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Messaggi - daniele22

#1666
Ciao Iano e a tutti, me infelice per aver scelto il termine ultraumano. In realtà intendevo qualcosa di estensibile ad altre specie viventi. Si perdoni l'ignoranza. La domanda che ponevo quindi può anche essere idiota (se i cosiddetti valori sono radicati nella vita, oppure se sono pura invenzione umana), ma a volte si scoprono cose che non sai. Essendo per la prima ipotesi, prima di depurare qualche fallacia di troppo come suggerisce Ipazia (cosa che può sembrare peraltro di buonsenso allo stato attuale delle cose), vorrei almeno sapere se a vostro giudizio c'è qualcosa nel fenomeno della vita in generale (e di cosa si tratta) che fondi, produca, emani, tutti i discorsi degli individui della specie umana sui valori, sulla vanità e sul senso della vita, con o senza Dio
#1667

Buon mercoledì in generale. Ipazia dice :"La storia, naturale o umana, è per definizione, coi suoi atti, una fabbrica instancabile di signi-ficati. Semmai la questione del "senso" riguarda il recettore; la sua sensibilità verso quei segni in senso biologico e culturale.".
Poi dice che bisogna addentrarci nel terreno dei valori ... assai minato e conteso.
Giusto. Chiedo però: questi valori, quotidianamente espressi in termini razionali dalla specie umana, sono ultraumani, oppure sono un'invenzione di una presunta libera mente umana?


Io opto per la prima, ma mi sembra che non tutti siano d'accordo







#1668

Considerando l'intervento di Phil, quel che vorrei proporre sarebbe che per ricercare il senso della storia umana si dovrebbe considerare, come suggerisce Bobmax, da dove provenga l'esigenza di darne un senso.
Al di là delle simbologie del capro espiatorio, resta il fatto che in presenza del Dio giudaico il capro (innocente) si carica delle colpe della comunità liberandola delle sue colpe (non dimentichiamo cmq che la comunità di allora era già fornita del braccio secolare della giustizia verso i malfattori). Venendo meno la presenza di Dio, sempre più la comunità si spoglia della colpa attribuitagli a suo tempo da Dio. Lo fa ergendosi essa stessa ad autorità senza colpa (sostituendosi cioè a Dio). L'autorità viene così ad esercitarsi da chi detiene potere trasferendo la colpa tutta sulle spalle dell'individuo che contrasta in qualche misura l'autorità. Rispondendo forse a Bobmax, il senso della storia umana nella sua globalità proverrebbe dal sentimento individuale (ciascuno a sua misura) e al tempo stesso collettivo, individuandosi in un sentimento di mancanza di giustizia nel mondo. Personalmente mi sono rassegnato a tale status e navigo per altre vie, anche se ancora chiacchiero di queste cose immaginando donchisciottescamente che le chiacchiere possano non esser vane a cambiare tale situazione
#1669
Oppure anche, senza tesi ed antitesi, scendendo un po' più in basso e guardando la storia umana in relazione ai comportamenti, si potrebbe parlare della costante presenza del capro espiatorio. Se ne potrà mai uscire?
#1670
Buon pomeriggio.
Come mi sembra abbia detto Ipazia, per vedere il senso della storia umana bisognerebbe vederlo contraddistinto dal precedente stato in cui ci si trovava. Il linguaggio consapevole dovrebbe tracciare una linea di demarcazione. Cos'ha prodotto nella storia fino ad oggi l'uso di tal linguaggio consapevole (almeno per quel che riguarda i massimi sistemi)?
Percorrendo l'unica via possibile indicata sempre da Ipazia, a mio giudizio, il senso della storia umana è questo: dalla notte dei tempi si è prodotta a livello mondiale una tesi: Dio. Si è poi prodotta un'antitesi: niente Dio. Sempre a mio giudizio, ad oggi mancherebbe la sintesi, che in qualche misura dovrebbe render conto delle due produzioni precedenti
#1671
Buona giornata.
Vano: vuoto o anche privo di efficacia.
La nostra vita di singoli individui vive quotidianamente di gesti che si spera siano buoni a farci vivere.
Siamo pertanto invasi da un'abitudine mentale che rende spontaneo il vedere una finalità nel gesto che si compie.
Tutti sappiamo però che c'è la morte ad aspettarci, della quale nulla sappiamo.
In questo gravame mortifero, tra l'altro, le nostre produzioni linguistiche affascinanti l'umanità intera si sono rose senza successo ad affrontare vitalmente tale aspetto. Il senso comune della storia umana pertanto, e forse di qui il senso di vanità che si può percepire, risulterebbe dal rendersi conto che le nostre azioni, pur guidate dalla morte, sono finalisticamente rivolte alla vita. A 'sto punto mi chiedo. Perché non finalizzare la morte? Perché mi danno a vivere, anche se ne provo soddisfazione? Se la morte è tappa obbligata della vita tanto vale che mi ammazzi subito e vediamo poi che succede. Ma lo fanno in pochi. Il gelato è buono si sa, e come dice Ipazia le vie del senso sono infinite. Forse, al fine di vedere un senso comune della vita, basterebbe solo accontentarci di avere ben chiaro al punto di saperlo riconoscere in ogni istante che si vive quale possa essere l'attimo in cui si possa pure rischiare la morte. Ma lo fanno in pochi
#1672
Citazione di: daniele22 il 02 Novembre 2021, 17:02:41 PM



