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Messaggi - daniele22

#1651
Citazione di: iano il 30 Novembre 2021, 01:38:04 AM
Anche se non lo conosciamo, noi siamo noi in base a un preciso senso.
Nel momento in cui trovassimo quel senso non saremmo più noi, perché una volta noto il senso esso diverrebbe soggetto al dubbio e conseguente confutazione.
Ma che il senso secondo il quale percepiamo la nostra individualità inizi a mostrare le sue crepe lo si evince dalle diverse problematicità che mi sembrano ormai argomento di cronaca .
Fra questi argomenti quello a me più caro è il rifiuto della tecnologia come cosa altra da noi, perché non riusciamo a percepirla come nostra parte .
La additiamo come causa di alienazione, e sicuramente non si può che sentirsi alienati quando rifiutiamo di percepire una parte di noi, o se si preferisce, manchiamo di ridefinire la nostra individualità.
Non è facile ridefinire ciò che ci è ignoto, ma prima o poi ciò che è ignoto inizia a mostrarsi .


A tal proposito mi chiedo, restando alla cronaca ,se gran parte del lavoro per produrre i vaccini è fatto dalla intelligenza artificiale, e se noi rifiutiamo l'intelligenza artificiale come disumana, allora perciò rifiutiamo il vaccino?
Sarà un caso, ma prima di ciò i vaccini non venivano rifiutati.
Però ammetto, è solo un vago indizio, che vale solo come possibile esempio.
Ma il fatto è che in questo strano e imprevisto  caso del vaccino  nessuno riesce a trovarci un senso, come se lo avessimo smarrito , come se si stesse avverando  l'apocalittico regno della confutazione.



Bravo iano, contrariamente ad altri tuoi post che non riesco del tutto a seguire, questo mi sembra molto chiaro.
Nella prima parte del tuo intervento immagino che tu voglia dire che una volta conquistata una certezza (verità per te) questa divenga una nuova base sulla quale tu puoi muoverti e che comunque produrrà nuova incertezza (c'è ancora bisogno di una verità da raggiungere) . Trasponendo ad una collettività il discorso, noto come sia in uso dire che l'unione fa la forza, ma ciò che fa emergere un'Unione (in linea teorica – ovvero fintanto che le malefedi non intervergano anch'esse a comporla) dovrebbe essere una comune verità. Essendo poi che l'Unione si manifesta con una prassi, nel momento in cui detta Unione trovi una critica nella prassi, se la critica è ben posta potrebbe indebolirla (ovvero indebolire la verità che la tiene in piedi) quanto più tale critica fosse via via più condivisa. La domanda a questo punto diventa: Cos è che si critica? Ciò che sta all'interno dell'unione (discorsi sulle prassi da mettere in atto), oppure il fondamento dell'unione?
Io penso che allo stato attuale sia in corso d'opera una critica inconsapevole al fondamento dell'Unione.


Dopodiché parli di crepe nel nostro senso di percepire e porti ad esempio il rifiuto della tecnologia come cosa che percepiamo "altra" da noi. Ingrandisco l'osservazione facendo notare che percepiamo tutto come "altro" da noi, anche la nostra terra. Termini poi il periodo dicendo che prima o poi ciò che è ignoto comincia a mostrarsi.
Giusto.


Poi concludi con una domanda. In risposta, sarebbe ragionevole pensare che tutti acclamino al vaccino, se le cose in seno all'Unione fossero percepite in modo omogeneo. Per quel che mi riguarda non so dare giudizi sull'intelligenza artificiale (non la conosco). Forse non mi è chiaro quel che vuoi dire poi sul senso del vaccino, ma provo a dare la mia versione. Per come la vedo io la causa del senso smarrito di cui parli sta proprio nella parentesi che ho aperto dopo aver parlato di ciò che fa emergere un'Unione. Infatti dicevo : in linea teorica, ovvero fintanto che non intervenga pure la malafede tra coloro che vanno a comporla. Mi sembra fosse sant'Agostino che diceva che uno mente quando pensa una cosa e fa qualcosa di diverso, quindi la malafede può cambiare veste a seconda che si tratti di contraddizioni più o meno inconsapevoli, oppure nel caso di mettere in atto una truffa. Quanto infine può pesare la presenza della falsità degli individui nel disorientare il nostro senso smarrito? Quanto pesa questa maschera che ci portiamo sempre appresso nell'ostacolare la visione chiara di un nuovo orizzonte collettivo? Ciao
#1652
Citazione di: Alexander il 26 Novembre 2021, 09:24:06 AM
Buondì a tutti


