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Messaggi - Aumkaara

#166
A te pare poco? È anche troppo. L'ideale sarebbe non aver bisogno neanche della filosofia, che è un metodo lungo, complesso e rischioso, molto più di quello scientifico, per non parlare di quello fideista. Ma prima di rinunciarvi, va considerato che ci muoviamo in quello che ci viene spontaneo interpretare come un mare di dati senza fine, portandoci dietro anche l'innata tendenza a dogmatizzarli, anche solo inconsciamente.
#167
Ho già risposto: una conoscenza non teologica è fondata proprio sul mettere in dubbio i dati.
(La filosofia è solo un metodo che aiuta a fare ciò.)
#168
Ma quella che hai proposto tu È una conoscenza teologica, oppure un presupposto su cui basare tutte le esperienze e le misurazioni che si vuole, non per questo vere (se bastasse misurare per avere delle verità definitive, ci saremmo potuti fermare a misurare il "moto del sole nella cupola del cielo": è misurabile anche se apparente). Ma non è filosofia. In caso contrario, avresti potuto continuare ad indagare, senza nessun "è così". Tutto è ulteriormente indagabile. Lo fa anche la filosofia che anima la scienza. Non ci sono dati assoluti (non lo è neanche l'affermazione "tutto è apparenza" dei non dualisti religiosi). Non ci sono dati inconfutabili.
#169
Chi si avventura a cercare davvero un assoluto, a prescindere che sia trovabile oppure no, affronta filosofie atte proprio a cancellare ogni fatto bruto, ogni pretesa evidenza. Quando invece non si hanno dubbi, quando si prende qualcosa per dato di fatto, vuol dire che si ha fede in ciò che si vede: se è questa la conoscenza, o per lo meno la base della conoscenza, allora si è uguali ad un religioso, anche se non nell'apparenza.
Per me non è un problema.
È invece un problema pensare di non esserlo: porta a pensare che gli altri siano gli unici illusi.
#170
Se così fosse, dovremmo prendere come dato di fatto tutte le evidenze: "è evidente che il sole si muove e noi siamo fermi"...
Mettendolo in dubbio, si è potuto sperimentare ben altra esperienza.
È la filosofia che mette in dubbio i presunti dati di fatto (e la sperimentazione fornisce l'esperienza delle teorie alternative formulate, esperienza sensoriale o coscienziale che sia), ma non è possibile fare una filosofia adeguata a ciò, se i fatti bruti non si tolgono prima di tutto da essa. Ne risulterebbe una filosofia distorta e parziale che condurrebbe a sperimentazioni altrettanto distorte e falsate (ma comunque esperibili, in un rafforzamento ciclico di verità distorte): una "verità" di fede ("questo è così") conduce a sperimentare "prove" di fede...
#171
Se non sa spiegarsi attraverso un'inchiesta ma si deve fermare proponendo fatti bruti, una filosofia non è sufficiente a cogliere niente in altre filosofie, ma solo a porsi ad esse come lo farebbero dichiarazioni quali "la verità è nel vangelo, lo dice il vangelo!".
#172
Citazione di: IpaziaIl motivo ontologico della regolarità di certi processi è: perchè è così
Un fatto bruto. Un mistero insondabile. Sia fatta la sua volontà...


CitazioneIpazia enuncia proposizioni filosofiche perchè si occupa anche di filosofia
Che va approfondita fino a trovare spiegazioni definitive (spiegazioni, non enunciati basati su "è così"), almeno nella cornice dei propri presupposti (altrettanto filosofici, anche se deducibili da altri contesti). Altrimenti, è teologia, o un'evidenza su cui basare un'ipotesi per un lavoro scientifico (che potrebbe anche confutarla).
#173
Citazione di: IpaziaNo, è la nostra conoscenza della specificità dei processi. L'angolo buio riguarda semmai il momento del passaggio, ad esempio tra la materia inanimata e quella animata, ma la differenza "sistematica", una volta avvenuto il salto, è chiara&distinta.
Non stavamo parlando della specificità dei processi, quella riguarda il fatto che esistono delle interazioni, e di vario tipo. Esistenza mai stata qui messa in discussione.
Era invece in discussione quale fosse il motivo della regolarità di tali interazioni; ma, se questo motivo era deducibile dalla connessione tra presunti ambiti o sezioni di esistenza, non possiamo indagare perché tale connessione tra tali sezioni non ha spiegazione (e, tra l'altro, senza una spiegazione l'esistenza di ambiti-sezioni veramente diversi rimane molto ipotetica, al di là dell'evidenza sensoriale). Dobbiamo tornare all'altro percorso d'indagine:


