Menu principale
Menu

Mostra messaggi

Questa sezione ti permette di visualizzare tutti i messaggi inviati da questo utente. Nota: puoi vedere solo i messaggi inviati nelle aree dove hai l'accesso.

Mostra messaggi Menu

Messaggi - Donalduck

#166
Tematiche Filosofiche / Re:I postulanti dell'Assoluto
10 Dicembre 2020, 20:46:51 PM
Citazione di: bobmax il 10 Dicembre 2020, 15:52:49 PM
Sì, di modo che pure il soggetto esiste solo in quanto vi è un oggetto.

L'esistenza, intesa come esserci, consiste nella scissione originaria soggetto/oggetto.

Forte è la tentazione di propendere per uno dei due poli. Considerandolo così il fondamento, in modo che l'altro ne derivi soltanto.
Tuttavia questa tentazione non è forse espressione di un'allucinazione?
Cioè l'assurda pretesa di risolvere l'enigma pur rimanendo, evidentemente, nell'esistenza?

Che sia un'assurdità lo possiamo ben vedere considerando cosa significhino, per davvero, queste due contrapposte posizioni.

Svuotare cioè l'oggetto di ogni effettiva realtà, che rimane appannaggio del solo soggetto...
Oppure considerare l'oggetto a prescindere dal soggetto...

In entrambi i casi pure il polo che si vorrebbe "salvare" non può che svanire.

Ma in questa necessità di un reciproco legittimarsi, non vi è solo l'intrinseca debolezza di ognuno dei due.
Perché vi si può pure intravedere il Nulla che li origina.
Quasi esattamente quello che intendevo, solo che cambierei l'ultima frase. Non parlerei di "intrinseca debolezza" ma semplicemente di complementarietà a al posto del "Nulla" (termine che trovo assai problematico, ambiguo e in definitiva arbitrario) e di "origine", parlerei di Insondabile Mistero da essi evocato, a indicare qualcosa che non può essere né conosciuto né definito, almeno razionalmente, ma solo, appunto, evocato.

Il tuo Nulla però mi ricorda certi concetti esoterici, non saprei come altro chiamarli, che cercano di descrivere in termini puramente astratti la genesi come un passaggio dallo zero al tre: zero=nulla, uno=esistenza potenziale, due=manifestazione, tre=esistenza piena (con l'aggiunta del terzo elemento, che io identifico con quello che Peirce, parlando del segno, chiamava "interpretante", il terzo elemento della triade semiotica). Almeno questa è la mia personale estrema sintesi di concetti che si trovano in varie fonti espressi in varie forme, ma sempre in maniera molto più oscura e complicata.
Trovo questo schema molto interessante, anche se confinato a un ambito puramente astratto e intraducibile in termini esperienziali.
#167
Tematiche Filosofiche / Re:I postulanti dell'Assoluto
10 Dicembre 2020, 20:22:31 PM
Citazione di: Alexander il 10 Dicembre 2020, 11:16:08 AM
Senza un soggetto percipiente l'universo, anche se esistesse in maniera indipendente dal soggetto stesso, sarebbe esattamente come se non esistesse. Il concetto stesso di esistenza ha necessità di un soggetto che percepisce qual-cosa. Ogni cosa è tale perché è posta di fronte ad un soggetto che la definisce come "cosa". Allo stesso tempo il soggetto si definisce in rapporto all'oggetto: "io non sono questo; sono Altro da ciò".
Bisognerebbe specificare cosa significa "anche se esistesse in maniera indipendente dal soggetto". Il punto è sempre la definizione di esistenza o realtà (io non faccio distinzioni tra i due termini e li uso come sinonimi). Ritengo che sia impossibile definire l'"esistenza in sé" indipendentemente da qualunque soggetto, tutt'al più si può fare appello a una precaria (e a mio avviso fallace) concezione intuitiva non razionalmente esprimibile. In particolare mi sembra impossibile spiegare, sempre senza ricorrere al concetto di soggetto percipiente in cosa consista la differenza tra esistere e non esistere, in cosa consista questo attributo di "esistente". Senza questa definizione anche la frase citata non può avere un senso, basandosi su un concetto indefinito.
#168
Tematiche Filosofiche / Re:I postulanti dell'Assoluto
10 Dicembre 2020, 20:06:17 PM
Citazione di: Ipazia il 10 Dicembre 2020, 10:05:52 AM
Auspicando di poter riprendere a girare, per me la questione è  molto semplice: l'universo esiste indipendentemente da un soggetto che lo osservi ? Il realismo risponde sì,  l'idealismo, no. Io sono realista e pertanto ritengo l'ontologia, in linea di principio, indipendente dal rapporto soggetto-oggetto.
Non per voler riprendere il discorso da capo, ma quel che tentavo di dimostrare è che il realismo è insostenibile, a meno di non riuscire a dare una definizione di realtà che non poggi sui concetti di soggetto e oggetto. Ritengo che  questo sia impossibile e ti invitavo a provare a farlo. E per quanto riguarda l'idealismo, credevo che fosse chiaro che lo trovo altrettanto infondato del realismo. Sono due tipi di riduzionismo che pretendono di ridurre, appunto, i due inscindibili e imprescindibili aspetti della realtà a uno soltanto, un po' come voler ridurre un dei due lati di un foglio a uno soltanto dei due, pretendendo che uno derivi o sia generato dall'altro. Ma questi concetti li ho ripetuti parecchie volte, il fatto che siano stati sempre ignorati, pur essendo centrali nel mio discorso, mi fa capire che manca o non funziona un canale di comunicazione essenziale.
#169
Tematiche Filosofiche / Re:I postulanti dell'Assoluto
09 Dicembre 2020, 11:48:27 AM
Citazione di: Ipazia il 08 Dicembre 2020, 19:13:14 PM
Indubbiamente la nostra percezione della realtà ha aspetti intersoggettivi caratteristici della specie. Un gatto o una civetta, di notte, "vedono la realtà" sicuramente meglio di noi allo stato naturale. Ma da qui a "insinuare" che il referente del concetto di realtà dipenda dal rapporto soggetto-oggetto ce ne vuole[/size]
Io non insinuo, affermo, che non c'è modo di definire nessun concetto di realtà se si prescinde da quelli di soggetto e oggetto. La realtà può essere tale solo per un soggetto che la percepisce, e solo in relazione a questo si può parlare di esistenza o non esistenza. Se la pensi diversamente, perché non provi a definire il concetto di "realtà" (contrapposto a "irrealtà") e in che modo si possa individuare la differenza tra qualcosa di reale e qualcosa di irreale, sempre senza far riferimento a un soggetto o a un insieme di soggetti, piuttosto che respingere semplicemente la mia affermazione?


