condizionando i comportamenti quindi l'etica ,può entrare in collisione con la morale che a sua volta può essere una costruzione individuale, di popolo, religiosa o spirituale.




Il Bene per Platone non è affatto Dio, il demiurgo, anzi il Bene precede il demiurgo, quindi anche su queste relazioni si fanno confusioni. Il Bene è quello che è per  Platone; è l'universo, la vita, la natura-Platone è stato molto travisato .


Troppe castagne sul fuoco  ???


Mi sembra che sei entrato in una sorta di spirale di odio contro Nietzche, e quello che rappresente certo.


Anzitutto le critiche che fa Nietzche a Kant, Hegel e implicitamente Platone, vanno lette con molta attenzione fra le righe, infatti sono giudizi troppo rapidi per poterli prendere così sottogamba.
Anch'io quando li lessi ne rimasi sopreso, ci ho impiegato un pò per capire che Nietzche ha fatto quello che già Hegel fece prima.
Come Hegel rifiuta gli analitica, e non ha tempo da perdere con loro, così Nietzche non ha tempo da perdere con le teorie del sensibile di Kant ed Hegel, le dà per assodate, e va avanti, evidentemente non avendo trovato in quegli autori il nocciolo del discorso che loro stessi (kant ed hegel) si erano ripromessi di fare.


Su questo sono ingnorante, e ti saprò dire alla fine del mio lavoro su hegel (anche se mi sembra di aver capito, che il discorso finale di hegel sia quello della scienza della logica. e quindi forse la cosa slitterà più avanti, rimango comunque convinto che i confronti va bene farli, ma di fatto, non siano così importanti da fare).


Rimango sorpreso invece sul fatto che per te i moralisti francesi non avessero una etica.
(Stiamo scherzando spero  ???  )
Ancor più sorpreso della definizione che fai di etica (ciò che vediamo fare ad un popolo) e di morale (la parte legislativa), infatti è vero il contrario, che la morale sono i costumi, e l'etica sono le leggi.
O non riusciamo più a leggere alcun filosofo.
Probabilmente perchè continui a pensare che la Natura sia la base delle Leggi morali.
Come sai su questo dissentiamo profondamente ( e se stai leggendo Hegel, anche Hegel dissente).




Dunque ci troviamo ad un miscuglio di scambio di significati (e va bene basta capirsi), di dissapori (e su questo non possiamo farci niente), che forse portano a fraintenderci su quello che invece è più importante ossia il Pensiero.


Cosa è il pensiero caro Paul, è questa la domanda di sempre dei filosofi, e penso che sia te che io ce la stiamo ponendo da tanto tempo.


E dunque Nietzche non critica la metafisica, infatti ne crea una nuova, o meglio porta avanti il discorso di kant ed hegel.
Nietzche è un metafisico, che critica la metafisica.
Se rimaniamo fermi ai dogmi della metafisica, non è più metafisica.
La metafisica come la scienza, è in continua evoluzione. Infatti viene definita da Hegel, scienza dello spirito.
E credo che al di là dei scientismi, sia così.
Come preferisco dire, la saggezza è un continuo divenire.
All'interno della saggezza i conflitti vengono assorbiti con grande facilità, e così ogni breve affondo che Nietzche fa alla Metafisica, riconverge poi Dentro alla stessa Metafisica.
Questa è la mia profonda convinzione, questo è la mia chiave di lettura.
Nietzche è nemico a se stesso, esattamente come noi dovremmo diffidare di noi stessi: se no, niente voli d'Aquila.
Se no rimaniamo vittime della vecchia metafisica, e allora gli strali di Ipazia, e dei materialisti storici con essa, avrebbero ragione d'essere.

#1649
Citazione di: paul11 il 08 Dicembre 2021, 00:59:08 AM


E da dove deduci che 18-"Problemi fondamentali della metafisica" , abbia a che fare con il dialogo socratico di Platone il Sofista? In questo aforisma continua ad attaccare la metafisica, ma non è solo la metafisica è il pensiero soprattutto logico che non gli va, in quanto per Nietzsche, stimoli organici, sensazioni non sono riconducibili a spiegazioni  e narrazioni tali da relazionarli a qualcosa ,come appunto fa il pensiero ( ma Anche Nietzsche contraddicendosi lo fa....).
Ma è importante quello che scrive nella parte finale di questo aforisma Nietzsche che rafforzerà poi in altri aforismi dicendo che l'uomo è totalmente deresponsabilizzato e quindi ingiudicabile.
Scrive nel brano 18 ....." Noi abbiamo fame, ma in origine non pensiamo che l'organismo deve essere conservato: a noi sembra che quella  sensazione ci si manifesti senza causa e senza scopo, essa si isola e si considera come arbitraria. Dunque, la credenza nella libertà della volontà è un errore primordiale di tutto ciò che è organico, così antico come il tempo da cui esistono in lui le emozioni logiche, la credenza in sostanze incondizionate ed in cose eguali è pure un errore originario, ed altrettanto antico, di tutto ciò che è organico. Ma in quanto ogni metafisica si occupò di preferenza della sostanza e  della libertà del volere, la si può definire come la scienza che tratta degli errori fondamentali degli uomini,- ma li tratta come se fossero fondamentali virtù.


