Citazione di: Jacopus il 28 Luglio 2025, 16:30:34 PMSe devo essere sincero Niko, non ho capito granché del tuo ultimo intervento, evidentemente mi sto velocemente rimbecillendo. Ad ogni buon conto mi sai dire brevemente se dalle leggi di natura si possono trarre leggi morali, e in caso di risposta affermativa, mi domando come conciliare questa prescrittività etico-naturale, con il cambiamento pressoché continuo della natura e delle sue strutture.
Ho il sospetto che tu riconduca tutto alle teorie scientifico-naturalistiche del marxismo classico, che però hanno fatto il loro tempo. Credere in una teoria oggettivamente e naturalmente "vera", va contro la necessità di ritrovare Marx e la sua teoria "vera" dello sfruttamento e dell'alienazione, ma su basi non oggettive o naturalistiche ma culturali (ed ecco avveratosi l'off-topic dell'off-topic, del resto se sono gli stessi moderatori a dare l'esempio🤓).
> si, penso che si possa trarre una morale dalla natura.
> ma, no, non l'ho fatto in questa sede e in questo topic, quindi, non mi piace che mi si imputi la fallacia naturalistica solo perche' ho parlato dell'impossibilita' di una conoscenza oggettiva, e del fallimento del paradigma metafisico occidentale, insomma di cosa resta di Dio, che poi, sarebbe l'argomento iniziale. Sostanzialmente, affermare, come ho fatto io, che l'apparire del mondo dipenda dalla volonta' di vivere dei singoli viventi, e magari dire anche che, la forma di questa apparenza sia altamente condizionata,
quantomeno perche' la vita non galleggia, in un mare di liberta' infinita quanto a se stessa e alle sue specifiche condizioni, (data a la verita' di un caso, sono vere anche tutte le ragioni necessarie del suo verificarsi), sempre come ho fatto io, non e', e non costituisce, una fallacia naturalistica, perche' manca, l'elemento prescrittivo, esortativo, morale o di giudizio.
> la natura e' dinamica, e quindi, pure una morale naturalistica deve esserlo, ma la cosa ci porterebbe lontano... ti dico solo che, dato che secondo me siamo consegnati all'assoluto della vita, la sua qualita', conta piu' della sua conservazione o quantita'.
Io voglio fare la rivoluzione, ma non perche' io come uomo o come soggetto collettivo voglia in qualche modo "salvarmi", tantomeno lo voglio contro una, eventuale, spaventosa, possibilita' opposta, di non salvarmi (e quale sarebbe mi chiedo? ridicolo...) ma perche', a condizioni di vita mediocri e o indecenti, la salvezza stessa, fa problema.
Non si evolve verso lo smettere di volere, ma verso il volere qualcosa si diverso... il volere qualcosa di diverso, pero', a sua volta, implica il terminare, il compito o l'atto, storico, di volere, quello che (gia') c'e'; di terminare, quello che e' gia' iniziato. E' facile, parlare di rivoluzione ma la verita' e' che quello di cui vuoi liberarti, devi volerlo in modo esaustivo, devi viverlo fino in fondo, proprio per, e al fine di, non volerlo piu'.
E quindi, questo mondo, pieno di guai, non passa, si sofferma e perdura, proprio perche' nessuno, realmente, lo ama e lo vuole, soprattutto: non per quello che realmente esso e'; molti, semmai, lo vedono, si illudono e lo amano per quello che dovrebbe essere, per la differenza che non e', per il fantastico e fantasioso "mondo dietro al mondo" e con cio', diciamo cosi', gli fanno, ulteriormente torto. Ma la sua mera, innegabile, scheletrica e non metafisicamente abbellita presenza, per noi, per il suo sognificato rispetto a noi intendo, e' (solo) una grande richiesta di amore, e (solo) in questo senso, fintanto che essa resta ignorata, abbellita o negata, ha tutto il diritto a durare; questo tempo, con tutte le sue montagne, le sue torri, i suoi ingranaggi e i suoi campanili, deve passare entro e oltre la soglia della nostra (non libera) volonta', cioe' realmente... deve passare, intendo, realmente.
