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Messaggi - doxa

#166
Tematiche Filosofiche / Re: Essere perfetti
10 Dicembre 2024, 18:10:22 PM
Buonasera Damiano,
lo conosci il detto latino "Homo, homini lupus" ? (= l'uomo è un lupo per l'uomo).

Nel "Leviatano" il filosofo inglese Thomas Hobbes nel XVII secolo scrisse che la natura umana tende all'egoismo,  e a determinare le azioni degli individui sono la sopraffazione, il proprio tornaconto e l'istinto di sopravvivenza.

Hobbes nega che l'individuo possa sentirsi motivato ad avvicinarsi al suo simile per amore naturale. Se gli uomini si uniscono in società regolando i loro rapporti con le leggi, ciò è dovuto al reciproco timore.

Così è la vita e così devi imparare ad accettarla. E' immodificabile. Invece a me sembra che aspiri al Paradiso Terrestre. Ma questo non esiste !

Il tuo mondo ideale è ispirato dalla tua fede religiosa ?
#167
Tematiche Culturali e Sociali / Re: Le Virtù
08 Dicembre 2024, 12:25:04 PM
Ciao green demetr, ti ringrazio per il tuo post.

Concordo con la tua opinione

CitazioneA mio parere la virtù è semplicemente l'arte per cui ciò che è dentro di noi coincida con ciò che c'è fuori.


Non sono uno studioso di filosofia. All'università feci un paio di esami dedicati a quella disciplina, sufficienti per sapere di cosa si tratta e le opinioni dei tanti filosofi nei secoli.

Comunque l'argomento odierno lo dedico ad alcuni filosofi. Abbi la pazienza di leggere anche questo post, poi fammi sapere cosa ne pensi. ;D :'( Sono graditi anche gli interventi degli esperti per errori ed omissioni nel testo, in particolare da Ipazia.  ;)

Nel precedente post ho scritto che in greco antico la virtù è denominata  "areté", ed allude all'individuo  che si dedica al "bene" e ad agire in modo ottimale.

Nell'antica filosofia greca, la concezione dell'areté non era connessa all'azione per il conseguimento del bene, ma indicava  come qualità il coraggio, il vigore morale e anche fisico, come  gli eroi omerici,  o alcuni statisti ateniesi, indicati da Platone nel "Menone": Temistocle, Aristide e Pericle; essi ebbero la capacità di ben governare con moderazione e giustizia ma non furono in grado di trasmettere le loro virtù morali ai figli.

Per Platone le virtù corrispondono al controllo delle passioni. Ne "La Repubblica" indica per la prima volta le quattro virtù, che  nella seconda metà del IV secolo dal vescovo  di Milano,  Ambrogio (meglio conosciuto come Sant'Ambrogio),  furono denominate "cardinali", cioè "principali":

la temperanza, intesa come moderazione dei desideri che, se eccessivi, sfociano nella sregolatezza;

il  coraggio, necessario per mettere in atto i comportamenti virtuosi;

la saggezza o "prudenza", considerata la base delle altre virtù;

la giustizia è quella che realizza l'accordo e l'equilibrio di tutte le altre virtù presenti nell'uomo virtuoso e nello Stato perfetto.

Mentre Platone indica la saggezza per l'esercizio della virtù, Aristotele nel secondo libro dell'Etica Nicomachea specifica che le virtù etiche non si possiedono per natura, anche se l'uomo ha dimostrato di avere la capacità di acquisirle; vengono individuate soltanto in base a determinate azioni, nella disposizione a scegliere "il giusto mezzo" fra  due estremi.

La saggezza la considera  una "virtù  dianoetica" ( dal greco "dianoètikòs" e questo da "dianóēsis" = pensiero): nella gnoseologia aristotelica allude all'attività mentale, che viene agita dal pensiero e  ispira la condotta umana, inoltre permette l'esercizio delle "virtù etiche" nell'azione concreta.

Le virtù dianoetiche che presiedono la conoscenza sono cinque: l'arte , la scienza, la saggezza  o prudenza, l'intelletto e la sapienza.

La saggezza è propria di colui che, pur non essendo filosofo, è in grado di agire in modo virtuoso. 

Aristotele dice che se si dovesse acquisire la sapienza filosofica per praticare le virtù etiche questo comporterebbe che solo chi ha raggiunto l'età matura, divenendo filosofo, potrebbe essere virtuoso mentre invece con la saggezza, grado inferiore della sapienza, anche i giovani possono praticare quelle virtù etiche che permetteranno l'acquisto delle virtù dianoetiche.

La saggezza permette una vita virtuosa, premessa e condizione della sapienza filosofica, intesa come "stile di vita" slegato da ogni finalità pratica, e che pur rappresentando l'inclinazione naturale di tutti gli uomini solo i filosofi realizzano.

La saggezza può esser fatta conseguire ai giovani tramite l'educazione, che i saggi, o quelli ritenuti tali dalla collettività, impartiscono anche con l'esempio della loro condotta.

Il giovane apprende che le virtù etiche consistono nella capacità di comportarsi secondo il "giusto mezzo" tra i vizi ai quali si contrappongono (ad esempio il coraggio, considerato  l'atteggiamento mediano tra la viltà e la temerarietà), sino a conseguire con l'abitudine l'agire spontaneamente virtuoso: infatti "La virtù è una disposizione abitudinaria riguardante la scelta, determinata secondo il criterio  che determina l'individuo saggio.

 
#168
Tematiche Culturali e Sociali / Le Virtù
07 Dicembre 2024, 22:32:57 PM
Del sostantivo virtù è difficile darne una definizione che comprenda tutte le attribuzioni e i modi di intenderla.

Virtù,  in greco antico "aretè": questa parola in origine alludeva alla capacità di un individuo di compiere un atto o una mansione in modo ottimale.

Dante Alighieri nel "Convivio" (IV, XVI  7) dice:  "Ciascuna (cosa) è massimamente perfetta quando (l'individuo) tocca e aggiugne la sua virtude propria".

Nella lingua italiana il sostantivo virtù deriva dal latino "virtus" e questo da "vir" (= uomo), che in epoca romana  designava il valore  dell'individuo durante una battaglia, il suo coraggio, la sua forza (vis), anche spirituale e morale.

Nel nostro tempo la virtù di solito la consideriamo come la disposizione d'animo volta al bene.

Secondo il catechismo della Chiesa cattolica le virtù possono essere umane,  teologali e cardinali. 

le virtù umane sono attitudini, disposizioni dell'intelligenza e della volontà che regolano le nostre azioni e fanno praticare il bene. Sono virtù morali che si perfezionano con l'abitudine vengono acquisite tramite l'apprendimento e la pratica (n. 1804).