Riprendo una riflessione apparsa in alcuni post che sostiene: se ci fosse un unico significato, certo ed evidente, della storia umana questa finirebbe per perdere il suo appeal. Tanti significati/sensi soggettivi invece l'arricchiscono, la rendono imprevedibile. Ognuno di noi può cercare il SUO senso all'interno di questa vanità oggettiva di significato. Potremmo quasi dire che i lavoratori dell'ipotetica vigna troverebbero maggior piacere sapendo che non lavorano in vista della vendemmia, ma per il proprio piacere personale , con nessun altro obiettivo se non quello di "realizzarsi" in quello che stanno facendo. All'apparenza sembrerebbe quasi un vantaggio. Consideriamo però la visione opposta:se i lavoratori della vigna del padrone lavorano in vista della vendemmia, la loro fatica non è vana, in quanto finalizzata al raggiungimento di un risultato.  Naturalmente la vendemmia non potrà essere un evento freddo, anonimo, puramente "tecnico", ma invece dovrà essere una FESTA. In ogni caso qualcosa di "buono". In Genesi appare l'idea del sabato, cioè del momento in cui ci si ferma  e si vede che le cose fatte sono buone, e si GIOISCE di questo . Così il lavoratore che partecipa alla festa della vendemmia realizza che la sua fatica è stata buona, benfatta (BENE fatta-costituita di bene).Il faticare dell'individuo NELLA storia, nel suo svolgersi, non sarà più in balìa di un umore soggettivo, di un'incertezza di senso, di un sentirsi abbandonati in una vigna priva di padrone, costantemente in lotta con infestanti e uccelli ladri, senza che mai possa vedersi una fine a questa lotta, senza l'evento finale, l'epilogo dela storia:la vendemmia. Se però c'è un padrone/Autore che dà un significato a questa fatica, seppure strano, dal comportamento apparentemente incomprensibile, che fa arrabbiare i lavoratori, che si sentono ingiustamente presi in giro, la fatica stessa diviene fonte di gioia. La fatica acquista un senso. Il significato di una cosa non può stare nella cosa stessa. Il significato della fatica di vivere non può dimorare nella vita stessa, che è solo condizione. La vigna da sola non può fornire un senso , in mancanza della vendemmia finale. La storia umana, in mancanza di una "vendemmia" come gioioso epilogo, mi appare quindi proprio come quella vigna sterile, che non produrrà mai, in definitiva, un SABATO.


Buondì Alexander. Essendo uno che non si pone più di tanto il problema dell'esistenza di Dio, facendo riferimento ad una "rivelazione", penso che se Dio dovesse manifestarsi, cercando anche di ridurre gli accesi antagonismi tra atei e credenti, lo farebbe tramite una persona che fosse in grado di lanciare un messaggio ecumenico. E' la persona, o Dio che agisce tramite la persona? Boh! Nel nostro passato occidentale, conosco un solo messaggio ecumenico ... tolomeo copernico . Ecumenico occidentale però, giacché non tutti i popoli della terra la pensavano allo stesso modo. Vi erano pure anche altre astro-logie.
Tu vorresti giustamente un Autore ... Trova quella persona e avrai trovato Dio, sia per il credente che per l'ateo, senza quella persona Dio resta oscuro, sempre sia per il credente che per l'ateo. Tieni pur conto che c'è sempre un ribelle che vende cara la pelle

