Menu principale
Menu

Mostra messaggi

Questa sezione ti permette di visualizzare tutti i messaggi inviati da questo utente. Nota: puoi vedere solo i messaggi inviati nelle aree dove hai l'accesso.

Mostra messaggi Menu

Messaggi - Loris Bagnara

#166
maral ha scritto:
CitazioneIl problema non è qual è l'universo di un lombrico, perché in quell'universo noi non entriamo per nulla  e se lo facciamo, se immaginiamo di poter cogliere la cosa per come stanno per i lombrichi, è sempre e solo dal nostro punto di vista, umanamente finalistico, che lo facciamo: è sempre e solo l'osservatore che parla e l'osservatore di cui possiamo intendere le parole come significanti siamo solo noi, comunque la pensiamo. L'unico presupposto che ritengo ragionevolmente lecito è il riconoscimento che al di fuori dei presupposti (che non scegliamo, ma da cui veniamo sempre scelti) non c'è nessuna possibilità di costruire scienze, filosofie, miti o una qualsiasi visione del mondo.
Non è che ci dobbiamo mettere nella testa del lombrico, non era quello il punto. Intendevo dire che lo spazio entro cui si muove la scienza ha un perimetro che dipende dall'osservatore e, con lo stesso osservatore, cambia nel tempo. Per dirla con Popper, oggi appartengono alla scienza cose che ieri non c'erano, e domani ci saranno cose che oggi vengono escluse. La storia della scienza è la storia di una continua violazione di confini precedenti.

Se il criterio con cui si deve decidere l'ammissibilità di un'ipotesi esplicativa è il perimetro attuale della scienza, si rischia di perdere un'idea potenzialmente feconda. Vale la pena, dunque, quantomeno di tentare, ma seriamente e senza preclusioni, la possibilità di mutare il paradigma corrente e allargare di conseguenza quel perimetro.

E poi, ma chi l'ha detto che l'idea di un "disegno intelligente" è così inconciliabile con un approccio scientifico? Quando si parla di intelligenza e di coscienza di solito le posizioni cadono ai due estremi: o è un fenomeno che trascende la realtà materiale (res cogitans cartesiana) o è un epifenomeno della realtà materiale (cioè un effetto collaterale, un'illusione, qualcosa di sostanzialmente trascurabile).
Ma esiste anche una posizione intermedia, la più sensata a mio avviso: la coscienza e l'intelligenza sono uno dei principi fondamentali dell'universo UNO, al pari di materia, energia, spazio, tempo.

Cos'è che disturba tanto nella concezione che anche l'intelligenza e la coscienza possano essere fenomeni indagabili sperimentalmente? La nostra intelligenza individuale non è forse un fenomeno di questo universo, che si esplica in questo universo? Forse che non ne tocchiamo concretamente gli effetti nelle nostre azioni quotidiane? Che cos'è allora uno psicologo? Un operatore trascendentale?

maral ha scritto:
CitazioneSu questo invece non sono per nulla d'accordo: come già detto, differenze minime dell'algoritmo possono determinare forme molto diverse e senza alcuna necessità che si passi per gli stadi intermedi. E' proprio la matematica (e le simulazioni al computer possono facilmente confermarlo) che lo dimostra, basti pensare alla teoria delle catastrofi. Se modifichi anche di pochissimo il valore di una variabile, in particolari situazioni, puoi ottenere in un colpo solo risultati completamente diversi, sia in termini quantitativi che qualitativi.
Forse non mi sono spiegato bene, accennando al gradualismo. Intendevo dire che una forma di selezione naturale può aiutare gradualmente un algoritmo genetico a produrre un ordine maggiore, una maggiore complessità, una forma più adatta al proprio ambiente. È quel che accade nella micro-evoluzione, dove non discuto il neodarwinismo.

Siamo d'accordo che piccole variazioni possono generare di colpo forme molto diverse: diverse sì, ma non più ordinate, non più complesse.
Tu usi il termine "qualitativo" (nel senso di "forme qualitativamente diverse"), che ha poco significato in fisica. Bisogna tornare al concetto di entropia dell'informazione, e l'entropia dell'informazione di un sistema ha molta più probabilità di aumentare (disordine) che di diminuire (ordine).
Se taglio un pilastro di un edificio, di colpo l'edificio crolla a terra, ma non mi aspetto che si ricostruisca sull'altro lato della strada, e non mi aspetto nemmeno che i materiali si mettano in bell'ordine: mattoni da una parte, vetro dall'altra etc. Una variazione catastrofica porta il sistema ad un nuovo punto di equilibrio che corrisponde ad un punto minimo locale dell'ordine, non ad un nuovo punto di massimo dell'ordine.

Invece la teoria dell'evoluzionismo a salti, nella macro-evoluzione, invoca tutta una serie di improbabilissime "catastrofi" che avrebbero prodotto, ogni volta, più ordine e complessità di prima (se consideriamo la totalità dell'evoluzione della vita, dall'ambiente pre-biotico ad oggi).

Come torno a ripetere, finché non si dimostra con modelli matematici che l'ordine può sorgere dal caos, l'idea della macro-evoluzione a salti resta un wishful thinking, come illustra ance l'articolo di Forastiere che ho citato in precedenza.
#167
Citazione di: HollyFabius il 25 Aprile 2016, 08:33:31 AM
Citazione di: Loris Bagnara il 24 Aprile 2016, 21:35:04 PM
Segnalo questo articolo a firma di Michele Forastiere, pubblicato sul blog di Enzo Pennetta.
http://www.enzopennetta.it/2012/09/verso-una-nuova-teoria-dellevoluzione/
A me sembra ben fatto, equilibrato e per nulla fazioso.
Riconosce i meriti del neo-darwinismo (ad esempio nello spiegare la micro-evoluzione), ma ne mette in luce le lacune (nello spiegare la macro-evoluzione, ad esempio).
Mi sembra ben informato e documentato, ed è ricco di riferimenti alle ricerche che alimentano il dibattito in corso.
L'articolo si conclude, costruttivamente, con una ipotesi per il superamento del neo-darwinismo verso una nuova teoria più completa.
Vi invito a leggerlo, in primo luogo perché mostra che le critiche alla teoria, avanzate anche in questo forum, trovano il loro posto nel mondo scientifico, e in secondo luogo perché, sensatamente, non dice che è tutto da buttare, e che la soluzione può trovarsi nel'ambito della scienza.