Virtù umane:

Virtù intellettuali
quelle che perfezionano l'intelletto.

Virtù morali quelle che orientano la volontà al bene.

Virtù naturali, quelle attinenti al compimento di atti buoni.

Virtù religiose, cristiano-cattoliche, vengono infuse  in ogni anima da Dio, tramite lo Spirito Santo, durante il battesimo. La tradizione cristiana ha individuato un settenario di virtù fondamentali, distribuendole in due versanti: le quattro virtù cardinali e le tre virtù teologali.

Virtù cardinali:  prudenza, giustizia, fortezza e temperanza; così dette perché hanno la funzione di "cardine" della vita virtuosa (n. 1805).  Per esempio,  la temperanza è la virtù morale che dà il dominio della volontà sugli istinti e mantiene i desideri entro i limiti "dell'onestà" (n. 1809).

Virtù teologali: le virtù umane si radicano nelle virtù teologali: fede, speranza e carità; così dette perché è Dio che  le concede  e dispongono i cristiani a vivere "in relazione con la Santissima Trinità" (n. 1812).

Le virtù teologali fondano, animano e caratterizzano l'agire morale del cristiano (n. 1813). 

Non basta,  le virtù sono comprese tra i nove ordini delle schiere di angeli:  Serafini, Cherubini e Troni; Dominazioni, Virtù e Potestà; Principati, Arcangeli e Angeli.


Firenze, battistero di San Giovanni Battista,  le Virtù nei mosaici.

Questo battistero è di fronte la cattedrale di Santa Maria del Fiore


Firenze, battistero di San Giovanni Battista, 

Le Virtù o Fortezze (in greco Dynameis), secondo l'angelogia cristiana basata sulla classificazione di  Dionigi l'Areopagita,  sono il quinto ordine degli angeli e presiedono i sette pianeti conosciuti nell'antichità: Luna, Mercurio, Venere, Sole, Marte, Giove e Saturno.

Paolo di Tarso menziona le Virtù nella  Lettera agli Efesini (1,21).

Il papa Gregorio I, detto Gregorio Magno, pontificò dal 590 al 604, anno della sua morte,  fece conoscere nell'Occidente latino i cori angelici. Pospose rispetto a Dionigi le Virtù al settimo posto della gerarchia angelica: la collocazione fu ripresa nel "Convivio"(II, 5) da Dante Alighieri, ma  ripristinò lo schema originario di Dionigi nella Divina Commedia (Par. III, vv. 73-75, 79-81) con le Virtù nella quinta posizione. Dante li considera angeli combattenti che presiedono ai grandi cambiamenti della storia. 
#169
Riflessioni sull'Arte / Ut pictura poësis
03 Dicembre 2024, 15:43:06 PM
A volte una parola o una frase permettono delle connessioni, diventano ponti verso altri lemmi o immagini  mentali ed abbiamo la possibilità di elaborare un testo.
 
Ieri in un un giornale ho letto la frase "Ut pictura poësis" (=  la poesia è come un dipinto) e la curiosità mi ha motivato a saperne di più, per poi  elaborare questo post. Alla fine della lettura qualcuno di voi dirà: "potevi farne a meno !". Va beh, evita questo, evita quell'altro, alla fine si rinuncia a scrivere.
Invece a me piace condividere con voi. E leggere le vostre opinioni.
 
La locuzione "Ut pictura poësis" è in una lettera scritta nel 13 a. C. dal noto poeta di epoca romana Quinto Orazio Flacco: "Epistola ai Pisoni" (in lingua latina: "Epistula ad Pisones", epistola II, 3, verso 361) detta anche "Ars poetica", indirizzata ai letterati Lucio Pisone e a suoi figli. La lunga lettera è un trattato sulla poesia, nel quale Orazio espone la propria concezione della letteratura e della poesia. Per questo suo testo fu ispirato dalla "Poetica" del filoso greco Aristotele: è un trattato, per uso didattico che scrisse tra il 334 e il 330 a. C..
 
Il paradigma oraziano  fu ripreso in epoca rinascimentale per la teoria delle "arti sorelle":  letteratura, arti visive e musica.
 

Sirani Giovanni Andrea, Allegoria delle tre Arti (pittura, musica, poesia) ovvero Le tre sorelle, olio su tela, 1663 circa, Pinacoteca Nazionale di Bologna.
 
Il linguaggio poetico, o figurativo, oppure musicale, tende  a superare i propri limiti interferendo con altre arti: parola-poesia, suono-musica, colore – pittura, movimento-danza, ma comune è l'oggetto: reale, fantastico, emotivo, affettivo, comune è  l'impulso creativo.
 
I pittori a volte scelgono un testo poetico per dipingere le loro visioni. I poeti descrivono un dipinto per comunicare le loro emozioni.  I musicisti optano un testo di poesia  per comporre canzoni.
 
La teoria rinascimentale delle "arti sorelle" favorì il progressivo riscatto della pittura da "arte meccanica" (per la quale era necessario il talento manuale) ad "arte liberale" (= grammatica, retorica, poesia, musica,  giurisprudenza, astrologia e filosofia).
 
Sovente si ricorreva all'èkphrasis (parola greca, dal verbo  èkphrazo =  descrivere) per raccontare  nelle epistole le   opere d'arte. In epoca romana le ekphrasis erano utilizzate per descrivere le antiche statue, in modo tale da poter offrire al  lettore un'idea visiva.
 
Nella letteratura greca e in quella latina le ekphrasis avevano diverse funzioni narrative. Alle volte esse avevano un ruolo descrittivo altre, invece, servivano per dare veridicità al racconto.
 
In epoca rinascimentale ci fu un revival del fenomeno ecfrastico e venne recuperato  il legame di "sorellanza" tra letteratura e arti visive.
 
Un noto esempio è nelle "Vite" del Vasari: questo autore descrive il cartone preparatorio realizzato nel 1503  circa da Leonardo da Vinci per  la pittura murale che avrebbe dovuto rappresentare  "La  battaglia di Anghiari" nella "Sala del Maggior Consiglio") in Palazzo Vecchio, a Firenze. Ma, forse Leonardo si fermò alla fase preparatoria del muro, non portata a termine per motivi tecnici, senza mai iniziare la pittura.
 

Leonardo da Vinci, La battaglia di Anghiari, cartone preparatorio
#170
Ultimo libro letto / Re: Legge del desiderio
24 Novembre 2024, 14:38:38 PM
Lo scrittore e filosofo epicureo di epoca romana Tito Lucrezio Caro (98 a. C. circa – 55 a. C. circa) nel poema didascalico titolato "De rerum natura" (La natura delle cose), suddiviso in 6 libri, espone le sue teorie sulla natura, sul ruolo dell'individuo nell'universo e sulla religione: "Spesso proprio la religione ha dato vita ad azioni delittuose ed empie". Egli nega il finalismo provvidenziale di origine divina: la natura è "matrigna", non ha per fine il benessere dell'individuo, l'uomo è abbandonato a sé stesso. La natura ha per fondamento originario il caso e i suoi risultati rappresentano la cieca necessità naturale.