#1653
Citazione di: Phil il 24 Novembre 2021, 18:48:58 PM
@daniele22

L'infalsificabilità di un dio e l'infalsificabilità di alcune doxa sono forse i due estremi che racchiudono il campo del "senso" esistenziale: da un lato il Senso sommamente assoluto (sovrastorico, trascendente, etc.), dall'altro la "semantica" soggettivistica, contingente e potenzialmente mutevole. Su tale mutevolezza: concordo che non sia facile, in età adulta, mettere in questione le proprie doxa, perché ciò richiederebbe tempo ed energie mentali (e magari strumenti "da adulti", come la filosofia) che non sempre sono a disposizione. Lo dimostra la tendenza alla semplificazione, alla polarizzazione (come accennato prima), alla resistenza al cambiamento di prospettiva, la pulsione ad identificarsi con un "noi che la pensiamo così", etc. abbandonata la famiglia originaria, che dà regole e protezione, anche da adulti cerchiamo "clan", "branchi" e fazioni che ci diano regole e protezione a patto di condividerne i principi e l'identificazione; esattamente il contrario della situazione di rischio (esistenziale, psicologico, sociale, etc.) che richiederebbe una doxa esposta a continua autocritica (è più agevole "difendere" la propria prospettiva dall'interno piuttosto che collaborare a "collaudarla" con chi è all'esterno; d'altronde il comfort psicologico è un'esigenza, e lo dico senza sarcasmo alcuno, per cui una continua autoanalisi è un gioco che potrebbe non valere la candela, soprattutto se ci si incaglia in falsi problemi...).





Forse mi hai frainteso. Non intendevo mettere in questione le proprie opinioni nel senso di doverle negare. Se nemmeno la scienza (l'episteme) può falsificarle, come potremmo deciderle sulla base di opinioni che si trovano deficitarie di una solida base d'appoggio. Intendevo in realtà di riaggiustarle, di ridimensionarle, alla luce del fatto che nel transito dall'adolescenza all'essere adulto cambia prepotentemente il tema principale delle nostre attenzioni. Vi sarebbe cioè qualcosa di inaudito alla nostra esperienza giovanile che interviene in campo nel passaggio dal mondo del gioco e dello studio al mondo del lavoro. Perché prepotentemente e pure inaudito? Perché verrebbe a cambiare di gran lunga il valore del premiato rispetto a quello dello squalificato, o del premiato minormente, soprattutto in termini spirituali e materiali. Vi sarebbe cioè a mio avviso un sovradimensionamento di questi due carichi che, pur traendo origine in natura, peserebbero in modo poco naturale (naturale, ma patologico secondo il mio punto di vista) permanentemente nelle nostre vite. Naturalmente quelli che stanno nel mondo di sotto possiedono una maggiore sensibilità a rilevare questo status di opprimente sudditanza. Non che quelli che stanno di sopra ne siano avulsi, ma questa è altra storia.
Pertanto, ognuno si tenga pure la propria opinione maturatasi in seno alla propria storia, ma contiamoci almeno in parlamento. Dico ... Spetta alla sinistra cogliere la voce che non vede, o che non vuole sentire (opto per la seconda). Ci vorrebbe cioè un movimento con almeno un valore, oltre a quello della propria vita, che determini per le persone che lo condividono la messa in atto di una politica trasparente agli occhi di quelle stesse persone. Una politica cioè volta chiaramente a quel valore. Ovvio che l'economia debba riferirsi a quel valore e altrettanto ovvio che si possa pagare dazio, in cambio però di qualcosa d'altro



#1654
Leggendo gli ultimi post, mi vien da dire che se volessimo trovare un senso per la vita si dovrebbe prendere atto del fatto che da quelle doxa citate da Phil (ricordo anche Ipazia: "Nell'orizzonte ideologico di senso ci sta pure la scienza. Allo stato attuale della cui falsificabilità, il bigbang se la gioca alla pari col creazionismo teistico, marziani e sospensione di giudizio.") si produce di fatto la nostra storia individuale e umana. Quindi, se è vero che l'idea di Dio non è falsificabile in quanto dogmatica, resta pur sempre un fatto che la scienza non possa falsificare le doxa di tizio caio sempronio e philonio. Tutto ciò giustifica per intero un comportamento senza fallo alcuno per la propria opinione.


Volevo poi fare una considerazione sulla produzione delle doxa di carattere esistenziale, tenendo presente che di fatto dovrebbe essere un problema di fondo a generarle.  Ebbene, secondo voi, i contenuti di tali opinioni non potrebbero essere innescati da una deriva dei nostri comportamenti pregressi di fronte alla realtà (dalla tenera età alla tarda adolescenza, età presumibile in cui l'orizzonte delle nostre attenzioni si rivolge a tematiche esistenziali)? Sarebbe cioè mera opinione il pensare che si abbia la tendenza a costruirci delle teorie che giustifichino il proprio "senso della vita o della storia" sulla base degli individuali pregressi comportamentali? In questo caso bisognerebbe rilevare che i vari "sensi", opinioni, sarebbero viziate ab ovo non avendo mai subito di sicuro un'autocritica in precedenza. Quanto saremmo disposti semmai a riaggiustarli, dato pure che questo accadrebbe quando passiamo dallo stato di reclute a quello di effettivi nel mondo degli adulti? Io ho la sensazione che le doxa si riaggiusterebbero se non vi fosse il gravio del mondo del lavoro così com'è attualmente
#1655