CitazioneChiedilo ai fisici. Io sono chimica. Gli atomi hanno una struttura formata dal nucleo (protoni, neutroni) e dagli elettroni negli orbitali di valenza. Le particelle subatomiche non sembrano strutturate, anche se l'entanglement evidenzia una correlazione tra particelle subatomiche fino alla magnitudo fotonica, la cui episteme è in progress.
Se un chimico non può completare e quindi dimostrare un discorso filosofico, allora perché ha enunciato conclusioni filosofiche come "la pluralità è ontologica, la singolarità epistemica"? Al massimo può enunciarlo come ipotesi scientifica su cui lavorare con strumenti tecnoscientifici, ma qui, in ambito filosofico, da proporre come sostituzione di altre filosofie, non ha valore senza dimostrazione filosofica, è solo un enunciato di fede basato su esperienze sensoriali e scientifiche in progress, incomplete.
#174
Citazione di: Ipaziadue limiti a questa caricatura. Il primo è la nostra limitata conoscenza dei processi deterministici che obbliga ad un costante perfezionamento delle conoscenze e il secondo è che aumentando i gradi di libertà degli enti nel passaggio dal fisico-chimico al biologico al biologico autocosciente aumenta anche il grado di indeterminazione del sistema e la sua resistenza a calcoli e previsioni.
Quindi è la nostra ignoranza a portarci alla conclusione che c'è un passaggio da un ambito-sezione con certe regole ad un altro ambito-sezione con regole diverse?


CitazioneQui il discorso è abbastanza confuso. I "mattoni ultimi senza struttura" restano mattoni in assenza di una struttura. Un ente si costituisce con le materie prime (i mattoni) + la struttura + i processi funzionali che permettono l'esistenza e sopravvivenza dell'ente.
A me risulta che i mattoni abbiano una struttura: parallelepipeda, più o meno solida, ecc. Quelli della materia, quelli più fondamentali, hanno struttura?
#175
Citazione di: IpaziaLe condizioni di stato del sistema. Ovvero i parametri fisico-chimico-biologico-psichici
Spiegata così, è la risposta di un informatico. Invece che col nome di "programmi" o "softwares", i parametri vengono chiamati "fisica", "biologia", ecc., ma messa così si interrompe la ricerca ponendo delle influenze "a priori" che ordinano il modo in cui sono fatti gli enti. Il che non solo rende superfluo che gli enti siano essenzialmente plurali o meno, ma pone l'intervento di principi ordinatori: un software, quindi un programmatore. È una parafrasi del concetto di divinità. Non va bene.
Forse potremmo togliere l'impressione che l'argomento sia andato ad ipotizzare "programmi pre-impostati", spiegando più approfonditamente (un po' come avevi fatto nel messaggio precedente, ma senza introdurre il concetto di ambiti, o di "sezioni" di esistenza), ipotizzando cioè che questi fattori dipendano comunque dalla forma degli enti, e non viceversa: le interazioni trasformano gli enti in un certo modo, che è quella forma che da quel momento in poi gli farà avere interazioni di tipo nuovo (a cui noi diamo nomi diversi: interazione fisica, biologica, ecc.).
Avremmo risolto la prima domanda (come fanno le interazioni ad essere regolari: grazie alla struttura specifica degli enti interagenti), e avremmo risolto anche la seconda domanda emersa: come è la struttura degli enti interagenti? La struttura degli enti interagenti è complessa, quindi modificabile. C'è però così un problema di fatto bruto anche in questo caso: cosa fornisce una struttura complessa agli enti? Sono "così e basta"? Non potrebbero essere ulteriormente dei costrutti di "mattoni ultimi senza struttura"? (Molteplici, ovviamente, visto che siamo partiti dalle tue premesse.)
#176
Citazione di: Ipazialegami che hanno caratteristiche diverse da quelle che riscontriamo nei quark
Questo punto è sufficiente. Non potevamo non arrivarci, approfondendo finalmente la domanda: ci sono enti con caratteristiche diverse. Perché? Cosa li rende diversi? (Non importa in che modo specifico sono diversi, le modalità interessano ai metodi scientifici.)
1) è un "fatto bruto": "sono così e basta".
2) è dovuto al fatto che hanno una struttura complessa che è stata modificata tramite interazioni precedenti, ma che originariamente era uguale per tutti.
3) (suggerimenti.)