Comunque credo che viaggiamo su binari talmente divergenti che non sia possibile individuare un terreno comune su questo tipo di questioni. Ogni affermazione che faccio su un certo piano, la interpreti su un piano differente. Ogni processo di comunicazione ha i suoi limiti, e mi pare che a questo giro li abbiamo raggiunti.
#170
Tematiche Filosofiche / Re:I postulanti dell'Assoluto
08 Dicembre 2020, 17:32:18 PM
Citazione di: Ipazia il 05 Dicembre 2020, 18:34:45 PM
Allora siamo messi davvero male, considerato che tutte le nostre conoscenze di basano sullo studio di "impronte"
Certo, si tratta sempre di impronte, ossia di segni, ma i segni si organizzano, o li organizziamo (anche qui abbiamo la solita ambivalenza) secondo determinate gerarchie e relazioni. Quello che percepisco di un cane in carne e ossa è l'immagine visiva in movimento, i suoni, gli odori, tutti i dati sensoriali che sono sempre segni e sono tutto quello che costituisce la nostra sensazione di realtà (esterna), e di questo dobbiamo essere consapevoli, proprio per non peccare di eccesso di oggettivazione. Ma tra la percezione di un cane in carne ed ossa e quella di una rappresentazione immaginaria di un cane avvertiamo una grossissima differenza, stiamo parlando di quei piani ben distinti, anche se correlati, di realtà, di cui si è già parlato e di cui anche tu parli:
Citazione
Se mischiamo i piani arbitrariamente tutta l'episteme, e l'ontologia che la segue, annichiliscono e si precipita nell'insensatezza.
Appunto. Ma io non mischio nulla, anzi sottolineo la relativa indipendenza del mondo esterno e di quello interno. Chi mischia è casomai chi confonde la matematica con la realtà esperienziale e parla di "velocità del tempo" o di "espansione dello spazio" arrivando effettivamente a locuzioni insensate.

Citazione
Il referente è dato dal piano del discorso: reale, fantastico, mitologico,... Soggetto e oggetto funzionano solo in un ambito rigorosamente relativistico dopo aver delimitato con precisione la sezione di realtà "oggetto" del nostro discorso, all'interno del quale posso individuare soggetti e oggetti. Il chirurgo oggetto della mia contravvenzione potrebbe diventare (malauguratamente) il soggetto dell'operazione chirurgica che da soggetto multante mi trasforma in oggetto paziente.
No, no, quello di cui parlo è qualcosa di completamente diverso, non sto parlando di ruoli nelle relazioni in ambiti particolari, ma del fatto che qualunque tentativo di definizione di qualunque realtà non può in alcun modo prescindere da un soggetto percettore della realtà e di un qualcosa percepito da tale soggetto, ossia ciò che il soggetto riceve come oggetto della sua percezione. In altre parole della dipendenza intrinseca del concetto di realtà da quelli di soggetto e oggetto.

Citazione
Ripeti il mio stesso concetto sui limiti del binomio soggetto-oggetto inserendo il cigno nero che mi pare ridondante rispetto al ragionamento. Se trovo nel salotto un elefante che sta seduto sul divano del salotto senza sfondarlo vedrò di studiare il fenomeno. Ma finché non mi capita, do per scontato che l'elefante si siede sulla poltrona sfondandola dopo aver sfondato pure un muro per entrare.

Ma dai, che c'entra? E' chiaro che la mia era solo una citazione della famosa metafora dell'elefante in salotto, di quel fenomeno che Douglas Adams (l'ho già citato in qualche altro intervento) descriveva magistralmente come la sindrome del "not my problem". Quando percepisci qualcosa che è troppo in contrasto con la tua concezione delle cose, del mondo, con le tue consolidate aspettative, fingi talmente bene di non vederla che finisci con l'inibirne la percezione stessa. E non sto parlando di qualcosa che potrebbe capitare, ma qualcosa che capita continuamente, ossia la rimozione del Grande Mistero (le maiuscole non hanno alcun carattere divinizzante) che incombe su ogni istante della nostra vita, del paradosso permanente nel quale viviamo, dell'irremovibile irriducibilità della nostra esperienza a una rappresentazione razionale, della sua indescrivibilità (in senso unitario, globale) e dell'intrinseca lacunosità e frammentarietà della nostra conoscenza, non eliminabile da qualunque progresso scientifico.
Rimozione che porta a illusioni e illazioni come quelle di Stephan Hawking:
"What would it mean if we actually did discover the ultimate theory of the universe? ... if we do discover a complete theory, it should in time be understandable in broad principle by everyone, not just a few scientists. Then we shall all be able to take part in the discussion of why the universe exists. If we find the answer to that, it would be the ultimate triumph of human reason. For then we would know the mind of God."

Citazione
La gerarchia è data dal fatto che la realtà non fa sconti a chi non la prende sul serio confondendo i suoi piani. La subordinazione è materia neuropsicoscientifica laddove, senza pretese di "ultime verità" scientistiche, si cercano di stabilire le relazioni causali.

Questo che dici si accorda benissimo con quanto ho affermato, ma non è pertinente al discorso che facevo, ossia al rilevare l'arbitrarietà e l'insostenibilità del far derivare la coscienza e la psiche dalla materia, dal considerare la materia e le leggi fisiche (che tra l'altro non sono di natura fisica ma psichica) come "causa" dei fenomeni psichici (e in generale della vita).
#171
Tematiche Spirituali / Re:Spiritualità atea
08 Dicembre 2020, 10:18:55 AM
Non essendo ateo, bensì agnostico, anzi direi agnostico radicale, la mia spiritualità è molto diversa da quella atea.