Nel libro V Lucrezio dice di non credere che la natura sia stata creata per ispirazione divina né che sia strutturata secondo un progetto volto al bene e alla felicità dell'uomo.
"Nessun oggetto nasce mai, per origine divina, dal nulla"; "nulla può essere creato dal nulla"; "nulla ritorna nel nulla".

Lucrezio dice che l'individuo non deve temere né la morte né l'Inferno. Deve usare la ragione per raggiungere la "voluptas", ossia il piacere.

Nel IV libro espone la sua teoria sull'amore che crede basato sui sensi e sviluppa la sua concezione della passione amorosa: "la più grande e la più tragica tra le illusioni dei sensi". I "mutua gaudia" che eros elargisce sono lo strumento col quale la natura coinvolge uomini e donne nella frode del desiderio e ve li tiene avvinti".

Proviamo a seguire l'argomentazione di Lucrezio nell'intento di spiegare didascalicamente la fisiologia del desiderio erotico (vv.1037-1057) che mira al possesso di un corpo ma ha origine dalla mente: "idque petit corpus, mens unde est saucia amore" ( verso n. 1048). Corpus / mens: in questa opposizione sta la chiave che spiega perché il desiderio è di per sé insaziabile e in questo consiste la fraus (frode) della natura.

Lucrezio definisce la libido (v.1046) la "cupido muta" (1057) perché l'intensità del desiderio è inesprimibile con le parole.

Coerentemente con il suo intento didascalico, Lucrezio mette in guardia il lettore contro i pericoli della passione, gli consiglia di "fugitare simulacra e absterrere pabula amoris", di separare il desiderio sessuale dall'amore e teorizzando che il piacere sessuale è più puro senza amore: "Nec Veneris fructu caret is qui vitat amorem, sed potius quae sunt sine poena commoda sumit" (vv. 1073-74).

Lucrezio, mettendo al centro della sua analisi l'uomo, indaga il meccanismo psicologico del desiderio calandosi all'interno della mens che desidera, esprimendo la dannazione del desiderio sempre frustrato, l'angoscia della gelosia, il rimorso per lo spreco di energie e di vita, l'impazienza dell'amante che di fronte all'oggetto del proprio desiderio vorrebbe possederlo tutto insieme nello stesso istante e non sa da dove cominciare.

"Haec Venus est nobis; hinc autemst nomen amoris, hinc illaec primum Veneris dulcedinis in cor 1060 stillavit gutta et successit frigida cura. Nam si abest quod ames, praesto simulacra tamen sunt illius et nomen dulce obversatur ad auris". (vv. 1058-1062)
(= "Presagisce infatti il piacere un muto desiderio. Questa è Venere in noi; da qui poi è il nome di amore, da qui per la prima volta stillò nel cuore quella goccia della dolcezza d'amore e gelido affanno seguì. Infatti pur se è lontano quel tu ami, vicino tuttavia ti stanno i suoi simulacri ed il dolce nome nelle orecchie ti risuona".)

Secondo Lucrezio chi evita l'amore non è privo di piacere, può invece godere la voluptas.

"Nec Veneris fructu caret is qui vitat amorem, sed potius quae sunt sine poena commoda sumit. 1075 Nam certe purast sanis magis inde voluptas quam miseris. Etenim potiundi tempore in ipso fluctuat incertis erroribus ardor amantum nec constat quid primum oculis manibusque fruantur".( vv. 1073- 1078)

(= "E non è privo del frutto di Venere chi evita l'amore, ma ne coglie piuttosto vantaggi che sono senza pena. Qui infatti è più puro il piacere per i sani che per gli infelici, perché nel momento stesso del possesso oscilla in un incerto vagare l'ardore degli amanti e non è chiaro di che cosa per prima godano con gli occhi e le mani".)

Diversamente, l'uomo non può che essere infelice, tormentato da stati d'animo in cui si alternano momenti contrastanti di irrequietezza, furore, violenza, tenerezza e illusione, ed ossessionato dal miraggio di quel corpus, con l'illusione di un appagamento che non trova, provando invece un piacere che è solo temporanea interruzione di una frenesia destinata a riproporsi con intensità maggiore. Si concepisce infatti l'assurda speranza che proprio il corpo, da cui proviene l'ardore della passione, possa diventare il mezzo per spegnerla: considerazione e comportamento destinati ad accrescere la sofferenza. Si genera di conseguenza l'insaziabilità che, a differenza del desiderio di cibo e bevanda, non può essere appagata dagli inconsistenti "simulacra" di un bel viso, e genera una condizione di continua sofferenza.

parafrasando  Luigi Pirandello: "Così è (se vi pare) .
#171
Ultimo libro letto / Legge del desiderio
24 Novembre 2024, 14:24:34 PM
L'ultimo libro scritto dal psicoanalista Massimo Recalcati e pubblicato la scorsa estate  è titolato: "La legge del desiderio. Le radici bibliche della psicoanalisi". Il testo unisce psicoanalisi e spiritualità.

L'autore riflette sulle parole di Gesù e propone una nuova lettura del messaggio cristiano.

"Non abbiate paura !" è il monito di Jesus per sottrarre gli individui dall'interpretazione solo moralistica e sanzionatoria della cosiddetta "Legge divina" e per affermare l'esistenza di un'altra "Legge" che tramite il desiderio serve la vita, li autorizza ad assecondare il proprio desiderio, la propria vocazione, i propri talenti. E' l'eredità del messaggio cristiano, ripresa dalla psicoanalisi di Freud e del cattolico Lacan.

La Legge divina non incute più il timore della punizione, non esige lo zelo del rispetto formale, per divenire una Legge che non annulla il desiderio, ma, al contrario, lo sostiene.

Gesù seppe unire la Legge all'amore.
È questa l'eredità essenziale assunta dalla psicoanalisi: la Legge non è nemica del desiderio, ma il suo fondamento. I riferimenti alle parabole, ai miracoli, alle guarigioni, a Pietro e a Giuda, alla notte del Getsemani, alla resurrezione e al pensiero di Paolo di Tarso sono rivisitati da Recalcati in modo sorprendente. Egli sfida luoghi comuni e stereotipi della lettura psicoanalitica del cristianesimo e con audacia mostra come la testimonianza di Gesù sia testimonianza della vita e del desiderio.

