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Messaggi - Kobayashi

#166
La storia ha senso se è vista come un movimento che tende ad una piena conciliazione di libertà, ragione, e felicità.
Con il Dio giudaico-cristiano c'è libertà (l'uomo deve continuamente scegliere se seguire Dio oppure no), e felicità (vivere nella sua presenza significa per esempio convincersi che ciascuno di noi è stato voluto e creato esattamente così com'è, il che significa riconciliarsi con se stessi), ma non ragionevolezza (basti pensare l'episodio del sacrificio richiesto ad Abramo).
E infatti per tutto il medioevo il pensiero si è concentrato sul rapporto fede-ragione.
Il razionalismo moderno si è illuso di poter dar conto delle ragioni di Dio ma è riuscito soltanto a preparare l'avvento dell'ateismo.
In sostanza la via religiosa comporta un sacrificio, non della ragione umana in generale (perché ci sono molti temi religiosi perfettamente indagabili dalla ragione), ma di una comprensione esaustiva, totale, del piano di Dio.
Nel momento in cui la teologia da esegesi biblica diventa scienza (con la Scolastica medievale), si compie un passaggio (forse prima o poi necessario) che già segna la fine del cristianesimo perché la ragione a lungo andare non può fermarsi di fronte al mistero.

Tornando a noi, se si sceglie la via religiosa bisogna assimilare la posizione di Tertulliano, nel suo duplice significato:
- credo nonostante l'assurdità di certi elementi;
- credo proprio in quanto certi elementi sono assurdi, in quanto l'assurdità di questi elementi apre la strada ad una comprensione in realtà più profonda della vicenda umana.

Ci si decide per la profondità piuttosto che per la chiarezza.
I simboli di ogni religione sono pienezza di senso, profondità umanistica, ma non chiarezza ed evidenza di contenuti razionali eventualmente sottoponibile a calcolo.

L'idea di Rivoluzione è la forma completa di una visione della storia che metta insieme libertà, ragione, felicità.
Versione laica della Redenzione, però sconfitta (forse solo temporaneamente) dalla società dell'opulenza.
A quanto pare in presenza di un certo benessere la maggior parte delle persone sembrano essere disposte a rimangiarsi le esigenze di ragione e felicità (e di parte di libertà).
Infatti gli squilibri del mondo e la condizione di miseria di buona parte della popolazione mondiale significano: assenza di razionalità e di felicità (sia di chi soffre che di chi guarda coloro che soffrono).
#167
Parlerei di "attitudine", non di "istinto".
E certo, l'attitudine dell'uomo è quella di andare oltre se stesso. Non ci sarebbero le civiltà, altrimenti.
Ma la divinità, sintesi di queste attitudini infinite, è ancora quella di Senofane: il Dio a immagine dell'uomo, semplice proiezione che da una parte disegna una divinità troppo umana, dall'altra lascia l'uomo lontano dal suo centro, decentrato e alienato.
E da qui in avanti è la storia disperata dell'uomo che crede di ritrovare se stesso diventando questo Dio fino al compimento del programma scientista, come se la piena umanità fosse infine la permanenza indefinita della coscienza su supporto tecnologico. In realtà si tratta, alla lettera, della creazione dell'Inferno: l'eternità lontani dal vero Dio, cioè l'eternità chiusi nella consapevolezza delle proprie mancanze, della propria incompletezza, e quindi della propria sofferenza.
#168
I sensi ci garantiscono evidenze che risultano sufficienti per vivere.
La loro limitatezza è una questione che si pone a posteriori e che parte dal presupposto dell'esistenza di una verità incontrovertibile che dovremmo cercare di possedere ma che in realtà non serve alla vita ma solo alla legittimazione di un potere assoluto (per quanto questo passi prima attraverso l'edificazione di una concezione filosofica).

La critica alla percezione sensoriale è un classico dello scetticismo.
Proprio in questi giorni stavo pensando a come lo scetticismo sia esercitato diversamente nelle varie epoche e come abbia sempre un significato politico.