PS: cito: "non andiamo da un fisico delle particelle per curarci i denti".
Questo è vero solo perché tale fisico non si è ancora occupato di affinare tecniche adeguate; perché, diciamo, ha "la mano troppo pesante", non perché in teoria non possa curare i denti guardandoli per come sono "in realtà" (non proprio, è solo un'osservazione più nitida), cioè come configurazione dinamica di particelle invece che come presunti oggetti compatti e bianchi. Se affinasse i propri metodi, potrebbe comunque curare i denti anche guardandoli nella loro natura più dinamica e meno compatta di come appaiono ai dentisti, e potrebbe fare anche un lavoro molto, molto, molto, molto migliore.
...usando le nanotecnologie invece del trapano, ad esempio? Non sognano proprio gli scienziati appunto di riparare i corpi con strumenti nanotecnologici che "sistemano" direttamente le particelle (magari non direttamente quark ed elettroni, ma almeno gli atomi sì), in modi che la medicina non potrebbe mai fare?
Il fisico poi non deve fare nessun "grande salto" affinché la sua azione sulle particelle "si trasferisca" ai denti. Gli basta affinare gli strumenti, visto che ha già affinato la nitidezza delle sue osservazioni.
#177
Citazione di: ipaziaL'universo è singolare perchè è il sistema che contiene tutti gli altri sottosistemi. Poichè le forze e particelle elementari in gioco interessano tutti i sistemi vi è tra essi correlazione e retroazione. Ma se un tizio ne uccide altri due perchè sono troppo felici, andare a cercare nei quark (e nelle loro interazioni) di cui essi sono composti la catena causale di tale fatto dovrebbe apparire ridicolo anche al cultore più integralista della realtà non duale. O no ?
(Nel frattempo avevo modificato il messaggio precedente, ma sostanzialmente è uguale a quello che hai citato.)
Per un cultore della realtà non duale, soprattutto se non integralista, NON ci sono i quark (insieme agli elettroni, i fotoni, i gluoni, ecc.) E, CONTEMPORANEAMENTE, i due tizi che "fanno qualcosa" (nel mio esempio si abbracciano 😉). I "due tizi" non sono i "contenitori" dei quark (ecc.). Né i due tizi stanno "in un'altra sezione" rispetto ai quark.
Ci sono solo i quark (ecc.) che, visti in modo "sfocato", sensorialmente approssimato, sembrano due corpi compatti e definiti.
Se poi guardiamo ancora meglio la molteplicità dei quark (ecc.), vediamo che sono (ipotesi) "tensioni" o "increspature" di un unico "campo". E così via. Discreto e continuo si alternano costantemente, nei diversi gradi di "messa a fuoco".
Messa a fuoco di cosa? Come è veramente, quello che appare in tanti modi diversi solo a causa della nitidezza con cui viene visto?