Ciao a tutti, continuo da Bobmax il mio pensiero


... occorrerà rimettersi alla ricerca dell'autentico senso, che non può trovarsi che in se stessi... per rivelare infine l'odierno indicibile massimo senso comune razionalizzabile in parole. Solo conoscendo profondamente se stessi si giunge infine a comprendere (almeno razionalmente) l'uguaglianza della razza umana a livello di specie, e non di etnie, nazioni, ideologie etc. E si comprende pure l'uguaglianza dell'individuo ... Vi risparmio commenti sullo stato attuale della comunità scientifica, la quale però dipende dallo stato attuale dell'individuo (che conosce poco se stesso)


A post riletto, devo ammettere che mi sono espresso male (mancano dei termini di riferimento e altre cose). D'altra parte oggi è la festa dei morti. Mi si scusi
#1673
Citazione di: bobmax il 01 Novembre 2021, 09:59:58 AM
L'autentico senso della vita lo può dare solo il singolo, traendolo dalla propria profondità.

Mettendo in gioco se stesso.
Perché quel senso è infatti la direzione in cui vuole andare.

Se non ci è alcun senso l'uomo è perduto. Una direzione vale l'altra.
Forte è allora la tentazione di gettarsi nell'ogni lasciata è persa, oppure di fare lo struzzo pur di non vedere l'orrore.

Ma un senso può pure provenire da "verità" rivelate, a cui ci si aggrappa pur di sfuggire all'angoscia esistenziale.
Come il credere in un Dio.

Ma essendo questa credenza strumentale, ossia non motivata dal semplice puro amore... occorrerà rimettersi alla ricerca dell'autentico senso, che non può trovarsi che in se stessi.