Concordo sulla qualità dell'articolo, ho qualche dubbio però sulla validità della critica fondamentale, quella legata ai "colpi di fortuna", cerco di esprimere sinteticamente il mio pensiero in merito.
Probabilmente possiamo enunciare un principio, la non applicabilità del calcolo statistico nella direzione del passato.
Supponiamo di prendere tutto l'elenco dei numeri estratti dalla ruota di Genova, dall'inizio dell'enalotto e chiediamoci quale probabilità c'era che uscissero quei numeri e in quella sequenza, la probabilità è così bassa da considerarla nulla. Ora chiediamoci la stessa cosa per ogni ruota, e otterremmo la stessa improbabile probabilità. Estendiamo l'esempio a tutte le ruote di tutte le lotterie terrestri.
Poi facciamo un saltino nel futuro, supponiamo di arrivare all'anno 15000 con una bella costanza di estrazioni settimanali, diventate giornaliere e magari arrivate ad una frequenza di una estrazione ogni minuto (con la tecnologia di oggi questo già potrebbe essere possibile). Bene calcoliamo la probabilità di uscita dell'unica sequenza di numeri di tutte le ruote di tutte le lotterie della terra da qui all'anno 15000 e rifacciamo una valutazione sulla differenza tra la probabilità della realtà e la probabilità di una qualunque simulazione.

La mia convinzione è che il calcolo delle probabilità riferito al passato sia un artificio logico da prendere con le molle e soprattutto da "evitare" quando si tratta di 1 accadimento unico. La probabilità è "probabilmente" sensata quando si parla di popolazioni di risultati e di numerosità di campioni. Bisogna considerare sempre il "se non così come altrimenti?"
Il calcolo probabilistico nella direzione del passato è regolarmente applicato in qualunque altra disciplina scientifica, qualora si presenti il caso.
Facciamo l'esempio della cosmologia. E' evidente che l'universo come si presenta a noi oggi è un caso unico, non è che abbiamo un milione di universi da confrontare. Però cosa fanno i cosmologi? Costruiscono tanti modelli matematici dell'universo per quante sono le differenti teorie da verificare; poi definiscono una condizione di partenza uguale per tutti (diciamo il Big Bang); definiscono le leggi (uguali per tutti) a cui devono sottostare tutti i modelli; poi fanno "partire il tempo", cioè i computer cominciano a calcolare l'evoluzione dei diversi modelli. Quando è passato virtualmente lo stesso tempo che intercorre fra il Big Bang e oggi, si ferma la computazione e si confrontano i risultati dei modelli evoluti: il modello che, a evoluzione terminata, appare più simile all'universo osservato, è il modello vincente, quello che ha più probabilità di avvicinarsi al "vero". Così funziona la scienza. Altrimenti sarebbe impossibile condurre qualunque riflessione su un fenomeno unico (e sono numerosissimi).
Del resto, anche il comune buon senso quotidiano non si comporta diversamente. Se dobbiamo risolvere un caso di omicidio, quale pista seguiamo? Quella di uno scenario verosimile, o quella di uno scenario assolutamente inverosimile, che si basa sulla concatenazione di eventi asolutamente fortuiti e improbabili? Naturalmente il primo.
In conclusione, non si vede perché il neo-darwinismo (che pretende di essere teoria scientifica)  non dovrebbe essere sottoposto, come tutte le altre teorie scientifiche, al vaglio del calcolo probabilistico.
#168
Segnalo questo articolo a firma di Michele Forastiere, pubblicato sul blog di Enzo Pennetta.
http://www.enzopennetta.it/2012/09/verso-una-nuova-teoria-dellevoluzione/
A me sembra ben fatto, equilibrato e per nulla fazioso.
Riconosce i meriti del neo-darwinismo (ad esempio nello spiegare la micro-evoluzione), ma ne mette in luce le lacune (nello spiegare la macro-evoluzione, ad esempio).
Mi sembra ben informato e documentato, ed è ricco di riferimenti alle ricerche che alimentano il dibattito in corso.
L'articolo si conclude, costruttivamente, con una ipotesi per il superamento del neo-darwinismo verso una nuova teoria più completa.
Vi invito a leggerlo, in primo luogo perché mostra che le critiche alla teoria, avanzate anche in questo forum, trovano il loro posto nel mondo scientifico, e in secondo luogo perché, sensatamente, non dice che è tutto da buttare, e che la soluzione può trovarsi nel'ambito della scienza.
#169
Citazione di: HollyFabius il 24 Aprile 2016, 14:12:01 PM
Se accettiamo il significato di retrogrado come di colui che è legato alle consuetudini e avverso al cambiamento del pensiero attorno al paradigma del senso della vita la risposta può essere solo "si è retrogrado".  :)
L'intuizione che è dietro alla teoria evoluzionista può semplicemente venire accettata o negata, la teoria invece criticata in molti o tutti i suoi aspetti ma la teoria presenta solo delle possibili declinazioni dell'intuizione.
Chiedo a chi critica l'evoluzionismo se nega le teorie evoluzioniste ma ne accetta l'intuizione o se invece nega l'intuizione originaria.
Per non nascondermi dietro un paravento di molte parole io sono convinto che tutte le persone, nessuna esclusa, che criticano la teoria dell'evoluzionismo in realtà ne rifiutino l'intuizione.  
Sebbene da un punto di vista strettamente logico l'intuizione evoluzionista non neghi la possibilità di un principio creativo razionale, essa colpisce la declinazione principale della filosofia cattolica, dove al principio creativo razionale segue un percorso razionale di trasformazione della realtà basato sulla volontà della stessa natura del principio creativo.
E' per questa ragione che viene accettata la teoria del big bang, perché questa pur possedendo alcune caratteristiche evoluzioniste non mina alla base l'idea della creazione da parte di un'entità superiore razionale, anzi rafforza la tesi della complementarietà. L'evoluzionismo al contrario invade proprio la declinazione principale, proponendo non una realtà assoggettata alla ragione bensì al caso, ovvero alla non ragione.
Ciao HollyFabius, non sono sicuro di aver be compreso cosa intendi per "intuizione originaria" dietro alla teoria evoluzionista.
i critici della teoria, qui, non negano l'esistenza dell'evoluzione, che è un dato di fatto, ma mettono in dubbio e discutono le spiegazioni date, perché invece potrebbero essercene altre. E per questo si chiedono prove: non della realtà dell'evoluzione, ma delle spiegazioni fornite.
#170
Citazione di: maral il 23 Aprile 2016, 22:32:20 PM
Citazione di: Loris Bagnara il 23 Aprile 2016, 16:22:00 PM
Ho insistito più volte sulla necessità di mettere alla prova matematicamente la plausibilità del neodarwinismo e dell'evo-devo.
Ho trovato che esiste un indirizzo di ricerca che dovrebbe fare al caso, ed è quello che si occupa di algoritmi genetici applicati alla biologia. C'è qualcuno di voi che conosce qualche risultato interessante in questo campo, a conferma o a smentita delle teorie suddette?
Io non ho nessuna mia teoria da difendere, e nessun pregiudizio su neodarwinismo e evo-devo: sono apertissimo a farle mie, purché se ne dimostri la plausibilità statistica.
E' da tempo che la biologia utilizza gli algoritmi genetici sia per costruire modelli matematici che possano dare ragione del manifestarsi di organismi viventi, sia della loro evoluzione. Ne trovi un esempio proprio nell'articolo di McShea che ho linkato nella seconda pagina di questa discussione, se avrai la pazienza di leggerlo. McShea introduce gli esempi computazionali su cui verte la dimostrazione della sua "Zero force evolutionary law" [...]
Mi sono andato a leggere l'articolo: non l'ho ancora studiato approfonditamente, ma me ne sono fatto un'idea per poter dire quanto segue.