Cominciamo col dire che il termine ateo in questo contesto è inadeguato. Se si parla di un Odifreddi e della concezione del mondo a cui la sua preghiera laica è ispirata si dovrebbe parlare di materialismo o fisicalismo, di quella tendenza del pensiero che ritiene che la coscienza e tutto il mondo psichico siano un sottoprodotto della materia-energia definita dalla fisica, nell'interpretazione più riduttiva un "epifenomeno", termine che non spiega e non chiarisce nulla ma tiene solo a rimarcare che la psiche non ha alcun reale potere causativo.
Ateo può anche esserlo qualcuno che crede nella magia o in qualche "al di là", ma Odifreddi non è questo tipo di ateo, è, appunto, un materialista o fisicalista.

Per chi ha una posizione del genere parlare di spiritualità significa necessariamente rifugiarsi nella metafora e nella poesia, avvalendosi della sua indefinitezza, del suo status di territorio franco dal punto di vista gnoseologico. Chi parla poeticamente non si assume la responsabilità di ciò che dice, la poesià non è confutabile e non ha regole. Questa è l'unica possibilità perché in realtà nella sua concezione del mondo non c'è spazio per una spirituaità che non sia un gingillo della mente privo di consistenza.

Nella mia posizione agnostica, caratterizzata dal motto "non credo in niente, ma non escludo nulla" (motto che ovviamente si applica anche a sé stesso, rispecchiando la natura paradossale, ossia razionalmente contradditoria, che attribuisco all'esistenza in generale) la spiritualità è qualcosa di molto pratico (spiegherò in seguito cosa intendo). E, a proposito di pratica, ovviamente questo mio non credere in niente non mi impedisce, in pratica, di credere in qualunque cosa trovi convincente e di comportarmi di conseguenza; ma è sempre un credere tra virgolette, conscio della sua fallibilità e transitorietà e del suo essere sempre relativo a un contesto.

Qualcuno ha citato Jiddu Krishnamurti, una figura che considero importante per diverse ragioni.
Per prima cosa, pur non rinnegando (né avvalorando) le conoscenze cosiddette "esoteriche", si è rifiutato di assumere il ruolo di maestro spirituale che gli era stato destinato dai teosofi da cui era stato formato, rivendicando e incoraggiando l'autonomia spirituale e di pensiero di ogni individuo. Per lui non ci sono maestri e discepoli collocati su piani e con ruoli distinti e definiti e il suo sforzo constante è sempre stato quello di non insegnare, ma di stimolare le facoltà mentali e spirituali. Sollecitava le domande, ma non dava risposte, rispondeva invece con altre domande, perché era convinto che qualunque risposta che venga dall'esterno non faccia altro che deprimere le facoltà dell'individuo e renderlo dipendente e ottuso.
Un altro principio importante da lui instancabilmente (e prolissamente) ribadito è quello della "libertà dal conosciuto", che la maggior parte dei seguaci della scienza ignora totalmente (per seguaci della scienza intendo non gli scienziati, ma coloro che hanno *fede* nella scienza, gli attribuiscono illimitate possibilità e il monopolio della conoscenza). In sintesi K. metteva in evidenza il fatto che normalmente ogni conoscenza deriva da una conoscenza precedente. Qualunque nuova esperienza viene inquadrata e interpretata servendosi del materiale precedentemente accumulato. Questo preclude qualunque conoscenza autenticamente nuova, che invece richiede un'apertura mentale, una ricettività inaccessibile per chi non riesce ad uscire dal recinto del conosciuto. E chi crede di "sapere" si guarda bene dall'evadere da questo limitante ma rassicurante territorio (questo lo dico io).

La lettura di Krishnamurti mi è risultata subito congeniale, per quanto un po' pesante, perché ho sempre avuto la tendenza a rifiutare l'autorità in tutte le sue manifestazioni, in particolare nel campo del pensiero. E in particolare l'autorità del sapere tradizionale, di cui non nego il valore, ma che diventa un fardello e un ostacolo se viene visto come vincolante.

E' probabile che questa lettura abbia influito sulla mia risoluzione, avvenuta un paio di decenni fa, di intraprendere una mia personale ricerca spirituale, basta proprio sulla mera osservazione di "cio che è" (un concetto sul quale anche K. insisteva) cercando di disfarmi di ogni preconcetto e di prescindere nei limiti del possibile da ogni conoscenza precedente. Questo chiarisce cosa intendevo dicendo che per me la spiritualità è qualcosa di molto pratico: l'esplorazione del mio mondo interiore, psichico, che vedo ben distinto da quello "esterno" per quanto ad esso evidentemente correlato. E da questo punto di vista trovo abbastanza fuori luogo sia la pratica di andare a cercare nei libri di psicologia ciò che solo noi possiamo osservare, sia quella di andarlo a cercare nelle religioni o nelle dottrine esoteriche.

Le religioni ritengo che siano soltanto degli apparati di potere, i più devastanti che siano mai stati concepiti, perché cercano di soggiogare non solo la volontà delle persone, ma anche la parte più profonda ed evoluta della loro psiche, i loro sentimenti più intimi, quello che viene chiamato "bisogno di spiritualità", facendo leva, come tutti i sistemi di potere, sulla paura e sulle debolezze umane.

Ma anche le scuole esoteriche finiscono col diventare dei sistemi di potere e di fossilizzazione delle conoscenze (ammesso che siano tali) e chiedono, come le religioni, di credere, di aver "fede" e spesso anche di venerare qualche individuo come se fosse una specie di dio. Si differenziano dalle religioni perché propongono dei sistemi di pensiero dotati di una certa coerenza e non sconclusionati come i dogmi religiosi e delle pratiche rivolte a sviluppare le proprie facoltà spirituali. Ma in definitiva, come le religioni, tendono anch'esse a trasformare gli uomini in burattini.