Per la nostra testa, a qualsiasi fatto che notiamo (che di fatto diviene storico) diamo implicitamente un senso (a meno che non si tratti di fatti routinari). Credere il contrario significherebbe per me ammettere l'oggettività del reale (ammetto infatti solo l'intersoggettività, ma questo è un altro discorso).


Premesso ciò mi chiedo quale possa essere individualmente il nostro senso per la vita se non quello di vivere decentemente?

La risposta alla domanda si esplicita nelle nostre pratiche quando diamo un senso ai nostri gesti, sia rivolgendoci ai prossimi 5 minuti come ai prossimi 5 anni. Ognuno lo fa in modi diversi (sia assecondando Dio che senza assecondarlo). Da ultimo viene il senso della vita che si rivolge ai problemi esistenziali (c'è chi ha più interessi materiali e chi meno materiali). Vi sono insomma delle sfere temporali sotto l'occhio delle quali noi rivolgiamo il senso dei nostri gesti. Per quel che ne so io, l'ultima viene spesso un po' bistrattata se non messa a margine.
Ma sempre per quel che ne so io, ancora quest'ultima, nelle gesta a lei dedicata (mosse da religioni o ideologie), è solo un amplificazione spontanea del gesto di senso rivolto ai 5 minuti o ai 5 anni.


Dopodiché, la sommatoria dell'agire di ciascun individuo del pianeta, col concorso di queste sfere d'azione, produce quel che vediamo, tutto in corso d'opera, sia la nostra vita individuale che la storia umana, quest'ultima per chi se ne interessa
#1656
Sì, se così fosse. Ma mi riferivo più che altro al rapporto che vi è tra il maschio ed il coraggio. Nell'immaginario collettivo, per varie ragioni, il coraggio è prevalentemente associato alla virilità. Sarebbe punto di debolezza soprattutto per il maschio un'espressione del tipo "non lo faccio .. ho paura". Il maschio concede alla femmina l'aver paura senza che la dignità di questa ne venga più di tanto scalfita. Naturalmente, dall'alto della sua superbia, non si cura nemmeno di interpellare la femmina in proposito. Ma il coraggio non si esprime solo attraverso funamboliche piroette mentali o corporee che siano, ma si può esprimere anche dicendo no. Il prezzo può esser carissimo per un singolo o per pochi, ma non per una nutrita schiera di individui. Le persone non sono lobotomizzate del tutto, percepiscono malessere, ma non riescono ancora a razionalizzarlo in modo soddisfacente. Questa è la complicità forse prettamente maschile che io imputo nel processo di sostentamento del sistema
#1657
Ho capito. Concordo, forse è solo perché sono un uomo che percepisco una complicità
#1658
Citazione di: Ipazia il 17 Novembre 2021, 18:01:13 PM
Certo che il perdente va sopraffatto perchè senza catene sono pochi gli schiavi che rimangono tali. Nelle contese umane il perdente perde pure se stesso, in toto o parzialmente. Il catename dei sottomessi moderni ha una componente immateriale ideologica (giuridica e propagandistica) che sommata al "panem et circenses" rende la sua sopraffazione la più efficace, microchirurgica, a memoria umana. Evoluzione.


Ipazia, perdona, ma non capisco in modo chiaro cosa intendi con "componente ideologica (giuridica e propagandistica)"
#1659
Tematiche Filosofiche / Re:Sentire e capire
17 Novembre 2021, 16:25:56 PM