All'inizio dell'epoca moderna contro il dogmatismo religioso: un esercizio di umiliazione delle facoltà umane per recuperare equilibrio, buon senso, per disinnescare il fanatismo religioso e garantire una decente convivenza tra chi ha fedi diverse (attraverso la dimostrazione che non esiste un criterio capace di distinguere le autentiche verità religiose: tale criterio non può essere infatti la tradizione cattolica che si è costruita su decisioni umane rivelatesi a volte sbagliate, così come, sul versante protestante, non può essere la coscienza illuminata dalla fede che si esercita sulle Scritture per il suo inevitabile soggettivismo).

Nel pensiero contemporaneo invece lo scetticismo lavora contro ogni concezione umanista diventando esso stesso alla fine una specie di dogmatismo negativo (come lo è stato lo scetticismo accademico) e favorendo l'assoggettamento degli uomini.
Dunque a questo scetticismo, diventato dogmatismo e strumento di un programmato indebolimento della dignità dell'uomo, si potrebbe rispondere con una posizione altrettanto scettica sulle sue ragioni: così ad esempio all'evidenza della problematicità dell'Io si potrebbe opporre l'idea dell'anima, alle argomentazioni del determinismo quelle del libero arbitrio, al divieto di non infrangere il dogma dell'immanentismo le ragioni della trascendenza, e via dicendo.

[sono ancora andato of topic...]
#169
Tematiche Spirituali / Fuga dalla libertà
05 Ottobre 2021, 11:03:07 AM
Il problema della libertà così come è stato posto è il problema di come dirigere la propria volontà per ottenere quei beni che riteniamo poterci rendere felici.
Tale problema può riguardare sia la questione di una possibile scarsità di beni, sia la questione dell'incapacità soggettiva a riconoscere i veri beni.
Affrontando il problema nel primo modo ci si illuderà che le riforme politico-sociali possano redimere la realtà e rendere disponibile ai più tali beni.
Nel secondo modo ci si illuderà che un chiarimento della propria interiorità tramite tecniche psicologiche più o meno profonde possa renderci capaci di riconoscere i veri beni dando quindi il via alla ricerca della propria felicità.
Ma molto presto appariranno le contraddizioni.
Ecco perché ho parlato di illusioni. Sia la realtà esteriore che quella interiore si ostinano a resistere al cambiamento (per motivi diversi).
Dalla stanchezza per questo scacco ecco la versione contemporanea della libertà come facoltà di negazione (opporre resistenza alle forze che ci vogliono dominare).
Ma anche questo approccio minimalista si rivela per lo più un'illusione: troppe relazioni, connessioni globali, per poter resistere alle infinite potenze che ci vogliono manipolare.
Così l'ultima mossa: accettazione di un totale assoggettamento esteriore ed interiore.
Tale mossa fa dell'uomo contemporaneo una specie di parodia del credente.
L'uomo contemporaneo, che è ateo perché la cultura cui ha "scelto" di assoggettarsi glielo impone e non perché le sue convinzioni interiori lo portino a escludere la religiosità, deride il credente e intanto adora il suo Signore, che è sempre il denaro, nella forma ottusa del lusso o nella forma più sottile del privilegio e del benessere.
Il male non è più un mistero, ma un problema, che il Signore di questo mondo può risolvere.
Per ora sono visibili i soli effetti collaterali: alienazione profonda e apocalisse ecologica.
#170
Percorsi ed Esperienze / Dubito ergo sum
01 Ottobre 2021, 09:50:35 AM
Io non dubito solo di due cose (non considerando qui le evidenze empiriche di cui comunque lo scetticismo esistenziale non si interessa): della presenza del male nella vita umana e del fatto che gli uomini tendono ad allontanare da se stessi la consapevolezza di essa.
Rimozione, ottundimento, distrazione programmata, rielaborazione ideologica: si ottiene sempre lo stesso risultato di poter vivere con una certa leggerezza ma inevitabilmente decentrati, lontani da se, immersi in uno stato illusorio, perché la consapevolezza della morte e del dolore fa di noi quello che siamo, delle creature particolari, inadeguate, fragili, e tragiche.