Tutto questo credo che sia devastante per lo spirito umano e sia antagonista della vera spiritualità, che non può che fondarsi sull'autentica esperienza diretta e non su fantasie o presunte conoscenze di qualcun altro, anche se il confronto con l'esperienza e il pensiero altrui è indubbiamente utile.
Questa ricerca per me implica anche la radicale messa in discussione di tutto quello che ho imparato nel corso degli anni e l'abitudine a non dar mai nulla per scontato, se non a fini eminentemente pratici.

Se dovessi dare un'indicazione a chi è interessato alla spiritualità direi: "se vuoi conoscere qualcosa di spirituale, smetti di credere e osserva e sperimenta".
#172
Tematiche Filosofiche / Re:Il dubbio
05 Dicembre 2020, 11:19:16 AM
Per me la parola dubbio esprime almeno tre diversi significati:

1) L'incertezza nel compiere una scelta, che è semplicemente una difficoltà nel valutare tutti i dati disponibili e trarne una definita indicazione pratica.
2) La consapevolezza della propria inadeguatezza, in generale, a giungere a conclusioni certe. Da cui consegue che pur compiendo scelte senza particolari rovelli, si mantiene costante la consapevolezza di poter sbagliare e di poter cambiare idea.
3) La generalizzazione del punto 2 al pensiero umano in generale, che porta a un'avversione per le certezze e per chi le ostenta.

Io li accolgo tutti e tre.
#173
Tematiche Filosofiche / Re:I postulanti dell'Assoluto
03 Dicembre 2020, 20:17:16 PM
Citazione di: Ipazia il 23 Novembre 2020, 10:05:25 AM
Qui subentra appunto la "gerarchia" epistemologica cui accennavo sopra. Se confronto l'impronta del cane col cane in carne ed ossa, al fantasma subentra la realtà. E posso fare altrettanto col cervo, lupo, capriolo, cavallo (ferrato),... Se invece mi imbatto nel fantasma della parola di una divinità riportato in un testo scritto da un umano il fantasma divino rimane tale.
Tu supponi che il cane in carne e ossa esiste e venga individuato, e che le impronte corrispondano alle zampe del cane. Ma questo, in generale , non accade, e il cane resta immaginario. E torniamo alla problematicissima definizione di realtà, se non relativizzata a un preciso contesto. Un cane è più reale di un pensiero? Non direi proprio. Sono altrettanto reali ma non appartengono alla stessa "dimensione" o  "sistema" o "contesto" di realtà. La realtà psichica e quella fisica sono interrelate ma non sono la stessa cosa, non sono governate dalle stesse leggi, anche se interagiscono tra loro. E il fatto che la nostra unica esperienza sia vivere contemporaneamente queste due realtà che non si possono considerare né unite né separate a me suggerisce, anzi mostra, l'irrudicibilità del paradosso dell'esistenza, quello che rende velleitarie (anche se istruttive) tutte le ricerche di "verità ultime".

CitazioneTornando alla "gerarchia" o specificità, se preferisci, degli ambiti ontologici, i concetti soggetto-oggetto sono indubbiamente più antropologici degli enti semantici cane-gatto. E' l'astrazione tipica del concetto che fa la differenza tra un referente reale ed uno astratto.
Qui persiste l'uso del termine "realtà" come se avesse un referente definibile e non ambiguo. A parte questo, non sono d'accordo nel definire soggetto e oggetto come concetti riferiti all'uomo. Come rilevavo prima, se si ragiona così tutto è antropologico, compresa la matematica. Per me soggetto e oggetto sono concetti che stanno alla base di qualunque possibile concetto di realtà per il semplice fatto che una res, una cosa, può essere tale solo per un soggetto interpretante, e un soggetto può essere tale solo in quanto percettore e interprete di una realtà. E' un gatto che si morde la coda, ma questa circolarità è quanto di più fondamentale possiamo estrarre, o astrarre, dalla nostra esperienza (che è l'unica fonte della nostra conoscenza).

CitazioneSi può legittimamente ragionare di soggetto ed oggetto ma bisogna definire rigorosamente il campo di esistenza, il contesto, in cui agire queste due figure concettuali per non cadere in Soggetti e Oggetti postulati in senso assoluto, la cui evidente irreperibilità spalanca le porte al Nulla metafisico e alla notte in cui tutte le vacche sono sembrano nere. Da tale pretesa (e pre-tesi) metafisica ci può salvare una dose razionale di sano relativismo.
Soggetto e oggetto non sono postulati in senso assoluto, ma in relazione al nostro concepibile. Di assoluto si può solo parlare in termini poetici, mistici, allusivi, non razionali. Io dico che qualunque definizione di realtà deve fare i conti con soggetto e oggetto e se tenta di prescinderne, lo fa fraudolentemente o illusoriamente, ignorando o cercando di sminuire (magari con la parolina "epifenomeno") qualche aspetto della nostra esperienza. E non dobbiamo dimenticare che in questa stessa esperienza hanno una parte di rilevo l'ignoto, il misterioso, il paradossale, che nessuna scienza o conoscenza ha se non superficialmente intaccato. Liquidare il mistero del soggetto e dell'oggetto, dello psichico e del fisico parlando di "entità irreperibili" (quindi da ignorare?) che "spalancano le porte al nulla metafisico" mi sembra solo un modo per aggirare il problema e non voler vedere l'elefante seduto sul divano del salotto (senza sfondarlo).