1) La complessità generata dagli algoritmi genetici descritti nell'articolo è ancora incomparabilmente lontana dalla complessità biologica. Può darsi che in futuro ci si arrivi (oppure no, come dici tu), ma per adesso...

2) Gli algoritmi genetici funzionano in modo gradualistico, cioè un piccolo passo dopo l'altro. In questo modo si potrebbe forse spiegare l'evoluzionismo graduale, che però è proprio quella soluzione che la maggioranza degli utenti di questo forum scarta, preferendo la soluzione a salti. E del resto, lo abbiamo già detto, l'evoluzione graduale è smentita dalla mancanza di prove fossili sufficienti. Quindi, in sostanza, ne ricavo che l'evoluzionismo a salti non ha ancora il benché minimo supporto dagli algoritmi genetici.

3) L'articolo ha l'intento di spiegare come la complessità biologica sia stata ridotta dall'evoluzione, non come si sia accresciuta dall'inizio della vita: cioè, la complessità biologica è assunta come un punto di partenza del discorso, anziché come un risultato da spiegare.

Poi, maral, hai scritto:
CitazionePersonalmente comunque sono molto scettico sul fatto di poter costruire modelli matematici coerenti a quanto accade biologicamente in natura: penso che la biologia non è e non sarà mai ascrivibile alla fisica e men che meno alla matematica, se non in ambiti assai circoscritti.
E quindi a cosa mai ci si potrà affidare per scoprire su quali meccanismi si basa - cioè come realmente funziona - l'evoluzionismo a salti?

a) Modelli matematici, no, lo dici anche tu.

b) Prove fossili, no (impossibile, trattandosi appunto di salti).

c) Il DNA non basta, l'abbiamo già detto, a spiegare i salti evoluzionistici.

d) Altri meccanismi, non se ne vedono.

Dunque, al momento attuale della ricerca, cosa resta a supporto dell'evoluzionismo a salti, evo-devo o comunque lo vogliamo chiamare?
Un bell'atto di fede, glielo mettiamo?

P.S. L'evoluzione della vita, in ottica riduttivista, è il risultato della combinazione di fenomeno fisici e e chimici.
La fisica è studiata attraverso modelli matematici. La chimica, altrettanto.
Non sarebbe accettata alcuna spiegazione non matematizzata di fenomeni fisici o chimici.
La logica conseguenza di ciò è che anche l'evoluzione della vita dovrebbe essere matematizzabile. Data la premessa, non si capisce perché non dovrebbe esserlo.
Ora, affermando che l'evoluzione della vita non è matematizzabile, la si sottrae almeno in parte al dominio dei fenomeni fisici e chimici.
Il che è come dire che la vita è anche qualcos'altro. Il che nega la premessa.
#171
Per brevità, riporto solo gli estremi dei post ai cui replico:
Citazione da: sgiombo - Sat Apr 23 2016 20:07:23 GMT+0200 (ora legale Europa occidentale)
Citazione da: sgiombo - Sat Apr 23 2016 20:07:23 GMT+0200 (ora legale Europa occidentale)
Grazie, Sgiombo, per i chiarimenti sulla tua concezione.
Non sono del tutto certo che tutti i "problemi" siano risolti, e avrei molte questioni da porti, ma non possiamo farlo in questo contesto. Magari apriremo un altro topic.
In ogni caso è per me difficile abbracciare una concezione dualista, o n-ista, perché trovo impareggiabile la semplicità e la potenza esplicativa del monismo (tipo advaita-vedanta, analogo alla concezione teosofica). Proprio per il principio del rasoio di Occam, perché non sbarazzarsi di tutti gli attributi tranne l'unico veramente indispensabile? Si può derivare la materia dalla coscienza; il contrario, invece, non si può fare (ed è questo lo scoglio sui cui naufraga un evoluzionismo riduttivista, che proprio per questo motivo è costretto a sminuire la coscienza a epifenomeno - l'effetto collaterale di un vasto quanto assurdo turbinare di fenomeni insignificanti).
La domanda è sempre quella, quella che "è mal posta" ( ;) ): perché due attributi (res cogitans e res extensa) e non tre, quattro, cento, o mille etc? E, inoltre, perché tutto ciò esiste?
Nel monismo il problema non si pone, e nella concezione teosofica si dà anche un perché, si danno risposte a tutte quelle domande "mal poste".
Quanto ho parlato di "paradigmi mentali", non intendevo certo dire che tu avessi costruito artificiosamente uno schema mentale per dimostrare l'infondatezza delle questioni che ponevo. Intendevo invece dire che il tuo ragionamento non partiva da un punto zero (nessun ragionamento può farlo), ma partiva dalla tua concezione; e può essere senz'altro vero che nella tua concezione quelle domande siano mal poste. Forse tu hai abbracciato quella concezione perché non senti l'esigenza di rispondere a quelle domande; ma io sì, invece...
Qualcuno dirà: la concezione teosofica è indimostrabile scientificamente.
A quelli rispondo che ognuno di noi, nella vita, pensa e agisce quotidianamente assumendo per vere un'infinità di cose che non sono dimostrabili scientificamente. Se io ti dico: "sai, ieri mattina mi sono affacciato alla finestra e ho visto il treno passare". E tu mi dici: "dimostralo scientificamente". Ecco, sono spacciato. Che cosa posso dimostrare? Eppure io so che quel treno è passato, e ne sono certo ancor più dell'esistenza dell'elettrone, perché l'elettrone non l'ho visto, e mi devo fidare di altri che mi dicono di averlo osservato... Ma chi l'ha detto? E se mi stanno ingannando?
Vedete che così non se ne esce. Non si conclude nulla. Esiste però una cosa come il buon senso, e l'intuito, e la chiarezza mentale, e la genuinità delle domande che sgorgano dal nostro profondo. A quelle bisogna dare ascolto.