Ci si può forse liberare da quel senso di illusorietà della vita di cui parla Alexander tornando a pensare al male, senza però le consolazioni illuministiche di un avvenire redento tramite l'azione umana guidata dalla ragione. Per quanto ciò sia l'unica cosa decente da fare dal punto di vista politico, se non si riconosce prima l'originaria provenienza comune dal dolore, dal succedersi tragico delle generazioni negli stenti fisici e mentali, non ci potrà mai essere non solo autentica fratellanza, ma nemmeno vera comprensione dell'altro.

Per questo motivo il cristianesimo rimane il "racconto" insuperato e insuperabile.
#171
Citazione di: Eutidemo il 25 Settembre 2021, 13:27:43 PM
[...] Per cui tu sei caduto in un manifesto errore di comprensione del mio testo, laddove hai scritto: "Aberrante che si possa impunemente licenziare una persona per le sue idee politiche!", perchè io non ho mai sostenuto una cosa del genere!
Semmai l'ha detto e l'ha fatto Michelle Hunziker, perchè non se la sentiva di lavorare con un "neonazista" con intolleranti idee "razziste" (e la posso anche capire ed apprezzare per questo); ma il mio discorso riguardava precipuamente le persone messe nelle liste elettorali da Giorgia Meloni.

Ho capito perfettamente quello che dicevi. Mi riferivo appunto alla Hunziker.
Nel suo piccolo ha mostrato la differenza tra ideologia e critica. Allontanare una persona per le sue idee (colpire la persona per i suoi convincimenti), anziché, legittimamente, allontanare una persona perché l'espressione delle sue idee produce effetti inconciliabili con quello che lei, datore di lavoro, ha il diritto di stabilire.
La capisci la differenza?

Stessa cosa per la questione dell'intolleranza nei confronti degli intolleranti come necessaria manovra di difesa della società democratica. Va bene, ma prima voglio che venga espressa questa intolleranza, non posso colpire qualcuno perché presumo che il suo credo lo spinga ad atti violenti.
Si può professare il culto di Satana e nello stesso tempo rimanere pacifici per tutta la vita?
Non lo so, probabilmente no, ma se mi decidessi per la repressione preventiva agirei ne più ne meno che come l'Inquisizione.


Citazione di: Eutidemo il 25 Settembre 2021, 13:27:43 PM
Quanto al fatto che "la nostra società di alienati prevede libertà di opinioni purché non difformi da quelle "corrette" e "appropriate"", ti contraddici da solo.
Ed infatti, a quanto pare :
- ci sono delle persone che proclamano liberamente ogni giorno opinioni di tutti i generi sui "social network", la maggior parte delle quali totalmente difformi da quelle che tu definisci "corrette" e "appropriate" ;
- ci sono persino dei partiti politici, i quali proclamano apertamente e pubblicamente opinioni  difformi da quelle "corrette" e "appropriate" (i quali, purtroppo, probabilmente vinceranno anche le prossime elezioni politiche).

Se dico che la nostra società è profondamente conformista e alienata e quindi incapace di rapportarsi alle differenze "spigolose" o ripugnanti, posso dire qualcosa su cui puoi non essere d'accordo, o che ritieni semplicistico e via dicendo, ma contradditoria? Dai, risparmiaci le faccine che non abbiamo quattro anni e sforzati di più di comprendere il senso complessivo delle posizioni degli altri.
#172

Aberrante che si possa impunemente licenziare una persona per le sue idee politiche (nemmeno espresse a parole ma solo tatuate...).
Ah già... la nostra società di alienati prevede libertà di opinioni purché non difformi da quelle "corrette" e "appropriate".
Una società di alienati che si scatena sul niente (vaccino, green pass etc.) ma che non è in grado di convivere con posizioni politiche o filosofiche anche molto distanti perché non ha più la capacità di confrontarsi con il negativo...
#173
Tematiche Filosofiche / Prima e dopo il BIG BANG!
18 Settembre 2021, 10:49:56 AM
Riprendo una frase di paul "sui due livelli ontologici, quello della realtà e quello della mente", per fare alcune povere considerazioni filosofiche, che vanno al di là del tema proposto, ma essendo tale tema, l'origine dell'Universo, un tema limite, non mi sembrano del tutto fuori luogo.