Le parabole, come è noto, sono la narrazione di un fatto immaginario ma appartenente alla vita reale, con il quale si vuole dire una verità o illustrare un insegnamento morale o religioso; nell'ebraismo rabbinico la parabola era molto comune nella predicazione e nell'insegnamento e fu questa la forma originale dell'insegnamento di Gesù.

L'argomentazione di Recalcati si sviluppa in una reinterpretazione del pensiero cristiano, abolendo l'opposizione tra virtù e peccato con l'introduzione del dualismo fede-peccato.

La differenza risiede nella visione del peccato non in quanto disobbedienza, ma come repressione della creatività e della produttività: "Nella Parabola dei talenti – esemplifica l'autore – due uomini su tre incrementano il numero di talenti a loro disposizione, mentre il terzo conserva l'unico talento in suo possesso seppellendolo per la paura di perderlo. I primi due vengono elogiati, mentre il terzo è invece condannato per aver messo la paura prima del desiderio, principio oggi di molti disagi psichici, soprattutto nei giovani".
#172
Percorsi ed Esperienze / Re: "Chimere"
21 Novembre 2024, 15:48:00 PM
Ciao Daniele,

io invece vorrei morire in breve tempo anziché vivere con una delle forme di demenza senile.

Perché vivere con quella malattia neurologica progressiva e debilitante che causa problemi con la memoria, in particolare amnesie, con il comportamento, la capacità di svolgere le attività quotidiane, il disorientamento spaziale e temporale, la diminuzione della capacità di decidere, ecc. ?. 

Quando si è  intorno agli 80 anni è così importante vivere altri anni ? Io dico di no !

A cosa serve vivere cento anni se non hai uno scopo, se psicologicamente non sei connesso agli altri, se ne passi venti tra letto e poltrona in una casa di riposo? 

A che serve  vivere  "senza memoria" ?   ???

#173
Percorsi ed Esperienze / "Chimere"
19 Novembre 2024, 20:01:57 PM
Cosa distingue un ricordo da un sogno ?

Perché alcuni sogni si ricordano e altri no ?

Comunque sia il ricordo sia il sogno si possono raccontare. Ma cosa accade quando i ricordi cominciano a sbiadire fino a cancellarsi ? Tale problema è il soggetto di film memorabili, come "Eternal sunshine of the spotless mind", "Le pagine della nostra vita" o "Still Alice", che raccontano ciò che si ostina a sfuggire alla perdita di sé.

Ne parla anche lo scrittore e poeta olandese Hendrik Jan Marsman (1937 – 2012), meglio conosciuto con il suo pseudonimo: J. Bernlef, nel libro titolato "Chimere", romanzo pubblicato in Olanda nel 1984 col titolo: "Hersenschimmen", in inglese: "Out of mind". Il libro esplora il tema della memoria e della sua dissolvenza, offre una rappresentazione realistica della discesa della mente nella demenza dal punto di vista del malato.

Protagonista è Maarten Klein, un settantenne che vive con la moglie Vera a Gloucester, sulla costa a nord di Boston. Le giornate dei due, emigrati da tempo in America, si ripetono, scandite da abitudini rassicuranti: la pizza la domenica, le passeggiate col cane Robert, brevi conversazioni con i vicini. I figli, ormai adulti, non si fanno né vedere né sentire.

In quel "quadro" di vita tranquilla s'insinua la malattia. La mente di Maarten non è più pronta e lucida,  comincia a dimenticare, a perdersi anche nei gesti quotidiani.

Come in tanti casi di demenza, sono più vivi i ricordi di un passato lontano, di decenni prima vissuti in Olanda.

Finché un giorno d'inverno  tutto cambia. Accade quando Maarten guarda fuori dalla finestra  e non vede quello che si aspettava di vedere: i bambini che tutte le mattine salgono sul pullmino per andare a scuola, con i loro zaini colorati e gli schiamazzi che danno allegria. Non li vede perché quel giorno è domenica e non è mattina, gli dice Vera, porgendogli una tazza del loro tè pomeridiano.

Marteen rimane perplesso, non ricorda nulla delle ore precedenti. Pensa che non ha mai avuto una buona memoria, e si domanda come ha fatto a dimenticare un'intera mattina. Come se non ci fosse mai stata.

E' un episodio da cui l'uomo non tornerà più indietro. Lui stesso racconta le vicende di quell'inverno che è anche la sua ultima stagione, quella in cui tutto s'addormenta, quella in cui il ciclo vitale naturale ha fine.

Il giorno dopo porta fuori casa il cane per la passeggiata quotidiana e torna a casa da solo, perdendo di vista il cane e ignorando il motivo per cui era uscito.

Una mattina si alza dal letto, si veste per andare al lavoro, ma è in pensione da anni.

A volte è convinto di essersi appena svegliato e di dover bere il caffè, invece è l'ora di cena.

La malattia si incunea piuttosto velocemente nella mente di Maarten: l'uomo dapprima si scorda di prendere la legna, poi va alla ricerca di qualcosa che, nel frattempo, non ricorda più cosa fosse.

"Provo a leggere il libro che ho in mano ma le parole non si decidono a fare una frase. È come se all'improvviso non padroneggiassi più l'inglese malgrado negli ultimi anni sia diventato praticamente bilingue".

L'uomo è angosciato. Capisce che c'è qualcosa che non va.

La moglie è sempre  accanto  al marito; sfogliano l'album di fotografie che raccontano decenni di vita insieme per recuperare ciò che si sta dissolvendo nella mente di Maarten, spesso confuso e irritato.

Vera durante una telefonata così si confida: "Comincio a preoccuparmi sul serio. A vederlo non ha niente di strano ma è proprio questo che fa tanta paura. Certe volte racconta cose di noi che io non ho mai vissuto. Come se ai suoi occhi fossi un'altra [...] Mi sento inerme, non so come aiutarlo. È diventato così, praticamente dall'oggi al domani".

Intorno a questa anziana coppia ci sono altre persone che rispondono ai richiami d'aiuto di Vera: sono il dottor Eardly,  la giovane badante Phil Taylor, che il protagonista scambia per un'amica dei figli e che, giorno dopo giorno, continua a non riconoscere nonostante lei ora faccia parte della famiglia. Maarten smarrisce i tanti frammenti del suo vissuto: non riconosce più i luoghi e poi perde anche la dimensione del tempo.

Vien voglia di abbracciarlo quando non riesce a compiere i gesti più ordinari, come vestirsi da solo, quando crede che i suoi genitori siano ancora vivi. Di confortarlo quando si sente in colpa per le lacrime di Vera, che dalla rabbia iniziale è passata alla disperazione perché ha capito che l'uomo che ama sta dimenticando tutta la sua vita e la loro vita.

"La gente della nostra età vive dei propri ricordi. Persi i ricordi, non rimane nulla", dice Vera tenendosi la testa tra le mani.