maral ga scritto:
CitazionePerdona Donalduck, ma non c'è nulla di scientificamente razionale nella soluzione dell'agente intelligente e nemmeno in quella del disegno intelligente intrinseco alla natura. Questo non significa che tali postulati a priori non possano venire adottati in quanto sentiti, ma non sono scientificamente esplorabili.
In primo luogo occorrerebbe ammettere che c'è un disegno intelligente in natura, una sorta di progetto provvidenziale, ma questo è solo una caratteristica dell'osservatore, che può venire messa in discussione, come abbiamo visto: in cosa consisterebbe questo disegno intelligente, nel fatto che noi, con la nostra meravigliosa e tanto presuntuosa intelligenza siamo venuti a esistere? Nella complessità che ci appare, ma che non è crescente se non in un certo modo molto superficiale e soggettivo di intendere certi fenomeni?
In che modo, se esistesse un agente intelligente, alla cui intelligente volontà è sottoposto il creato, si potrebbe mai anche solo tentare di dimostrarlo scientificamente? Non equivale forse a dire che, poiché non riusciamo a rendere conto di tanta intelligenza che sta dietro l'esistenza, occorre che ci sia una volontà che la vuole e tutto il mistero è risolto? Dove può innestarsi una qualsiasi ricerca scientifica in una simile assunzione?
maral, all'inizio sembri accettare come legittima l'adozione del postulato dell'agente intelligente.
Poi, evidentemente, qualcosa si ribella dentro di te e scatta il riduzionismo ( ;) ). Infatti, sintetizzando le tue parole conclusive:
- l'esistenza dell'agente intelligente è indimostrabile
- se anche esistesse, non sarebbe esplorabile.
Ergo, l'agente intelligente non esiste. O meglio, mi comporto come se non esistesse. E' questa la conclusione implicita.
Ancora una volta si ricade nella visione che esiste sono ciò che è esplorabile dalla scienza: ciò che non è esplorabile, non esiste. Ma questo sì che è un limite legato all'osservatore: la scienza è uno strumento che l'uomo si è costruito. Se cambia l'osservatore, cambia lo strumento e si allarga o restringe il perimetro del conoscibile. Qual è l'universo di un lombrico? E quale sarebbe l'universo di una creatura ancora più complessa dell'uomo?
Eppure la verità è sempre lì, identica a sé: non può certo allargarsi o restringersi in funzione del faro che tenta di illuminarla.
#172
Sgiombo ha scritto:
CitazioneSpinoza ha teorizzato che un' unica sostanza (divina) si manifesta in infiniti attributi reciprocamente trascendenti in divenire "per così dire (sono parole mie, non di Spinoza; e ti prego di tener conto che per forza di cose, oltre che per limiti miei personali,  "sto lavorando grossolanamente di accetta"; mentre Baruch era "un virtuoso del bisturi") parallelo, di pari passo su diversi piani o in diversi ambiti del reale incomunicanti ma reciprocamente correlati"; e che due di questi attributi sono le cartesiane res extensa e res cogitans.
Salvo applicare da parte mia il rasoio di Ockam agli altri infinti -2 attributi, lo trovo molto convincente.
Premetto che non intendo esporre una critica esterna, ma fare solo un ragionamento sulla coerenza interna di quanto sopra riportato.

A) Si afferma l'esistenza di "un'unica sostanza divina". Parola chiave: unica.
B) Poi si dice che questa sostanza "si manifesta in infiniti attributi reciprocamente trascendenti". Parola chiave: trascendenti.
Le due affermazioni non stanno insieme.
Se si afferma che la realtà è unica, la molteplicità della manifestazione è illusoria e non sussiste trascendenza di una parte rispetto all'altra.
Se si afferma invece che esistono realtà trascendenti, allora non sussiste una realtà ultima unica.

Poi osservo che, sostanzialmente, anche questa soluzione derivata da Spinoza non si discosta dall'occasionalismo: è pur sempre Dio a farsi garante della coerenza reciproca degli infiniti attributi trascendenti.

Infine, osservo questo. Se si giunge ad ammettere l'esistenza di un'unica sostanza divina, per quale motivo essere poi fermamente contrari a qualunque idea di un ordine universale, di un finalismo, di un "disegno intelligente"? Che ci sta a fare la sostanza divina? A quel punto si può fare tranquillamente a meno di tale ipotesi. Tutto sommato, mi parrebbe più coerente (ma non la condivido) l'ipotesi secondo cui esiste solo la materia, e la coscienza è un'illusione prodotta dalla materia.

maral ha scritto:
CitazionePerdona Donalduck, ma non c'è nulla di scientificamente razionale nella soluzione dell'agente intelligente e nemmeno in quella del disegno intelligente intrinseco alla natura. Questo non significa che tali postulati a priori non possano venire adottati in quanto sentiti, ma non sono scientificamente esplorabili.
In primo luogo occorrerebbe ammettere che c'è un disegno intelligente in natura, una sorta di progetto provvidenziale, ma questo è solo una caratteristica dell'osservatore, che può venire messa in discussione, come abbiamo visto: in cosa consisterebbe questo disegno intelligente, nel fatto che noi, con la nostra meravigliosa e tanto presuntuosa intelligenza siamo venuti a esistere? Nella complessità che ci appare, ma che non è crescente se non in un certo modo molto superficiale e soggettivo di intendere certi fenomeni?
In che modo, se esistesse un agente intelligente, alla cui intelligente volontà è sottoposto il creato, si potrebbe mai anche solo tentare di dimostrarlo scientificamente? Non equivale forse a dire che, poiché non riusciamo a rendere conto di tanta intelligenza che sta dietro l'esistenza, occorre che ci sia una volontà che la vuole e tutto il mistero è risolto? Dove può innestarsi una qualsiasi ricerca scientifica in una simile assunzione?
Riporto queste parole di maral, ma mi richiamo in generale a tutta la diatriba in corso fra razionalisti e irrazionalisti.
Ha poco senso una discussione in questi termini. In primo luogo perché occorrerebbe prima intendersi sul significato delle parole stesse, poiché probabilmente ciascuno di noi intende il razionale e l'irrazionale un po' diversamente dagli altri. E poi, oltre al significato, c'è il connotato: spesso il termine "irrazionalista" viene lanciato in senso dispregiativo, come se tale qualifica dovesse inficiare la qualità di quel pensiero. In verità qualcuno potrebbe perfino andare fiero di esprimere un pensiero irrazionalista, anziché "angustamente" razionalista, e in certi periodi storici è stato proprio così.
Quindi lasciamo stare quella diatriba e andiamo al nocciolo della questione, che secondo me sta come segue.