Il senso comune, il razionalismo e la scienza sono d'accordo su un "dualismo naturale" secondo cui esistono due livelli ontologici separati e opposti:

- quello della realtà in se', del mondo oggettivo;
- quello del pensiero, della mente, il livello soggettivo;

Ora, il razionalismo era perfettamente consapevole del problema che il postulato dei due livelli comporta: bisogna stabilire un terzo livello, un super-livello che permetta l'incontro e la coordinazione dei due. Questo super livello viene individuato in Dio.
Nella filosofia cartesiana per esempio è Dio che garantisce la possibilità che i contenuti soggettivi della conoscenza siano realmente corrispondenti agli oggetti.
Nella scienza moderna il posto di Dio viene preso dallo scienziato, depurato però dalla sua umanità, e garantito nella sua visione oggettiva dal metodo scientifico (che porta alle stesse conclusioni a cui arriverebbe Dio). 
Nella vita comune invece abbiamo la tendenza a rifiutare di mettere continuamente in discussione l'istintiva ovvietà dell'esistenza di una realtà indipendente da noi, che poi noi stessi possiamo conoscere secondo livelli di profondità e rigore che dipendono dalle contingenti esigenze del momento.

Il razionalismo viene riformato dal criticismo di Kant. Ora la realtà in se' viene posta come inconoscibile. Noi del mondo possiamo conoscere solo le apparenze, i fenomeni. Le nostre rappresentazioni delle cose, regolate dai meccanismi intersoggettivi dell'intelletto, sono la conoscenza che si può avere del mondo.

Ma è chiaro che le cose non tornano. Quando dico che esiste una realtà in se', di fatto io lo sto appunto dicendo. È un pensiero, un contenuto del pensiero del soggetto.
Ogni volta che cerco di porre dei limiti alla conoscenza finisco cioè in questo paradosso: è già da subito il mio pensiero che stabilisce il confine. Il confine, e lo spazio di realtà pura che si staglia al di là di questo confine, è un pensato, un contenuto del mio pensiero.

Non si può uscire dal pensiero per indicare realtà in se', natura, mondo.
Non che con questo si voglia dire che la realtà non esiste e la nostra esistenza è una pura illusione mentale.
Si vuole dire invece che la natura è già da subito natura interpretata, natura per noi umani, natura pensata.