Secondo la tua frase ("la pluralità è ontologica"), sarebbe un qualcosa di plurale. Contenuto però in qualcosa di singolo, come hai cominciato ad affermare da un paio di messaggi. Bene: se questa singolarità è il contenitore della pluralità, in teoria potremmo separare il contenitore dal contenuto. Come sarebbe fatto a quel punto questo contenitore? Da che cosa è costituito? Nell'insiemistica matematica è solo una linea curva che racchiude enti considerati plurali, ma questa linea curva rappresenta solo un'idea (così come sono un'idea gli enti matematici plurali al suo interno). Qui hai invece posto la "sezione 1", la "singolarità", l'universo, come qualche cosa di reale che contiene la pluralità, a quanto pare. O era solo un modo per considerare idealmente tutti in una volta i vari elementi plurali? Spero sia così.


In ogni caso, hai detto, parafrasando, che "poiché gli enti in gioco interessano tutti i sistemi, vi è tra essi correlazione e retroazione": vero, ma non è in esame il fatto che interagiscono, ad essere in esame è: come fanno ad interagire causalmente, con regolarità,
visto che sono enti separati (senza esserci un "contenitore" se non idealmente, spero), che cioè non hanno altro legame se non l'istante in cui interagiscono: cozzano tra loro una volta e poi via, non hanno niente che faccia proseguire il loro rapporto, e se mai cozzassero di nuovo chissà quando (che lo facciano più volte consecutivamente sarebbe un miracolo) lo farebbero in modo diverso, perché non hanno altro che se stessi e il vuoto in cui si muovono: perché invece riscontriamo regolarità, tra cui la causalità, tra queste interazioni?
#178
Citazione di: Ipazia
La realtà oggettiva è, esemplificando, singolare (universo), duale (dimorfismo sessuale), plurale (7 miliardi di umani). A ciascuna di queste sezioni del reale corrispondono sistemi con le loro ciclicità (e  retroazioni che si diffondono nell'universo) sufficientemente coerenti, con al loro interno processi causali con le caratteristiche elencate da phil, per poterli definire e studiare in quanto sistemi isolati. Sistemi fisici, biologici, sociali,... Questo è quanto.
Quindi, se seguiamo questa suddivisione, la sezione 1, quella ad esempio "dell'universo", di per sé è intrinsecamente singolare, continua, ontologicamente "uno", e non ha pluralità intrinseca, al massimo epistemica, perché questa appartiene ontologicamente solo alla sezione 3, quella dei sette miliardi di persone, o dei fantastilioni di fotoni, ecc., che è intrinsecamente plurale, discreta, ontologicamente "molti", e che non ha unità intrinseca, ma solo epistemica.
Cosa permette che le "retroazioni" tra gli eventi della sezione 3 e la sezione 1 siano regolari, e cosa permette che le "retroazioni" tra gli elementi intrinsecamente plurali della sezione 3 siano altrettanto regolari? Regolari o causali, se si preferisce. Cosa permette di far proseguire la causalità, tra sezioni ed elementi realmente separati? (E senza interventi teologici, esterni o connaturati: non sto cercando di arrivare ad essi, questi NON devono essere introdotti.)
(E senza neanche parlare di forze: questa parola, che è stata introdotta nei contesti scientifici in epoche meno illuminate in cui ancora si ipotizzavano influenze misteriose tra gli elementi naturali, si è rivelata essere il nome dato ad ulteriori enti interagenti: ad esempio la "forza" elettromagnetica altro non è che un'interazione tra i sopracitati fotoni con altri enti discreti, entrambi appartenenti a questa ipotetica "sezione 3".)


Citazione di: green demetr
Ciao Aumkaara, benvenuto nel forum, se prendiamo come problematica la pluralità, vorrebbe dire che siamo alla ricerca di un monismo.
E' corretto?
Ciao! Ti ringrazio!
Sintetizzo in una frase, che è di Ipazia (la nostra, molto più gradita di quella storica, che possiamo conoscere molto meno): la pluralità è ontologica, la singolarità è epistemica.
Personalmente non sto cercando un monismo, sto, quasi alla Nagarjuna, solo cercando di vedere se una tesi del genere regge. Visto che, a sua volta, regge una certa "apologia", o assolutezza, o comunque estrema importanza, data alla scienza; anche se non regge la scienza in sé, perché a mio parere quest'ultima, pur guardando soprattutto alla molteplicità, non ha bisogno (né ha la possibilità, nel suo essere principalmente un metodo) di formulazioni filosofiche per continuare a fare quello che fa (il che non vuol dire che il suo operato non cambi a seconda della filosofia di vita, più o meno consapevole, di coloro che esercitano scienza).