Se siamo su questo forum vuol dire che tutti siamo interessati alla verità, no?
E credo che siamo tutti d'accordo che la scienza (intesa in senso tradizionale) può indagare solo in parte la Verità; cioè, esistono parti della Verità che la scienza può illuminare solo debolmente oppure per nulla.
Quindi, esistono due porzioni della Verità: una accessibile alla scienza, l'altra no.

Ora, i ricercatori della Verità (cioè tutti noi) si dividono in due categorie: quelli che si limitano alla prima porzione, e quelli che aspirano a tutta la Verità. Tutto qui. L'unica differenza vera è che i secondi hanno necessità di un senso, di un perché; i primi no, i primi questa esigenza non la sentono.
E' chiaro che i secondi, per coronare le proprie aspirazioni, dovranno utilizzare altri strumenti, che non sono quelli propri della scienza; ma non si può fare diversamente, se si vuole illuminare tutta la Verità.

Non c'è nulla di male in questa divisione. Ognuno si comporta e pensa sulla base di quello che sente nel suo intimo.
Tuttavia, accade spesso che i primi, quelli che restano nei confini illuminati dalla scienza, si costruiscono dei paradigmi mentali in base quali qualunque domanda che miri a indagare la porzione della verità nascosta, "è mal posta", "è priva di senso" ecc. Quando semplicemente è che a tale domanda essi non sanno dare risposta con i propri strumenti. Dovrebbero semplicemente dire: "non so rispondere". O anche: "questa parte della Verità non mi interessa".

Io credo che la finezza di un intelletto si vede ancor più nella capacità di sentire l'urgenza di certe domande, di dubitare, che nella capacità di dare risposte.
#173
Ho insistito più volte sulla necessità di mettere alla prova matematicamente la plausibilità del neodarwinismo e dell'evo-devo.
Ho trovato che esiste un indirizzo di ricerca che dovrebbe fare al caso, ed è quello che si occupa di algoritmi genetici applicati alla biologia. C'è qualcuno di voi che conosce qualche risultato interessante in questo campo, a conferma o a smentita delle teorie suddette?
Io non ho nessuna mia teoria da difendere, e nessun pregiudizio su neodarwinismo e evo-devo: sono apertissimo a farle mie, purché se ne dimostri la plausibilità statistica.

Citazione di: green demetr il 22 Aprile 2016, 21:42:09 PM
@DONALDUCK E A @LORIS BAGNARA

Il perchè un fenomeno accada nella scienza consiste nel definire COME ACCADA, non nella sua definizone idealista (un perchè "agente", che richiamerebbe al disegno divino).

Nel caso specifico la domanda è legata alle forme evolutive, esse avvengono per organizzazione sociale.
A partire dalle forme più elementari.
Invece nel vostro tentativo di critica, rinnegate anche l'evidenza, che così le cose avvengano.
Andando con procedimenti logici per cui dovremmo aprire 3d specifici, alla vessata questio del circolo ermeneutico.(dove la domanda va all'infinito indietro di un grado).
La cosa bizzarra è che non vi accorgete che state chiedeno questioni che non sono dello stesso grado veritativo del reale. Un conto è il veritativo tra laboratorio e reale, che ha nome scienza, e un conto, è il veritativo del discorso.
Se io chiedessi la veritatività del circolo ermeneutico al reale, sarei un pazzo, in quanto il reale non ci risponde.
La veritatività del discorso scientifico invece risiede nella sua ideologia (Scientismo), non mi interessa qui dire se sia olista o riduttivista (infatti, in entrambi i casi, nella scienza si tratta solo di mezzi di argomentazione, non di pratica).
Se voi (non so se vi conoscete, o se avete lo stesso problema) indicate la questione della prassi come non veritativa, è solo perchè la vostra ideologia o ragiona per contrasto, scetticismo, o semplicemete si nasconde dietro l'omertà, dichiarandosi strategia pur di non mostrarsi (e subire i medesimi attacchi ideologici delle parti opposte o antagoniste).
Nell'attesa che siate voi a decidere se siate scettici o di altra ideologia.

A me non rimane che trarre l'ultimo ragionamento possibile allo stato delle cose.

E cioè il vostro continuo e mi permetto di dire ottuso (non) argomentare, risiede nel fatto che non avete la benchè minima idea di come funzioniono le pratiche della scienza.
Il post di green demetr mi lascia esterrefatto. Ringrazio Donalduck (non ci conosciamo personalmente) per avergli già risposto nel merito, anche se mi rendo sempre più conto che l'impresa è disperata.
"Ottuso (non) argomentare" ? Sono state presentate chili di argomentazioni che in gran parte sono state semplicemente ignorate.
in ogni caso, green demetr, quando scrivi fa almeno lo sforzo di renderti comprensibile: non so se per un tuo difetto di pensiero o di linguaggio, è veramente difficile, a volte, ricavare un senso dai tuoi post.
#174
Citazione di: green demetr il 22 Aprile 2016, 19:34:27 PM
@ Loris Bagnara

Guarda io sono in disaccordo con Sgiombo, ma per lo meno, leggo quanto scrive e intendo.

Ti hanno già spiegato che la differenza genomica tra un scimpanzè e un uomo è intorno all'uno per cento, per non parlare del maiale che è sotto l'uno per cento.

E ancora tu qui a dire che non si capisce il soma....ma BASTA!
Quello che ho chiesto non è ancora stato detto in questo forum. Leggi meglio i post.
Se conosci la risposta, hai perso una buona occasione per farcela sapere.
#175
Citazione di: sgiombo il 22 Aprile 2016, 13:24:23 PM
@ Loris Bagnara

Fra l' altro "da humeiano" non posso non respingere categoricamente l' affermazione della validità assoluta del principio di causalità proposta dall' esoterismo.