E le regolarità che la scienza dimostra? Certamente esistono, ma solo all'interno dell'unico livello esistente, quello dell'interazione pensiero-essere (espressione ambigua perché già rimanda al dualismo ingenuo istintivo, ma necessaria per capirci).
L'interazione pensiero-essere produce l'unica realtà di cui facciamo esperienza. Ciò appare evidente nella fisica delle particelle dove l'osservazione, la presenza del pensiero, determina in modo concreto la realtà di ciò che si sta osservando (la posizione e l'energia della particella osservata).
Nel mondo macroscopico questa dipendenza reciproca pensiero-essere non può essere evidenziata da una misurazione scientifica, ma è la conclusione ineludibile del lungo percorso filosofico dell'Occidente.
O mi sbaglio?
#174
Tematiche Filosofiche / Oltre Cartesio: Hegel
13 Settembre 2021, 08:44:34 AM
Seguendo la lezione di A. Kojève possiamo dire che per Hegel l'uomo è desiderio.
Se si rimane però al desiderio di un oggetto non si entra nel mondo umano vero e proprio. Ci si eleva al di sopra dell'animalità quando si desidera il desiderio di un altro essere umano, ovvero quando si desidera essere l'oggetto desiderato dall'altro. Si desidera che l'altro, con il suo desiderio, riconosca il nostro valore.
E qui veniamo alla lotta per il riconoscimento. Che si spinge fino a mettere a repentaglio la propria vita. Se l'animalità ha come unico fine la propria sopravvivenza, il mondo umano si apre con l'accettazione del pericolo della morte per ottenere qualcosa, il prestigio, che non è affatto essenziale alla sopravvivenza.
Come si sa in questo duello archetipico prima o poi uno dei due si arrende, diventando il servo, mentre l'altro, il signore, ottiene con la vittoria il riconoscimento del suo valore, della sua superiorità.
Da qui in poi però la storia, secondo Hegel, sarà il progressivo ribaltamento dell'iniziale rapporto di forza.
Il signore vive di due cose: del riconoscimento e del godimento dei beni lavorati dal servo. Nient'altro. Il signore non ha un futuro, può solo sperare di prolungare nel tempo la sua condizione.
Il servo invece lavora per il signore, trasforma la realtà per produrre i beni che il signore consumerà, e vive nella paura.
Al di là dell'emancipazione che viene dal lavoro, ovvero dall'acquisizione delle tecniche per la trasformazione della natura, è interessante concentrarsi sull'aspetto dell'angoscia della morte.
Sperimentando questa angoscia con una certa continuità (essendo assoggettato al potere del signore), al di là del terrore della scena iniziale che lo ha convinto ad arrendersi, il servo prende consapevolezza di tre cose essenziali:
- l'ostilità del mondo;
- la necessità dell'autodisciplina (per eseguire sotto minaccia i lavori che gli vengono assegnati dal signore);
- la trascendenza rispetto ad ogni condizione che viene inizialmente percepita come data (infatti l'esperienza dell'angoscia della morte cancella l'ovvietà, la naturalezza, di quello che fino a quel momento era sentito come il proprio mondo e il proprio destino).

Tre cose essenziali per il cambiamento della realtà tramite lavoro e lotta.
Se non si sente l'ostilità del mondo ci può essere lavoro, ma non vera lotta. Ci sarà lavoro e godimento, un miscuglio di signoria e servitù, ma la realtà rimane tale e quale.
Quindi non ci potrà essere libertà (perché ci si sentirà legati alla necessità del mondo presente), e quindi nemmeno pensiero.
Ci sarà una riflessione illusoria (più che pensiero), una diffusa animalità (per l'appiattimento del desiderio al livello del godimento), e si continuerà a riconoscere il valore della signoria con l'idealizzazione della ricchezza.
Esattamente quello che accade nel cittadino/lavoratore dei nostri tempi, un servo abbastanza indipendente da sapersi procurare un po' di godimento, ma non abbastanza consapevole per poter accedere al pensiero.
#175
Tematiche Filosofiche / Re:I mondi che creano i libri
10 Settembre 2021, 08:42:23 AM
L'uomo può vivere nell'inganno mentre l'animale che persevera in una conoscenza errata del proprio ambiente naturale muore.
Ma vivere nell'inganno significa illudersi di ciò che è il mondo. Significa non potersi opporre ad esso. Nessuna trasformazione, nessuna lotta.
D'altro canto l'inganno a cui deliberatamente ci si assoggetta può essere una strategia di sopravvivenza della propria mente.
Per esempio, le religioni saranno pure l'oppio dei popoli, ma l'oppio è il "farmaco" più efficace nelle terapie del dolore.

E' quindi difficile valutare la scelta di Don Chisciotte, dell'abbandono nei suoi libri prediletti. E' stata la cosa migliore per lui?
#176
La pretesa di essere amati incondizionatamente o la presunzione di poter amare incondizionatamente sono solo assurdità astratte.
Ciascuno di noi fa sufficientemente schifo da rendere impossibili cose del genere.
Ma le forme terrene e limitate dell'amicizia e dell'amore non per questo sono niente. Dovrebbero essere niente perché non sono il tutto che una mente infantile si ostina a desiderare?