CitazioneNulla in contrario al sostituire l'oggettività con l'intersoggettività. Anzi: tale spostamento semantico toglie l'aura sacrale con la maiuscola davanti al concetto medesimo. Ma bisogna prestare attenzione al piano inclinato delle vacche nere perchè non tutte le deliberazioni intersoggettive si equivalgono. Il vaso di Pandora nol consente. C'è una gerarchia, o specificità, ontologica, epistemologica ed etica da rispettare anche quando ci si avventura nell'intersoggettività.
Certamente il compito delle nostre menti è mettere un ordine, anche gerarchico, nel flusso di informazioni che vi giungono. Ma c'è modo e modo di concepire e applicare le gerarchie. Se si tratta di stabilire che la rappresentazione di un concreto oggetto fisico è subordinato alla percezione (e quindi all'esistenza fisica) di quell'oggetto va bene, questo permette di distinguere un ricordo da una fantasia. Se si cerca invece di subordinare in generale la dimensione psichica a quella fisica o viceversa entriamo nel campo dell'arbitrio ingiustificabile.
#174
Tematiche Filosofiche / Re:I postulanti dell'Assoluto
23 Novembre 2020, 00:45:39 AM
Citazione di: Ipazia il 16 Novembre 2020, 11:53:29 AM
Citazione di: Donalduck il 14 Novembre 2020, 23:15:10 PM
Ad esempio, cosa c'entra il termine "antropologico" applicato al mio discorso su soggetto e oggetto?
Sono categorie del pensiero umano, ergo antropologiche.
Qualsiasi categoria è una categoria del pensiero umano. Ragionando in questo modo qualsiasi cosa si possa dire o scrivere, è "antropologico".

Citazione
CitazioneE cosa c'entrano le verità assolute?
In coloro che negano la gerarchia del sapere e dei suoi fondamenti colgo una nostalgia di Assoluto.
Non capisco cosa voglia intendere per e a cosa si applichi "negare le gerarchie del sapere e dei suoi fondamenti".

Citazione
CitazioneQuello che dicevo è proprio che non ci può essere nessuna verità assoluta e in particolare nessuna oggettività indipendente dal soggetto (ed è questo che certo pensiero oscillante tra il filosofico e lo scientifico porta avanti, una realtà oggettiva esistente indipendentemente da qualunque soggetto, una realtà-in-sé, non credo di essermelo inventato io). E questo perché il concetto stesso di realtà non può prescindere dal binomio soggetto-oggetto, come il concetto d'informazione (ed è interessante che diverse correnti sia scientifiche che filosofiche comincino a convergere verso l'idea che l'informazione sia il concetto più fondamentale che possiamo individuare alla base della realtà) implica necessariamente una sorgente dell'informazione e un destinatario. Di conseguenza ogni realtà non può che essere relativa, ossia relazione essa stessa, e non mai "entità", "universalità" (qui fatico a trovare termini adatti) a sé stante.
Se tutto è ugualmente soggettivo si perde quel contenuto fatale di sapere che ne coglie le successioni e le gerarchie imposte dalla natura.
Non ho affatto detto che tutto è soggettivo, ma che tutto è una unione indissolubile di soggettivo e oggettivo, e che quello che consideriamo collettivamente oggettivo è intersoggettivo, ossia corrisponde a ciò che riusciamo a condividere delle nostre esperienze soggettive (ovvero delle nostre individuali oggettività).

Citazione
Concordo sull'intersoggettività che ci libera dagli assoluti, ma non sull'uso dell'intersoggettività che pone sullo stesso piano euristico l'affermazione che Mussolini venne appeso per i piedi a piazzale Loreto e che Gesù Cristo è Dio figlio di Dio. Anche l'intersoggettività deve sottostare alle forche caudine della verità e della immaginazione.
Anche questo, ossia mettere sullo stesso piano qualunque affermazione negando la possibilità di stabilire una maggiore o minore verosimiglianza non lo si può desumere dalle idee che ho espresso, e infatti non lo penso.

Citazione
CitazioneE non ho mai parlato di verità "fallaci", casomai della fallacia intrinseca del termine verità assolutizzato. Penso anche che niente di ciò che arriva alla coscienza sia fallace, ma lo siano casomai le interpretazioni che diamo, ossia lo scambiare una cosa per un'altra, ad esempio una cosa solo immaginata per una cosa esistente nel mondo esterno.
Concordo. Porrei però attenzione al fatto che ciò che giunge alla coscienza vi giunge già filtrato dalla dogmatica/maieutica che ha agito su quella coscienza nella sua fase costitutiva ed evolutiva.
Tutte le informazioni che più o meno coscientemente riceviamo e accumuliamo concorrono all'interpretazione (e quindi alla rappresentazione) delle nostre esperienze.

Citazione
CitazioneDella possibilità di realtà alternativa ho fornito un esempio parlando delle percezioni sotto effetto di sostanze psicoattive, il modo in cui si percepisce quello che consideriamo la comune (condivisa) realtà cambia effettivamente, e non possiamo liquidare l'alterazione della percezione parlando di chimica, l'essere umano è comunque legato a processi chimici e non è affatto detto che quelli che consideriamo normali siano gli unici atti a dare un'intepretazione coerente dell'esperienza (ossia una rappresentazione coerente della realtà).
E tantomeno ho parlato di oggettività sovrumane, casomai di potrei ipotizzare intersoggettività alternative, che potrebbero anche essere sub/sovra/para/extra-umane, ammesso che si dia una qualche definizione non del tutto astratta di certi termini.
Sognare di volare nel sonno o negli stati tossici non ha mai fatto crescere le ali a nessuno e pertando l'oggettività/intersoggettività "umana" - comprensiva di indicatori che stabiliscono la glicemia e alcolemia ottimali - resta il punto di riferimento obbligato su cui sviluppare un logos credibile.
Esattamente quello che dicevo prima. Scambiare un sogno per un'esperienza del mondo "esterno" o "oggettivo" (intersoggettivo) è una fallacia interpretativa. Ma percepire da svegli il mondo in un altro modo, con o senza l'uso di sostanze psicoattive, è un'altra cosa.