L.B.: E sarei io l'irrazionalista? ;) 

Loris Bagnara ha scrtto:

Possibile che non ci si chieda mai per quale motivo esistono le leggi fisiche? Perché la realtà non è un semplice caos, privo di leggi e di forma? Perché la realtà è intelligibile?
Come si fa allora a dubitare che l'universo è intelligenza, quando è la scienza stessa a scoprire che non c'è un angolo dell'universo dove non esista un ordine?

Rispondo:

La realtà (secondo me la sola realtà materiale naturale, almeno per molti aspetti identificabile con la cartesiana res extensa e nettamente separata -trascendente- dal pensiero, la res cogitans) si può assumere indimostrabilmente (Hume) divenire secondo leggi universali e costanti, non essere un semplice caos, privo di leggi e di forma e dunque essere scientificamente conoscibile.
La domanda del perché di queste sue caratteristiche (se reali, cosa indimostrabile) secondo me é mal posta, non ha senso.
[...]
Secondo me ci sono tre possibili impostazioni filosofiche:
1) la realtà è mentale, e la materia ne è una proiezione
2) la realtà è materiale e la mente è una sua proprietà
3) la realtà materiale e quella mentale coesistono, trascendenti l'una rispetto all'altra.
Io sono per la 1, tu Sgiombo per la 3.
Tutte sono indimostrabili, e possono essere giudicate solo per la loro capacità di dare risposte senza cadere in contraddizioni.

Lo stesso Cartesio si era accorto di un'enorme difficoltà nella sua visione duale, e cioè: come fa la mente a interagire con il corpo, e viceversa? Come fa un atto di volontà dell'individuo, a produrre il movimento del suo braccio, ad esempio?
Se è vero che la res cogitans e la res extensa sono trascendenti l'una rispetto all'altra, non possono logicamente interagire.
Cartesio aveva proposto la ghiandola pineale come punto di incontro delle due realtà, ma il problema non è nel dove, ma nel come.
Per risolvere questo problema sorse la corrente di pensiero dell'occasionalismo (Malebranche, ad esempio). La soluzione era la seguente: era Dio stesso a garantire il perfetto accordo fra corpo e mente. L'uomo ha soltanto l'illusione di essere l'artefice del suo movimento, perché in realtà è Dio stesso a prendersi la briga di muovergli il braccio.
Io trovo a dir poco raccapricciante questa soluzione, ma non mi pare che ne siano uscite altre.
Tu che ne pensi?

Infine, chiudo con un sorriso. Per l'ennesima volta mi sento dire (non solo da te, ma in generale in tutti i forum che frequento) che le domande che pongo sono "mal poste". Ma come, possibile che proprio le questioni fondamentali siano sempre "domande mal poste"?
A me sinceramente non frega nulla di come l'arto si sia trasformato in ala, o di come si sia formato il sole etc. Sono tutte questioni secondarie.
Le questioni vere sono: perché esiste qualcosa anziché niente? Perché c'è ordine anziché caos? Perché c'è vita anziché non-vita? E perché ci sono io?  :(
#176
Citazione di: maral il 22 Aprile 2016, 12:59:29 PM

CitazioneL'idea, avanzata dall'evo-devo, che un salto evolutivo possa avvenire in "toto" con una singola variazione, a mio avviso produce l'ingannevole percezione che questo salto, questa singola variazione "di successo" possa avvenire in maniera relativamente facile, relativamente probabile.
La questione è legata alla quantità di informazione codificata in una forma. Maggiori sono le differenze fra due forme, maggiore è la quantità informazione che serve per descrivere la variazione dall'una all'altra.
Non credo che nell'evo devo si consideri il salto di per sé facilmente funzionale: solo che la grande differenza di forme non è più considerata solo di stretta dipendenza genomica e se una forma sussiste semplicemente essa, come tale, in un determinato contesto, può con successo sussistere senza necessità di dover pensare a un fine che guida questa sussistenza.
Il contenuto informativo di una forma non è un contenuto che possa essere preso in sé, oggettivamente, ma è sempre legato a un'interazione soggettiva con l'osservatore, con ciò che questi può cogliere nel contesto in cui esiste partecipando di ciò che osserva, in termini biologici è anche la quantità di informazione è collegata alla omeostasi conservativa dell'osservatore. La differenza tra le forme è sempre un fenomeno relativo a chi percepisce e intende questa differenza nell'ambito della soggettività che lo determina.
Io avevo fatto qualche anche considerazione sull'improbabilità del successo di questi salti (non ho parlato di finalità), che però non sono state commentate.
Non c'è nulla di soggettivo nell'approccio alla forma: l'analisi di una forma può essere condotta in modo assolutamente matematico, come l'analisi di una struttura in cemento armato. Preso l'organismo biologico da studiare, se ne deve definire un modello parametrico (ogni parametro corrisponde a un aspetto rilevante) e di ogni parametro si deve definire la variabilità. Anche il modello più semplice e grossolano genera una variabilità straordinariamente elevata; il mio esempio del tweet ne è un'approssimazione per enorme difetto.

La tua (ma non solo tua) spiegazione lascia troppo nel vago. Le forme sembrano essere quasi idee platoniche (che stanno non si sa dove) che in determinate circostanze (non si sa bene quali) riescono a realizzarsi concretamente. E quando parlate della produzione di nuove forme biologiche come conseguenza dell'interazione fra genoma e contesto ambientale, be', tutto molto bello, ma concretamente come avviene?

Si torna al punto di partenza: perché si possa accettare questa spiegazione, perché questa spiegazione non sembri più una lettera d'intenti che una spiegazione scientifica, è necessario scendere sul concreto e descrivere (se non provare, almeno descrivere) come sia avvenuta la comparsa di una nuova forma biologica. Ma che sia veramente nuova, però, non parliamo del millepiedi che raddoppia le sue zampe. Quello è lo stesso animale. Che sia la questione arto-ala, o qualunque altra, ma che sia una questione veramente rilevante.

Esiste la descrizione convincente di anche uno soli di questi salti? Io non l'ho mai letta.
E parlo di semplice, ipotetica descrizione, non di prova (per il momento).