Ma il problema della tendenza all'estinzione anche di queste forme finite di amore, rimane, è reale.
È il problema della mancanza di una consapevolezza generale che queste forme vanno costruite e difese dalle vicissitudini della vita. Non si sviluppano da se'. A volte manca persino la capacità di tenere ferma la predilezione che si sente nel corso di un incontro fortuito per una certa persona. E così questa scompare e la possibilità di qualcosa di umano e sensato non viene alla luce.
Sembra che su queste cose non si sappia nulla. Ci si muove nella vita come sonnambuli. Rimangono attive inconsciamente una manciata di idee ridicole su famiglia e lavoro. E chi è profondo preferisce delirare su Dio piuttosto che sperimentarsi nell'arte di costruire alleanze.
#177
Tematiche Filosofiche / Oltre Cartesio: Hegel
06 Settembre 2021, 10:48:31 AM
Citazione di: Ipazia il 05 Settembre 2021, 10:39:32 AM
La stampella Dio al sistema cartesiano odora indubbiamente di deus ex machina, per permettere alla macchina-sistema di funzionare (...ha ragione Lou...), ma odora pure di dissonanza con tutto il ragionamento precedente: dubbio metodologico; e seguente: morale provvisoria, ghiandola pineale e meccanicismi vari risolti matematicamente grazie alle assi cartesiane e al calcolo infinitesimale. Spinoza ci aggiungerà la logica. Hegel vi aggiunge ben poco mutando Dio in Spirito ed elaborando sopra tale sostituzione una macchina-sistema assai formalmente raffinata (dialettica) ma ben poco prolifica proprio a causa dell'ipotesi spirituale.

A mio avviso la soluzione, e il superamento della dissonanza, la dà il materialismo, sostituendo Dio-Spirito con l'intelligenza umana ponderata intersoggettivamente. Tale sostituzione non garantisce alcuna verità assoluta, ma permette al processo conoscitivo (episteme) di evolversi evitando lo stallo. Che tale evoluzione sia irta di pericoli e fantasmi la Covidemia ce lo sta mostrando in alta definizione. Ma non abbiamo alternative. La verità cui tendere è quella possibile al nostro grado di sapere e nessuna Verità metafisica ci è concessa. Filosofia è farsene una ragione di ciò.

Ma lo Spirito nella filosofia di Hegel è ben diverso dal Dio dei filosofi (e a maggior ragione dal Dio biblico).
Per Hegel quando la struttura razionale della realtà arriva a manifestarsi nell'uomo, si manifesta come logos, e quindi quando questa razionalità diventa consapevole di se' nell'autocoscienza umana, ecco che si parla di Spirito.
Le differenze rispetto all'intelligenza umana ponderata intersoggettivamente in realtà non sono molte.
Infatti noi sappiamo che il cuore della natura è il DNA, ovvero un codice dalla cui traduzione viene tutta la materia vivente. Un codice, una memoria, e una tecnica di traduzione. Non si tratta forse della stessa razionalità che gira nelle nostre menti?
E quando ci accostiamo alle istituzioni storiche non riteniamo forse, studiandole, di trattare di qualcosa che ha in se un senso, una razionalità?
Quindi la grande differenza con il pensiero di Hegel, rispetto a quello contemporaneo dominato dalla scienza, è il finalismo, da noi rinnegato.
Per noi il cuore della natura è razionale, ma il processo che conduce alla differenziazione delle varie forme viventi è invece casuale (casuali mutazioni genetiche lavorate poi dalla selezione).
Quindi nella nostra visione l'Uno è razionale, mentre il processo che porta ai Molti invece è casuale, non ha nulla di necessario.
A differenza della filosofia di Hegel, che interpreta il processo come sviluppo che ha una finalità immanente.