"Chimere" è una storia commovente e toccante. J. Bernlef descrive la malattia in maniera accurata e pertinente racconta di essa con  espressioni coinvolgenti, emozionanti.

L'avvicinarsi della fine è triste ma anche questo fa parte della vita.

L'autore delinea quel doloroso tratto che ognuno di noi dovrà percorrere e che forse ha vissuto accanto a qualche familiare o amico.

L'argomento su cui la narrazione ruota è quello della transitorietà: la consapevolezza che per tutti il tempo passa, tutto cambia e nulla resta uguale.

Il nostro orologio interno va con quello delle stagioni. Ma, proprio alla fine, nella più fredda delle stagioni, l'inverno, quando la mente non è più lucida e non comprende neanche più la sofferenza, s'insinua la speranza.

"Ascolti solo la voce che sussurra [...] si può guardare, guardare fuori... il bosco e la primavera imminente... la primavera che sta per cominciare".


p. s. leggo che la demenza senile è una  malattia neurodegenerativa dell'encefalo.

Colpisce molte persone anziane e determina una riduzione graduale e irreversibile delle facoltà cognitive.

La perdita della memoria (o amnesia) consiste nell'impossibilità, parziale o totale, di ricordare esperienze passate, recenti o più remote. In casi gravi, il soggetto affetto da amnesia può anche non riuscire ad acquisire stabilmente nuovi ricordi.

Esistono vari tipi di demenza senile, uno è il morbo di Alzheimer.
#174
Tematiche Culturali e Sociali / Santa Marcia
16 Novembre 2024, 15:13:17 PM

Santa Marcia, si guarda allo specchio e dipinge l'autoritratto, miniatura  dal "De claris mulieribus" di Giovanni Boccaccio.
 
De mulieribus claris o De claris mulieribus (= Le donne famose) è un testo in lingua latina elaborato tra il 1361 e il 1362 per descrivere le biografie di 106 donne famose e le loro azioni malvage o virtuose.
 
Per scrivere questo libro Boccaccio fu motivato dal "De viris illustribus" di Francesco Petrarca, contenente le biografie di vari uomini.
 
In precedenza lo scrittore toscano compose un testo titolato "De casibus virorum  illustrium" con le biografie di 56 uomini e donne, poi elaborò il De mulieribus claris, dedicato soltanto a personaggi femminili.
 
Le biografie cominciano con quella di Eva, la prima donna secondo la Genesi, e concluse con quella della regina Giovanna I d'Angiò, di Napoli,  donna famosa  al tempo di Boccaccio.
 
 
Nell'elenco ci sono molte donne leggendarie, come Elena di Troia o le Amazzoni, che al tempo di Boccaccio si pensava fossero reali personaggi storici.
 
Ma chi era santa Marcia ? Duc tu frequenti quell'ambiente ne sai qualcosa ?

Il nome è di origine latina, e secondo alcuni deriva da Mars (Marte), il dio della guerra.
 
Martia e Marcia sono  le forme femminili  dei nomi latini  Martius e Marcius.
 
"Marcia" significa "appartenente a Marte". In epoca romana era diffuso tra le figlie dei soldati.
 
Nel Rinascimento il nome "Márcia" fu di "moda" nelle famiglie aristocratiche.
 
Sinonimi di Marcia sono Marzia, Mara e Marta.
 
Marta è  un nome semitico e in aramaico  significa "signora" o "padrona".
 
Marta è la figura biblica descritta nei vangeli di Luca e Giovanni come sorella di Maria e Lazzaro. I tre abitavano a Betania, vicino Gerusalemme.
 
Nel Vangelo di Luca (10, 38 – 42) le due sorelle accolgono Gesù in casa. Mentre Marta si occupa delle faccende domestiche, Maria si siede  per ascoltare ciò che dice Gesù. Marta se ne lamenta, ma Gesù  le risponde: "Marta, Marta, tu ti preoccupi e ti agiti per molte cose, ma una sola è la cosa di cui c'è bisogno. Maria si è scelta la parte migliore, che non le sarà tolta".
 
Invece nel Vangelo di Giovanni (11, 1 – 45) le due sorelle mandano a chiamare Gesù perché venga a guarire Lazzaro che si è ammalato, ma Gesù si attarda e quando giunge Lazzaro è già morto. Gesù dialoga con Marta e ottiene da lei una professione di fede: "Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio che deve venire nel mondo". Quindi  Gesù si reca al sepolcro e resuscita Lazzaro.
 
Ancora il Vangelo di Giovanni (12, 1 – 3): "Sei giorni prima della Pasqua, Gesù andò a Betània, dove si trovava Lazzaro, che egli aveva risuscitato dai morti. E qui gli fecero una cena: Marta serviva e Lazzaro era uno dei commensali. Maria allora, presa una libbra di olio profumato di vero nardo, assai prezioso, cosparse i piedi di Gesù e li asciugò con i suoi capelli, e tutta la casa si riempì del profumo dell'unguento".
 
Questo episodio c'è anche nel Vangelo di Matteo (26, 6 – 13) e in quello di Marco (14, 3 – 9), ma non nominano le due sorelle e situano la cena in casa di Simone il lebbroso.
#175
Tematiche Spirituali / Re: Inferi, inferno
15 Novembre 2024, 08:42:23 AM
Buongiorno Duc oggi per colazione ti offro questo post.

La mitologia greca narra  che  l'entrata negli inferi è in una caverna  a capo Matapan (detto anche capo Tenaro il punto più a sud della  penisola della Maina, in Laconia (Grecia).

 

 
La spelonca è la dimora del dio Hádēs (= Ade, significa invisibile, ed anche oscuro), nome che identifica sia la divinità sia il  sotterraneo regno dei morti e delle ombre, denominato Plutone dai Romani.
 
Sul promontorio  di Capo Matapan gli Spartani costruirono alcuni templi, uno dei quali dedicato a Poseidone. Lo costruirono sopra la caverna d'entrata nell'Ade, di cui oggi restano alcune antiche rovine, inglobate in una successiva chiesa cristiana dai Bizantini, ed è ancora in uso.
 
Anche Hádēs aveva una moglie, Persefone, detta anche Kore (figlia di Demetra, patrona della fertilità, dell'agricoltura e delle stagioni), da lui rapita e portata negli inferi per sposarla contro la volontà della ragazza, poi costretta a diventare  la regina dell'oltretomba.
 
Demetra, disperata,  reagì al rapimento della figlia provocando un lungo inverno e la carestia.
 
Intervenne Zeus e si giunse ad un accordo: Persefone poteva trascorrere sei mesi con il marito nelle stagioni autunno e inverno  e sei mesi sulla Terra con la madre, in primavera e in estate, facendo rifiorire la natura. Poi Persefone, entrò a far parte anche della mitologia romana col nome di Proserpina.
 