Quì Nietzsche scende ad un basso livello intellettuale, per lui la volontà libera è quindi la sua mente è un suppellettile inutile. Poi si contraddice, cosa mai sarebbe allora il Super-uomo se non utilizzasse la libera volontà? Sempre per motivi anti-morale Nietzsche tenta di destrutturare il pensiero metafisico. Ma poi se il pensiero metafisico fosse in errore, quale sarebbe mai il parametro di giudizio ? Quale è il "giusto"?




Non sono pratico di Platone, faccio fatica a leggerlo. Ma sicuramente non condivido la secca bocciatura che ne fa Ipazia.


Sebbene sia indirizzato a Koba, provo però a riprendere questo punto finale.


Nella concezione scientista nicciana, l'organicità contiene delle leggi meccaniche, ma al netto di questa credenza, il risultato da cui poi dipana la sua filosofia è esattamente il contrario di quanto affermi.


Infatti da queste leggi meccaniche Nietzche fa originare il pensiero politico umano.
Ma è evidente che per lui questo è esattamente il problema, non la conclusione logica, come mi pare tu abbia interpretato.


Infatti come per Platone, come per Kant anche per Nietzche il pensiero è piuttosto un agone dello scientismo che diventa erroneamente morale.


Il punto dunque si sposta su cosa sia il pensiero. Ed siamo dunque al cuore della filosofia idealista, che ragiona del pensiero a partire dal nuovo punto di vista del soggetto.
Nietzche è semplicemente il suo esponente più alto, perchè non è così illuso da porsi fuori dal punto di vista stesso, è per questo che come dice Sini, Nietzche arriverà allo sguardo dell'aquila, al terzo occhio, che è poi l'occhio del pensiero, oltre il soggetto, oltre la cultura, a guida del soggetto, a guida della cultura.


Il Nietzche scientista che tanto ci da fastidio, è semplicemente il Nietzche soggetto, non il Nietzche filosofo.


E' all'interno della sua filosofia, della filosofia del terzo occhio, del volo d'aquila, che non vi è alcuna contraddizione.


Penso che il forum invece dovrebbe essere proprio il luogo principale di qualsiasi filosofia.
Dove è chiaro da che parte sta un filosofo.
Dove il polemos si scatena subito. E chissà perchè Nietzche scatena sempre polemos.


Invece nei fogli accademici, all'interno delle loro 20 o 50 pagine di pensieri ridicoli, i ricercatori non si confrontano con esseri umani pensanti, ma con le istituzioni che dicono quali siano i punti da discutere e quali no (obbrobrio del piegarsi alla filosofia americana).


Tu che stai leggendo Platone dovresti sapere quanto il forum di Atene fosse un luogo importante.

#1650
Tematiche Filosofiche / Un'umile teoria
22 Dicembre 2021, 16:33:29 PM
Citazione di: leibnicht1 il 18 Dicembre 2021, 02:22:57 AM
Cosa mai significa "disincanto"? E' questa una parola che, semplicemente, fornisce una sfumatura di colore al ragionamento nel quale si pone?
Perché questo pare... Altrimenti cosa?


Ma il disincanto non porta a niente.
La filosofia invece indaga sia il mathema, sia la giurisprudenza.


Come dire che Godel fosse un filosofo, e lo sapeva. Infatti difendendosi da Wittgenstein, gli faceva notare con amarezza che non avesse capito, che se il mathema ha in sè una coerenza (la sua funzionalità assiomatica) ma non una completezza (la dimostrazione della fondatezza dei suoi assiomi), vuol dire che NON è un mathema.
Oggi come oggi Godel, viene ignorato.
D'altro lato Wittgenstein lamentava quello che già molti abbiamo detto, ossia che pensare la giurisprudenza come una sorta di algebra, poi porta a non interrogarsi sul mondo dei viventi.
I quali vengono dati come automi.
E questo è il problema del rispetto delle libertà.
Il disincanto mi pare più una disparità tra il mio mondo etico e quello che viene imposto dall'esterno.
Come dici tu, una colorazione del sentimento. Sono d'accordo in quello.
Non che questo non sia rilevante in termini del patire umano dunque, ma trovo di meno, nella sua critica al giuridico. Detta in termini più approfonditi: se fosse solo disincanto non vi sarebbe politica.
(vedi il mio 3d su hegel)