Ciao a tutti, continuo da Bobmax il mio pensiero


... occorrerà rimettersi alla ricerca dell'autentico senso, che non può trovarsi che in se stessi... per rivelare infine l'odierno indicibile massimo senso comune razionalizzabile in parole. Solo conoscendo profondamente se stessi si giunge infine a comprendere (almeno razionalmente) l'uguaglianza della razza umana a livello di specie, e non di etnie, nazioni, ideologie etc. E si comprende pure l'uguaglianza dell'individuo ... Vi risparmio commenti sullo stato attuale della comunità scientifica, la quale però dipende dallo stato attuale dell'individuo (che conosce poco se stesso)
#1674
Ciao Alexander, ti avevo citato con risposta ancora qualche giorno fa, o non hai letto, o non hai ritenuto influente la mia opinione. Te ne offro un'altra. Il senso della vita collettivo sta nelle produzioni linguistiche umane (Letteratura, poesia, testi sacri, filosofici, scientifici, spettacoli televisivi etc). Quello individuale nel poter campare meglio che si può. Le due cose si compenetrano ineluttabilmente. Dai più valore alle produzioni linguistiche nelle tue scelte di vita interiore o dai più valore alla tua esperienza? Personalmente non ho fede in Dio, ma nemmeno nell'ateismo. Per me il senso della vita è quello di contenermi nel rispetto di ciò che è altro da me, senza però mortificarmi. Pertanto la ricerca di un'umiltà non ideologica è il mio senso della vita. Ma è solo una mia scelta mediata tra l'esperienza personale e l'analisi (limitata per forza di cose) delle produzioni linguistiche
#1675
Citazione di: Alexander il 26 Ottobre 2021, 01:01:53 AM
Naturalmente rifiutando l'immagine ingenua e stereotipata del credente che avete, obietto che  il cercare nella filigrana della storia la presenza del divino non toglie nulla alla scoperta, giorno per giorno, del divenire storico. Il credente semmai sente un compito più pressante del non credente: dare ragione della propria fede attraverso e malgrado il senso di vanità della storia umana che avverte. Leggere una eventuale storia nascosta che scorre assieme a quella ordinaria che tutti viviamo. Compito arduo perché l'inganno è sempre in agguato. L'inganno però gioca con ognuno di noi, credente o non. Il credente non conosce l'epilogo della storia, certo non più del non credente. L'unica differenza sta nelle fede in un autore e che questi sappia quello che fa. Riprendendo l'esempio del bambino che ascolta una storia, si dirà allora che il credente ha fiducia che ci sia un narratore che conosca l'epilogo. Attende allora la scoperta di questo epilogo. E questo è un atto di fede. La storia nel suo divenire allora lo interpella e vaglia la sua fede, perché è là, nella mancanza di senso, che può trovare o rifiutare il Dio/ autore, diventando così, con la sua scelta di ascoltare o meno, un custode oppure un imbrattatore del racconto. Frumento da granaio o pula.

Buongiorno a tutti: estraggo due parti di discorsi sentiti

Ipazia:"Il concetto di "vanità" è assai labile e soggettivo. Ciascuno lo applica ai valori dell'altro senza vederlo nei propri."
Kobayashy: "Alexander ha sottolineato la necessità di distinguere il racconto della propria vicenda privata dalla storia collettiva. Ciò che manca non sono le favole con cui intrattenersi nello spazio privato o attraverso cui decifrare i fatti della propria vita. Ciò che manca è un senso da assegnare all'avventura collettiva, che pretende verità, oggettività, universalità."


Chiedo perdono Alexander, comunque ho detto che la maggior parte dei credenti sarebbero per me dei superstiziosi, non tutti i credenti. D'altra parte ci sarà pur un motivo per cui si dice che Dio è morto.
Vanità? A cosa debba riferirsi il senso di vanità di cui narra Calvino? La mia sensazione, ovvero la mia opinione, è che morto un Dio se ne farà un altro, anzi, si fa da sè. Come può essere che Dio sia morto? E' morto poiché è arrivata pian pianino la ola dello spirito ateo. Sappiamo da dove e da quanto tempo è partita questa marea, almeno in occidente. L'io non vuole più Dio e comincia a spingere e lo fa sempre più, con una forza simile a quella fatta a suo tempo dall'idea di Dio, ma in tempi più brevi se vediamo la cosa rispetto all'idea generale di un culto all'oltre vita. Vedi qualche nuovo Dio all'orizzonte? Dovrebbe esserci in giro da qualche parte. Lì sta il nuovo Dio e lì dovrebbe evidenziarsi l'epilogo della storia umana. Forse Calvino rappresentò nel suo personaggio il senso di vanità riferendosi all'inefficacia dell'agire umano per uscire dal cerchio degli dei. Questa sfida (intellettuale), se uno ci crede e sempre ammessa l'esistenza di qualche candidato a Dio in giro per le strade, potrebbe pure costituire un dar senso alla vita.