Per la mitologia romana, invece,  l'entrata nell'Ade  era vicino  il lago di Averno, presso Cuma, nei Campi Flegrei.  Virgilio nel VI libro dell'Eneide narra il viaggio dell'eroe Enea insieme alla Sibilla Cumana:  "C'era una grotta grande e profonda, protetta da un nero lago e dalle tenebre dei boschi, sulla quale nessun volatile impunemente poteva dirigere il proprio volo con le ali, tali erano le esalazioni che, effondendosi dalla nera apertura, si levavano alla volta del cielo".
 
Approdato a Cuma, l'eroe troiano consulta la sibilla nell'antro vicino il tempio di Apollo e la prega di guidarlo negli Inferi. La sibilla accetta, ma l'eroe deve prima procurarsi il ramo d'oro da offrire in dono a Proserpina.
 
Enea, con l'aiuto di Venere, trova in un bosco il ramo d'oro e lo dà alla sibilla. Giunta la notte, e compiuto il sacrificio propiziatorio alle divinità infernali,  l'eroe e la sibilla entrano nell'Averno  ed iniziano il viaggio verso gli Inferi.  Incontrano mostri e simulacri di mali e malattie,  arrivano  sulla sponda del fiume Acheronte e attendono Caronte, il traghettatore infernale.
 
Duc, ma gli inferi del cristianesimo dove sono ubicati ?
 
La discesa di Gesù agli Inferi è affermato nel Credo degli apostoli: "Patì sotto Ponzio Pilato, fu crocifisso, morì e fu sepolto; discese agli inferi; il terzo giorno risuscitò da morte".
 
"Come  Giona rimase tre giorni e tre notti nel ventre del pesce, così il  Figlio dell'Uomo resterà tre giorni e tre notti nel cuore della terra" (Mt 12, 40).
 
Secondo il  "Catechismo della Chiesa Cattolica" (n. 632), "Gesù ha conosciuto la morte come tutti gli uomini e li ha raggiunti con la sua anima nella dimora dei morti. Ma egli vi è disceso come salvatore, proclamando la buona novella agli spiriti che vi si trovavano prigionieri". Questo è un altro esempio di mitologia cristiana.
 
Come già detto, gli inferi sono distinti e diversi dall'Inferno: questo esiste da quando Satana si ribellò con gli altri angeli ribelli a Dio. Sono loro che hanno 'costruito' l'inferno, separandosi da Dio.
 
Come concetto l'inferno si espanse  col  cristianesimo,  ma la concezione di 'dannazione' era  già conosciuta dagli Ebrei, in modo diverso.
#176
Tematiche Spirituali / Inferi, inferno
13 Novembre 2024, 09:17:39 AM
Inferi o inferno ? sono due luoghi distinti e separati.

Il sostantivo plurale Inferi deriva dall'aggettivo latino  infĕrus  (=  infero, che sta sotto). 

In ambito cristiano i biblici inferi simboleggiano il luogo del soggiorno dei morti. Vi discese anche Gesù dopo la sua morte sulla croce. La sua catàbasi (= discesa) prima della risurrezione.

Pietro, nel giorno di Pentecoste, durante  un suo  discorso agli "uomini di Israele"  cita il Salmo 16 per proclamare la risurrezione di Cristo: "Tu non abbandonerai la mia vita negli inferi, né permetterai che il tuo Santo subisca la corruzione" (Atti 2,27; Salmo 16,10).

Gli inferi non vanno confusi con l'inferno, che è sede della dannazione eterna. Coloro che ci si trovano sono privi della visione di Dio.

Sinonimi di Inferi sono l'ebraico She'ol, il greco Ade e l'Aralla mesopotamico:  luoghi  dei morti e delle ombre, soggiorno indifferenziato di tutta l'umanità, di giusti e peccatori.

La mitologia greca narra che il dio Hádēs (= Plutone)  ricevette la sovranità dell'Ade quando l'universo fu diviso con i suoi due fratelli Zeus e Poseidone, che ottennero rispettivamente il regno del cielo e del mare.


Ade e Cerbero,  il cane con tre teste

L'inferno, invece, è un luogo di sofferenza e di punizione per le anime dei peccatori. Ci sono gli individui reprobi dopo il giudizio finale  di Dio. Questo luogo è una allegoria per descrivere lo stato di isolamento e desolazione che viene dalla separazione del peccatore da Dio.

Lo scrittore francese Georges Bernanos (1888 – 1948) nel suo romanzo "Monsieur Ouine", pubblicato nel 1943, scrisse: "Si parla sempre del fuoco dell'inferno, ma nessuno l'ha visto. L'inferno è freddo".

Ancora Bernanos, nel suo capolavoro "Diario di un curato di campagna" spiega il  perché  di quel freddo infernale tramite la voce del protagonista: "L'inferno è non amare più".

Lucrezio, scrittore di epoca romana (98 a. C. circa – 50 a. C. circa), nel suo "De rerum natura"  scetticamente osservava: "I supplizi che dicono ci siano nel profondo Acheronte sono già tutti nella vita" (III, 978-9).

Altri autori e testi sono citati  nel libro titolato "Fuoco e fiamme", scritto da Matteo Al Kalak, docente di "Storia del cristianesimo e delle Chiese nell'università di Modena e Reggio Emilia.

L'autore descrive le scene infernali con tutte le spezie stilistiche del racconto, ricostruisce  "storia e geografia dell'Inferno", iniziando con la biblica Genesi e la frase "In principio ...".

Il realismo descrittivo si miscela con la metafora spirituale.

Come simbolo teologico dell'Inferno Gesù cita la Geenna, una valle scavata dal torrente Hinnom sul lato meridionale del monte Sion, usata nell'antichità a Gerusalemme come inceneritore dei rifiuti.

Un capitolo del citato libro di Al Kalak è dedicato alle "porte degli inferi", che la tradizione fa varcare al Cristo risorto. Tale "immagine" è collegata al passo evangelico riguardante il "primato di Pietro": "Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa, e le porte degli inferi (in greco "dell'Ade) non prevarranno su di essa" (Matteo 16, 18).

Varcare quelle soglie alla maniera dantesca come monito ai viventi.

Nel  citato libro il capitolo finale è titolato "Quel che resta dell'inferno"... nel nostro tempo.

Nel Catechismo della Chiesa cattolica, emanato nel 1992, c'è l'appello alla conversione, essendo "la pena principale dell'inferno la separazione eterna da Dio" (n. 1035).

Ovviamente nell'apparato immaginifico ci sono presenze e istanze molteplici: la figura di Satana, la misericordia divina, l'apparente eccesso della pena infernale in eterno.