Citazione
CitazioneCredo anche che parlare di chiavette d'accensione e di macchine che funzionano non porti da nessuna parte, se non a banalizzare tutto il discorso rifacendosi al realismo più ingenuo, che è il punto zero di tutta l'evoluzione del pensiero metafisico.
Il quale si è subito avvitato in Assoluti, di cui uno in particolare, sub/sovra/para/extra umano ci dà ancora parecchio filo da torcere. Quando sarebbe meglio dipanarlo e farci condurre da esso attraverso il labirinto del reale con mente più sgombra da fantasmi immaginari.
Il pensiero metafisico in generale soffre certamente di questa pretesa di assolutezza, ma non il mio. In ogni caso il pensiero metafisico non nasce per caso, ma della constatazione che il realismo "ingenuo" o acritico non si regge in piedi da solo.
La supposizione di intersoggettività extraumane viene piuttosto naturale se pensiamo alle percezioni degli altri esseri viventi, ad esempio di cosa possa essere la realtà per un insetto, dato che da quello che osserviamo degli insetti appare assai verosimile che siano dotati di una forma di coscienza in qualche misura affine alla nostra ma presumibilmente diversa, anche molto diversa, e di una percezione altrettanto diversa. Se si parte dal presupposto che la realtà sia un "miscuglio" non separabile di soggettività e oggettività ne consegue che la realtà dell'insetto, pur avendo intersezioni con la nostra, non si può dire che sia la stessa.
Quanto ai "fantasmi immaginari" sono protagonisti irrinunciabili di qualunque inferenza, come anche della creatività scientifica, filosofica e artistica. Se troviamo le impronte di un cane e deduciamo che lì è passato un cane, questo "cane" non è altro che un'entità immaginaria. Per non parlare delle "spaziotempo curvo" o del "big-bang", o anche dell'"atomo". Ma io, sia per l'extraumano che per il cane immaginato o per le entità immaginate dalle teorie scientifiche, eviterei di parlare di "fantasmi", termine che secondo me porta fuori strada.
#175
Tematiche Filosofiche / Re:I postulanti dell'Assoluto
22 Novembre 2020, 23:32:35 PM
Citazione di: Ipazia il 15 Novembre 2020, 16:22:36 PM
Entia non sunt moltiplicanda praeter necessitatem

Il cosiddetto "rasoio di Occam" è solo un'indicazione metodologica pratica di massima, non sempre utile e certamente di validità tutt'altro che universale, senza nessun valore ontologico o metafisico. Invece qui si sta ragionando proprio in quest'ambito e in particolare del valore e della portata delle nostre "verità".
#176
Tematiche Filosofiche / Re:I postulanti dell'Assoluto
14 Novembre 2020, 23:42:23 PM
Citazione di: Ipazia il 12 Novembre 2020, 21:21:59 PM
Ad esempio: fulmini, terremoti, pestilenze, diluvi, eclissi e cataclismi vari, attribuiti anticamente - ma qualcuno ci crede anche oggi - a volontà sovrannaturali, si sono via via rivelati per quello che sono, perdendo il loro carattere di eccezionalità.
Veramente nessuno ha mai dimostrato che i fulmini non sono lanciati da qualche Zeus arrabbiato. La scienza ha solo mostrato delle correlazioni con altri fenomeni, cioè il fatto che i fulmini si verificano quando si verificano determinate circostanze. Le quali circostanze potrebbero benissimo essere determinate a bella posta dal nostro Zeus con mezzi a noi sconosciuti, anche molto indiretti.
#177
Tematiche Filosofiche / Re:I postulanti dell'Assoluto
14 Novembre 2020, 23:15:10 PM
Citazione di: Ipazia il 12 Novembre 2020, 00:41:44 AM
Siamo sempre fermi alla ricerca di verità assolute, postulate in contrapposizione alle verità "fallaci" del rapporto antropologico tra soggetto e oggetto. Come se fosse possibile postulare una realtà alternativa a quella esperibile dalla sensorialità e cognitività umana. La quale è riuscita a rendere percepibile, grazie alla scienza e alle sue applicazioni tecniche, quello che percepibile non è. Di più non è possibile fare. Altre verità non si vedono all'orizzonte. All'orizzonte reale aumentato della cognitività umana. Concordo che si può fare di più. Nel fantastico mondo delle idee, nella metafisica hard. Peccato che anche questa grazia di Dio sia umana, troppo umana, troppo banalmente umana.

Dalla realtà sub specie humana non si scappa. L'aveva già capito Protagora 2500 anni fa. La misura è cambiata, aumentata in quantità e sensibilità, ma resta sempre misura umana. L'oggettività sovrumana resta appannaggio degli dei e dei loro postulanti. Illusoria per quel che mi riguarda.

Meno illusorio è il risultato progettato che si ottiene girando la chiavetta di accensione dell'auto. L'ora della verità.

Quello che scrivi sarebbe più chiaro se mettessi delle citazioni. Qui vedo dei riferimenti a quanto scritto da me, ma faccio fatica a trovare nessi logici.

Ad esempio, cosa c'entra il termine "antropologico" applicato al mio discorso su soggetto e oggetto? E cosa c'entrano le verità assolute? Quello che dicevo è proprio che non ci può essere nessuna verità assoluta e in particolare nessuna oggettività indipendente dal soggetto (ed è questo che certo pensiero oscillante tra il filosofico e lo scientifico porta avanti, una realtà oggettiva esistente indipendentemente da qualunque soggetto, una realtà-in-sé, non credo di essermelo inventato io). E questo perché il concetto stesso di realtà non può prescindere dal binomio soggetto-oggetto, come il concetto d'informazione (ed è interessante che diverse correnti sia scientifiche che filosofiche comincino a convergere verso l'idea che l'informazione sia il concetto più fondamentale che possiamo individuare alla base della realtà) implica necessariamente una sorgente dell'informazione e un destinatario. Di conseguenza ogni realtà non può che essere relativa, ossia relazione essa stessa, e non mai "entità", "universalità" (qui fatico a trovare termini adatti) a sé stante.

In sostanza intendo dire che quello che chiamiamo "oggettivo" è in effetti intersoggettivo, cioè presuppone una identità di vedute e valutazioni, quindi un sistema di convenzioni basate su quanto gli esseri umani hanno in comune, su quanto percepiscono e pensano allo stesso modo. E, dato che comunque delle differenze ci sono, questa presunta "realtà oggettiva" ha i contorni abbastanza sfumati ed è variabile nel tempo e nello spazio (sia esterno che interiore). Quindi quello che trovo fallace, pur sperimentandolo se guardo solo da un certo punto di vista, è questo senso di solidità, indipendenza e oggettività assoluta che il mondo esterno ci trasmette, al punto da portare alcuni al riduzionismo materialista che in sostanza nega qualunque consistenza all'esperienza interiore (che si manifesta come una vera e propria realtà parallela sovrapposta a quella esterna, qualunque disquisizione si possa fare in proposito, ma senza la stessa "solidità" del mondo esterno)

E non ho mai parlato di verità "fallaci", casomai della fallacia intrinseca del termine verità assolutizzato. Penso anche che niente di ciò che arriva alla coscienza sia fallace, ma lo siano casomai le interpretazioni che diamo, ossia lo scambiare una cosa per un'altra, ad esempio una cosa solo immaginata per una cosa esistente nel mondo esterno.