Finché scrivevo Ipazia ha prodotto un post su Nietzche, che purtroppo non conosco

#1676
Buonasera. D'accordo col fatto che non abbia molto senso parlare di storia umana. Se si cerca il senso della storia senza Dio, si dovrebbe desumerla immagino dal senso della storia riferendola al termine io. "Da dove viene il termine Dio?" chiede Iano. Evidentemente dall'io che l'ha prodotto. La storia umana di un individuo è una storia di ordini di attenzione verbalmente espressi più o meno permanenti generati da altri io, naturalmente in concomitanza con l'accadere di cose a cui l'io si riferisce quando genera qualcosa. Naturalmente non occorre che tutti capiscano quanto si è prodotto, occorre comunque un certo numero. Anche l'io di Parmenide generò qualcosa di assimilabile a una idea di Dio. E' però difficile sapere la quantità di credenza in Dio presente mediamente nell'individuo dell'anno mille. Quel che viene infine a mancare dalla scena odierna della storia di un superstizioso (mi rifiuto di credere che la mayoria dei credenti di oggi non appartenga a tale categoria) è il premio in cielo, e a cagion di questo, forse, chiedo, non riesce più a dare un senso alla morte e si getta nel nichilismo. Buona nottolata a questo punto


PS per JE: citandoti: "Nietzsche si era accorto del buco che la scomparsa del fondamento religioso avrebbe lasciato nella cultura europea e tentando di ideare un rimedio culturale per quando il tempo fosse venuto, aldilà di termini quasi markettari come oltreuomo, l'idea era buona: separare l'istinto razionale (causa finale) dall'istinto vitale (causa prima), il "pull" secondario dal "push" originario per cosi dire; comprendere che il primo viene dal secondo, e saperne ricavare nuove direzioni."

Aveva la vista lunga quel Nietsche ... dove si sarà mai arenato
#1677

Buona serata.
Un piccolo inciso. Viator, un diritto non deriva necessariamente da un negoziato vero e proprio, questo volevo dire. Dopodiché, non credo tout court alle mie sensazioni. Credo che le mie sensazioni, una volta individuatene la causa e analizzate, siano ciò che costituiscono il mio senso di realtà, che è individuale e coincide con la mia coscienza che è infine la risultante delle proiezioni delle mie preoccupazioni. Contrapponendo cioè detta coscienza a quella che pretenderebbe di indagare liberamente una presunta realtà oggettiva che però bisogna interpretare.