Fin dall'antichità  cristiana si scontrano due tesi opposte:

quella "infernalista", sostenuta da Agostino vescovo di Ippona, dal teologo Tommaso d'Aquino, secoli dopo dal teologo francese Jehan Cauvin (in Italia conosciuto come Giovanni Calvino), che fu con Lutero il riformatore religioso del cristianesimo protestante nella prima metà del '500. Dal suo nome deriva il termine "calvinismo". Essi affermavano la certezza di un inferno popolato da dannati.

L'altra tesi, detta dell'apocatastasi, parola polisemica derivata dal  sostantivo greco apokatástasis. In ambito religioso e filosofico vuol significare "ritorno allo stato originario", in senso salvifico: "riconciliazione finale universale", nel linguaggio teologico "il  ristabilimento di ogni cosa nell'ordine voluto da Dio, alla fine dei tempi,  per cui l'inferno potrebbe essere vuoto, senza peccatori.

Nel cristianesimo il concetto è presente in un versetto degli "Atti degli apostoli" (3, 21): "Egli dev'esser accolto in cielo fino ai tempi della restaurazione (apokatastàseos) di tutte le cose, come ha detto Dio fin dall'antichità, per bocca dei suoi santi profeti".

Giustizia e misericordia divina sono, quindi, in contrappunto col tentativo di proporre almeno "il dovere di sperare per tutti".

Concludo citando lo scrittore cristiano inglese Clive Staples Lewis e il suo libro titolato: "Lettere di Berlicche", pubblicato nel 1942. L'autore ammoniva "che la via più sicura per l'inferno è quella graduale: la discesa dolce, morbida sotto i piedi, senza svolte improvvise, senza cartelli indicatori", in pratica senza l'incubo del fuoco e delle fiamme. :pentitevi:
#177
Percorsi ed Esperienze / Endofasia
08 Novembre 2024, 08:57:41 AM
Il sostantivo endofasia in ambito psichiatrico indica l'illusoria percezione di voci interiori, nei casi più gravi la percezione patologica di voci nella schizofrenia. Invece nel settore linguistico e letterario l'endofasia allude al monologo interiore, e il mio pensiero vola alla nota commedia di Eduardo De Filippo titolata "Le voci di dentro", nella quale la dimensione del sogno si confonde con quella della realtà: "Miche', io me l'aggio sugnato! Ma così naturale! [...]. Un sogno così inciso, preciso!".

Avete fatto caso a quella voce dentro di noi che a volte  ci parla ?

Le voci interiori hanno relazione con gli stati d'animo e possono essere coinvolte in disturbi ansiosi e depressivi.  Possono assumere la forma di monologhi o dialoghi  a due. Ad ascoltare siamo sempre e soltanto noi stessi. 

A queste voci sono stati attribuiti diversi nomi. Esse sono un parlare a sé stessi in segreto (verbalizzazione interiore). Talvolta possono affiorare  e superare la soglia della verbalizzazione, e allora sembra che si parli da soli.

"Quando siamo impegnati nella verbalizzazione mentale contribuiamo a dare forma alla nostra esperienza interiore e agiamo per il mantenimento di una narrativa coerente del nostro Sé", dice Helene Loevenbruck del "Laboratoire de psychologie et neurocognitions Cnrs" di Grenoble, autrice del libro: "Le mystère des voix intérieures".

La voce interiore o il discorso interiore ci parla della nostra vita passata, esaminandola e giudicandola.

Tramite i dialoghi intrecciati con noi stessi possiamo continuare a immaginarci come un'unica persona nel corso degli anni.

Queste voci hanno un ruolo determinante in diverse funzioni psicologiche: per l'autoconsapevolezza e per la costruzione della memoria episodica, quella che raccoglie il filo degli eventi della nostra vita; ma anche per la possibilità che offrono di comprendere l'ambiente circostante, di immaginare e pianificare il futuro, di prepararsi a un incontro o a un confronto, a fare congetture e a risolvere problemi. Sono utilizzate per l'auto-incoraggiamento, quando si devono affrontare sfide e difficoltà, servono come forma di auto-conforto e come voce auto-critica.

Alcuni non percepiscono in modo evidente di avere  un monologo o un dialogo interiore.

C'è chi sviluppa idee e vita interiore con altre forme di pensiero: intuitivo in vari casi, in altri, la persona può affermare che al momento in cui  deve esprimersi verbalmente si accorge di dover effettuare una specie di traduzione in parole di quello che è il suo pensiero originario. Questo fenomeno può apparire visibile agli interlocutori, perché talora si manifesta con lunghe pause nei discorsi.

Leggere in silenzio un libro è forse la più semplice modalità per rendersi conto della propria voce interiore, in particolare se si legge un testo di narrativa con dei dialoghi. Senza rendercene conto tendiamo ad attribuire sfumature diverse di voce ai vari personaggi della storia. Alcuni studi hanno dimostrato che queste voci hanno l'accento regionale di chi legge.

Senza rendersene conto, chi legge un testo difficile da comprendere, utilizza il sistema della sub-vocalizzazione: è quel mormorio tipico di chi sta imparando a leggere e che è di aiuto per passare dalla parola scritta alla parola compresa.

Interessante anche il caso delle voci interiori delle persone che parlano più lingue: alcune ricerche hanno mostrato come la voce interiore possa modificarsi a seconda  del tipo di discorso che si sta facendo.

Ad esempio, chi emigra in un'altra nazione e ha tardivamente appreso  una seconda lingua, può parlare a sé stesso con la lingua materna quando tratta argomenti legati al suo luogo di nascita e con la seconda lingua quando tratta invece argomenti che hanno a che fare con l'attualità della nazione che lo ospita.

Alcuni ricercatori sono andati anche a esplorare  quella particolare esperienza  di voce interiore rappresentata dai dialoghi presenti nei sogni.

I sogni sono il prodotto della mente del sognatore, perciò tutti i dialoghi e le voci che al loro interno si manifestano potrebbero anche essere considerate una forma particolare di voce interiore.

Uno studio pubblicato sulla rivista "Cognitive science", mostra come esperienze uditive  siano presenti in più della metà dei sogni fatti nelle varie fasi di sonno "rem" (= rapid eye movements", caratterizzato da rapidi movimenti oculari sotto le palpebre chiuse) i sogni presentano spesso persone che parlano e il sognatore percepisce  frammenti di quelle voci, tra le quali quasi mai c'è la sua. Sono voci spesso antipatiche o minacciose.

La voce interiore può diventare incessante e fuori controllo, difficile da fermare, fastidiosa e disturbante, anche quando ci si impegna in tutti i modi a tentare di "spegnerla". E' la cosiddetta "ruminazione psicologica" una forma di pensiero ripetitivo, solitamente attivato da eventi sfavorevoli della vita. E' considerata una strategia di regolazione delle emozioni negative.