Salve viator, ti piace la polemica allo stato puro forse. Visto che ti piace la polemica ... Sono andato in realtà a cercare la definizione di "sensazione" solo perché mi sembrava alquanto bizzarra la tua. Cmq definizioni praticamente uguali si trovano anche su altri dizionari. Per quel che riguarda la coscienza che per tua bocca ... "Coscienza, ente che io mi guardo bene dallo scomodare poichè tale termine, all'interno della cultura umana, risulta tuttora perfettamente nebuloso, inspiegabile, non enciclopedizzabile, non treccanizzabile, non wikipedizzabile......... per chiunque, biologi, filosofi e teologi inclusi. Per cui pregherei te e la Treccani di lasciar perdere ciò che non siete in grado di definire."
Per quel che attiene alla coscienza appunto ti rimando a questa risposta che tu mi desti sopra ad un mio intevento
"Il diritto è concetto e fatto esclusivamente umano, sorto e maturato all'interno della nostra specie in "parallelo" e quale diretta SOCIALE conseguenza del nostro aver sviluppato una COSCIENZA.
L'uomo che fosse sempre vissuto solitariamente (benchè magari dotato di piena coscienza) non avrebbe mai potuto-voluto generare un concetto ed un costruzione di diritto. Che mai se ne sarebbe fatto ?"
Vedo dunque che le mani sporche con la coscienza ce l'hai pure tu ... Ah già, forse tu volevi usare il termine in altro senso. Viator! basta prendermi in giro por favor

#1660
Qualcuno la vedrebbe di sicuro diversa da te. Per quel che mi riguarda sottoscrivo la tua veduta. Tra l'altro mi piace molto l'immagine "Il diritto alla sopraffazione del perdente". Come dire: era già stato sopraffatto, era necessario andare oltre? Il culto al dominio permanente, ideologia dell'egoismo ... lo svuotamento delle energie vitali dei perdenti fino a mantenerli in una specie di vivarella. Una volta però si diceva almeno boikot Jaffa ... ma la Palestina era distante. Come mai oggi i perdenti non dicono boikot amazon, o facebook, o la macchina nuova ogni quattro o cinque anni etc.etc.? Perché la gente non posa penna o martello? In fondo, oggi non ti sparano mica addosso. Questa è la complicità del perdente di cui parlo, complicità che si esprime a livelli minimi se vuoi, ma non per questo si può escluderla come fondamentale all'alimentazione del regime vigente
#1661
Citazione di: Ipazia il 14 Novembre 2021, 15:52:34 PM
Spostandosi la discussione verso l'irrazionalità della storia umana, inviterei a dare a Cesare quel che è di Cesare e a Tizio quel che è di Tizio. Dubito che Tizio smaniasse per andare a morire nella selva di Teutoburgo e Efisio agognasse tanto per la conquista dei quattro sassi del Carso.

Chiamare a correo l'intero genere umano per una storia che è sempre stata scritta da oligarchi e loro servitori lungo complesse trame di dominio, è profondamente falsificante.

La stessa evoluzione scientifica è stata sempre diretta dalle classi dominanti che l'hanno indirizzata non a fantasiose "magnifiche sorti e progressive" dell'intera umanità,  bensì della propria classe.

Semmai bisognerebbe chiedersi: com'è possibile che pochi abbiano sottomesso molti ? La storia dell'arte di dominio è lunga come la storia umana e il logos, con le sue appendici culturali e religiose, è parte essenziale di tale storia, legittimando e santificando la trasmissione di eredità da una generazione di dominanti all'altra, fenomeno assente in natura, con esclusione dei buoni geni trasmessi, però da riconfermare sul campo senza sconto alcuno.

La storia millenaria di dominazione dell'uomo sull'uomo ci ha portato ad una situazione aberrante in cui i costi economici, sociali e ambientali, delle scelte di governo non sono pagati da chi ha attivamente prodotto il danno, ma da chi lo subisce essendone coinvolto in una passività coatta.

C'è, per quanto perfida, razionalità in questa storia, da parte di chi ha sempre soggiornato all'apice della piramide sociale. Pensare di fare un forfait di senso tra chi sta al vertice e chi sta alla base della piramide non ha alcun senso.