#178
Tematiche Filosofiche / Oltre Cartesio: Hegel
05 Settembre 2021, 09:46:12 AM
Credo che l'identità di pensiero ed essere in Hegel vada concepita a partire dal fatto che ogni cosa singola che incontro la posso conoscere solo tramite universali, concetti.
Non molto diversa, mi sembra, è la posizione di chi poi nel Novecento, riflettendo sul linguaggio, dirà che si può andare alla fontana solo perché ho la parola "fontana".
Certo, rimane la questione etico-politica della predilezione che può andare a cadere o sull'aspetto più generale o su quello particolare.
Cioè la questione che nella frase "Socrate è uomo" devo decidere se dare maggior rilievo al soggetto (Socrate nella sua singolarità, nella sua vicenda particolare etc.) o al predicato (all'umanità di Socrate, alla razionalità cui lui partecipa come tutti gli uomini).

Per quanto riguarda il solipsismo, si tratta di un rischio che riguarda più il soggettivismo moderno che una filosofia come quella di Hegel.
Basta pensare a Cartesio che scatena il dubbio per ottenere un criterio per distinguere ciò che è sicuramente vero, per fondare la nuova epistemologia, e alla fine si ritrova con l'ipotesi che anche ciò che è chiaro ed evidente possa essere solo una colossale illusione (l'ipotesi del genio maligno), ipotesi che può scongiurare solo tramite il Dio cristiano.
Nella bella discussione su Cartesio che ha preceduto questo topic, a un certo punto lo "scontro" si è concentrato tra una lettura di Cartesio come libero pensatore e Cartesio come sincero cristiano.
A me sembra che su questo abbia ragione Lou: Cartesio fa appello a Dio per le esigenze del suo sistema, per uscire da un impasse teoretico di difficile soluzione.
Anzi, di impossibile soluzione. Perché se si arriva al livello di scetticismo che anche ciò che è certo può essere solo un'illusione sofisticata, che senso ha allora, rimanendo all'interno di questo livello di dubbio, parlare di prova ontologica di Dio? Quale affidabilità potrebbe mai avere in questa fase del sistema?

È interessante però vedere l'elemento paradossale della filosofia di Cartesio. Combatte la Scolastica per fondare la nuova epistemologia moderna. Per questo si lascia alle spalle ogni credenza, ogni presupposto culturale, ogni autorità. Sceglie quindi la via distruttiva dello scetticismo. Ma volendo arrivare a ciò che è assolutamente incontrovertibile è costretto a esagerare con il dubbio da cui può però liberarsi solo affidandosi a Dio.
Più solido vuole essere il sistema e maggiore è la necessità di presupposti metafisici indimostrabili.
#179
Tematiche Filosofiche / Oltre Cartesio: Hegel
03 Settembre 2021, 11:27:05 AM
Io avrei intitolato il topic "Hegel: una terapia". Una cura insomma al generale rimbambimento che in questi ultimi due anni sta toccando livelli veramente importanti.
Forse sono io che sono un po' paranoico, allora diciamo che si tratta di una psicoterapia individuale che con me sta funzionando.

Come esempio di terapia del pensiero: la dialettica, naturalmente.
La dialettica, che non viene mai presentata da Hegel come un processo composto da tesi-antitesi-sintesi, formula che è quindi solo una semplificazione storiografica, ma come costituita dai seguenti momenti:
1) momento astratto-intellettuale: i concetti vengono tenuti fermi nella loro distinzione, ci si concentra su una certa cosa che viene così distinta e separata da tutte le altre;
2) momento negativo-razionale: è il momento dialettico in senso proprio, il momento in cui i concetti sono visti nella loro relazione-opposizione, la cosa che prima era isolata ora è vista nel rapporto con le altre, richiama le relazioni con le altre cose;
3) momento positivo-razionale: il momento speculativo in cui si coglie l'unità tenendo insieme le distinzioni.

Insomma le distinzioni semplici, immediate, sterili, sono state lavorate dal pensiero, il pensiero ha ripercorso le relazioni, e il processo della conoscenza appare così come il raggiungimento di un'unità organica, complessa.
Ai nostri tempi ci si accontenta di battute più o meno colte, di opposizioni che banalizzano l'altro, di vincere (senza giocare realmente)...