Non ci si bagna due volte nello stesso fiume diceva qualcuno. Dismetto la veste dell'anarchico e faccio finta di essere un democratico, anche per il fatto che sono sempre stato e continuo ad essere nei miei comportamenti un democratico, con qualche leggero sbandamento. L'anarchia è per me un azzardo mentale che richiede un discreto sforzo di preparazione all'auto limitazione dei propri impulsi più interiori e che dovrebbe vedere, al termine di tale percorso, l'essere umano riuscire a rinunciare spontaneamente alla sopraffazione alimentata dal mero gusto di sentirsi più potente dell'altro senza dirlo, e che all'oggi va molto di moda. Poi si sa, la storia è sempre chella, c'è chi nasce petra e chi 'na stella, e la sopraffazione è in certa misura endemica nel gioco della vita e della morte. Democraticamente allora dico che non si può mettere un datore di lavoro nelle condizioni di ritenere un suo dipendente uguale alla merce. La competizione non è sana dove si bara sempre di più. I genitori non devono andare a protestare per il nove negato al loro figlio, siano semmai i figli stessi a farlo, ma questi son sempre più rimbambiti (sembra! aspettiamo a vedere i loro calcoli quando cresceranno). Alla partitella tra adolescenti i genitori non dovrebbero gridare al figlio in campo "rompigli le gambe!", oppure insultarlo fino all'umiliazione per la propria incapacità. La giustizia non riesce a svolgere efficaciemente il suo lavoro. La burocrazia in generale nemmeno, anzi ci opprime causa pure le innumerabili leggi. Si potrebbe andare avanti per un po' circa gli stili di vita a cui si assiste quotidianamente e ammessi pacificamente nel nostro sistema. O debbono considerarsi "rumore di fondo"? Ho profondo rispetto per l'imprenditore che ama il proprio lavoro e che cerca di farlo a regola d'arte ed è giusto che ne sia gratificato. Forse un lavoratore non qualificato non amerà mai il proprio lavoro, dovremmo gratificarlo anche per questo. Allora ... Cosa, oppure chi? C'è un maggior responsabile di tutto lo scempio che vedo? Certo è che le cose le fanno gli individui, ma quanto contribuisce l'ambiente in cui si nasce?. E in questo ambiente cos'è che secondo voi possiede maggior peso nel far apparire certe oscenità? Sono i poteri forti? E' l'apparato statale? Quello mediatico? le teorie economiche? le religioni? l'incomprensione, ovvero i vari livelli di consapevolezza individuali? O che altro? Dai! che poi si parte tutti in crociera con la nave di anthonyi, guida lui, e ci dirigiamo a trovare paul 11 nel mar delle molucche a vedere i movimenti delle flotte
#1678
Citazione di: anthonyi il 22 Ottobre 2021, 03:11:57 AM
Ciao Paul, il problema della rivoluzione è che spesso risponde ad esigenze emotive interiori. Chi fa la rivoluzione non ragiona, è non ha gli strumenti razionali per ragionare in termini di convenienza e di obiettivi.
Questo non toglie che chi gestisce la rivoluzione possa avere quegli strumenti. Non a caso differenziamo tra rivoluzioni borghesi e rivoluzioni di popolo, e differenziamo anche tra approccio rivoluzionario e approccio riformista, laddove l'approccio riformista da il segno di una maggiore presa di coscienza razionale delle complessità del mondo.
E questa presa di coscienza ci dice che l'approccio riformista è un approccio concreto, perché operato da chi sa cosa vuole, e sa cosa può ottenere.
L'approccio liberale e un approccio tipicamente riformatore, e non mi sembra sia universalmente contrario ai diritti, anzi è un forte assertore della necessità della certezza del diritto.
Sicuramente è contrario ai diritti socialmente dannosi.
Il tuo compagno daniele, con approccio rivoluzionario, è contrario al diritto di proprietà, e poi rimane stupito se la gente lo guarda come fosse un pazzo, io mi stupirei del contrario, il 90 % delle persone hanno qualcosa di proprietà, anche se è poco, e non hanno certo piacere che qualcuno lo metta in discussione.
Ipazia contesta il fatto che l'economia abbia il primato sul diritto, ma la razio economica è l'unica fonte affidabile del diritto che possiamo concepire.
Non esistono diritti che non siano economicamente sostenibili, e qualsiasi diritto va valutato per la sua efficienza economica.
Ammesso e non concesso che il sistema economico nel quale siamo sia ingiusto, il problema è capire se in un sistema economico giusto i lavoratori ai quali tieni starebbero meglio?
Se così non fosse (e così non é ) tu ti troveresti a voler fare una rivoluzione promettendo ai lavoratori un miglioramento che non puoi mantenere, la tua condanna morale della ricchezza conterebbe assai poco a confronto con l'interesse materiale di ogni singolo lavoratore a stare meglio.