E' vero quel che dici che bisogna dare a Cesare quel che è di Cesare. Sono i Cesari a fare i danni maggiori. Però, a mio giudizio, un po' di correità c'è, e il motivo della mia opinione al riguardo deve ricercarsi sulla domanda che ti fai "Com'è possibile che pochi abbiano sottomesso molti?" Sapessi quante volte mi son chiesto la stessa cosa. Beh, di sicuro ricorderai quando le br o prima linea gambizzavano i capireparto. Non penso che colpissero a caso, e in quelle dinamiche andrebbe ricercata la risposta. Sono poi d'accordo che possa esserci della perfida razionalità in chi soggiorna nelle alte sfere e gestisce cose che riguardano molti, ma queste sono illazioni che andrebbero pure supportate da indizi di una certa rilevanza

#1662
Tematiche Filosofiche / Sentire e capire
16 Novembre 2021, 22:33:27 PM
Salve illustre viator. Volevo rispondere al tuo post di oggi sul tema della storia umana, ma mi dicevo che andavamo troppo fuori tema. Mi era pertanto venuta l'idea di aprire un topic su "percorsi ed esperienze personali" dal titolo (visto che dici di non capire una mazza) "incontro tra due capre al fine di ridurre a distillato un'insanabile contrasto, oppure solo una reciproca incomprensione di natura razionale. Che ne dici? Sarebbe un gioco nuovo.
In ogni caso, dato che hai aperto un argomento simile, mi produco citandoti e iniziando così la mia risposta: 
"Sensazione" (credo tu intendessi parlare di senzazione INTERIORE) : "stato d'animo (o condizione psichica) generati dall'ingresso nel nostro animo (per chi lo chiama così) o nella nostra psiche (per chi chiama l'anima in tal modo) di segnali provenienti dall' esterno (le situazioni esterne al nostro corpo) o previamente esistenti in noi, ma comunque aggregati ed elaborati dal nostro spirito (per chi lo chiama così) o dalla nostra memoria psichica non consapevole (per chi la chiama così).
La tua definizione di "sensazione" non è quella a cui mi riferisco. Io l'ho sempre intesa come da Treccani:
Sensazióne s. f. [dal lat. tardo sensatio -onis, der. di sensus -us «senso»]. – 1. Ogni stato di coscienza in quanto sia avvertito come prodotto da uno stimolo esterno o interno al soggetto: s. tattile, visiva, auditiva, olfattiva, gustativa; s. esterne, interne, secondo la provenienza degli stimoli.

Naturalmente separo emozione da sensazione, anche se considero sinonimi sensazione e percezione (avvalorata tal sinonimia pure da Treccani).
Per quel che riguarda la psiche forse ho parlato un pò a vanvera (anche se non ho usato spesso questo termine). Intendo cmq di parlare circa gli stati consapevoli. "Sensazione" insomma come da Treccani. Fin qui ci siamo? Poi vedi tu ... se vuoi io mi prendo l'onere di aprire il topic, visto che che tu avrai già da fare con questo. Felice notte


#1663


Buon martedì, questo post è senz'altro per tutti, ma voglio dedicarlo in particolare a quel gran simpaticone di Viator.  Vado pertanto a citare un finale di pensiero che hai esposto a Jacopus ... "Se poi l'interlocutore nega che logica e raziocinio siano funzioni mentali, oppure che le menti non esistano, oppure che esistono ma - dialetticamente - devono restarsene subordinate ad una psiche, a dei sentimenti oppure ad uno spirito.........beh, si conferma che ciascuno si contenta di ciò in cui gli piace credere."

Sentendomi indirettamente chiamato in causa, penso che la ragione sia l'unico mezzo che si abbia per cercare di comporre i nostri dissidi. Tu ti affidi ai sensi per delineare i fatti, mentre io mi affido alla sensazione, fermo restando che i sensi debbano validarla.

Ti faccio ora un esempio di quello a cui "io credo", consapevole che la mia credenza sia subordinata alla mia sensibilità: Quando stai vivendo all'interno di una scena, i sensi assorbono una quantità di informazioni incomparabilmente più grande di quello che tu ritagli dalla scena e chiami fatto. E' vero che tu ritagli un fatto, ma forse altri ritagliano altri fatti da quella medesima scena, escludendo il tuo o mettendolo in secondo piano, oppure anche, ritagliano lo stesso fatto che vedi tu, ma se divergono dal modo in cui lo esponi, lo accentuano in modo razionalmente diverso, grazie al fatto che un fatto non puoi esaminarlo estrapolato dall'ambiente in cui si è prodotto.