Concludo con una domanda. Nell'ottica dell'evo-devo, se avviene un salto che produce una nuova forma, come si trasmette ereditariamente questa nuova forma? Non con il DNA, perché sappiamo che il DNA non è in grado di definire da solo il risultato formale.
La nuova forma è stata acquisita come frutto di una specialissima interazione fra genoma e ambiente, e se questo risultato non si trasmette ereditariamente, come si conserva nella progenie? Si perderebbe. Non possiamo pensare che lo stesso "miracolo" si ripeta nei figli, no?
Quindi, dove sta il supporto delle informazioni che codificano le forme? Anche questo, mi pare, non ha una risposta.
#177
Citazione di: maral il 21 Aprile 2016, 22:31:40 PM

Citazione[...] Ecco, l'evo-devo mi pare sia affine a questo secondo modo di tirare a indovinare, mentre il neodarwinismo gradualista al primo.
In conclusione, l'evoluzione a salti, di cui parla evo-devo, mi sembra implicare l'esistenza di una intelligenza delle forme, che però è ancora tutta da spiegare.
Secondo l'Evo Devo infatti non si procede variando un risultato per volta nel compilare la schedina e attendendo l'esito, perché una singola variazione può variare in un colpo solo tutti gli altri risultati che, tutti insieme, producono un adattamento riuscito o meno.
Noi, a posteriori possiamo pensare che vi sia una sorta di intelligenza preordinatrice delle forme , per spiegarci come mai quell'organismo abbia fatto 13 e per un po' continui a farlo, ma questo è solo il risultato del modo con cui a posteriori, da osservatori, interpretiamo il risultato finale.
Ogni forma vivente è di per sé un grande successo di cui il DNA è solo uno degli attori in gioco, ma ogni successo, per quanto grande sia, è destinato prima o poi all'insuccesso, è inevitabile. Forse con l'eccezione dei batteri che continuano ad avere enorme e incontrastato successo da quando è comparsa la vita sul pianeta. Quella è senza dubbio la base imprescindibile del vivente, da cui continuamente tutto il resto sorge e si estingue. Ma anche i batteri devono mutare continuamente e assai rapidamente per poter restare.
L'idea, avanzata dall'evo-devo, che un salto evolutivo possa avvenire in "toto" con una singola variazione, a mio avviso produce l'ingannevole percezione che questo salto, questa singola variazione "di successo" possa avvenire in maniera relativamente facile, relativamente probabile.
La questione è legata alla quantità di informazione codificata in una forma. Maggiori sono le differenze fra due forme, maggiore è la quantità informazione che serve per descrivere la variazione dall'una all'altra. Non ci sono scorciatoie. Sarebbe bello se intervenisse in questo forum un esperto in materia di contenuto informativo codificato nelle forme biologiche... Provo io a fare alcune considerazioni puramente qualitative, per rendere l'idea.
Torniamo all'esempio dell'arto e dell'ala. Coniamo il termine generale di "appendice funzionale", che include tutte le possibili varianti di un'appendice. In questa categoria saranno incluse tutte le possibili varianti di arti, ali, pinne etc etc, che si possano immaginare: fallimentari o di successo, teoriche o effettivamente realizzate in natura.
Quanta informazione serve per codificare un'appendice funzionale in tutte le sue varianti? Se dico che dovrà servire almeno l'informazione codificata in un tweet, non vi sembrerà esagerato, vero? In realtà è un'assunzione ridicolmente riduttiva, ma fa lo stesso.
Quanta informazione è codificata in un tweet? Sappiamo che un tweet ha al massimo 140 caratteri. Quanti sono i caratteri? Lettere, più numeri, più punteggiatura e qualche altro simbolo, diciamo almeno 40.
Possiamo allora calcolare quanta informazione è codificata in un tweet, vale a dire quante sono le possibili varianti di un tweet: 40^140.
Il numero di possibili partite a scacchi si dice che sia di circa 10^120, un numero enormemente più piccolo.
Il numero di particelle elementari dell'universo è ancora più piccolo, si stima meno di 10^100.
Secondo l'assunzione fatta, abbiamo dunque 40^140 possibili varianti di appendici funzionali: in questo numero ci stanno tutte quelle che funzionano e tutte quelle che non funzionano (arti, ali, pinne etc).
L'evo-devo sostiene che modificando un solo tweet d'informazione, nel codice complessivo dell'organismo, si può modificare d'un colpo l'appendice che l'organismo ora possiede in un'altra appendice. Vale a dire, si può saltare in un colpo solo da una variante ad un'altra di quelle 40^140 possibili appendici. Vi domanderete quante siano le varianti di successo, rispetto a quelle fallimentari. Non lo so, lascio la risposta alla vostra sensibilità; la mia, mi dice che il numero di successi dev'essere enormemente più piccolo del numero di insuccessi. Inoltre, un successo non è assoluto, ma relativo all'organismo: ad esempio, una pinna perfettamente formata che spunta al posto di una zampa di un cane non serve a nulla...
Insomma, se il processo evolutivo si basa su "salto casuale – verifica – nuovo salto – nuova verifica - ..." capite bene in questo modo non si arriverebbe mai a nulla. L'evoluzione non si potrebbe spiegare. Eppure l'evoluzione è avvenuta.
A meno che... a meno che il codice bio-informativo (perdonatemi il neologismo) non possegga una sorta filtro che esclude gran parte delle varianti inutili. Cioè, il codice dovrebbe essere in qualche modo pre-codificato. Per intenderci, faccio l'esempio della musica in rapporto ai suoni.
Le possibili frequenze sonore sono innumerevoli.
L'uomo ha filtrato il "mare" dei suoni costruendo le scale musicali, che predefiniscono i rapporti fra i suoni.
Poi l'uomo ha costruito strumenti progettati sulla base di quelle scale, strumenti che forniscono accordi: strumenti strutturati in modo "debole" (come il violino, dove l'esecutore può muovere il dito lungo la corda); o in modo "forte" (come il pianoforte, dove l'esecutore non può variare la nota); o addirittura in modo "fortissimo" (come l'armonica a bocca, che produce sempre accordi validi, comunque si muova la bocca).
Ecco, per poter produrre qualche risultato sensato, il codice bio-informativo dovrebbe essere strutturato almeno come un violino, se non come un pianoforte o un'armonica. Ma questo implicherebbe che tale codice sia stato pre-codificato... Ma da chi o da che cosa, e quando?
#178
Citazione di: maral il 21 Aprile 2016, 23:00:05 PM
CitazioneSu questo punto hai ragione, non penso Sgiombo o Maral possano argomentare contro.
Nel senso che la scienza (che io sappia) non l'ha ancora scoperto.