Della possibilità di realtà alternativa ho fornito un esempio parlando delle percezioni sotto effetto di sostanze psicoattive, il modo in cui si percepisce quello che consideriamo la comune (condivisa) realtà cambia effettivamente, e non possiamo liquidare l'alterazione della percezione parlando di chimica, l'essere umano è comunque legato a processi chimici e non è affatto detto che quelli che consideriamo normali siano gli unici atti a dare un'intepretazione coerente dell'esperienza (ossia una rappresentazione coerente della realtà).

E tantomeno ho parlato di oggettività sovrumane, casomai di potrei ipotizzare intersoggettività alternative, che potrebbero anche essere sub/sovra/para/extra-umane, ammesso che si dia una qualche definizione non del tutto astratta di certi termini.

Credo anche che parlare di chiavette d'accensione e di macchine che funzionano non porti da nessuna parte, se non a banalizzare tutto il discorso rifacendosi al realismo più ingenuo, che è il punto zero di tutta l'evoluzione del pensiero metafisico.
#178
Tematiche Filosofiche / Re:I postulanti dell'Assoluto
11 Novembre 2020, 22:55:27 PM
Citazione di: Ipazia il 11 Novembre 2020, 19:53:02 PM
L'idea di una scienza non democratica nasce dalla forza di gravità, indifferente ad ogni decreto, convenzione e assembramento umani. Forza di gravità fondamento, nel suo ambito, di verità (provare a negarla e vedere l'effetto che fa). Quella verità di cui la (cono)scienza è ancella.
Convenzionali sono le unità di misura, politiche le camarille che la parassitano, ma l'unica verità cui tutti si affidano, compresi i negazionisti, è quella scientifica. Ancora troppo limitata, rispetto alla complessità del reale, ma extra scientiam, nulla salus.
Si tratta di due diversi livelli di convenzione e due diversi ambiti applicativi. La prima si riferisce alla interpretazione di fenomeni, esperienze che in qualche modo condividiamo. La forza di gravità non è affatto una verità, è un'interpretazione convenzionale di un certo tipo di fenomeni che possiamo costantemente osservare, la concretizzazione concettuale di una serie di relazioni osservate, misurazioni effettuate, elaborazioni concettuali, teorizzazioni e verifiche. Solo nella mente scientisticamente orientata (dove per scientismo intendo la scienza intesa come mezzo di conoscenza e d'interpretazione universale e unico dell'esperienza) tale forma assume l'aspetto di una verità. Una verità che comunque è sempre relativa a noi, alla nostra percezione, alla nostra capacità di ricevere ed elaborare dati, direttamente o indirettamente. Quindi alla relazione tra noi umani e quello che, collettivamente percepiamo più o meno nello stesso modo. Ma non mancano le eccezioni (visioni e "allucinazioni", stati alterati della coscienza, fenomeni cosiddetti paranormali di cui è impossibile verificare natura e "reale" sussistenza o meno, ma di cui esistono numerose testimonianze).

La seconda è la convenzione deliberata, consapevole, strumentale, quella delle unità di misura e dei linguaggi e di tante altre cose.

Ma il tipo di convenzione a cui mi riferivo parlando della verità si situa anche a un livello più profondo, più astratto, se vogliamo. Si tratta di una convenzione non cosciente, non deliberata, non più cosciente e volontaria del funzionamento dei nostri organi interni, una convenzione "scritta nel DNA", che struttura e determina l'esperienza stessa e prevede interpretazioni e risposte precostituite ai fenomeni vissuti in tale esperienza. Tutto quello che possiamo dire, in definitiva e che per noi, individualmente, collettivamente come gruppo più o meno ampio o come umanità intera, per quanto possiamo attualmente giudicare, le cose stanno in un certo modo.
Una suggestione che può chiarificare è quella che troviamo nei libri di Castaneda, in cui lo sciamano parla di un immateriale "punto d'unione", spostando il quale cambia il modo d'interpretare la realtà (la "convenzione", il codice, il protocollo), la lunghezza d'onda su cui ci si sintonizza, col risultato di percepire il mondo in un modo completamente differente. Che poi è quello che in qualche misura si sperimenta sotto l'effetto di certe sostanze psicoattive come LSD, mescalina ecc. (i cosiddetti "allucinogeni").
Ma, al di là delle suggestioni, per me tutto si riconduce alla semplice indissolubilità di soggetto e oggetto, coscienza e realtà e al fatto che ogni tentativo di definire una "realtà" che tenti di escludere una delle due facce della moneta sia destinato a perdersi nel nonsenso, in particolare il concetto di realtà oggettiva esistente di per sé. L'unica realtà che conosciamo è nel suo insieme intrinsecamente paradossale, razionalmente inafferrabile, ogni tentativo di catturarla è come un gatto che rincorre la propria coda. E, come dicevo, è anche indissolubilmente legata al nostro punto di vista e alle nostre facoltà, alla nostra esperienza.