Proseguendo, è a mio giudizio spontaneo che un organismo (ciascuno secondo le proprie facoltà) memorizzi le conseguenze e le cause che hanno prodotto il fatto. Nel caso umano però, vattela a sapere dove ciascun individuo riesca spaziando nel tempo passato ad individuare cause plausibili (sempre assecondando la propria sensibilità) ed eventuali effetti in previsione, generando grande pòlemos nel riconoscere quantitativi di veridicità delle varie cause ed effetti messi sul piatto per un determinato fatto. Siccome a mio giudizio questa faccenda sarebbe insanabile data una certa mancanza di oggettività del reale, compito della ragione umana (ragione che funziona benissimo per quel che gli compete) è quello di rendersene conto e, solo successivamente, ricercare razionalmente soluzioni

#1664

Chissà quando qualcuno parlò per la prima volta di "storia umana", dando così un minimo di esistenza a tale cosa.

Rispondo invece alla domanda che avevo lasciato in sospeso nell'ultimo intervento. Diversamente da Ipazia la prendo da un altro lato cercando di tener unite specie umana e altre specie: Ciò che darebbe valore alla propria vita deriverebbe dalla relazione che ogni individuo intrattiene, provandola sulla propria pelle e psiche (laddove vi sia), con la sensazione di bene e di male. All'interno di tale relazione può succedere di tutto, ma anche nulla. Si darebbe però, nel caso umano, grazie proprio alla nostra ragione spesso zoppa in taluni casi, che tale relazione possa rivelarsi distorta al punto di indurci ad una malattia mentale inconsapevole (tanti sarebbero gli ammalati da non distinguersi essendo la malattia divenuta norma).
Saremmo dunque ammalati?
Sì, se è vero che ci stiamo quasi ammazzando pensando fino a ieri di aver vissuto correttamente, senza quindi renderci conto che i nostri comportamenti ci stessero portando a punti quasi catastrofici.
Sì, siamo ammalati se l'uso durevole di psicofarmaci o droghe di vario tipo fosse abbastanza elevato tra gli umani come sembra essere.
Sì, siamo ancora ammalati se non ci rendiamo conto che coi nostri comportamenti (mi riferisco soprattutto a vari tipi di escalation che pervadono le nostre pratiche umane) stiamo travalicando in dismisura (e lo facciamo da mo') proprio quella relazione succitata che fonderebbe il valore incontrovertibile della "propria vita". Detta relazione, in modo più consono e più simile alle altre specie, dovrebbe manifestarsi naturalmente più contenuta. Dico questo alla faccia di certe tesi sull'evoluzione che proclamano una visione distorta della sopravvivenza di una specie, e, all'interno di questa, di un individuo. E' dunque la ragione a dar senso e a guidarci in questa avventura umana? Bei risultati! E senza guardarci tanto in giro basta guardare il nostro forum, dove il novantasei per cento delle volte le persone abbandonano i topic più per stanchezza che per esser giunti ad ampia condivisione, o netta separazione. Questi sono i risultati del nostro ragionare. Ma noi (del forum) siamo forse più scarsi in materia di pensiero di Draghi, o di Biden, o di chi altri? Da qui forse, il senso di vanità che a volte può pervarderci. Vanità letta quindi non come mancanza di senso, o inefficacia, bensì come mancanza di senno. Opinione naturalmente personale
#1665
Citazione di: Ipazia il 11 Novembre 2021, 21:45:06 PM
Altrove ho definito la (sua) vita il valore assoluto incontrovertibile di ogni vivente. No life, no party. Valore materiale su cui fondare saldamente il valore etico ed una sensibilità coerente.

A questa "fallacia naturalistica" sono particolarmente affezionata e la uso come scudo contro gli strali relativisti. Avendo al contempo consapevolezza che tale convinzione va depurata dai riduzionismi naturalistici tipici dello scientismo e del darwinismo sociale. Così come di ottimismi d'antan a base di Orologiai e Architetti.

Mamma natura crea e impone la materia, ma spetta ai viventi gestirla al meglio delle loro possibilità.  Che, nel caso dell'etologia umana, includono anche la politica e la tecnoscienza, ulteriori fabbriche di segni materiali e problematiche etico-spirituali. Ovvero di significati.


Va bene Ipazia, ma rispetto a che? Vorrei cioè aggiungere: dov'è, o qual è la relazione tramite la quale si mette di fatto in scena l'importanza della "propria vita"? Rispetto a cosa noi proclamiamo il valore incontrovertibile della nostra propria vita? Infine, a cosa si riferiscono gli individui delle altre specie per proclamare il valore della propria vita?