La questione della critica di Feuerbach e Marx.
La si può vedere come la ripetizione della disputa medievale tra realisti e nominalisti (i primi che credono che l'essenza della realtà sia l'universale, i secondi l'individuale).
Ovviamente F. e M. stanno dalla parte del finito, dell'individuale, di ciò che è singolare. Certo, a partire dalla materia è possibile costruire generalizzazioni, concetti, e certo la natura rivela regolarità, ma questo non vuol dire che sia il pensiero a porre tali concetti nel finito.
Per Hegel invece è l'Assoluto che pone il reale, anche se poi l'Assoluto riesce a raggiungere la coscienza di se stesso (diventando così Spirito) solo ritrovandosi nell'altro da se', nel finito, nel mondo. Dunque si tratta di un Infinito immanente al finito.

Ma il punto è che Hegel inizia il suo percorso filosofico dalla critica dell'idea di cosa in se' di Kant.
L'argomento è il seguente: non esiste una dimensione della realtà che non sia raggiungibile dal pensiero perché il solo porre un confine della conoscenza significa pensarlo, significa stabilirlo nella conoscenza.
Quindi il livello della logica è lo stesso di quello dell'ontologia, c'è identità tra pensiero ed essere. Ma questo monismo non è facile da tenere fermo perché il senso comune così come tutta la filosofia moderna ci dicono che da una parte c'è il soggetto, dall'altra la realtà.
Tenendo però presente questo presupposto, mi chiedo: che senso ha criticare in generale la filosofia di Hegel per non essere riuscita a confutare adeguatamente la posizione nominalista, per esempio nella prima parte della "Fenomenologia dello spirito" nella sezione dedicata alla percezione sensibile, cioè al rapporto con ciò che è immediato, ciò che appare all'uomo come la singola cosa (in tutto quella sezione Hegel non fa che mostrare come il contatto con il particolare rimanda ineluttabilmente all'universale, che non c'è mai autentico contatto con la cosa singola che sempre è pensata tramite un concetto che per sua natura non può che essere universale)?
Voglio dire che se assumiamo il punto di vista dell'identità di pensiero ed essere, le osservazioni critiche che presuppongono un rapporto tra il soggetto e la realtà non sono più ammissibili, perché appunto basate su questo dualismo, che il presupposto monistico hegeliano rifiuta in partenza (rifiuto che nasce dal voler superare i paradossi del concetto di cosa in se' kantiana).
Si può rifiutare in toto il presupposto di questa filosofia, ma non mostrare le sue debolezze che hanno senso solo da un presupposto differente, insomma.

Per questo motivo si può asserire che ciò che è razionale è reale, e ciò che è reale è razionale.
Perché ovviamente non c'è da una parte la razionalità umana e dall'altra la realtà, il mondo.
Più che una visione che vuole giustificare la realtà (le istituzioni storiche, etc.) mi sembra l'effetto della coerenza di un punto di vista filosofico opposto a quello del senso comune.
#180
Percorsi ed Esperienze / Abitudini alimentari.
30 Agosto 2021, 11:37:05 AM
Purtroppo ha ragione viator.
Se ci abbandoniamo a ciò che ha più calore umano non facciamo altro che passare dall'illusione della vita seria (del lavoro, della famiglia, della conoscenza, etc.) all'illusione dei ricordi, dei sogni, della bellezza etc.
Le necessarie illusioni della vita pubblica, o le fragili illusioni della propria singolarità. E infine, dopo questo cammino più o meno straziante, la morte...
La quale, come liberazione totale, come definitiva uscita da questo grottesco percorso, andrebbe rivalutata.
Ma l'istinto di conservazione ce lo impedisce, e allora l'idea vaga, massima illusione, di un paradiso fatto di puro odore dei campi, amministrato da un Dio timido che anche lì, nel suo regno, si nasconde (forse per la vergogna di non essersi fermato, nella creazione, al regno vegetale), non mi sembra niente male.