Le persone usano varie strategie per la regolazione delle emozioni al fine di migliorare la propria esperienza emotiva nel caso di eventi stressanti.

La ruminazione rappresenta una forma di regolazione delle emozioni più dannosa di altre strategie, quali l'accettazione, la risoluzione dei problemi, la rivalutazione dell'accaduto o la soppressione dei pensieri.

Chi resta intrappolato nel pensiero ruminativo lo fa perché  forse sta tentando di comprendere  cause e conseguenze di tali eventi, al fine di mitigarne gli effetti. Ma questo tipo di pensiero, invece di aiutare a cercare soluzioni costruttive, finisce per focalizzare l'attenzione eccessivamente su di sé, sulle emozioni e sui problemi irrisolti, producendo così effetti negativi.
#178
Percorsi ed Esperienze / Re: Immagine di sé
18 Ottobre 2024, 12:56:46 PM
Daniele  sono giunto fuori tempo massimo per correggere il capoverso riguardante Schopenhauer. Va letto in questo modo: 

Il noto filosofo tedesco Arthur Schopenhauer (1788 – 1860) nel primo tomo di "Parerga e paralipomena" scrisse anche un breve saggio titolato: "Aforismi sulla saggezza della vita", fatto diventare un testo autonomo col titolo "L'arte di ignorare il giudizio degli altri".
Schopenhauer dice che diamo troppa importanza alle opinioni degli altri su di noi e che i loro giudizi condizionano i nostri comportamenti. Consiglia di imparare a vivere pensando al nostro benessere e alla nostra serenità.  ::)
#179
Percorsi ed Esperienze / Re: Immagine di sé
18 Ottobre 2024, 12:04:04 PM
Daniele ha scritto
Citazione L'orgoglio, tra altri motivi, è senz'altro un fattore decisivo. Per conto mio, meno si è orgogliosi più facile sarebbe trovare un'accomodante via ... e non è poi così difficile sbarazzarsi dell'orgoglio, valutandolo caso per caso, quando le sue insidie ci appaiano evidenti. La domanda, in quel momento del presente, difficilmente si scosterà dal "sei certo di andare avanti?


Ciao Daniele, paziente lettore dei miei post.

L'orgoglio, bell'argomento, meritevole di un topic.

L'orgoglio deriva dall'autostima, dalla consapevolezza di sé e delle proprie capacità. Ma se l'orgoglio è immotivato, se l'individuo eccede in quel che crede di sé, viene considerato un superbo o un vanesio.

L'orgoglio può indurre a sentirsi perfetti e superiori agli altri, ma spesso l'individuo orgoglioso è reduce da una "ferita" psicologica che provoca un senso di inferiorità. Nasconde fatti o eventi che l'hanno reso insicuro per errori commessi oppure offese subite da altri in passato.

In ambito religioso l'eccessivo orgoglio viene considerato superbia, come tale  è uno dei "sette peccati capitali".  

L'orgoglio, in senso psicologico,  viene diviso in due sottogruppi:

l'orgoglio negativo (falso), è quello dell'arroganza e del compiacimento (l'hybris greco, che significa   "tracotanza", "eccesso", "superbia", che può essere anche patologico);

l'orgoglio positivo,  promuove fiducia nelle proprie capacità e volontà di realizzazione, induce autostima.
 
I due tipi di orgoglio non sono molto diversi fra loro: diversi invece possono essere i modi di relazionarsi delle persone, di empatizzare con gli altri, di comunicare ciò che provano.

Torno al tema.
 
Il noto  filosofo  tedesco Arthur Schopenhauer (1788 – 1860) scrisse anche un breve saggio titolato: "Il giudizio degli altri":  è il quarto capitolo del suo noto  libro "Aforismi per una vita saggia".  Tale capitolo è stato fatto diventare un testo autonomo col titolo "L'arte di ignorare il giudizio degli altri".
 
Schopenhauer dice che  un difetto fondamentale dell'essere umano è quello di preoccuparsi troppo del giudizio altrui,  perché può essere motivato dall'ignoranza o dall'invidia. "Chi è consapevole di non meritarsi un'accusa può tranquillamente ignorarla".
 
L'economista ed imprenditore  statunitense Warren Edward Buffett scrisse: "Ci vogliono vent'anni per costruirsi una buona reputazione e cinque minuti per rovinarla. Se pensi a questo, farai le cose in modo diverso".
 
La reputazione è condizionata dal gruppo di riferimento, il quale usa valori e criteri di giudizio propri, che possono essere differenti da quelli di altri gruppi. Per esempio, in un gruppo di delinquenti un criminale può avere un'ottima reputazione, il rispetto, l'ammirazione, e continuamente giudicato degno di apprezzamento.
 
Da questo punto di vista la reputazione è uno strumento di controllo sociale. Esprime il valore che un gruppo attribuisce ai comportamenti desiderabili.
 
Nell'ambito lavorativo le persone desiderano essere considerate  competenti, attive, però è impossibile  sapere veramente cosa gli altri pensano di noi o come ci descrivono.
 

 
Tra auto-percezione e reputazione (che può essere positiva o negativa) c'è un necessario rapporto che coinvolge l'autostima e l'identità personale da un lato, e l'opinione degli altri su di noi, dall'altro.
#180
Percorsi ed Esperienze / Re: Immagine di sé
17 Ottobre 2024, 19:46:13 PM
Ieri ho fatto una sosta in libreria ed ho letto un paio di pagine del libro titolato: "Il coraggio di non piacere. Liberati dal giudizio degli altri e trova l'autentica felicità" (edit. De Agostini). Gli autori sono due  giapponesi: uno si chiama Ichiro Kishimi (filosofo e psicologo adleriano),  l'altro Fumitake Koga, scrittore di saggi.



E' diviso in cinque notti. In ognuna di esse c'è il dialogo tra un giovane insoddisfatto della propria vita e un saggio maestro (= Ichiro Kishimi).

Il giovane crede che la serenità o felicità sia soltanto illusione nel mondo dominato dall'apparire, dal mostrarsi più di quel che si è.

Invece il maestro è convinto che in questo nostro mondo caotico è importante vivere nel presente, lasciando andare il passato, essere sé stessi senza farsi condizionare  dal giudizio o dalle aspettative degli altri: "Ciò che gli altri pensano di noi  -se ci apprezzano oppure no-  è soltanto una loro opinione, non la nostra".

Serve il coraggio di scegliere, di cambiare, di essere liberi. E' sbagliato voler piacere a tutti per essere ammirati,  per il timore di non piacere abbastanza e di essere emarginati.