Citazionema l'unica verità cui tutti si affidano, compresi i negazionisti, è quella scientifica. Ancora troppo limitata, rispetto alla complessità del reale, ma extra scientiam, nulla salus
Qui temo che andiamo in direzioni parecchio divergenti. Per me la scienza non è "ancora troppo limitata", è intrinsecamente limitata. E questa concezione della scienza come unico e universale mezzo di conoscenza trova la mia più ferma opposizione. Anche se una certa attitudine scientifica è sempre utile e per certi versi salutare in qualunque tipo d'indagine di qualunque tipo, per me la scienza e le sue prassi possono avere un ruolo solo marginale nell'indagine sul mondo interiore, psichico. Lì i metodi, le tecniche sono totalmente differenti, anche se, ripeto, ci possono essere delle affinità  nell'elaborazione razionale delle esperienze. E l'esperienza psichica (non lo studio delle tracce dell'esperienza psichica nel mondo esterno) è una delle due facce - anche qui polarità e indissolubilità si ripresentano - della nostra esperienza: quella interiore contrapposta ma unita a quella esteriore.
E non posso neppure accettare l'idea che ci sia una "verità scientifica" che non sia convenzionale (ma come ho cercato di spiegare, convenzionale non significa arbitraria). Per me è solo il prodotto di un equivoco e una delle forme in cui si ripresenta l'assolutismo.
E il fatto che ci si affidi alla "verità scientifica" (ma c'è chi si affida anche ad altro) dimostra solo che è quanto di più affidabile siamo riusciti a trovare, e che funziona piuttosto bene per i nostri fini, ma non che sia effettivamente una "verità", anzi "la verità".
#179
Tematiche Filosofiche / Re:I postulanti dell'Assoluto
11 Novembre 2020, 18:25:27 PM
Citazione di: Aumkaara il 09 Novembre 2020, 17:44:56 PM
Manca un punto ... quello che cerca un assoluto nella trama stessa della propria esperienza cosciente, oltre qualunque percezione, emozione e pensiero.
...E lo scopo di questa ricerca, l'unica vera utilità, sta nei cambiamenti che avvengono in chi la esercita (cambiamenti utili anche solo ad assolutizzare sempre meno qualcosa, o come minimo a rendersi conto di quando lo si fa), non nell'oggetto della ricerca.
Questa per me è un'altra cosa che non ha niente a che fare con l'assoluto "oggettivo", che è quello di cui parlavo. Come dice Ipazia "la vita individuale autocosciente è un piccolo, irripetibile, assoluto". L'esperienza individuale è un assoluto nel senso che "è quello che è" in ogni momento, non c'è una realtà o una verità alternativa a quella rivelata da quest'esperienza. Se anche mi rendo conto di aver preso un abbaglio, questo non influisce sulla mia passata esperienza, ma solo sulla sua attuale valutazione da parte mia.
Io questa ricerca preferisco chiamarla ricerca dell'autenticità e sottolinearne il carattere negativo, che consiste nell'eliminazione, nei limiti del possibile, di condizionamenti e pregiudizi, sia nella sfera mentale che in quella emotiva, per arrivare a cogliere il messaggio più immediato, l'interazione più genuina, la spontaneità dei fenomeni e il loro più recondito significato.
#180
Tematiche Filosofiche / Re:I postulanti dell'Assoluto
11 Novembre 2020, 14:23:58 PM
Citazione di: Ipazia il 09 Novembre 2020, 22:18:57 PM
E' la verità a non essere democratica e la scienza ne è l'ancella. La verità non necessita dell'Assoluto trascendente, totalizzante e totalitario, ma si accontenta di assoluti localizzati come il cogito cartesiano, giustamente richiamato, luogo di ogni specifica ed irripetibile autocoscienza individuale umana sospesa tra due punti fatali.
Ripartire da quell'assoluto circoscritto ci permette di liberarci di tanta alienante zavorra veterometafisica e rifondare le relazioni su fondamenti immanenti.

La scienza non è né democratica né antidemocratica. La scienza non dice nulla, non fa nulla, non prende posizione su nulla. La scienza è solo un'astrazione, un concetto che indica un insieme molto complesso di attività umane e il loro prodotto. Solo gli uomini dicono, fanno, prendono posizione.

Per cui non la scienza, ma la comunità scientifica (altra astrazione, ma riferita a qualcosa di più concreto, una collettività umana operante) si può considerare più o meno democratica a seconda di quanto e come sia organizzata e di come funzioni. Per come è attualmente, dal momento che in generale non ha una vera organizzazione ufficialmente riconosciuta, si può considerare formalmente anarchica. Allo stesso tempo, dato che inevitabilmente si creano al suo interno centri di potere con legami con altri centri di potere che finiscono con determinare le tendenze prevalenti, si può parlare di oligarchia sostanziale dietro un'anarchia formale, proprio come per la nostra democrazia politica si può parlare di un'oligarchia sostanziale dietro una democrazia formale (anche se di forma piuttosto grossolana).

D'altra parte, la verità non è altro che una convenzione, più o meno universalmente accettata, fondata su criteri più o meno arbitrari, più o meno basati su esperienze condivisibili e condivise (a loro volta più o meno accuratamente ripetibili e tracciabili attraverso misurazioni), ma comunque saldamente ancorata al riconoscimento individuale. Nessuno potrà convincermi che due più due fa quattro se non ne vedo l'evidenza. E l'evidenza è un fatto percettivo, ci si presenta, così come i dati sensoriali complessi ma sintetici: vedo una sedia, c'è una sedia, non c'è nulla da dimostrare, la sedia è lì nella sua evidenza.

L'idea di una verità o di una scienza "non democratica" nasce appunto da quella di una metafisica assoluta, dalla convinzione che ci sia una una controparte del processo conoscitivo umano (la realtà) che si impone con una sua precisa, definita e definitiva essenza intrinseca del tutto indipendente, la famosa cosa in sé, al di là delle sottigliezze filosofiche che la trasfigurano in mille modi. Un'idea utile, perfino indispensabile, fin quando non si tenta, appunto, di assolutizzarla, dimenticando che percettore e percepito, osservatore e osservato, formano un tutt'uno inscindibile come i due lati di un foglio. Cosa facilmente constatabile ma di cui ci si dimentica facilmente finché qualcosa non ce lo ricorda in modo più o meno brutale (come nella fisica quantistica).

Quindi, se davvero vogliamo "rifondare le relazioni su fondamenti immanenti" dobbiamo accettare questo carattere convenzionale della verità, che rende conto anche delle sue alterne vicende e dei suoi stravolgimenti e rinunciare soprattutto a farcene portavoce abusivi, accontentandoci di esercitare opera di convincimento, se vogliamo, ma senza nessuna pretesa e soprattutto senza tentativi di coercizione. Democraticamente.