Buondì Anthonyi, grazie per l'idiozia del rivoluzionario. Personalmente ritengo di avere gli strumenti per ragionare in termini di convenienza e di obiettivi, solo che detti strumenti li pongo in atto a valle di esigenze che appartengono alla sfera emotiva. Basterebbe questo tuo esordio per farmi pensare che siate voi a usare male tali strumenti raziocinanti.
Tra le altre cose non è che io mi stupisca che le persone rifiutino un'abrogazione del diritto di proprietà, ne prendo solo atto.
Come disse mi sembra Ipazia, il transatlantico abbisogna più che altro di buoni tecnici che di un gestore: il gestore semmai è colui che traccia la via, ma se trova chi gli rema contro la famosa efficienza ne risentirà. In fondo ti capisco Anthonyi, poiché un presunto anarchico come me risulterebbe essere infine un liberale che procede senza l'ausilio del diritto alla proprietà. L'unica differenza che c'è tra me e te sarebbe questo avallo che voi concedete mentre io e altri no. E' vero che il diritto si perde nella notte dei tempi, ma l'origine del diritto non è altrettanto chiara. Il diritto dovrebbe poi manifestarsi a fronte di una concessione ... da dove arriva tale concessione? Arriva a noi dalle tavole della legge date a Mosè? Non desiderare la donna d'altri (pensa un po'!) ?, non desiderare la roba d'altri? E' lì che devo cercare la chiave del diritto? Ma se metto in discussione l'idea di Dio, potrò ben discutere anche sui suoi rigidi e troppo cristallini ordini. Non so di quali armi disponga il capitalismo, ma per me è arrivato alla frutta ... troppa gente rema contro in segreto boicottaggio (svogliatezza, disillusione, menefreghismo), purtroppo lo fa ancora sui disastrosi binari del riformismo poiché l'llusione è dura a cadere. Vediamo dunque fino a quando il pensiero dominante riuscirà a non usare metodologie altamente poliziesche per detenere il primato. Un saluto
#1679
Citazione di: anthonyi il 21 Ottobre 2021, 18:12:12 PM
Ciao Paul, io poi tutto questo desiderio di rivoluzione che caratterizza voialtri non lo concepisco proprio. Soprattutto perché vedo che avete le idee poco chiare sul dopo.
Non domandarti se la rivoluzione è possibile, domandati cosa succede dopo la rivoluzione. Il mondo che vedi è già un mondo post rivoluzionario, perché rivoluzioni nel mondo ce ne sono state tante.


Ciao anthonyi, il mio desiderio rivoluzionario poggia nell'esser convinto che la proprietà privata di qualcosa (a fini diversi dall'uso) sia un'ingiustizia e contribuisca inoltre a grandi conflitti, oltre a quelli che già ci sono per altri motivi. Per certo contribuisce ad accelerare l'evoluzione tecnologica. Trascurando i secondi altri motivi, i primi arrecano pure grande disturbo alla mia sfera privata. Ovviamente ti do perfettamente ragione sulle idee poco chiare sul come affrontare il dopo rivoluzione. Ma il guaio più grosso è che le idee sono poco chiare anche sui contenuti della rivoluzione, tant'è che quando io dico in giro che per me la proprietà privata, oltre che ad essere ingiusta è pure quasi inconcepibile, la maggior parte della gente mi guarda come fossi un alieno. Tanto che ultimamente mi vien quasi da spacciarmi per liberale. Eppure, quella è la rivoluzione possibile, tutto il resto è chiacchiera ideologica e favoreggiamenti vari ed arbitrari. Alla fine è solo questione di avere i numeri, ma se questi ci fossero forse salterebbe fuori anche qualche idea, sicuramente innescante meccanismi scientificamente reputati meno efficienti. Un saluto a te che stai nel mondo dei più e che forse percepisci diverse quelle che io chiamo ingiustizie
#1680
Buon giovedì a tutti ... Oh iano, mi sfugge il senso degli ideogrammi, ma penso non abbia molta rilevanza. Citandoti:"Rispondendo a Daniele, la soluzione non è rinunciare alla sovranità personale, ma il problema è che vi abbiamo rinunciato da un pezzo. Abbiamo perso l'orgoglio di crescere come individui. Di progettare per il futuro dei figli."


Volevo infatti dire rinunciare alla sovranità delle nostre convinzioni, o ideologie, tramite le quali si formano alleanze senza alcuna consistenza che non sia quella responsabile di farle combattere tra loro. Quindi non intendevo che si debba rinunciare alla sovranità di quello che a livelli emotivi e in modi più umili percepiamo nell'ambiente più prossimo, distinguendolo in certa misura dall'ambiente squisitamente razional-linguistico. L'arduo compito, o solo non voluto, sarebbe quello di estendere tale sovranità emotiva anche a ciò che è meno prossimo, ovvero il mondo razional linguistico, il mondo di cui si sente parlare, il mondo che non si conosce


Ancora a margine sulla proprietà privata: E' fuor di dubbio per mio conto che il diritto alla proprietà privata abbia contribuito perlomeno al perdurare di teologie e di ideologie, ed è altrettanto fuor di dubbio che sia doveroso, almeno da parte mia, contestarlo in toto