Se il motore che varia il vivente è conosciuto.
Il motore che varia l'organico in "vivente" è sconosciuto
Non solo è sconosciuto, ma ritengo che sia impossibile conoscerlo senza un approccio essenzialmente filosofico che stabilisca questo confine, che dia un criterio per poter dire cosa è vivente e cosa no. E il problema è che di criteri ne sono stati dati tanti, troppi, ma ognuno alla fine può essere messo del tutto lecitamente in discussione. E allora rassegnamoci: il vivente si distingue dal non vivente solo in virtù dell'opinione che la cultura a cui apparteniamo determina in noi su di essi e solo il senso di questa opinione alla fine merita di essere filosoficamente esplorato.
Questo pensiero mostra bene come siano gli scienziati, più che i filosofi, a creare il regno della metafisica, e altri regni più o meno immateriali e irrazionali, per usarli come comodi contenitori di tutto ciò che non riescono a spiegare. E all'ingresso di quei regni mettono su un bel cartello: "Lasciate ogni speranza o voi che entrate". Trovano più facile fare così, anziché ridefinire i propri paradigmi e i propri strumenti concettuali.
Paradossalmente, se applicassimo lo stesso ragionamento alla nostra origine individuale, dovremmo concludere che la nostra stessa nascita è un problema metafisico, poiché quand'è che siamo veramente nati? Quando siamo usciti da nostra madre? Quando siamo stati concepiti? Oppure esistevamo già nello spermatozoo e nell'ovulo dei nostri genitori? Oppure ancora niente di tutto questo?
Eppure è chiaro a tutti che ora ci siamo, e prima non c'eravamo. Tutto il resto è... non noia, come diceva Califano, ma sterili sofismi.
#179
Citazione di: sgiombo il 21 Aprile 2016, 20:36:41 PM
Citazione di: Loris Bagnara il 21 Aprile 2016, 12:57:57 PMLoris Bagnara ha scritto:

Vorrei sgombrare il campo da un equivoco. Chi parla di "disegno intelligente" non è necessariamente un "creazionista" che invoca un intervento trascendente. Non è necessariamente irrazionalista chi parla di "disegno intelligente". Io non invoco il trascendente e non sono irrazionalista.

Rispondo:

Se chi parla di "disegno intelligente" non è un "creazionista" che invoca un intervento trascendente, allora penso che non possa che attribuire il "disegno intelligente" stesso a un' entità (una "creatura") naturale, e questo mi sembra, certamente meno irrazionalistico del creazionismo, ma pur sempre molto più irrazionalistico della teoria dell' evoluzione biologica (implicante ipotesi non provate -e a mio modesto parere decisamente "strampalate"- in numero enormemente maggiore: rasoio di Ockam!).
[...]
Ho tagliato la citazione del tuo messaggio per non appesantire questo post.

Le riflessioni filosofiche che esponi sono assolutamente legittime e hanno tutte un loro posto nella storia del pensiero. Potrei dire che anche io stesso le ho attraversate un po' tutte per arrivare infine alla mia visione attuale.
L'accenno solo in due parole, perché qui sarebbe "out of topic", magari apriremo in seguito una discussione su questo argomento.
Io sono un teosofo. La mia visione è quella della tradizione esoterica più antica (quella che si dice la philosophia perennis).
Contrariamente a quel che potreste pensare, in questa visione non c'è assolutamente nulla di irrazionalistico, di fideistico, di teistico. L'esoterismo afferma la validità assoluta del principio di causalità e accetta di buon grado tutto quanto ha da dire la scienza, perché non c'è nulla di quel che dice la scienza che sia in contrasto con i suoi principi. Anzi. E' noto come la meccanica quantistica sia arrivata a concezioni che l'esoterismo afferma da migliaia di anni (si pensi alla posizione di David Bohm, ad esempio, o a Fritjof Capra con Il tao della fisica).

In sostanza, con un semplice ribaltamento di prospettiva tutto è molto più comprensibile.
Alcuni dei principi dell'esoterismo sono:
1) La realtà è UNA: non c'è una realtà fisica ed una realtà metafisica, trascendente. Ci sono solo gradazioni, non compartimentazioni. La materia è spirito "denso" e lo spirito è materia "sottile".
2) La realtà è anche COSCIENZA e VITA. La vita non sorge: è. La coscienza non si forma: è. La realtà una è una MENTE VIVENTE. L'universo manifestato è una CREAZIONE MENTALE.
3) Noi siamo frammenti individualizzati della coscienza una.

Concludo con questo. Nella tradizione indiana c'è l'antichissimo concetto delle tre qualità fondamentali della realtà: tamas (inerzia), rajas (azione), sattva (intelligenza). Se ne può dare una perfetta interpretazione fisica.
Tamas è la materia/energia nel suo aspetto denso e pesante, che chiamiamo comunemente materia.
Rajas è la materia/energia nel suo aspetto più sottile, che comunemente chiamiamo energia.
Sattva è l'intelligenza dei fenomeni, ossia le leggi dell'universo fisico.
Possibile che non ci si chieda mai per quale motivo esistono le leggi fisiche? Perché la realtà non è un semplice caos, privo di leggi e di forma? Perché la realtà è intelligibile?
Come si fa allora a dubitare che l'universo è intelligenza, quando è la scienza stessa a scoprire che non c'è un angolo dell'universo dove non esista un ordine?

Finito. Chiedo scusa a tutti per l'OOT. ::)
#180
Citazione di: green demetr il 21 Aprile 2016, 00:44:49 AM
Citazione di: Donalduck il 20 Aprile 2016, 23:56:24 PM
.....
Quello che chiedo nel primo punto è qualche prova della possibilità (solo in seconda istanza chiederei la prova che sia effettivamente così, resa necessaria dal fatto che gli evoluzionisti parlano di "fatti e non teorie") che la combinazione suddetta sia in grado di generare la gran varietà delle forme di vita che conosciamo a partire dagli organismi più semplici conosciuti. La prova della possibilità dimostrerebbe che si tratta di una teoria razionale e non di un'irrazionale fantasia, la prova della sussistenza effettiva dimostrerebbe che si tratta di una teoria attendibile almeno quanto la prova che viene portata.

Incuriosito cercando su google ho ottenuto questo risultato.

Le scienze.it

Si parla di Cluster e di organizzazione "sociale" delle cellule.

Dunque come immaginavo le prove sensibili ci sono di già, almeno per quanto riguarda il punto 1.
Interessante l'articolo.
Le cellule del cluster mostrano attività organizzate e collaborative, questo ci dice l'articolo.
Però, quando c'è organizzazione e collaborazione, c'è scambio di informazioni: non è pensabile che ciò avvenga a caso.
Ora, mi domando, e vi domando, come si scambiano informazioni le cellule di un cluster, in assenza di una qualsiasi forma di sistema nervoso?