Citazione di: Phil
La stessa ontologia, nonostante la sua velleità di essere asintoticamente veritativa, è discorso umano [...] essendo [...] solo un ideale percepito sempre sotto forma di analitiche "ipotesi di lavoro"
Sì, alla fine possiamo dire che anche l'ontologia di per sé è episteme, un episteme che si occupa della causa invece che degli effetti. Da questo punto di vista, possiamo dire che causa ed effetto si rivelano entrambi relativi. Però questo non implica dover cadere in un relativismo assolutistico. Ma questo ora non è il caso di approfondirlo, anche se lo avevamo già affrontato in queste stesse pagine.
#179
Citazione di: Ipazia
La pluralità del reale non intende (s)fondare nulla e non ha alcuna pretesa metafisica. Essa rappresenta soltanto l'opposizione "pirandelliana" (i centomila) "chiara & distinta" alle pretese dell'ontologia metafisica agganciata infecondamente a cabale numerologiche tra monisti e manichei.
Questa è di nuovo una apologia, una pubblicità. Ha una certa corrispondenza con il prodotto che pubblicizza, come tutti gli spot. Ma, proprio come tutte le pubblicità, non ci dice se le motivazioni alla base dello sviluppo del prodotto sono legittime. Il prodotto è vendibile, funziona, ma la sua produzione potrebbe comunque violare norme o essere di dolo ad ambiti al di fuori della sua vendibilità ed efficienza.

Perché non è possibile risolvere la domanda, che è di ambito filosofico e non pubblicitario, su quale può essere, se c'è, il nesso regolare tra enti per natura plurali? È una domanda precisa, ripetuta più volte, se è mal posta può essere corretta indicandone sistematicamente la costruzione fallace, oppure se non c'è soluzione può essere ammorbidita la posizione rigida (l'ontologia o realtà della pluralità) che ha portato a formularla (senza per questo dover abbracciare cabale, numerologia o religioni istituzionalizzate), ma eludendola ogni volta relega la pretesa ontologia o realtà del plurale a réclame o ad articolo di fede.
#180
CitazioneQui il linguaggio convenzionale traballa un po': cos'è che allora viene identificato-circoscritto, percepito ed elaborato (in modo da risultare elemento che interagisce con regolarità)?
Ma siamo d'accordissimo, infatti al primo tentativo di risposta, in cui era stato citato Wittgenstein, avevo sottolineato che PER ORA avremmo tralasciato la natura degli enti interagenti.
Questo infatti pone un serio problema alla ipotetica pluralità ontologica: fin'ora, cercando con il proprio metodo scientifico, la tecnica ha a che fare in ogni ambito sia con una pluralità che con una singolarità: i discreti degli "enti concreti" e il continuo spaziale con Newton, l'onda e il corpuscolo nella quantistica, le molteplici specie e la continuità delle trasformazioni evolutive, ecc. Ogni volta che si crede di aver sfondato (in realtà è solo un'osservazione più precisa e nitida) questa dualità compresente, la si ritrova di nuovo. Come si può quindi stabilire che solo uno di questi due poli è ontologico mentre l'altro solo epistemico, come era appunto stato affermato con sicurezza da Ipazia? Il fatto che dal porre come ontologica la pluralità noi si ottenga un metodo funzionale, con tutti i rischi comunque da non dimenticare, non garantisce niente di effettivamente ontologico: è solo un'azione valida esclusivamente nel proprio ambito, vera solo grazie alle premesse che poniamo e ai risultati che ci attendiamo. Quale sia il motivo della concordanza tra premesse e risultati, non lo si può stabilire dal metodo usato: è appunto soprattutto un metodo, non soprattutto un sapere.